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Autore: HappyCloud    06/01/2011    6 recensioni
Una giornalista e una scommessa fatta da ubriaca che le travolgerà la vita, facendole incontrare molti uomini per poi giungere al punto in cui è sempre stata: dal suo Lui.
Sullo sfondo, un intricato caso su cui investigare e al quale trovare una soluzione per aiutare un amico. Guardandosi sempre bene alle spalle, perché il nemico non è mai troppo lontano.
Dal secondo capitolo:
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- “Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo”.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- “Sammy, tu hai già accettato” mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia firma, con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'C'eral'acca'
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Capitolo nove. Bitter/Sweet Harmony.
 
Nottetempo, la distanza, creatasi tra me e Nick nell’istante in cui ci eravamo arresi al sonno, fu colmata dai movimenti dei nostri corpi; le gambe si sfiorarono e poi aggrovigliarono le une alle altre in modo naturale, portandoci ad un contatto fisico inevitabile all’interno di un ambiente di un paio di metri quadrati.
Ero alla ricerca disperata di calore, il freddo che si infiltrava attraverso le fessure delle portiere non dava tregua e provocava sulla mia pelle dei continui brividi seguiti da piccoli tremolii, sebbene fossi coperta anche dal chiodo di Nick.
Dovevano essere trascorse alcune ore da quando c’eravamo addormentati, lontani e voltati in modo tale da darci le spalle. Ma la situazione era cambiata: lui girato di fianco verso di me, un braccio piegato sotto la testa a mo’ di cuscino ed io distesa supina, a pochi centimetri da lui. D’un tratto, però, mi mossi bruscamente, facendo sbattere il dorso della mano sulla sua spalla. Bastò un attimo e ci destammo entrambi.
Trovarsi gli occhi di Nick, appena aperti, così vicini ai miei quando ancora non ero nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, fu più traumatico del previsto. Nessuno dei due parlava, ciascuno intento a scrutare e studiare le mosse dell’altro prima di effettuare la propria. Ci furono momenti di silenzio totale in cui il tempo era scandito da delle deboli gocce di pioggia che cadevano sul tettuccio e dai movimenti veloci delle mie pupille, nervose almeno quanto lo ero io. Le sue, invece, erano immobili, statiche, concentrate a scandagliare il mio viso, pacifiche come il cielo immerso nell’oscurità al di fuori del finestrino.
La mia mente era in cortocircuito totale; il dubbio era se approfittarne o se aspettare che i pensieri ricominciassero a sgorgare a ritmo regolare.
In un secondo presi la mia decisione: mi attaccai alle sue labbra carnose e socchiuse, mentre la mano sinistra scorreva dal suo collo fino alla nuca. Temetti che non volesse rispondere all’effusione, ma fu lui il primo a dare l’input affinché quel bacio casto si trasformasse in qualcosa di più adulto, maturo.Cercò la mia lingua con passione ed io lo accontentai senza farlo attendere oltre, abbandonandomi al desiderio di averlo, di conoscerlo più intimamente. Sapevamo entrambi di non essere compatibili insieme, cane e gatto, e che l’esperienza di una notte non ci avrebbe travolto l’esistenza. Perciò, fu normale prendere la situazione con leggerezza. Nick mi invitò a sedermi con lui prima di sfilarmi con rapidità il giubbotto di pelle e la t-shirt, costringendoci ad una sosta. Gli sbottonai la camicia con foga tale da strapparne uno, l’ultimo, mentre un risolino ci scappava involontario. Mi lasciai baciare sul collo, sopraffatta dalla più assoluta incapacità di distinguere i brividi causati dalle temperature basse da quelli causati dal mio partner. Mi indusse a sdraiarmi di nuovo sui sedili reclinati, sotto di lui, le cui mani vagavano sul mio corpo con delicatezza e decisione allo stesso tempo.
Imposi al mio cervello, al mio cuore e alla mia coscienza un silenzio stampa per evitare di pensare non soltanto al casino in cui ci stavamo inoltrando, ma anche a quello a cui saremmo andati incontro dopo.
Non potevo non contorcermi dal piacere sotto quelle mani esperte e quei baci bollenti, intervallati dalla fisiologica necessità di riprendere fiato, solo per qualche secondo, come se l’ossigeno puro si trovasse unicamente nel respiro dell’altro.
Forse mi ero arresa con troppa facilità all’attrazione che provavo verso di lui; non ero orgogliosa di quanto stavo facendo, ma, alle volte, fingere di non sapere che si sta commettendo un errore ti fa credere di essere nel giusto e nel lecito. 
Ero assoggettata a lui, ai suoi movimenti mirati e precisi che lo rendevano sempre più sexy. Si mise a giocare con l’orlo dei miei pantaloncini, l’indice infilato all’interno per sondare il pube e si staccò dalla mia bocca con un sorriso malizioso, traboccante di eccitazione e di compiacimento. 
Lo stronzo sa bene l’effetto che fa.
Fece scendere gli spallini del reggiseno, baciandomi il petto e attorno all’ombelico, torturandomi e facendomi irrigidire.
Gli slacciai la cintura, nella speranza di vederlo nudo il prima possibile - mamma Grace e papà Philip non sarebbero stati fieri di questa parte -; volevo abbassargli anche i boxer, ma lui mi fermò.
- “Una cosa alla volta, Sammy”, mi sussurrò all’orecchio con un tono basso e suadente, prima di mordicchiarmi il lobo.
Come una cosa alla volta? Mi vuole forse vedere morta?! Dai, andiamo, togliti tutto e pure alla svelta!
Lo pensai, ma lo tenni per me. Sbottonò i miei shorts con una lentezza da bradipo - solo io ero impaziente? -, mentre la lontananza millimetrica tra di noi veniva in qualche modo colmata dai suoi occhi glaciali puntati su di me che mi bruciavano la pelle.
Dai, cavolo, mica voglio la scopata del secolo! La prima volta con una persona è puro desiderio, autentica passione. Ci sarà tutto il tempo per rifarci… no! Ma quale tempo, quale rifarci? E’ una cosa così, senza senso, da una volta e arrivederci e saluti.
Comandai a me stessa di smetterla di fare congetture, progetti, di staccare la spina e godermi il momento.
Persi la cognizione dei minuti che scorrevano veloci in quella macchina isolata dal mondo, nella solitudine della campagna. Mi stava facendo sentire viva e trattenere i gemiti - da brava puritana li trovavo imbarazzanti - stava divenendo sempre più difficile. Mi sforzai per sollevare la schiena e prendere in mano la situazione, in tutti i sensi possibili; la teoria di quella scapestrata di mia sorella Lily era che mettere sotto torchio lui, levasse dall’imbarazzo la malcapitata di turno.
Nick finalmente mi lasciò fare, togliendosi i boxer, il cui contenuto, tra l’altro, non era niente male.
Dopo un po’, mi fece cenno di fermarmi e mi prese i fianchi, inducendomi a sdraiarmi sotto di lui e rifilandomi un altro dei suoi magnifici baci alla menta. 
Ed ecco giungere il momento tanto atteso e tanto scomodo: assicurarsi che avesse le precauzioni adatte. Mi riusciva difficile pensare che in caso contrario avrei chiuso baracca e burattini, ma potevo almeno dire di averci provato.
Aprii gli occhi quando lo sentii allontanarsi da me e presi tutto il coraggio di cui ero capace per pronunciare quelle maledette parole. Lui però mi precedette, soffiandomi la risposta sulle labbra e stringendomi fino ad aderire al suo corpo.
- “Già fatto, Sammy. Rilassati”.
Già fatto? Quando? Come?
Dimenticai la vergogna in un baleno e mi affrettai a guardare colui che si era insinuato tra noi: sì, il preservativo era già al suo posto. Scivolò dentro di me piano, scatenando in me una strana reazione; era piacevole, ma era… strano. Avevo l’impressione che qualcosa mi pesasse sull’inguine e non era lui, perché si reggeva da sé sulle ginocchia e sulle braccia. Mentre Nick aumentava il ritmo, io non smettevo di pensare a quanto fosse bello stare con lui, nonostante la sensazione che provavo e alla quale non trovavo giustificazione.
Forse è perché non centriamo niente l‘uno con l‘altra…
Ribaltai la posizione, sdraiandomi sul suo corpo. 
Forse è perché ci stiamo comportando come dei ragazzini…
Capii che non avremmo resistito a lungo in quel modo, non con quella velocità nel consumare l’amplesso. 
Forse è perché so che è tutto sbagliato…
Avremmo potuto rallentare, ma la verità è che non ne avevamo voglia. Mancava così poco all’apice per entrambi e…
E… mi svegliai. 
 
Il ritorno alla realtà fu paragonabile ad uno secchio di acqua gelida dritto in faccia quando meno te lo aspetti. Era stato un sogno, no, un incubo, in cui mi ero lasciata trasportare da qualcosa che al di là della sfera onirica non esisteva: un legame con lui. Era indiscutibilmente un bel ragazzo, ma così come lo erano tanti altri. Non era speciale e, al contrario, mi aveva cacciato in una scommessa da cui non riuscivo a liberarmi e che, al momento, costituiva anche il solo punto di contatto tra i nostri mondi così diversi: io ero l’ordinaria giornalista che veniva dalla Scozia in cerca del successo e lui lo spocchioso ballerino di lap-dance senza altre apparenti pretese, nato e cresciuto a Londra.
E poi parliamone: io e uno stripman? Possibile, sì, ma su Krypton o nel Paese delle meraviglie. Non qui. Non ora. Non avrei potuto sopportare di vederlo agitarsi mezzo nudo - anzi, togliamo pure il mezzo - su quel ridicolo palco mentre una mandria di donne con l’ormone a mille lo toccava e gli infilava denaro nelle mutande. A pensarci bene, neanche su Krypton sarebbe stato praticabile. 
Mi girai per guardarlo e vidi che dormiva placido con la pancia all’insù, ancora a distanza di sicurezza da me. Mi passai una mano fra i capelli, ascoltando il silenzio tutt’intorno a me. Avrei dovuto capirlo subito che si trattava di fantasia: non mi ero fatta alcuna paranoia sull’alito mattutino, sui miei slip a pois e poi quando mai un uomo si mette il profilattico senza che non gli venga esplicitamente chiesto? 
Finzione o meno, qualcosa di reale c’era: quella strana sensazione che avevo provato durante l’amplesso persisteva e nulla aveva a che fare con Freud, con la sua Interpretazione dei sogni e la psicanalisi: mi scappava la pipì.
Scostai la coperta e l’occhio mi cadde sull’ultimo bottone della camicia di Nick, emblema della voracità con cui lo avevo denudato: meglio controllare che fosse ben saldato alla stoffa. Giusto per esserne certa! Okay, era ancora lì.
- “E’ un po’ presto per l’alzabandiera”. La sua voce un po’ impastata mi fece sobbalzare.
- “Stavo… stavo cercando un fazzoletto” risposi rapida e seccata. 
- “Nei miei pantaloni?”.
- “No, veramente lo cercavo nei tuoi boxer. Credo che ci sia parecchio posto da occupare lì dentro”.
- “Spiacente, Sammy. Lì, siamo al completo. - mi sorrise malizioso - Puoi provare nel portaoggetti di fianco al cruscotto”.
Seguii il suo consiglio e ne trovai un pacchetto. Aprii lo sportello e cominciai ad ispezionare i campi intorno a noi nel buio per scovare un angolino un po’ nascosto. Ci impiegai un secolo, ma, infine, tornai in macchina soddisfatta, seppur infreddolita.
- “Hai fatto un viaggio in Polinesia nel frattempo? Sei stata fuori un’eternità” commentò.
- “Che c’è? Ti mancavo?” dissi distrattamente mentre mi riaccomodavo sotto la coperta.
- “Stai cominciando a parlare come me?” chiese con un sorriso sulle labbra.
- “E se anche fosse?” lo sfidai, chiudendo gli occhi, pronta a riprendere a dormire, immobile.
Ci pensò su un attimo e poi riprese a parlare.
- “Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda” m’imbeccò. 
- “Ah, no?”.
Mi diede un pizzicotto sul fianco ed io mi lasciai scappare una risata che lo contagiò. Lasciammo che scemasse da sé, dopodiché Nick biascicò un buonanotte a cui risposi allo stesso modo.
Ma non avevo più sonno. Sin da piccola, se mi svegliavo nel cuore della notte per andare in bagno o a prendere da bere, lo facevo ad occhi chiusi, perché sapevo che se avessi osato aprirli non sarei più riuscita ad addormentarmi, una volta tornata a letto. Chiaramente, però, quella sera avevo dovuto fare uno strappo alla regola per non rischiare di finire nello sterco abbandonato di qualche animale o nel fiumiciattolo che costeggiava la strada. Ed ecco che il sonno se n’era andato, lasciando il posto ad una noia mortale.
Ero incerta sullo svegliare Nick; il fatto che io non riuscissi a dormire, non doveva coinvolgere anche lui.
C’erano una marea di domande che avrei voluto sottoporgli, ma c’era ancora un sacco di tempo da trascorrere insieme prima di tornare a casa, così preferii tacere e girarmi nel letto, alla ricerca di una posizione che risultasse più confortevole. Lo feci un’infinità di volte per la mezzora successiva, senza successo.
- “Vuoi stare ferma? Mi stai innervosendo” sbuffò.
- “Scusa” bofonchiai, dispiaciuta di averlo svegliato.
- “Che c’è?”.
- “Non ho più sonno”.
- “E allora che facciamo? - sorrisi, pensando che era stato carino ad includersi nel piano alternativo al sonno - Vuoi parlare?” chiese.
- “E di cosa scusa?”.
- “Ti do l’opportunità di farmi tutte quelle domande che tieni in serbo per me da quando sono andato fuori città”.
Lo guardai sorpresa: mi stava concedendo il privilegio di fargli vuotare il sacco circa la sua vita?
- “Che ci sei andato a fare lontano da Londra?” proseguii.
- “Lavoro, te l’ho già detto questo” rispose.
- “Sii più preciso, scendi nei dettagli; sono pur sempre una giornalista, ho una curiosità innata piuttosto spiccata” ammiccai.
- “Dovevo raccogliere del materiale… ” cominciò.
Scoppiai a ridere, senza nemmeno tentare di trattenermi.
- “Vedi come sei fatta? Con te non si riesce neanche ad intavolare un discorso serio. Il tuo metro di giudizio è limitato” s’imbronciò.
- “Non era mia intenzione offenderti, ma converrai con me che è piuttosto difficile credere che uno che fa la tua professione abbia bisogno di raccogliere del materiale”.
- “Se fossi permaloso, potrei prendermela, ma visto che non sono come te, lascerò correre” rise di gusto ed io mi aggregai. 
Mi divertii moltissimo a parlare con lui, senza, tra l’altro, riuscire a scoprire nulla: il ragazzo non si sbottonava, se non nei miei sogni più sconci.
 
Quando mi svegliai verso mezzogiorno - secondo l’orologio sul cruscotto - il mio compagno di viaggio non era più al suo posto. Guardai fuori dal finestrino e lo scorsi mentre si godeva un po’ di sole sul ciglio della strada.
Scesi dall’auto e lui girò verso di me, sorridendo.
- “Buongiorno, bella addormentata” mi canzonò.
- “’Giorno” risposi, riparandomi gli occhi dalla luce.
- “Buone notizie. Dopo una scarpinata mattutina di 10 km, sono riuscito a trovare segnale per il cellulare. Tra non molto torneremo alla civiltà: ci vengono a prendere!”.
- “Ignorerò il fatto che tu abbia appena detto di avermi lasciato sola in questo posto per tutto quel tempo e mi concentrerò sulla parte più interessante: città stiamo arrivando!” urlai.
Infatti, dopo un quarto d’ora, si scorse all’orizzonte una macchina sportiva che, in quel momento, valeva quanto una scialuppa di salvataggio per i naufraghi del Titanic.
Nel mio inconscio, avevo dato per scontato che l’eroe sarebbe stato Will e non due metri di gambe femminili con una folta criniera color platino ed un seno prosperoso. Mi risultò quasi spontaneo controllare le mie tette e, con tristezza, constatare che sembravano due mozzarelline rinsecchite rispetto a quelle della tizia davanti a me.
- “Harmony! Non so come ringraziarti!” Nick le scoccò un bacio sulla guancia.
- “Questa sono le taniche di gasolio che mi hai chiesto” gli rispose, porgendo i due contenitori.
Mentre lui li vuotava nel serbatoio del fuoristrada, capii che era arrivato il momento di presentarsi alla salvatrice.
- “Sam”.
- “Piacere Sam, sono Harmony. - le strinsi la mano, abbozzando un sorriso - Sei di Londra?”
- “No, di Glasgow” risposi.
- “Allora takk” disse e fece ondeggiare i vaporosi capelli biondi lunghi, il viso rilassato e soddisfatto.
Guardai spaesata sia lei che Nick, il quale rifletteva alla perfezione la mia espressione. 
- “Non parla la nostra lingua? - chiese la nuova arrivata, accennando col capo nella mia direzione - Io Harmony. Amica Nick”.
E’ assodato che questa abbia dei problemi.
- “Tesoro, - tesoro? - Glasgow è in Scozia” intervenne lui, divertito dalla gaffe.
- “Ah, che sbadata. - io direi pure scema! -Devo aver fatto confusione con Oslo, in Svezia”.
- “Norvegia” la corressi prontamente.
Al momento della distribuzione dell’intelligenza, Harmony doveva essere impegnata a farsi la manicure o a farsi ossigenare i capelli dal parrucchiere.
Mi guardò infastidita, ma continuò a lanciarmi sorrisetti finti quanto le sue labbra.
- “Già, Norvegia. Sai takk significa grazie. - disse, cercando di riacquistare punti ai nostri occhi - Me lo ricordo da quando sono andata a farci una sfilata come super modella” concluse e si mise in una posa sexy.
Ed io che pensavo che i centri della moda fossero Milano, Parigi e New York!
- “Sono brava in quello, non in geometria!” rise sguaiata.
Decisi di non infierire sul suo ego: avremmo perso almeno un’altra ora a spiegarle che parlavamo di collocazioni geografiche e non di figure o numeri. In più, avevo una tremenda voglia di tornarmene a casa, buttarmi sotto la doccia e stravaccarmi sul divano con una tazza di tè fumante.
Rievocarono tra loro i vecchi tempi ed io mi sentii esclusa da quell’insieme di ricordi che condividevano e rispolveravano con piacere e gioia. Mi dondolai sulle gambe e guardai l‘asfalto sotto di me, annoiata a stanca; Will me l’avrebbe pagata per non essere venuto lui a prenderci.
Toh, un sasso. E le colline verdi. Una farfalla…
- “… Sammy?” domandò qualcuno.
- “Eh?” risposi un po’ intontita.
- “Stavo raccontando a Harm della nostra nottata quasi in bianco”.
Alla biondona si drizzarono le orecchie in un lampo.
- “E che avete fatto?” domandò astiosa.
Nick si preparò a risponderle normalmente, come se quegli occhi da cerbiatta non mi stessero mentalmente augurando una fine lenta ed infelice.
- “Abbiamo parlato. A Sammy piace fare domande. Tante domande” rise, ammiccando verso di me ed io risposi con uno dei miei migliori sorrisi.
Tutto pur di far friggere le meningi ad Harmony. Lo so, non era carino, ma comunque non stavo producendo nessun grave danno, dal momento che era un caso clinico di morte cerebrale unico, pur essendo il resto del corpo in perfetta salute; in secondo luogo, se c’era un modo per causarle fastidio, non mi sarei di certo tirata indietro, visto la gentilezza con cui mi rivolgeva occhiate assassine. E poi vogliamo parlare del nome stupidissimo che aveva?! Sembrava quello di una bambola.
- “Allora è proprio cretina. - come prego? - Io in una notte con te ne avrei fatte di cose. E ne ho fatte in passato, vero, Nicky?” squittì e l‘interessato abbassò lo sguardo, imbarazzato.
- “Ho tutto un altro stile io. - ribattei - A Glasgow, lo chiamiamo pudore”.
- “Comunque sempre scema rimani”. Sì, scema rimango perché persevero nell’utilizzare un linguaggio che tu non capisci.
Aprii la bocca per replicare, ma Nick intuì la pericolosità dell’argomento e mi bloccò.
- “Alt, ragazze, che ne dite di tornare a casa? Io preferirei non guidare perché ho perso una lente a contatto e l’altra l’ho buttata prima di mettermi a dormire. Quindi voi guiderete e io resterò a guardare, sperando di tornare a casa tutto intero”.
- “Ti aspetto in macchina, tesoro” disse Harmony e si riaccomodò nella sua auto.
Mi aspettavo di sentirlo ribattere che, invece, preferiva fare il viaggio di ritorno con me, perché in fondo non ero tanto male come compagna di avventura e, soprattutto, perché non meritavo di ricevere un trattamento così sgarbato da una gallina fatta e finita che mi conosceva sì e no da qualche minuto.
Ma lui non disse nulla, si limitò ad annuire e a darmi le chiavi della sua auto in mano.
- “Hai davvero intenzione di farmi tornare a casa da sola?” lo accusai con un tono duro, mentre lui si accingeva a raggiungere l’altra vettura.
- “Cosa dovrei fare? Si è fatta duecento chilometri per venire a prenderci, il minimo che possa fare è farle compagnia”.
- “Mi ha trattato come una stupida quando è palese che qui l’unica sottosviluppata è lei e tu non hai mosso un dito per difendermi”.
- “Stavate discutendo voi due, io non c'entravo nulla. E comunque non ne avresti avuto bisogno. Ti sai difendere benissimo da sola” mi sorrise, ma non avevo alcuna intenzione di ricambiare.
- “Questo non vuol dire nulla. Il punto è che non l’hai fatto!”.
- “Sammy non è la fine del mondo. Se l’avessi fatto, a questo punto starei avendo la stessa identica conversazione con lei”.
- “Non credo proprio, visto che non capirebbe la metà delle parole che stiamo usando” dissi acida.
Harmony suonò il clacson.
- “Vedi di darci un taglio con quest’aria da saccente e smettila di giudicare la gente per come la vedi. Non la conosci, è una brava persona”.
Di nuovo il clacson.
- “Non serve conoscerla! Basta guardarla per capire che tipo di persona è! E’… l’unica parola che mi viene in mente è vuota.”
Non ebbi bisogno di girarmi, perché sapevo perfettamente quello che stava succedendo; lo lessi sul viso di Nick che guardava dietro di me: Harmony era alle mie spalle ed aveva sentito tutto.
Ero davvero convinta di quanto avevo detto, ma persino il mio cinico cuore di pietra avvertì un certo senso di colpa nel vedere le lacrime ed il viso corrucciato di colei verso cui l’osservazione era rivolta.
- “Impara a crescere prima di giudicare e scendi dal piedistallo su cui ti sei messa da sola” mi disse lapidario Nick, prima di passarmi accanto con indifferenza e correre ad abbracciare la sua amica.
Che non ero io. Perché, per quanto ci fossimo illusi nella chiacchierata delle ore precedenti, non eravamo amici; io ero il disastro ambulante che non ne azzeccava una giusta ed infilava un errore dietro l’altro. E Harmony poteva essere la persona più insignificante ed insulsa del mondo, ma l’avevo offesa.
Mi passai una mano tra i capelli, racimolando le solite inutili parole di scuse da rivolgerle. Mi voltai; erano abbracciati ed io potevo scorgere solo le spalle di Nick ed il viso di lei incastrato tra le sue braccia. Mentre lui la consolava, sussurrandole chissà quali cattiverie sul mio conto, lei mi sorrise, in segno di sfida e, una volta tanto, mi resi conto che sì, avevo sbagliato a giudicarla, ma non nel modo in cui credevo.
Sciolse la stretta e gli disse di aspettarla in macchina, dal momento che voleva scambiare due parole con me. Nick mi lanciò uno sguardo gelido di rimprovero che mi fece stringere lo stomaco e sparì sul sedile del passeggero dell’auto di lei.
Harmony si avvicinò a grandi passi, un ghigno di astuzia cucito addosso.
- “Credevo che le tue labbra fossero la cosa più finta di te. - le ringhiai in faccia, con i pugni chiusi dalla rabbia - Beh, mi sbagliavo”.
- “Non sei né la prima né sarai l’ultima a metterti tra me e lui. Verrai comunque scartata come tutte le altre, tesoro, non ti preoccupare. Toglierò di mezzo anche te”.
Una minaccia?
- “Nick è un conoscente, nulla di più” mi difesi.
- “Non è questa l’impressione che ho avuto quando vi ho visti”. Un paio di occhiali, no?
- “Puoi pensare quello che ti pare, non mi importa granché, in effetti”.
- “A te forse no. Però ti assicuro che a lui - indicò Nick in macchina - importa eccome quello che penso io”.
- “Ha un’immagine completamente distorta di te. Crede che tu sia un’amica poco intelligente, ma fidata, quando sei l’esatto opposto. Sei squallida ad approfittarti di lui” le dissi schifata.
Lei allargò ancora di più il suo sorriso meschino.
- “Hai un unico problema, Sam. Non ti crederà mai; ti conosce da quanto… un mese? Non puoi competere con la sua amica d’infanzia. Hai perso in partenza”. Mi lasciò da sola, accanto al fuoristrada del padre di Nick e tornò in auto, mise in moto e partì.
La imitai, sbattendo lo sportello più forte che potevo, a dimostrazione di tutta la frustrazione della situazione in cui mi ero finita. Cazzo!
Li seguivo ad una distanza di qualche metro e li vedevo ridere, scherzare e cantare, mentre io ero da sola ad ascoltare un cd di Bruce Springsteen che avevo trovato sul sedile accanto. Fu un viaggio lungo, ma, come tutti, destinato a finire. Man mano le strade cominciarono ad essere familiari, e iniziai a riconoscere vie e palazzi. Sulle note di Born in the USA - che non potevano non ricordarmi quel disgraziato americano di Will - decisi di cambiare percorso ed andare filata a casa mia. 
Ero nauseata da quella Serpe che si stava approfittando dell’affetto sincero di Nick e non riuscivo più a tollerare nemmeno la sua vista. Svoltai verso il mio condominio e parcheggiai l’auto davanti, in modo tale che non intralciasse. Presi l’ascensore e bussai subito alla porta del mio dirimpettaio, ma nessuno venne ad aprire; probabilmente, vista l’ora, era a lavoro.
Grazie al cielo mi aveva lasciato le chiavi di casa sotto lo zerbino e, così, entrai, abbandonandomi sulla poltrona, mentre Romeo ancora dormiva sul tappeto del salotto.
Mi feci una doccia con calma, tranquillità, cioè con tutte quelle caratteristiche che non mi appartenevano, soprattutto in quel momento. Sentii il campanello suonare e fui costretta ad uscire dal bagno in accappatoio e con il turbante per asciugare i capelli in testa.
Speriamo sia Will.
Spalancai la porta e mi trovai davanti Nick, appoggiato con una mano al muro esterno.
- “Ciao” esclamai incerta.
- “Mi servono le chiavi del fuoristrada” disse imperturbabile.
Le presi dal tavolino dove le avevo appoggiate e gliele porsi.
- “Mi spiace per il casino che ho combinato… per l’auto dico” sussurrai, incrociando le dita nervosamente.
A lui scappò uno sbuffo.
- “Sei incredibile. Hai detto una cosa orribile ad un persona importante per me e ti scusi per avermi preso la macchina?!” urlò paonazzo.
Hai perso in partenza.
Aveva ragione Harmony: non avrebbe mai creduto ad una versione della storia in cui lei avesse avuto una doppia faccia, ma non sarei stata in pace con me stessa se non avessi almeno tentato di avvisarlo sulla malafede di lei.
- “Io ho sbagliato. Però lei non è quella che credi. Sei il suo chiodo fisso e non vuole che nessuna si avvicini a te, a costo di farsi passare per un tipo di donna che non corrisponde alla realtà e… ” provai a giustificarmi.
- “Smettila, cazzo, smettila! Sei solo una ragazzina presuntuosa ed io non ho nessuna voglia di ascoltarti”.
- “Non sto mentendo, Nick” gridai.
- “Cresci, Samantha. Cambia atteggiamento o sparisci dalla mia vita, perché non ho alcun interesse ad avere una persona come te attorno.”
Scese le scale in un baleno, senza mai più voltarsi indietro a guardarmi. Non riuscì nemmeno a sentire le mie ultime parole, sebbene fossero quasi urlate.
- “Non sto mentendo!”. E, chiudendo la porta con ira, sperai che anche i problemi rimanessero al di fuori del mio mondo.
 
 
Cause it's a bittersweet symphony, this life
Trying to make ends meet
 

Buona sera :D
Lasciatemi dire subito che sebbene io vi auguri una buona epifania, in realtà la odio, perché vuol dire che finisce tutto il tempo natalizio e devo disfare l’albero…noooo!
Tornando a noi, mi sorge un dubbio: non è che sto infarcendo i capitoli di troppi avvenimenti? In altre parole, non è che sto facendo succedere troppe cose all’interno di ciascun capitolo? Mah, fatemi sapere!
La canzone del titolo è “Bittersweet” dei Verve.
 Un bacione!
 P.S. risposte alle recensioni in posta dopo che ho fatto la doccia! :D
 
 
HappyCloud
   
 
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