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Autore: Nikaido    17/12/2005    4 recensioni
"E qui entri in gioco tu [...] l'unica incognita nel mio passato, l'unica certezza nel mio presente."
"Voglio poterti rincontrare un giorno e voglio poterlo fare ostentando di nuovo il mio nome. Voglio tornare a vivere nel mondo dei maghi. Voglio un'altra possibilità [...]. E voglio che tu non sprechi la tua di possibilità."
Salve a tutti questa è la mia prima vera long fic! Spero che vi possa piacere ^___^ le critiche sn molto gradite! a presto, Gin
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando

Quando? Quando sarebbe finita quella inutile guerra?? Narcissa Black in Malfoy si aggirava per il manor e se lo domandava in continuazione… gli attacchi e le perdite erano diventate insostenibili, le fazioni erano sguarnite su entrambi i fronti, ma Voldemort non demordeva! E nemmeno quello spocchioso di Potter pareva intenzionato a darsi per vinto… era disposto a tutto pur di vincere, sembrava che dopo la consapevolezza di essere solo al mondo non gli importasse un bel niente di infliggere quella stessa atroce punizione anche al resto delle persone. … Va bene!! Va bene!! Potter non poteva certo definirsi un ragazzo agiato, viziato e coccolato dai suoi genitori, ma ora stava imponendo il proprio destino ponendo una spada di Damocle su ogni singolo abitante del mondo magico!! O da una parte o dall’altra della riga. Non c’erano più sfumature nel suo mondo! O era verde o era rosso. Non esisteva più l’azzuro o il marrone o il grigio… “O con me o con Voldemort!” ripeteva a tutti. E forse nulla ormai lo distingueva da quell’essere abbietto che si trascinava facendo la muta proprio come un serpente. Era spietato il giovane Potter: era quello che con più furore uccideva Deatheater nei combattimenti e se faceva prgionieri non si faceva scrupoli a torturali a morte. Dopo la morte del vecchio decrepito di Silente al sesto anno di scuola era cambiato: irrimediabilmente cambiato. In peggio secondo alcuni, in meglio secondo altri. Voldemort si compiaceva di quanto quel ragazzo ormai uomo gli assomigliasse ogni giorno di più. Gli sarebbe forse stato simpatico se non fosse stato per quel piccolo particolare della “morte” che aleggiava fra e attorno ai due…

Dio… erano sei anni che non rivedeva suo figlio.

Le mancava. Le mancava da morire alle volte. Si svegliava di notte con l’ansia che potesse essergli successo qualcosa e il suo terrore aumentava ancora di più quando rischiava di svegliare il suo consorte per quelle sue ansie. Se lui avesse saputo cosa realmente sentiva lei per il suo unico figlio, probabilmente non avrebbe vissuto a lungo per raccontarlo.

Forse… forse anche lei avrebbe dovuto essere sincera con se stessa. Avrebbe dovuto seguire suo figlio sei anni prima. Non sarebbe dovuta rimanere indietro ad osservare la schiena di quel bambino fatto uomo allontanarsi sempre di più da lei. Non aveva più avuto sue notizie. Mai. Era peggio non sapere dove fosse e come stesse che saperlo morto o in battaglia. La sospensione tra la vita e la morte è l’equilibrio più precario e instabile che ci sia e la mente umana è facile allo sbilanciamento dall’una o dall’altra parte.

Inoltre un pessimo presentimento aleggiava nell’aria: sapeva che una delle battaglie più feroci sarebbe stata combattuta di lì a pochi giorni e mai come prima di allora si era sentita sperduta e sconsolata all’idea della lontananza del suo primigenito…

Lo stesso giorno seguente ogni sua congettura aveva preso forma: il Lord aveva detto che avrebbero attaccato la sede di Potter e l’avrebbero espugnata! Le stime dei mangiamorte e degli auror erano state prese e i maghi oscuri avevano un vantaggio di 3:1.. una passeggiata insomma.

Tutto si era svolto da copione: al calar delle tenebre i mangiamorte erano comparsi attorno all’edificio che da fuori appariva fatiscente, ma che era la sede dell’ordine della fenice. La tenebra era stata squarciata dall’innaturale luce acida del Morsmordre che aveva gettato riflessi grotteschi sulle maschere d’argento e sui mantelli color pece degli adepti del Lord. Voldemort marciava in testa ai suoi fedeli distinguendosi da quel mare di nera morte con il suo mantello rosso vermiglio e la faccia sgombra di qualunque maschera: era lui la faccia del male, lui l’ultima immagine prima della morte che li attendeva. Non aveva bisogno di nascondersi, non doveva nascondersi!!

Uno ad uno entrarono nel quartier generale da un passaggio che un infiltrato aveva preparato per loro. Il silenzio era assoluto. Il lieve fruscio dei mantelli roboava come una carica di rinoceronti. Il cadenzato ritmo dei tacchi rimbombava in modo indegno. Ogni respiro pareva l’ultimo. Ogni occhiata la decisiva. Solo Voldemort pareva fuori da quella tensione che tendeva ogni mangiamorte come una corda di violino. Arrivarono lentamente al salone centrale da cui si dipanavano un gran numero di corridoi più o meno ampi e ciò che apparve davanti ai loro occhi li sconvolse: il nulla!

Non uno, nemmeno uno schifosissimo auror pareva essere in quell’edificio.

Eppure… eppure il lord ghignava, guardava davanti a sé sicuro e fiero come sempre e ghignava… sferzò l’aria con la bacchetta e come per incanto, come un mastro burattinaio che recide i propri fili dell’illusione della scena, come un machinista al teatro che scambia la sceneggiatura, apparvero davanti ai mangiamorte gli esuli auror. Davanti a tutti c’era Potter e poco dietro di lui i suoi più fedeli e “più duri a morire” amici di scuola. Dietro figuravano i membri dell’ordine e infine tutti gli auror che erano disposti a morire per sconfiggere il “male”. Ad un gesto del moro un corpo fu gettato inmezzo alla sala: la posizione scomposta, il torace immobile… morto.

-La tua spia Tom…- aveva detto il-bambino-diventato-uomo-o-quasi-ma-che-non-si-decide-a-crepare!!

Voldemort non prestò minimamente caso a quel corpo esanime, anzi lo calpestò per avvicinarsi al giovane che lo sfidava con lo sguardo e poi… poi solo l’inferno.

Incantesimi saettavano da tutte leparti. Maledizioni senza perdono venivano scagliate e respinte; rimbalzavano e aggredivano alle spalle qualcuno che non era nemmeno il bersaglio prefisso. Lampi di luce di ogni genere illuminavano con effetti psichedelici la stanza che ben presto era la rappresentazione in terra del caos primordiale. Fumo, polvere, calcinacci e urla. Sangue, dolore, sofferenza e trionfo. Luce, paura, ombra e coraggio. Morte, fortuna, distruzione e affanno. I caduti creavano una scomoda base d’appoggio per chi si ostentava a sopravvivere, gli auror incespicavano, i mangiamorte si intrappavano nei mantelli alle volte. Maledizioni e incantesimi offensivi spesso erano lanciati alla cieca e più di una volta colpivano parti amiche anziché nemiche. Chiunque lì dentro poteva essere la morte che ti guardava in faccia, ostentasse essa una maschera d’argento o una “A” scarlatta. Non c’era pietà tra quelle mura. In realtà non c’era spazio per altro sentimento che non fosse cieco furore o rossa vendetta. Pareva che l’angelo della morte che mieteva vittime sopra le loro teste, immune ad ogni colpo di bacchetta, cantilenasse con snervante cinismo il “motto” di quei due capi fazione… “o con me o con loro…” ripeteva… e sempre più vittime andavano ad appesantire la barca di Caronte…

Narcissa Black in Malfoy si districava in quel groviglio di morte e salvezza alla disperata ricerca di una via di scampo! Cercava di difendersi e basta, ma già da una spalla sgorgava sangue nobile ad imbrattare il terreno fertile su cui rigoglioso cresceva l’odio. Manco a dirlo, ma la smaterializzazione non era nemmeno da prendere in considerazione. Non c’erano vie di scampo. Il cervello lavorava alla velocità della luce per difendersi dagli attacchi e contemporaneamente trovare uno stramaledeto modo per salvarsi. Lesta afferrò un calcinaccio e lo strasformò in una passaporta. Lo strappo all’ombellico non l’aveva mai sentito però. Tutto era diventato buio poco prima…

Lontano da tutto quello Ginevra Weasley si era svegliata di soprassalto!!!

Poteva sentire nelle orecchie il rumore assordante del proprio cuore che rimbombava nella gabbia toracia e si divertiva a scombussolarle il respiro corto che l’aveva assalita. Si era addormentata in studio… dannazione! Non era possibile!! Era inconcepibile che LEI dovesse lavorare fino a quell’ora!! Ma chi glielo faceva fare poi? Che palle… accatastò progetti e schizzi e prese la giacchetta e le chiavi della macchina. No.. un attimo! Quelle non erano della macchina! Erano della seconda casa… e quelle della macchina dove cavolo erano finite ‘sta volta?? Perse un sacco di tempo, ma alla fine riuscì a trovarle.. erano finite nella stanza di uno degli apprendisti: si ripromise di strozzarlo il giorno seguente! Uscì e chiuse lo studio e si fermò davanti all’ascensore… le caddero le… braccia. Era fuori servizio?!?!?! Ma porc… e ora lei, alle 3 del mattino, doveva farsi ben 43 piani a piedi??? Cose da pazzi!! Avrebbe fatto causa alla compagnia responsabile della manutenzione degli ascensori!!! Non le passò nemmeno per l’anticamera del cervello che a quel punto avrebbe potuto fermarsi a dormire nello studio, troppo accecata dall’ira… impiegò una vita a raggiungere la macchina e sperò ardentemente che non gliene capitasse un’altra o non avrebbe risposto delle proprie azioni! La macchina, per fortuna, si accese al primo giro di chiave. Il custode era sveglio e la fece uscire dal parcheggio sotterraneo e per strada non c’era nemmeno una macchina… sfidoio!! Alle 5 meno un quarto del mattino chi vuoi che ci sia a parte gli sfigati e i ritardatari?!?!?! Mentre attraversava alcune strade del centro fu costrtta a rallentare per la coda che si snodava davanti allo Studio 54… no… quella notte non le andava davvero… sarebbe stata per un’altra volta magari. Tirò dritto sorpassando il locale ed entro breve arrivò a casa sua: l’attico in centro a Londra.

Il suo ascensore funzionava, per grazia di dio, ed arrivò all’ultimo piano in poco più di un minuto, aprì la porta che aveva una modernissima serratura elettronica, praticamente inespugnabile, e la richiuse con un colpo deciso del tacco. Lasciò che la cartellina con i disegni si appoggiasse con “grazia e cura” al pavimento lindo e tirato a lucido e mosse il primo passo sul tappeto che occupava quasi tutto l’ingresso… un urlo disumano risuonò per tutto il grattacielo! La “leggiadra e soave” voce della povera stilista era risuonata forse fino alla cintura di Orione perché la poveretta si era appena pianata un volo carpiato all’indietro con ovvio atterraggio della sua nuca per terra… E NON ERA STATO PIACEVOLE!! Maledicendo la donna delle pulizie che aveva di nuovo dato la cera ovunque si rialzò a fatica facendo ben attenzione a non mettere più piede sul tappeto… troppo ottimista! Il tacco a spillo perse aderenza come fosse stato appoggiato sul ghiaccio e lei si ritrovò di nuovo col culo per terra.. le imprecazioni si sprecavano… si stava togliendo le scarpe per camminare a piedi nudi quando un qualcosa di peloso e affettuoso le si precipitò addosso facendola rovinosamente e definitivamente stendere a terra!

-Ehi!! Daiiiii… o miseria benedetta spostati da lì!!! No… nooooo!! Ehehehehehehe mi fai il solleeheheheheheticoooooo…-

Un botolino tutto pelo e linguaccia spatolosa continuava a leccarle la faccia con fare affettuoso suscitando l’ilarità della giovane… il cucciolo era un cagnolino bastardo che era stata costretta a raccattare perché aveva per sbaglio investito ed ucciso la madre e aveva potuto salvare solo uno dei tre piccoli che la accompagnavano. Sorrise triste al ricordo di quell’orribile incidente. Però il piccolo pareva averla presa in simpatia. Aveva due occhioni azzurri incastonati in un muso dal taglio affilato su cui incombevano due orecchie a punta piiiiiiccole piccole. Aveva i tipici zamponi sproporzionati che gli davano quell’aria goffa e cucciolosa. La coda non smetteva mai di frustare l’aria con forza. Era piccolo davvero ed aveva un bel pancino satollo… era decisamente un incrocio perchè non riusciva a distinguere che razza di cane potesse essere… oltretutto non gli aveva dato un nome.. per cui lo chiamava alle volte “hei” alle volte “cane” alle volte “cucciolo” e via dicendo, ma pareva che il botolo avesse capito l’antifona e si girava sempre… anche quando lo chiamava “brutto-stronzo-ingrato” perché magari aveva fatto uno.. schizzo di pipì in giro…

Agguantò la feroce belva e finì di togliersi quelle stramaledette scarpe! Si mise comoda, con un bel pigiamone largo e cadente… doveva essere da uomo forse… vabbhè! Prese in braccio il cucciolotto e si avviò nel dedalo che era casa sua… fece tappa in cucina per mettere qualcosa sotto i denti, dato che aveva saltato cena, e passò velocemente dal bagno. Il cucciolo la guardò incuriosito sentendosi dire un “le signore vanno al bagno senza cavalieri! Fai cuccia lì!” e ovviamente aveva subito iniziato a raspare la porta per entrare, con sommo disappunto della rossa!! Odiava le porte graffiate!! Sofratutto perché delle porte nere lasciavano intraverere il legno chiaro che c’era sotto…

Che palle!

Aprì la porta e lo lasciò entrare, lui per ringraziamento si mise a giocare con i pantaloni del suo pigiama tirandoglielo a destra e sinistra come se lo volesse sbrandellare.

-Cane smettila!! Me no devasti se fai così!! Gioca con sto schifo di tappeto che tanto me l’ha regalato quel finocchio di Gerard e mi fa skifo…-

Oh, detto fatto!! Il mostriciattolo tutto pelo si era lanciato in una serie di finte ed agguati ai danni del tappetino rosa shoking.. faceva a dir poco vomitare… appena vide Ginny allontanarsi si affrettò a starle dietro e non perderla di vista. Aveva uno strano senso del territorio in effetti…

Finalmente arrivarono nella stanza da letto, la ragazza prese il cucciolo e lo buttò giocosamente sul letto per poi saltargli a fianco e farlo fimbalzare sulle morbide coperte… giocarono ancora pochi minuti e poi rimasero lì sdraiati, mentre lei gli grattava il panciotto esposto…

Fu in quel momento di calma che prepotenti ed irritanti tornarono ad infastidirla le immagini sconnesse che avevano tormentato il suo sonnellino a lavoro. Le scacciò con forza e poco dopo le tornò in mente il giorno in cui aveva lasciato La Tana… si girò contrariata prendendo il cucciolo e stringendoselo addosso mentre scivolava lenta ed inesorabile nel mondo dove non sei padrone di te stesso…

Non capiva dove potesse essere finita, ma le pareva di riconoscere quella struttura di acciaio e vetro. Si rivide come un anno prima: a camminare con lo sguardo fisso di fronte a se ed entrare in una porta. Non c’erano particolari.. tutto sembrava fumoso… Una voce ovattata le chiedeva

–nome d’arte?- e lei sentiva la sua voce rispondere sicura

–Red.-

Un grazie a tutti quanti!! La storia si dipana e man mano si spiega tutto sto gran casino… COMMENTATEEEEEEE!!!!

Un grazie particolare a

Ginny88

Maharet

Aledra_xan

Romen Evans

Lilyth

E

Angelroy

Prossimo capitolo: Red

  
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