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Autore: Unriccio    07/01/2011    0 recensioni
Raccolta di one-shot sui personaggi hetaliani alle prese con il freddo. Il primo capitolo, "Mani fredde", è una piccola FrUK. Che succede se Arthur non riesce a dormire a causa del freddo? La seconda one-shot è una LietPol, intitolata "Piedi gelati". E' molto più introspettiva, e segue il flusso di pensieri di Toris. La terza, "Orecchie infreddolite", è su Germania e NordItalia, ma è più spensierata e allegra delle altre. Inoltre appaiono altri due personaggi, a sorpresa! Il quarto capitolo è dedicato a Spagna e SudItalia, ed è una one-shot più articolata, con riferimenti esplicitamente shonen-ai! Se non vi piace il genere lasciate stare! Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate! Grazie a chi leggerà, e mille grazie a chi lascerà un commento! Ciao!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cuore di ghiaccio

«Romano? Sei tu?» chiese lo spagnolo dopo aver aperto la porta del suo appartamento.

«No, sono un enorme pomodoro volante e parlante. Ciao, eh?»

Il sarcasmo velenoso che trasudava dalle parole dell’altro non scalfì minimamente la gioia di Antonio, ancora piuttosto sorpreso.

«Oh. Ciao! Scusami, è che sono un po’ stupito di vederti, in questo periodo poi! Ma entra, dai, vieni in casa, altrimenti prenderai freddo!»

Antonio si spostò per farlo passare, ma l’italiano, che trascinava dietro di sé un piccolo trolley, restò sulla porta, come indeciso se entrare o meno. Alla fine parlò.

«No, non ce n’è bisogno, ho già prenotato in un hotel qui vicino. Ero solo venuto a, ecco, salutare, ma adesso ho proprio bisogno di andare, sai, dopo il volo…»

La voce di Romano si smorzò poco a poco, divenendo sempre più flebile, fino a svanire del tutto. Il ragazzo guardò per un secondo gli occhi verdi dello spagnolo che aveva di fronte, poi abbassò lo sguardo.

«Puoi restare. Lo sai che sei il benvenuto qui. Nel mio Paese, nella mia città, nella mia casa.»

Le parole di Antonio erano piene di affetto, ma anche di decisione. Perché lui voleva che l’altro restasse. Ma vedendo gli occhi di Romano ancora fissi sul pavimento, lo spagnolo sospirò, e si arrese alla testardaggine del ragazzo.

«Bene. Vai all’hotel, riposati, e poi preparati, così più tardi ti porto un po’ in giro! Andiamo a fare una passeggiata, mangiamo qualcosa… ok?»

Lo spagnolo emanava entusiasmo, e Romano decise di non ribattere per quella volta, dato che non aveva voglia di discutere. Così, dopo aver accennato uno scocciato “umpf, e va bene!”, ed avergli detto il nome dell’albergo dove Antonio sarebbe dovuto andare a prenderlo, si avviò, tirandosi dietro la valigia. Antonio lo guardò a lungo, e continuò a osservare la strada anche dopo che si fu allontanato. Infine, rabbrividendo leggermente, tornò dentro, richiudendosi la porta alle spalle.

 

Erano le sei di sera, e Antonio era in piedi davanti all’ingresso dell’hotel dove Romano aveva prenotato una stanza, ad aspettarlo. Era gennaio, e in quel mese a Madrid era davvero molto freddo, almeno per lui, abituato al calore soffocante dei mesi estivi. Restò per un po’ a guardare la condensa del proprio respiro nell’aria, perso tra i suoi pensieri. Inutile dire che al centro di questi c’era proprio lui, Romano, il quale non troppo tempo dopo uscì a passi pesanti dalla grande porta dell’hotel. Si era cambiato i vestiti, anche se, notò lo spagnolo, non sembravano abbastanza caldi, in particolare quella giacca così sottile e leggera… Va bene essere in Spagna, ma era comunque inverno! Antonio si riscosse e lo salutò con un sorriso, che, ovviamente, non ottenne risposta.

«Allora bastardo, dove andiamo?» arrivò subito al dunque l’italiano.

«Qui vicino, al Parco del Retiro. Te lo ricordi? Ci siamo già stati qualche volta.» Gli sorrise di nuovo, e i due si incamminarono in silenzio.

Romano si chiedeva come avrebbe potuto dimenticarsi di quel parco: riusciva persino a ricordare quando era in costruzione, sebbene all’epoca fosse ancora molto piccolo. Ripensando a quei tempi, non poté fare a meno di spiare di sottecchi lo spagnolo, poi affrettò il passo, sempre senza dire nulla. Stranamente, Antonio fece lo stesso. Quando finalmente varcarono l’entrata del parco, i due si rilassarono, e Antonio decise di rompere il ghiaccio parlando per primo.

«Cosa ti porta qui, Romano? Non ti fai vedere mai. Dovresti venire più spesso, sai?»

«Feliciano è partito per la sua “settimana bianca” dal crucco, anche se non credo che andranno a sciare, ed ero stato invitato anch’io, ma non avevo la minima voglia di andare, quindi ho deciso di passare di qua, e stare in un posto di certo più caldo della Germania, cavolo!» l’italiano snocciolò così tutto il discorso che evidentemente si era preparato, guardando lontano, e poi con le guance rosse riprese a fissare il terreno. Lo spagnolo, con l’ennesimo sorriso sul bel volto abbronzato, rispose:

«Romanito, sono contento che tu sia venuto a trovarmi. Anche tu mi sei mancato.»

«Ma che caspita dici?! Non mi sei mancato, idiota di uno spagnolo! Come diavolo puoi dire una cavolata del genere?! E poi, non chiamarmi “Romanito”, non sono più un bambino!» passando ad un’accesa tonalità bordeaux, Romano sbraitò contro Antonio per parecchio, mentre continuavano a camminare, e più lui urlava, più lo spagnolo rideva, facendolo irritare ancor di più. Costeggiarono la riva del laghetto principale del parco, immersi nella quiete del luogo semideserto a causa del freddo. La poca luce ancora rimasta si rifletteva sull’acqua, facendola brillare. I due, tornata la pace, restarono per poco fermi a guardare quello spettacolo, poi si riavviarono, e giunsero infine ad uno spiazzo, al cui centro era situata la Fontana del Carciofo. Era sempre piaciuta molto ad entrambi quella fontana di pietra, ed era bello rivederla. Era bello rivederla insieme. Si sedettero su una panchina poco distante, e mantennero ancora il silenzio, ognuno pensieroso e distante dalla realtà. Eppure l’atmosfera non era fredda come poteva sembrare: in quel silenzio c’era una grande intimità, e di certo nessuno di loro avrebbe voluto romperlo parlando inutilmente. Dopotutto si conoscevano talmente bene che riuscivano a capirsi anche senza spiccicare una parola. Romano riusciva a capire come si fosse sentito Antonio dopo che lui se n’era andato, e a volte aveva bisogno di tornare in quella terra che per tanto tempo era stata la sua casa. Si ripeteva che a costringerlo a far ritorno lì fosse il senso di colpa, nient’altro, ma sapeva che c’era qualcosa di più. Un attaccamento, un legame alla Spagna, ad Antonio, che Romano non aveva mai accettato, ma che tuttavia si era sviluppato in lui, e bruciava.

«Romano, hai freddo? Stai tremando.»

La voce calda di Antonio lo riscosse improvvisamente da quella nube di pensieri che gli vorticava in mente, e Romano si accorse che sì, effettivamente stava tremando, e il freddo lo trapassava da parte a parte. Aveva le labbra screpolate e quasi blu, ed era completamente intirizzito. Avrebbe dovuto indossare qualcosa di più pesante… Sbuffò.

«Che diamine! Io vengo qua per stare in un posto più caldo, e mi tocca invece crepare di freddo! Pure tu, che mi hai portato in giro, ma come ti è saltato in mente?! Saremmo dovuti andare in un posto al coperto! Una galleria o…»

Antonio lo abbracciò all’improvviso, bloccando i suoi brividi e le sue parole irate. Romano non riuscì nemmeno ad arrabbiarsi per quel suo gesto sconsiderato, tanta fu la sorpresa. E a quel punto il più giovane spense il cervello, e si lasciò stringere dalle braccia dello spagnolo, che lo avvolsero irradiando il suo corpo di calore. Gli faceva male il petto, sentiva come un blocco di ghiaccio che si scioglieva lentamente. Ad occhi chiusi, ripensò a quella volta di tanto tempo prima, quando aveva provato qualcosa di simile…

 

«Fratellone! Che bello rivederti!» la vocina di Feliciano risuonò allegra in un’ampia stanza di quella reggia.

«Oh, sei tu. Umpf.» Romano rispose freddamente, e Antonio, dopo averlo posato a terra, gli diede un leggero buffetto sulla testa e lo rimproverò sorridendo.

«Su, Romano, stai qui assieme a Ita-chan, e non essere sgarbato! Io e Roderich saremo nella stanza accanto. A più tardi!»

Lo spagnolo uscì poi nel corridoio senza chiudersi la porta dietro.

«Bah!»

Romano mise un piccolo broncio, mentre il fratellino lo guardava divertito. Il più piccolo prese a chiacchierare e ridere, cercando di mettere l’altro a suo agio in quella casa in cui non era abituato a stare, ma Romano non gli prestava troppa attenzione, e continuava a lanciare occhiate furtive alla porta lasciata aperta. Poco dopo, Feliciano propose di passare il tempo disegnando, così prese fogli e colori, li sparpagliò sul pavimento, si sdraiò a terra e invitò l’altro a fare lo stesso. Romano, poco convinto, lo accontentò, e i due, circondati dai loro vaporosi vestiti e dal materiale per disegnare, iniziarono.

«Che cosa dovrei disegnare, dannazione?!»

«Quello che ti piace.» Rispose solamente Feliciano. Il più grande era confuso. Di tanto in tanto, osservava Feliciano lavorare con cura sul suo foglio, scegliere i colori giusti, divertirsi. Lo vide arrossire mentre sul pallore del foglio prendeva forma un bambino biondo e con gli occhi azzurri, vestito di scuro, con l’espressione timida ma sorridente. Tornò a guardare il suo foglio. Era ancora immacolato. Cercando di sforzarsi, Romano prese un pastello rosso, e scarabocchiò un cerchio. Lo guardò irritato: non voleva che fosse così! Strappò il pezzo di carta e lo lanciò lontano, poi ne prese un altro. Ripeté ciò che aveva fatto prima più volte, sotto lo sguardo incuriosito del fratello, e alla fine si arrese e si alzò dal pavimento.

«Tzk! Basta! E’ una scocciatura! In più, sto morendo di freddo! Come diavolo fai a vivere in un posto del genere tu?! Proprio non ti capisco!»

Il piccolo Romano prese a camminare infastidito avanti e indietro per la stanza, facendo cadere i soprammobili e creando disordine, ma continuando a guardare la porta. Non poteva fare a meno di guardarla, aspettando che l’alta figura dello spagnolo vi ricomparisse. Aveva freddo, si sentiva congelare dalla testa ai piedi, e violenti tremiti gli agitavano quel suo corpo fanciullesco. Feliciano, preoccupato, lo fissava in silenzio. E sempre in silenzio si alzò, lasciando il suo disegno non finito, si avvicinò a Romano, e lo abbracciò. Si strinse a lui in un tenero abbraccio fraterno, ma in realtà fu Romano a trovare conforto nella stretta del fratello minore. Poteva sentire il gelo abbandonare piano il suo cuore, sciogliersi e scivolare via, mentre un nuovo calore, per lui così raro e insolito, si faceva largo. Era piacevole, e in quel momento anche lui, involontariamente, o forse no, abbracciò piano Feliciano, crogiolandosi in quella nuova e strana sensazione. Affetto.

 

Romano riaprì gli occhi, tornando al presente, e si ritrovò lo spagnolo che lo scrutava dall’alto, con il suo sguardo verde smeraldo, intenso, che fece aumentare i battiti al cuore di Romano. Il sorriso del più grande si allargò ancora, mentre pian piano iniziò ad accorciare le distanze tra i loro volti. Lo fece con una lentezza estenuante, continuando a mantenere i propri occhi fissi nei suoi, e Romano non riuscì a distogliere lo sguardo come le altre volte. Poteva solo restare lì, paralizzato, col respiro che si faceva sempre più rapido e ansioso, ad attendere quel momento. Momento che, dopo tanto, arrivò. Le labbra lisce e calde di Antonio premettero lievemente su quelle spaccate e fredde di Romano, in un bacio semplice ma ricco di significato. Di certo non il primo tra loro due. Un’altra ondata di calore percorse il corpo di Romano, che riprese a tremare, ma stavolta non per il freddo. Antonio allontanò il viso, osservando con aria soddisfatta il rossore diffuso su tutto il volto dell’italiano.

«Adesso se n’è andato, vero? “Quel” freddo.»

In un primo momento Romano pensò di rispondere come suo solito, magari urlando, o allontanandosi di scatto, ma poi la sensazione così piacevole di calore ribollì, impedendogli di farlo. Si ritrovò dunque a nascondere il viso nell’incavo della spalla dello spagnolo, mormorando impercettibilmente.

«…Sì.»

Antonio lo strinse nuovamente a sé, e rimasero così abbracciati, mentre intorno a loro era sceso il buio.

~

Note: lo so già. Romano per me è OOC, soprattutto alla fine. Mi porterò questa cosa degli OOC fin nella tomba, quindi amen, non riuscirete a convincermi del contrario. XD Poi, vorrei precisare che io non sono mai stata a Madrid (purtroppo), quindi se dovessero esserci riferimenti alla città poco chiari fatemeli notare. Se vi state chiedendo perché io abbia scelto come scenario principale la Fontana del Carciofo… è stato per via dei nomi degli scultori che lavorarono alle statue: Alfonso Vergaz e Antonio Primo. Non ho potuto farne a meno, scusatemi! 8D Come al solito, ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono questa raccolta, che non so se avrà un altro capitolo o no. Se mi verrà in mente un’altra one-shot la inserirò. Infine, ringrazio Ghy, che mi aiuta a continuare a scrivere nei momenti di crisi con ottimi consigli (siano lodate le doujinshi!) e Sara, che mi ha torturato per giorni chiedendomi dove fosse la Spamano. Grazie a tutti! Ciao!

 

BabiSmile

 

 

 

 

 

   
 
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