Cuore di
ghiaccio
«Romano?
Sei tu?» chiese lo spagnolo dopo
aver aperto la porta del suo appartamento.
«No, sono
un enorme pomodoro volante e
parlante. Ciao, eh?»
Il sarcasmo velenoso
che trasudava dalle
parole dell’altro non scalfì minimamente la gioia
di Antonio, ancora piuttosto
sorpreso.
«Oh. Ciao!
Scusami, è che sono un po’
stupito di vederti, in questo periodo poi! Ma entra, dai, vieni in
casa,
altrimenti prenderai freddo!»
Antonio si
spostò per farlo passare, ma
l’italiano, che trascinava dietro di sé un piccolo
trolley, restò sulla porta,
come indeciso se entrare o meno. Alla fine parlò.
«No, non ce
n’è bisogno, ho già prenotato
in un hotel qui vicino. Ero solo venuto a, ecco, salutare, ma adesso ho
proprio
bisogno di andare, sai, dopo il volo…»
La voce di Romano si
smorzò poco a poco,
divenendo sempre più flebile, fino a svanire del tutto. Il
ragazzo guardò per
un secondo gli occhi verdi dello spagnolo che aveva di fronte, poi
abbassò lo
sguardo.
«Puoi
restare. Lo sai che sei il benvenuto
qui. Nel mio Paese, nella mia città, nella mia
casa.»
Le parole di Antonio
erano piene di
affetto, ma anche di decisione. Perché lui voleva
che l’altro restasse. Ma vedendo gli occhi di
Romano ancora fissi sul
pavimento, lo spagnolo sospirò, e si arrese alla
testardaggine del ragazzo.
«Bene. Vai
all’hotel, riposati, e poi
preparati, così più tardi ti porto un
po’ in giro! Andiamo a fare una
passeggiata, mangiamo qualcosa… ok?»
Lo spagnolo emanava
entusiasmo, e Romano
decise di non ribattere per quella volta, dato che non aveva voglia di
discutere. Così, dopo aver accennato uno scocciato
“umpf, e va bene!”, ed
avergli detto il nome dell’albergo dove Antonio sarebbe
dovuto andare a
prenderlo, si avviò, tirandosi dietro la valigia. Antonio lo
guardò a lungo, e
continuò a osservare la strada anche dopo che si fu
allontanato. Infine,
rabbrividendo leggermente, tornò dentro, richiudendosi la
porta alle spalle.
Erano le sei di sera,
e Antonio era in
piedi davanti all’ingresso dell’hotel dove Romano
aveva prenotato una stanza,
ad aspettarlo. Era gennaio, e in quel mese a Madrid era davvero molto
freddo,
almeno per lui, abituato al calore soffocante dei mesi estivi.
Restò per un po’
a guardare la condensa del proprio respiro nell’aria, perso
tra i suoi
pensieri. Inutile dire che al centro di questi c’era proprio
lui, Romano, il
quale non troppo tempo dopo uscì a passi pesanti dalla
grande porta dell’hotel.
Si era cambiato i vestiti, anche se, notò lo spagnolo, non
sembravano
abbastanza caldi, in particolare quella giacca così sottile
e leggera… Va bene
essere in Spagna, ma era comunque inverno! Antonio si riscosse e lo
salutò con
un sorriso, che, ovviamente, non ottenne risposta.
«Allora
bastardo, dove andiamo?» arrivò
subito al dunque l’italiano.
«Qui
vicino, al Parco del Retiro. Te lo
ricordi? Ci siamo già stati qualche volta.» Gli
sorrise di nuovo, e i due si
incamminarono in silenzio.
Romano si chiedeva
come avrebbe potuto
dimenticarsi di quel parco: riusciva persino a ricordare quando era in
costruzione, sebbene all’epoca fosse ancora molto piccolo.
Ripensando a quei
tempi, non poté fare a meno di spiare di sottecchi lo
spagnolo, poi affrettò il
passo, sempre senza dire nulla. Stranamente, Antonio fece lo stesso.
Quando
finalmente varcarono l’entrata del parco, i due si
rilassarono, e Antonio
decise di rompere il ghiaccio parlando per primo.
«Cosa ti
porta qui, Romano? Non ti fai
vedere mai. Dovresti venire più spesso, sai?»
«Feliciano
è partito per la sua “settimana
bianca” dal crucco, anche se non credo che andranno a sciare,
ed ero stato
invitato anch’io, ma non avevo la minima voglia di andare,
quindi ho deciso di
passare di qua, e stare in un posto di certo più caldo della
Germania, cavolo!»
l’italiano snocciolò così tutto il
discorso che evidentemente si era preparato,
guardando lontano, e poi con le guance rosse riprese a fissare il
terreno. Lo
spagnolo, con l’ennesimo sorriso sul bel volto abbronzato,
rispose:
«Romanito,
sono contento che tu sia venuto
a trovarmi. Anche tu mi sei mancato.»
«Ma che
caspita dici?! Non mi sei mancato,
idiota di uno spagnolo! Come diavolo puoi dire una cavolata del
genere?! E poi,
non chiamarmi “Romanito”, non sono più
un bambino!» passando ad un’accesa
tonalità bordeaux, Romano sbraitò contro Antonio
per parecchio, mentre
continuavano a camminare, e più lui urlava, più
lo spagnolo rideva, facendolo
irritare ancor di più. Costeggiarono la riva del laghetto
principale del parco,
immersi nella quiete del luogo semideserto a causa del freddo. La poca
luce
ancora rimasta si rifletteva sull’acqua, facendola brillare.
I due, tornata la
pace, restarono per poco fermi a guardare quello spettacolo, poi si
riavviarono,
e giunsero infine ad uno spiazzo, al cui centro era situata
«Romano,
hai freddo? Stai tremando.»
La voce calda di
Antonio lo riscosse
improvvisamente da quella nube di pensieri che gli vorticava in mente,
e Romano
si accorse che sì, effettivamente stava tremando, e il
freddo lo trapassava da
parte a parte. Aveva le labbra screpolate e quasi blu, ed era
completamente
intirizzito. Avrebbe dovuto indossare qualcosa di più
pesante… Sbuffò.
«Che
diamine! Io vengo qua per stare in un
posto più caldo, e mi tocca invece crepare di freddo! Pure
tu, che mi hai
portato in giro, ma come ti è saltato in mente?! Saremmo
dovuti andare in un
posto al coperto! Una galleria o…»
Antonio lo
abbracciò all’improvviso,
bloccando i suoi brividi e le sue parole irate. Romano non
riuscì nemmeno ad
arrabbiarsi per quel suo gesto sconsiderato, tanta fu la sorpresa. E a
quel
punto il più giovane spense il cervello, e si
lasciò stringere dalle braccia
dello spagnolo, che lo avvolsero irradiando il suo corpo di calore. Gli
faceva
male il petto, sentiva come un blocco di ghiaccio che si scioglieva
lentamente.
Ad occhi chiusi, ripensò a quella volta di tanto tempo
prima, quando aveva
provato qualcosa di simile…
«Fratellone!
Che bello rivederti!» la
vocina di Feliciano risuonò allegra in un’ampia
stanza di quella reggia.
«Oh, sei
tu. Umpf.» Romano rispose
freddamente, e Antonio, dopo averlo posato a terra, gli diede un
leggero
buffetto sulla testa e lo rimproverò sorridendo.
«Su,
Romano, stai qui assieme a Ita-chan,
e non essere sgarbato! Io e Roderich saremo nella stanza accanto. A
più tardi!»
Lo spagnolo
uscì poi nel corridoio senza
chiudersi la porta dietro.
«Bah!»
Romano mise un
piccolo broncio, mentre il
fratellino lo guardava divertito. Il più piccolo prese a
chiacchierare e
ridere, cercando di mettere l’altro a suo agio in quella casa
in cui non era
abituato a stare, ma Romano non gli prestava troppa attenzione, e
continuava a
lanciare occhiate furtive alla porta lasciata aperta. Poco dopo,
Feliciano
propose di passare il tempo disegnando, così prese fogli e
colori, li
sparpagliò sul pavimento, si sdraiò a terra e
invitò l’altro a fare lo stesso.
Romano, poco convinto, lo accontentò, e i due, circondati
dai loro vaporosi
vestiti e dal materiale per disegnare, iniziarono.
«Che cosa
dovrei disegnare, dannazione?!»
«Quello che
ti piace.» Rispose solamente
Feliciano. Il più grande era confuso. Di tanto in tanto,
osservava Feliciano
lavorare con cura sul suo foglio, scegliere i colori giusti,
divertirsi. Lo
vide arrossire mentre sul pallore del foglio prendeva forma un bambino
biondo e
con gli occhi azzurri, vestito di scuro, con l’espressione
timida ma
sorridente. Tornò a guardare il suo foglio. Era ancora
immacolato. Cercando di
sforzarsi, Romano prese un pastello rosso, e scarabocchiò un
cerchio. Lo guardò
irritato: non voleva che fosse così! Strappò il
pezzo di carta e lo lanciò
lontano, poi ne prese un altro. Ripeté ciò che
aveva fatto prima più volte,
sotto lo sguardo incuriosito del fratello, e alla fine si arrese e si
alzò dal
pavimento.
«Tzk!
Basta! E’ una scocciatura! In più,
sto morendo di freddo! Come diavolo fai a vivere in un posto del genere
tu?!
Proprio non ti capisco!»
Il piccolo Romano
prese a camminare
infastidito avanti e indietro per la stanza, facendo cadere i
soprammobili e
creando disordine, ma continuando a guardare la porta. Non poteva fare
a meno
di guardarla, aspettando che l’alta figura dello spagnolo vi
ricomparisse.
Aveva freddo, si sentiva congelare dalla testa ai piedi, e violenti
tremiti gli
agitavano quel suo corpo fanciullesco. Feliciano, preoccupato, lo
fissava in
silenzio. E sempre in silenzio si alzò, lasciando il suo
disegno non finito, si
avvicinò a Romano, e lo abbracciò. Si strinse a
lui in un tenero abbraccio
fraterno, ma in realtà fu Romano a trovare conforto nella
stretta del fratello
minore. Poteva sentire il gelo abbandonare piano il suo cuore,
sciogliersi e
scivolare via, mentre un nuovo calore, per lui così raro e
insolito, si faceva
largo. Era piacevole, e in quel momento anche lui, involontariamente, o
forse
no, abbracciò piano Feliciano, crogiolandosi in quella nuova
e strana
sensazione. Affetto.
Romano
riaprì gli occhi, tornando al
presente, e si ritrovò lo spagnolo che lo scrutava
dall’alto, con il suo
sguardo verde smeraldo, intenso, che fece aumentare i battiti al cuore
di
Romano. Il sorriso del più grande si allargò
ancora, mentre pian piano iniziò
ad accorciare le distanze tra i loro volti. Lo fece con una lentezza
estenuante, continuando a mantenere i propri occhi fissi nei suoi, e
Romano non
riuscì a distogliere lo sguardo come le altre volte. Poteva
solo restare lì,
paralizzato, col respiro che si faceva sempre più rapido e
ansioso, ad
attendere quel momento. Momento che, dopo tanto, arrivò. Le
labbra lisce e
calde di Antonio premettero lievemente su quelle spaccate e fredde di
Romano,
in un bacio semplice ma ricco di significato. Di certo non il primo tra
loro
due. Un’altra ondata di calore percorse il corpo di Romano,
che riprese a
tremare, ma stavolta non per il freddo. Antonio allontanò il
viso, osservando
con aria soddisfatta il rossore diffuso su tutto il volto
dell’italiano.
«Adesso se
n’è andato, vero? “Quel”
freddo.»
In un primo momento
Romano pensò di
rispondere come suo solito, magari urlando, o allontanandosi di scatto,
ma poi
la sensazione così piacevole di calore ribollì,
impedendogli di farlo. Si
ritrovò dunque a nascondere il viso nell’incavo
della spalla dello spagnolo,
mormorando impercettibilmente.
«…Sì.»
Antonio lo strinse
nuovamente a sé, e
rimasero così abbracciati, mentre intorno a loro era sceso
il buio.
~
Note: lo so
già. Romano per me è OOC,
soprattutto alla fine. Mi porterò questa cosa degli OOC fin
nella tomba, quindi
amen, non riuscirete a convincermi del contrario. XD Poi, vorrei
precisare che
io non sono mai stata a Madrid (purtroppo), quindi se dovessero esserci
riferimenti alla città poco chiari fatemeli notare. Se vi
state chiedendo
perché io abbia scelto come scenario principale
BabiSmile