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Autore: Many8    06/01/2011    11 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buona Epifania a tutti...

Scrivere questo capitolo è stato particolarmente difficile, le sensazioni, emozioni della protagonista mi hanno turbata, e non poco. Non riuscivo a scrivere una pagina, ogni talvolta qualcosa doveva essere cancellata, qualcos'altro modificato e tanto altro ancora, è stato un parto, lo ammetto.
Ed ho deciso di farlo breve, proprio perchè avreste aspettato un altro anno per leggere questo capitolo.

Ringrazio le persone che hanno recensito, grazie mille, questo capitolo lo dedico a voi e a chi oserà lasciare un commento ^^.

Buona Lettura.
Non era possibile, non poteva davvero accadere.
Il cuore doleva in mille piccolissimi pezzi nel mio petto, una voragine allo stesso punto si formava grande e maestosa, facendomi sentire la sua presenza.
Le mani dalla faccia si spostarono sulle gambe portandole al petto, strette nel vano tentativo di calmare il respiro affannoso, che quasi mi mancava.
Lacrime di delusione, dolore, rabbia, amore scendevano copiose sulle mie guance, non singhiozzavo per fortuna, mi avrebbe sentito nel caso opposto.
Chiusi gli occhi, nuovamente, cercando di dosare il respiro e calmarlo, tranquillizzarlo.
Non si sentivano rumori alle mie spalle, non ne avrei voluti sentire nemmeno. La delusione era ciò che caratterizzava il mio stato d'animo, insieme alla rabbia. Avrei potuto abbattere quella struttura se non mi fossi trattenuta. Le mani mi prudevano dalla voglia devastare, la testa mi pulsava senza motivo, pronta a scoppiare come un pacco bomba, mancava la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, ma non tardò ad arrivare.
Il respirò si calmò, le lacrime si arrestarono.
Ma la voglia irrefrenabile di rompere qualcosa era sempre lì, sempre crescente e maggiore, come il mal di testa.
Iniziai a sentire sussurri indistinti, parlavano di qualcosa, con calma, quindi cancellai l'opzione che stessero litigando, chi litiga non sussurra, no?!
Non cercai di decifrare le loro parole, per capire, mi avrebbe fatto soltanto più male, la prima cosa che feci per bene, per me.
Mi alzai dal pavimento, mi pulì gli occhi dai residui delle lacrime con il dorso della mano, non valeva la pena di piangere.
Era decisa a voltare le spalle a quello studio e dirigermi nella mi camera, ma da testarda che ero mi voltai verso lo spiraglio lasciato aperto precedentemente.
La situazione non era cambiata: la ragazza era sempre più vicina ad Edward, e lui sempre nella stessa posizione. Tanya si muoveva in direzione di colui che avevo pensato di potermi fidare, e quest'ultimo non faceva nulla per allontanarsi, restava lì immobile.
Le lacrime ricominciarono a sgorgare fuori, indietreggiai, le mani chiuse a pugni lungo i fianchi, i passi erano lenti ma profondi.
Mi fermai, improvvisamente, avevo toccato qualcosa con la schiena, facendola cadere. L'impatto con il suolo creò un forte boato, che eccheggiò in tutto il corridoio, ed
inevitabilmente anche le persone nella stanza di fronte a me lo sentirono.

Mi guardai attorno, mi ero scontrata con un carrello di medicinali, uno dei tanti in tutti i corridoi e reparti, facendo cadere una flebo. Il vetro di quest'ultima si era fracassato al suolo, facendone fuoriuscire tutto il contenuto. Il pavimento era pieno di acqua e frammenti di vetro.
Mi guardai intorno spaesata e non sapendo cosa fare mi fiondai fuori da quel reparto, la velocità era sostenuta, se non fosse stata per la mia accortenza del ginocchio mi sarei messa a correre, fregandomene degli occhi indiscreti di pazienti, infermieri e dottori che mi guardavano camminare velocemente, come se ci fosse qualcuno a seguirmi, come se fossi impazzita.

Ma qualcuno mi seguiva.

Camminava col stesso passo, a pochi metri da me.
Sapevo cosa dovessi fare, e dove andare. I miei piedi si muovevano velocemente, la mia mente non pensava a dove dirigermi, ma rifletteva sempre la stessa immagine, Edward troppo vicino a quella ragazza. Gli occhi erano ricoperti di lacrime, vedevo sfocato e tutto ciò che incontravo aveva contorni indefiniti.
"Bella!" urlò, vicino alla mia camera.
Non mi girai, non mi voltai a quella voce cristallina che conoscevo fin troppo bene.
Ero arrivata alla mia meta: la mia camera. Aprì la porta , e con forza, sbattendola la rinchiusi dietro di me. Mi fermai al centro della stanza, con il fiatone, tentando di calmarmi. Respiravo profondamente, chiusi gli occhi quando la porta scricchiolò, aprendosi, nuovamente. Fortunatamente la porta era alle mie spalle, potevo non guardare in volto colui che fosse entrato.
"Bella," la voce di Edward si espanse nella camera.
Feci un ultimo respiro prima di dirigermi verso il tavolino, dove c'era il mio borsone. Lo presi, barcollando sotto quel nuovo peso, lo portai sul letto, aprendolo e infilandoci tutto ciò che le mie mani incontravano sul loro cammino. Pigiama, asciugamani, vari prodotti sparsi per la stanza, i miei pastelli e il mio quaderno. Quello giallo lo aprì alla pagina in cui avevo segnato il numero di Alice, prendendo una delle tante matite lo trascrissi sull'altro quaderno, lasciando il primo nel cassetto, e chiudendolo alle mie spalle.
Quando stavo per ritornare al letto, con un nuovo carico tra le braccia, Edward che era rimasto fermo, immobile al centro della stanza, con lo sguardo basso, mi prese per un braccio, bloccandomi davanti a lui.
I suoi occhi erano quasi grigi, non più verdi, si erano scuriti molto, capì che era per la rabbia repressa in quei minuti. Non capì il senso dell'ira di Edward, infondo era io quella tradita.
"Lasciami andare." scandì bene ogni sillaba, guardando la sua mano stringermi il braccio.
"Per favore, Bella, parliamone," il suo tono era spento, roco e basso.
"Cosa c'è da parlare?" chiesi, acida." Non c'è nessuna scusa che possa biasimarti, Edward, non c'è nessuna parola che potrà giustificare ciò che mi hai fatto, non ci sono parole per cui io ti dia una seconda possibilità. E' finita." conclusi, riuscendo a divincolarmi e tornando al letto, misi tutto nella valigia, senza contare l'ordine, nè altro.
"Non è come pensi," disse, guardandomi camminare per la stanza.
"E com'è allora? Vorresti negare il fatto che quell'infermiera ti stava addosso? E ti stava quasi per baciare se non vi avessi interrotti? E' l'unica o ce ne sono delle altre? Quante tre, quattro, o di più?" le parole uscivano da sole dalla mia bocca, e non mi importava se non avesse davvero un senso, o se fossero esagerate.
" Non c'è nessuna oltre a te!" inveì.
"Certo! E quella ragazza chi è tua sorella, tua cugina?" dissi, retorica.
"No, ma... "
"Edward, non devi giustificarti, ho sbagliato io a fidarmi di te, sono stata talmente sciocca da poter credere alle tue parole, sono stata talmente stupida da credere di essere davvero unica, sei un bravo ammaliatore, devo riconoscerlo, sei stato bravo a creare un legame tra di noi, sei stato fortunato a trovare una sciocca ragazza che aveva bisogno di qualcuno a cui raccontare il suo passato, e donare affetto, sei stato bravo ad ascoltarmi, devo ringraziarti per questo, sono stata meglio in tua compagnia, devo ammetterlo, ma non posso andare avanti, non possiamo fare nulla, Edward," terminai, nel mentre avevo preso le ultime cose, infilando la mia giacca a vento, visto che stava piovendo a dirotto, sporadicamente dei tuoni rompevano il silenzio fra di noi.Urlando, così forte da coprire i rumori che provenivano da fuori e dai tuoni, gli avevo detto ciò che dovevo.
Stavo meglio anche con me stessa.
Mi aveva tradita, ed io avevo usato lui, inconsciamente.
"Non so come abbia fatto a credere alle tue parole, sono stata tremendamente stupida." finì, misi la borsa in spalla, e mi diressi verso la porta.
"Aspetta, " disse prendendomi nuovamente per il braccio.
"Lasciami stare, Edward." il senso di repugno nei suoi confronti era tornato.
"Non permetterò di andartene finchè non mi avrai ascoltato, poi se vorrai potrai lasciare questa stanza e me, ma ti prego ascoltami,"
"Lasciami andare." il mio tono di voce era basso, le parole scandite lentamente.
Una pausa. Un respiro profondo.
"Mi hai delusa, Cullen." dissi, non tenendo conto delle sue precedenti parole."Ed ora fa una cosa per me. Lasciami andare, dimenticati di me, come farò io appena messo fuori piede da questa camera, dimenticati le parole che ti ho detto e quelle che tu hai detto a me, è stata una magnifica esperienza, ma adesso basta. Addio, Edward."
Uscì dalla camera, senza dargli il tempo di parlare; non sarebbe servito a nulla ascoltare le sue menzogne.
Andai da Emmett, il quale firmò il permesso e l'attestazione della mia salute, stavo bene e potevo benissimo non stare in ospedale.
Mi disse che avrei dovuto togliere i punti, tornando in quell'ospedale o da un qualsiasi medico, entro cinque giorni.
Annuì e lo rassicurai dicendo che avrei fatto tutto quello che aveva detto, in più mi chiese il poichè, risposi che sarei dovuta partire il mattino dopo.
Mi guardò confuso, appena poche ore prima gli avevo detto della mia simpatia per Edward, ed adesso andavo via da lui, senza spiegazioni.
"Arrivederci, Emmett, è stato un piacere conoscerti, potresti portare i miei saluti ad Alice, Jasper e Rose?" chiesi.
"Certo, senz'altro, ciao, Bella."
Sorrisi, incamminandomi fuori dal suo ufficio nel pronto soccorso, i corridoi erano familiari, gli stessi che avevo percorso il primo giorno, la notte in cui era arrivata in quel posto.
Nell'atrio c'era un telefono pubblico, uno di quelli che chiamano con le monete,dovevo fare due telefonate, una delle quali molto importanti.
Misi una delle monetine che avevo nella borsa nel telefono, componendo il numero che conoscevo fin troppo bene.
" Pronto?" chiese, una voce roca dall'altro capo del telefono.
"Pronto, Jacob, sono Bella,"
"Bella!" Inveì, era entusiasta, si capiva dal tono di voce."Cosa ti induce a chiamare?" chiese, tranquillo.
" Vengo con te, a Chicago."
Forse sarebbe stata un'idiozia, ma in quel momento sentivo che dovevo seguire lui, a Chicago, per riprendere una vita normale.
"Davvero? Non sai quanto sia felice di questa tua decisione!" Era estasiato. La sua voce era squillante."Dove sei? Ti vengo a prendere!"
"Aspetta, ti raggiungerò domani, all'aeroporto, adesso voglio raggiungere i miei genitori, se non ti dispiace, voglio trascorrere quest'ultima serata con loro."
"Capisco, ma ti hanno dimessa? I tuoi genitori lo sanno? Sono lì con te, adesso?"
" No, non mi hanno dimessa, ho chiesto il permesso per partire con te, domani, " mentì, lui non avrebbe mai saputo la verità. Come non l'avrebbero saputa i miei genitori.
"Ma stai bene?" chiese preoccupato.
"Sì, non preoccuparti, sto bene, il ginocchio è a posto, riesco a camminare abbastanza facilmente, e no, i miei genitori non sanno ancora che non sono più ricoverata, sono nell'atrio dell'ospedale, appena stacco con te chiamo loro. Adesso ti lascio, Jacob, a domani, all'entrata principale dell'aeroporto?"
"Sì, va benissimo, non sai quanto mi hai fatto felice, Bella."
"Certo, a domani, Jake." Staccai, posando la cornetta, presi una nuova monetina dalla borsa, facendo partire una nuova telefonata, questa volta i destinatari erano i miei genitori.
Conoscevo il numero di cellulare di entrambi, composi quello di mia madre.
"Chi è?" chiese sbrigativa una voce di donna.
"Mamma, sono Bella."
"Oh Bella,- il suo tono si era addolcito- dove sei? C'è qualche problema?" chiese, velocemente, senza darmi il tempo di parlare.
"No, calma, non preoccuparti, va tutto bene, volevo solo chiedervi dove alloggiate così che potessi raggiungervi,"
"Ma dove sei?" domandò con voce isterica.
"Sono all'ospedale, mi hanno dimessa, o meglio mi sono dimessa, è tutto a posto, non preoccuparti!"
"Ti veniamo a prendere noi, non muoverti di lì!" disse, sentivo sei rumori in sottofondo.
"Aspetta, sono in grado di muovermi da sola! Devi solo dirmi l'indirizzo!"
"Non se ne parla proprio! Adesso io e tuo padre ti veniamo a prendere, siamo lì tra dieci minuti, a dopo, piccola."
"Va bene, a dopo, mamma."
E la chiamata si interruppe. Il credito erano terminato.
Guardai l'atrio, soffermandomi su ogni oggetto, e persona che i miei occhi vedevano, fin quando quest'ultimi non si riempirono di lacrime e decisi di lasciare tutto alle mie spalle, uscendo fuori, esposta alle intemperie, dove pochi minuti dopo arrivarono i miei genitori.
Durante il tragitto, oltre ai saluti iniziali, non era volta una mosca, erano tutti silenziosi, tassista compreso, un ragazzo anche più piccolo di me, tutti percepivano il mio umore cupo.
 Alloggiavano in un albergo nel centro città a pochi minuti dall'ospedale, la loro camera era abbastanza grande, formata da un'anticamera, con un divano-letto, una tivù e dei mobili.
La stanza 'principale' era piccola, ma accogliente, c'era un letto matrimoniale, molto grande, e due comodini. Tutte le finestre erano coperte da tende dello stesso colore della moquette e delle rivestiture di letti e divani. Infine il bagno era piccolo, provvisto di tutto ciò che servisse.
Rimanemmo io mia madre da sole, quando mio padre uscì dalla camera per ordinare una cena che ci sarebbe stata servita nella medesima.
Eravamo sedute entrambe sul letto, comodo e morbido della stanza matrimoniale.
" Allora, come va?" chiese mia madre.
"Tutto bene." dissi, semplicemente, senza degnarla di uno sguardo. Il mio comportamento era molto infantile, i miei genitori non dovevano essere coinvolti nel mio stato emotivo.
" Mamma, domani parto, vado a Chicago con Jacob." sbottai, improvvisamente, portando il mio sguardo su di lei.
Mi guardava sorpresa e confusa, corrugando la fronte.
"L'ho chiamato dall'ospedale prima di avvisare voi, domani partiamo."
"Ma... non vi eravate lasciati?" chiese.
"Sì, ma credo che tornare a Chicago con lui sia la miglior cosa, qui a Seattle non voglio restarci, voglio ritrovare la mia vita, quella di un tempo e voglio farlo accanto a Jake." dissi, la mia voce a metà frase si incrinò.Le lacrime tornarono a riempire gli occhi.
"Ne sei sicura?"
"Sì, lo sono. Jacob è un buon inizio. Potrò essere felice con lui, proprio come un tempo. Ricomincerò a studiare magistratura, voglio laurearmi, a Chicago, con Jake al mio fianco." terminai, decisa.
"Se te la senti di farlo, certo, è la miglior cosa se lo credi tu." concluse.
"Sì, ne sono sicura." ripetei. L'abbracciai, mettendo la testa nell'incavo del suo collo, respiravo il suo profumo ed inevitabilmente pensai che fosse buono quasi quanto quello di Edward.
"Ti voglio tanto bene, Bella." mi disse all'orecchio, spostando una ciocca di capelli.
"Anche io," Sospirai. "Tanto."

Il giorno dopo mi svegliai di buon'ora, avevo dormito nel letto matrimoniale con mia madre, facendo riposare mio padre nel divano-letto, si svegliò con mal di schiena atroce.
Un'ora più tardi eravamo all'aeroporto, con tutto ciò che mi serviva, e con i miei genitori al mio fianco.
Cercavo con gli occhi Jacob, a poca distanza dagli imbarchi, lo visi dirigersi verso di noi, correndo, sudaticcio.
Quella visione mi fece ridere, ma la consapevolezza che lui fosse lì mi fece riempire lo stomaco di farfalle, la partenza era inevitabile ormai, avrei dovuto seguirlo. Qualcosa mi diceva che dovevo restare lì a Seattle, tornare da Edward, dargli una possibilità, e ascoltarlo. Ma il mio orgoglio mi ordinava di partire, in quel momento non era il cuore a comandarmi, ma la testa e il mio stupido orgoglio.
La mano sinistra stringeva il manico di una borsa a mano, una di quelle che possono essere imbarcate con te, vicino al tuo posto e non nella stiva.
"Eccomi, scusate per il ritardo, non ho trovato un taxi!" disse tutto di un fiato, ansimava per lo sforzo di correre. I suoi occhi si posarono prima sui miei genitori e poi su di me, addolcendo lo sguardo.
Strinse la mano ai miei genitori, salutando con più energia Charlie, il suo zio preferito, per poi baciare me sulle guance.
I contatti con gli uomini erano di nuovo diventati fastidiosi.
"Ciao, Jake." sussurrai al suo orecchio.
Una voce nell'altoparlante ci avvisò che quelli sarebbero stati gli ultimi minuti per l'imbarco, dovevamo proseguire.
"Allora a dopo, mamma, ti chiamo appena sono atterrata." le dissi, dopo averla stretta a me.
"Non ti dimenticare, mi raccomando," vedevo l'ombra di qualche lacrimona voler ribellarsi negli occhi di mia madre.
"Non preoccuparti, non potrei mai dimenticarmi di te." dissi, sorridendole." Di voi," mi corressi quando mio padre si girò verso di me, abbracciandomi anche lui.
"A presto!" salutarono, prima di voltarsi, mano nella mano e andare via.
Mi girai verso Jacob, che mi aveva cinto la vita con un braccio, sorridendogli e accennando a proseguire. Avrei voluto scansarmi, ma non lo feci.
"Tutto bene?" chiese.
"Sì, va tutto bene. Andiamo." ci perquisirono, lasciandoci andare pochi minuti dopo, con i nostri bagagli a mano.
Il mio biglietto era stato acquistato solo il giorno prima, mi dovetti accontentare di un posto in seconda classe. I sedili erano comodi, mi sentivo a mio agio con Jacob al mio fianco.
Poche ore più tardi, con Jake alla mia sinistra che riposava, con lo sguardo intendo a guardare fuori dall'oblò, mi sarei domandata se quella era stata davvero la scelta giusta.

Il prossimo capitolo inomincerà dall'imbarco, quindi prima di quest'ultimi righi.

Ricordo a tutti ( per l'ultima volta) la mia OS natalizia, classificatasi 3a ( non sapete la mia felicità!) una lettura tranquilla, e meno triste (decisamente) di questa FF xD.
Christmas Lights 

 Al prossimo aggiornamento, Many.

   
 
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