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Autore: PeaceLove    09/01/2011    1 recensioni
''C'era una volta...
No, non mi piace come inizio .-.
Una principessa viveva in un castello nella citta' di Gagjsnest...
No, ma questo fa pena.
Il tricheco (Odobenus rosmarus, Linnaeus 1758) è un mammifero marino di grande mole, classificato nel sottordine de...
Wikipedia non è d'aiuto! >.< Proviamo un'ultima volta...
Era un lontano 2010 in quella fredda Londra. Dall'alto tutte le case sembravano uguali e vuote in quel tardo giorno di febbraio. In una di quelle piccole abitazioni vicino ad Abbey Road, erano riunite sei belle ragazze, tutte della stessa eta', su per giu' venta'anni. I loro nomi erano Cecilia, Sadie, Michelle, Aida, Abbey e...Nima''
La storia di sei ragazze che porteranno alla realizzazione di uno dei piu' significativi album beatlesiani: il White Album.
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon , Paul McCartney , Ringo Starr
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Volevo scrivere così tante cose xD Spero comunque di aver scritto abbastanza bene, anche perchè sono stata chiusa in questa camera tutto il santo giorno (: Buona lettura.

CAPITOLO 2: I'M SO TIRED

* Aida *

- Tu hai parlato con John Lennon? – chiesi a Nima, guardandola stupita.
Che cosa vi aspettavate? Ero approdata non so come in un altro posto e in un’altra epoca, mi ero appena accorta che un antiestetico brufolino psicosomatico era comparso sul mio volto, avevo una voglia matta di pane e cioccolato, e una delle mie migliori amiche mi veniva a raccontare che l’uomo più figo del ventesimo secolo le aveva rivolto la parola, e pure sorriso! Roba da svenimento. Ed infatti, se non ci fosse stata Sadie a sorreggermi, ora sarei belle che distesa sul pavimento ricoperto di sterco bovino che caratterizza lo sgabuzzino in cui, quella mattina, avevamo trovato i sari. C’eravamo rinchiuse lì dentro per parlare in privato dell’accaduto, anche se sei persone in un metro quadrato non dovrebbero stare molto comode. Anzi, non stanno per niente comode.
Lei annuì estasiata.
- Oh, sì! – dissi – Ed io sono il Mahatma!
Nima fece scivolare lo sguardo lungo i miei vestiti. Sari bianco, sandali di cuoio e occhialini tondi.
- Io non sono Gandhi! - aggiunsi.
Tutte scoppiarono a ridere, mentre io mi sedetti, sconsolata, su un mucchio di stoffe accantonato al muro.
- Anche ammesso che tu abbia parlato con lui, - disse Michelle - a noi che cosa può interessare?
- Oh, vi interessa eccome! – ribadì Nima. – Vi ricordate la canzone Cry Baby Cry? –
- Ci stai prendendo in giro, Nima Barres? – le domandò in tono ironico Cecilia – Chi si dimentica di quella canzone?
- Io no di certo. – rispose Nima sorridendole – Ma avete presente tutta la storia che ci gira attorno? Ebbene, sta scritto da qualche parte che John Lennon, prima di comporre il ritornello, abbia accidentalmente buttato un occhio al televisore, mentre andava in onda una pubblicità.
- E allora? – chiese Abbey, spazientita.
- Lasciala finire! – la zittii io. Ammetto che questa storia cominciava ad interessarmi. Dove voleva andare a parare Nima con quei discorsi? Sentivo qualcosa di emozionante nell’aria, e quando Nima disse: - Sono stata io ad accendere quel televisore, oggi stesso! – saltai per aria. Letteralmente. Iniziai a strillare abbracciando la prima persona che mi capitava a tiro, cioè Michelle, che, presa allo sprovvista, scivolò nello sterco, aggrappandosi ai piedi di Nima, la quale, per non scivolare a sua volta, si tenne stretta al braccio di Abbey, che, invece, scivolò, portandosi appresso tutte le stoffe impacchettate lì accanto, e quindi anche la povera Sadie, che vi si era seduta proprio in quell’istante. Cecilia, l’unica miracolosamente illesa, inciampò (da sola) nella sua lunghissima veste, cadendo a terra con un tonfo secco.
– Stavolta non sono stata io! – proclamai.
- Maledetta! – mi urlò Michelle, sporca di sterco da capo a piedi. – Se ti prendo t’ammazzo!
Non mi feci ripetere due volte quella minaccia, e mi catapultai fuori da quello stanzino, con Mich alle calcagna. Porca vacca, se correva! Non l’avevo mai vista così infuriata. Odio quando le persone sono infuriate! Mi fa sentire colpevole, e in quel momento lo ero davvero.
- Per Dio, Mich! Fermati! – le urlò Abbey, la pacifista del gruppo.
Da dietro di lei arrivò Cecilia, che si tolse il lunghissimo sari e glielo diede ad Abbey strillando:
- Pace e amore fino ad un certo punto!
- Ma a te non ha fatto niente! – le urlò dietro Abbey.
- Hai mai sentito parlare di solidarietà femminile? – ribadì Ceci di rimando, rincorrendo me e Michelle.
Abbey decise, allora, di aiutare Ceci a riacquistare un po’ di orgoglio: avete mai visto una ragazza in intimo correre dietro ad altre due ragazze per la strada?
- Ceci, aspetta! – strillò – Rimettiti il tuo sari!
- Che succede qui? – domandarono Sadie, i capelli arruffati e il sari strappato, e Nima, sporca di fango, uscendo dalla capanna.
- Michelle sta inseguendo Aida a causa di solo Dio sa cosa, Cecilia si è unita a Michelle in nome della “solidarietà femminile” (n.d.a.:immaginatevela mentre fa le virgolette in aria con le dita) e ha iniziato a correre per la strada in slip e reggiseno, ed io me ne sto qui con il suo sari in mano. – spiegò in modo esaustivo.
- Che stiamo aspettando, allora? – disse Nima. – Andiamo!
E iniziò a correre nella direzione in cui erano scappate le altre, sorreggendo con una mano l’orlo del sari, e con l’altra l’enorme cappello che prima non indossava.
- Dove diavolo l’ha trovato quel copricapo da riccona? – chiese Abbey.
- Ecco… non l’ha propriamente trovato… - spiegò Sadie tormentandosi le mani in preda al nervosismo. – L’ha… insomma… l’ha… rubato!
- Rubato? Rubato?!? – Abbey era in preda al panico.
- Sì. Una signora l’aveva appoggiato su quella sedia, e quando siamo uscite dalla capanna, Nima l’ha preso. – e poi aggiunse: - Non ci crederai mai, Abbey!
- A che cosa, Sadie? – domandò quest’ultima frustrata.
- La signora era Pattie, Pattie Harrison!
Abbey guardò prima Nima che correva, poi Sadie, poi la sedia che le aveva indicato, poi ancora Nima che correva.
- Dannazione, Nima! Torna subito qui! Mi hai sentita? –
Nima si girò alzando il dito medio nella sua direzione.
- Caspiterina! – gridò Abbey. Poi, rivolta a Sadie: - Tu vieni con me!
- Come? Dove? Io? Non sono sicura di… - la poveretta era frastornata, ma Abbey l’afferrò ugualmente per un braccio, portandosela appresso mentre correva dietro a noi altre, stringendo nell’altra mano il sari di Cecilia.


- Ti scongiuro Michelle! Piantala! Non è affatto divertente! – strillai tra le lacrime mentre lei mi faceva il solletico. – E poi sei sporca di sterco! Che schifo! Toglimi subito quelle manacce di dosso!
- Chi è che mi ha sporcato in questo modo, Aida? – mi chiese Mich sorridendo.
- Va bene, va bene, mi assumo le mie responsabilità! Però ora piantala, ok? – le risposi in tono supplice.
- Ok, mi sa che come punizione è bastata! – disse lei.
- Ti ringrazio! Ma… Hey! Come siamo finite qui? – domandai sorpresa.
Eravamo sulla riva di un’enorme fiume. Mi girai. In lontananza si potevano scorgere le case del piccolo villaggio indiano in cui ci trovavamo prima.
- Credo che questo sia il Gange. – decretò Abbey uscendo da un cespuglio con Sadie dietro di lei. (n.d.a.:vi chiederete come hanno fatto ad arrivare prima della posseduta Cecilia: non vi so rispondere xD).
- Ci avete seguite fin qui? – domandai loro. - Sai com’è, Ceci è mezza nuda che vi bracca insieme a Nima che ha rubato un cappello a Pattie, e noi dovremo stare lì buone buone ad aspettarvi! – Abbey era un tantino strana. Io e Mich aggrottammo le sopracciglia.
- Forse è meglio che tralasci, sai loro non… - la voce timida di Sadie fu interrotta bruscamente da un urlo disumano. Cecilia, aggrappata ad una liana in mutande e reggiseno, piombò su di me in picchiata, facendomi cadere in acqua.
- Che stai facendo? – le domandò Abbey.
- Io… non lo so! Mi ero arrampicata su quell’albero per vedere dov’era andata Aida, e sono scivolata, e… - Ceci svenne sul posto.
- Forse è meglio che… - sembrava che tutti volessero interrompere la povera Sadie.
- Dove si sono cacciate quelle? – era Nima stavolta, che maneggiava un bastone come un ninja.
- Perché sono tutti strani oggi? – chiese esasperata Michelle. Nima la guardò storto, e non si accorse del corpo di Ceci accasciato a terra, inciampandovi e cadendo in acqua.
- Nima! – urlarono tutte in coro.
- Perché quando sono caduta io non eravate così preoccupate? – dissi, aggrappata ad un ramo, con l’acqua che mi arrivava alla gola. – Fortuna che so nuotare. L’acqua è altissima!
- Appunto! – disse Sadie – Nima non sa nuotare!
Urlammo tutte come delle oche, mentre Nima si dimenava furiosamente in acqua.
Cecilia, svegliata dalle urla, si alzò in piedi, ma scivolò sul bastone di Nima e cadde anche lei in acqua.
- Dio santo! – strillò Abbey.
- La smetti Abbey? Peggiori solamente le cose ad urlare come un’isterica! – Sadie sembrava aver perso la pazienza che la contraddistingueva. Io, intanto, avevo afferrato Ceci per un braccio, e lei era svenuta di nuovo.
- Qualcuna di voi mi aiuta? – gemetti con l’acqua che mi entrava in bocca. – Non riesco a reggere tutto il suo modesto peso da sola.
- Vuoi dire che sono grassa? – chiese Ceci ridestandosi. Secondo me, non era mai svenuta.
Nel mentre, Sadie si era tolta il sari, e stava entrando in acqua per aiutare me e Ceci, seguita da Michelle, che si diresse verso l’agonizzante Nima, che, intanto, era stata trasportata un po’ più lontano dalla corrente.
- Ho bisogno di aiuto! – urlò Mich – Non riesco a sollevarla da sola!
Tutte ci voltammo verso Abbey.
- Ho capito! – disse - Vengo. 
E si tuffò anche lei in acqua. Perché? mi domando. Non poteva scendere pian pianino come hanno fatto Mich e Sadie. No, evidentemente. L’onda provocata da quel tuffo travolse Ceci, che iniziò a dimenarsi come una forsennata, scalciando da tutte la parti (e, ovviamente, colpendo i miei stinchi). Mollai, quindi, la presa sul ramo, e la corrente iniziò a portarci lentamente più lontano. Michelle, con Nima attaccata al suo braccio, afferrò la caviglia di Ceci, che ora si trovava a pancia in su. Abbey si aggrappò alla mia di caviglia, e per poco non mi rovesciò. - Fa’ qualcosa, Aida! Fa’ qualcosa! – gemette Cecilia.
- Che vuoi che faccia lei? – le domandò Sadie, per nulla preoccupata. – La colpa è solo tua!
- Mia? – domandò innocente Ceci. – Chi ha voluto venire in India? Abbey! Chi si è tuffata in modo disumano? Abbey! La colpa è sua, non mia!
Abbey la guardò di sottecchi mentre le fece il verso: - Chi si buttata addosso ad Aida imitando Tarzan? Ceci! Chi è svenuta facendo inciampare la povera Nima? Ceci! La colpa è sua, non mia!
- Piantatela, scimmie urlatrici che non siete altro! – urlò Nima. – La corrente si è calmata, sentite?
Era vero. Dopo un po’ ci fermammo. Davanti a noi una piccola spiaggetta.
Seduti nella piccola spiaggetta due uomini, uno con la chitarra.
Noi li guardammo.
Loro guardarono noi.
- Chi cazzo siete voi? - disse il primo.


- Buongiorno! – disse Nima.
- Tu non sei la cameriera di stamani? – chiese uno stupito John Lennon.
Eh sì, gli uomini che avevamo davanti erano John e Paul! Per quattro di noi, i sogni più gettonati.
- Effettivamente… - rispose lei.
- E che ci fate a bagnomaria? – chiese Paul.
Inutile dire che Ceci rise divertita alla sua battuta, che io trovavo, francamente, pietosa.
- E’ una storia lunga eterna. – disse Michelle.
Restammo lì, in acqua, per un paio di minuti, a fissare con curiosità quelle due facce che ci fissavano ogni giorno dai poster delle nostre camere.
- Potete uscire. – disse John. – Non mordiamo.
- Certo. – dissi io.
Fui la prima ad uscire dall’acqua, insieme a Ceci, che non mi aveva lasciato il braccio. Se ne rese conto subito, e, quindi, mollò la presa. Strizzai l’orlo del sari, e mi rifeci la coda ai capelli.
- Allora, come vi chiamate? – domandò Paul.
Le altre iniziarono ad urlare il loro nome, in una sorta di coro senza un minimo di intonazione. Paul e John ci guardarono interrogativi.
- Aida, Cecilia, Michelle, Abbey, Nima e Sadie. – dissi io, presentando l’intera comitiva.
- Bene, ora che ci siamo conosciuti… - non lasciai a John il tempo di finire la frase.
– Avete un pretesto per invitarci a cena? – le altre mi guardavano come se avessero voluto uccidermi. Non so che cosa mi è preso, lo giuro.
- Oh, beh… - era la prima volta che vedevo John preso alla sprovvista.
Era la prima volta che vedevo John!
– Certo, ci farebbe molto piacere, ma…
- Sei un uomo sposato. – conclusi ancora una volta per lui.
- E tu sei molto perspicace! – mi disse.
Arrossii, ma replicai comunque: - So leggere i settimanali di gossip.
Abbey salvò la situazione prendendomi per un braccio a trascinandomi via, mentre le altre stavano già correndo verso il centro del villaggio.
- Addio! – feci in tempo ad urlare.
- Ciao ragazze! – gridò a suo volta Paul.
- Ciao Aida! – gridò John.
Mi sentii avvampare di nuovo.


- Che ti è saltato in mente? – mi rimproverò Abbey.
Eravamo riuscite a chiedere indicazioni alla gente, e ad aggiudicarci due capanne in quell’ashram. Io, Abbey e Michelle ci eravamo sistemate in una; Nima, Sadie e Cecilia nell’altra. Era tarda sera ormai, e ci preparavamo per andare a dormire. Avremo discusso il giorno dopo di ciò che era capitato a Nima.
- Non lo so, Abbey! – le risposi.
- Invitarci a cena! Sei un uomo sposato! Ma come ti saltano in mente certe cose? – mi chiese nuovamente.
- Abbey! – disse Michelle, la mia eroina. – Vacci piano! Insomma, non mi sembra che abbia fatto niente di irreparabile! Ha solo…
Abbey non la lasciò finire: - Ci ha fatto passare per delle cretine! Ti rendi conto? E per fortuna che non c’era Ringo! L’avrei ammazzata!
- Perché non me ne va mai bene una? – pensai a voce alta.
- Non chiedermelo a me, Aida! – disse Abbey, ancora più incavolata. – E adesso scusate ma dovrei proprio dormire! Sai una cosa, Aida? Non avrei mai dovuto conoscerti! Mai!
Non riuscivo a sopportare Abbey quando era incavolata. Uscii dalla capanna con Il Giardino Dei Finzi Contini in mano, ma riuscii a sentire lo sguardo gelido di Michelle che si posava su Abbey, e la voce stridula di quest’ultima urlare: - Che ho detto? – Finiva sempre così quando si litigava. Tutte se la prendevano con me. E Abbey era la prima. Non so che le capitava, era come i lupi mannari. Di giorno una pacifista ad hoc, di notte acida come il limone. Ma poi si faceva pace, e finiva tutto bene. Ma stavolta era diverso. Eravamo tutte così stressate e lontane da casa. Io per prima sentivo la mancanza di casa. Durante le gite scolastiche ero sempre quella che il secondo giorno piangeva per la nostalgia, quella paranoica, quella chiusa nei suoi vecchi libri.
Mi diressi alla spiaggetta.
Magari pensavo di ritrovarci John e Paul. Magari volevo solo piangere un poco, stare un po’ in pace. E leggermi quel libro che mi portavo sempre appresso. Me l’ero appoggiato sulle gambe anche mentre Abbey faceva la sua strampalata magia. E ce l’avevo sulle gambe quando siamo approdate qui.
Mi sedetti sulla sabbia finissima e bianchissima. Era fresca, segno che le brezze funzionavano anche nel ’68 (n.d.a.: lo so, è terribilmente stupido!).
Guardai la luna, quella grande palla tonda che proiettava la sua luce sul Gange. Da piccola la guardavo sempre, ogni sera, e ogni volta mi sembrava diversa più o meno luminosa, più o meno grande, più o meno bella.
Ammiravo la luna, che poteva cambiare così facilmente, in modo del tutto naturale. Mi misi a piangere. Mi sentivo così sola e avevo una nostalgia che mi divorava il cuore.
Poi sentii una terribile puzza di fumo, e il tepore di un alito caldo sul collo.
Mi voltai e mi ritrovai faccia a faccia con John.
- Ciao! – mi disse, tutto contento.
- Ciao. – risposi io.
Lui mi scrutò attentamente. Aveva sicuramente visto le lacrime che mi scendevano sulle guance e la mia espressione triste, ma si concentrava di più sui miei occhi, come se potessero trasmettere molte più cose.
- Allora, che hai? – mi chiese infine.
- Oh, niente. Solite cose. – risposi.
- Senti, ti conosco da sì e no due ore, non posso sapere che cosa è “solito” per te.
Il suo ragionamento non faceva una grinza.
“Ok, tu sei il mio poster. Sei solo e soltanto un poster.” pensai, per riuscire a parlargli senza sembrare un’idiota.
- Nostalgia e solitudine. Tanta nostalgia e tanta solitudine.
Si accese una sigaretta e mi guardò fisso negli occhi.
- Racconta.
- Non so da dove… partire.
- Magari dall’inizio.
- Ok! – sorrisi – Ogni singolo giorno io… mi sento avvolta dalla nebbia! Persone, cose, vedo tutto offuscato, loro mi vedono offuscata. Sembra quasi che io sia fuori posto nel mondo. Che nessuno mi voglia, che tutti mi evitino. Sì, lo so, sono strana, ma chi non lo è, dopotutto? Io, mi chiudo in questi vecchi libri – e indicai Il Giardino Dei Finzi Contini – e loro non possono far altro che criticarmi! Tu sei sempre in giro con quella chitarra e però non ti criticano perché… perché tu sei qualcuno, non possono criticare una persona famosa, o meglio, possono farlo, ma le loro critiche finirebbero nel cesso ancora prima che qualcuno possa interessarsi ad esse. Io non ce la faccio a vivere in un mondo in cui ciò che più conta è quanto denaro hai da offrire, diventa tutto così crudele… io ho desiderato ardentemente diventare qualcuno… una scrittrice magari, la cosa che mi riesce meglio… o chissà cos’altro! Ma basta un piccolo errore, un impercettibile sbaglio, e crolli, diventi un appestato ed escluse le tue cinque amiche più fidate, nessuno riesce a guardare oltre la corazza che indossi per proteggerti, senza storcere un poco il naso. Sono sola e ho nostalgia di casa, e proprio qui, nel bel mezzo del posto più bello che io abbia mai visto, con l’unica persona che finora mi abbia ascoltato senza interrompermi neanche una volta, sono capace solo di piangere ed commiserarmi. Sono paranoica. Scusami. È… è meglio che io vada, ora.
Feci per alzarmi, ma lui mi trattenne per un braccio.
Mi risedetti e lo ascoltai, come lui aveva fatto con me. Lo meritava.
- Sai, - iniziò. – io sono sempre stato solo. Senza amici. O meglio, senza amici veri. Da… da quando è morta mia madre, ho sempre pensato che nessuno mi volesse, che nessuno avesse bisogno di me. Ma poi ho capito che, anche con tutto l’impegno che ci metti, non potrai mai rimanere da solo per il resto della tua vita. Non ce n’è bisogno. Saresti sempre triste e terribilmente solo. Ed è vero che gli altri ti guardano strano appena fai qualcosa che per loro non va bene, ma è solo quella cosa che non approvano, non sei tu che non vai bene! Non c’è affatto bisogno di rimanere soli e tristi per tutta la vita.
- Ma io… io sono stata felice anche da sola. Credo che la felicità stia dentro di noi.
- Sì, ma non è più felicità se non la condividi. – lo guardai.
Con quei capelloni e la barba incolta. Come faceva a dire cose tanto belle e sagge? Come faceva a consolarmi guardandomi e basta?
Poi cambiò argomento.
- Raccontami della tua vita.
- Ma…
- Su, forza! Di me sai già tutto visto che “Sei in grado di leggere le riviste di gossip”
Sorrisi, lui mi sorrise. Raccontai. Ovviamente, tralasciai i particolari dell’era moderna.
- Sono nata a Boston in aprile. Mi chiamarono Aida in onore di Giuseppe Verdi. Mia madre adorava l’opera. Mio padre era fochista nella marina. Ma organizzava anche parate ed eventi per pochi penny. Eravamo molto poveri, Boston era una città costosa, e quando io avevo tre anni, ci trasferimmo a New Orleans.
- Quel posto dove fanno i funerali jazz?
- Sì. Inutile dire che adoro tutt’ora il jazz! Mi mette un’allegria incontenibile. Nonostante i nostri debiti aumentassero, mio padre insistette per farmi frequentare una scuola privata. Non mi trovai per niente a mio agio. I ricconi si comportavano da… ricconi! Poi, visto che ero un’alunna non propriamente eccelsa mi negarono Harvard, e decisi di cambiare aria. Presi un volo per Londra all’età di diciotto anni. Fifa bestiale, poiché non avevo mai volato! Lì frequentai per un po’ un gruppo di yuppie scatenati che mi ballonzolarono in giro per l’Inghilterra a bordo dei loro Chooper, fu lì che ci conoscemmo io e le altre ragazze di prima. Eravamo tutte un po’ hippie e ci venne in mente di andarcene a vivere per conto nostro. Abitiamo in un appartamentino a Londra Nord, molto carino. Anche se è un po’ piccolo.
- Sono simpatiche?
- Chi, le altre? Sì! Molto… Abbey è la pacifista del gruppo, e, paradossalmente, la prima che semina zizzania, quando vuole. Sadie è carina e responsabile, non è mai preoccupata, né iperattiva; calma piatta con lei nei paraggi. Cecilia è un’ambientalista convinta, sviene spesso, e odia stare da sola. Michelle è una caffeinomane, adora la buona musica e la natura. E poi c’è Nima. Lei è un’artista, ama cantare, disegnare, eccelle in questo.
- E tu non sei un’artista?
- Chi, io? Non farmi ridere, una povera illusa che si rintana in stupidi romanzi non è un’artista.
- Anche Bob Dylan è un povero illuso, ma… è un artista!
Ed iniziò a suonare una canzone con la sua chitarra. Mr.Tambourine Man. Favolosa. Ascolto, per un po’. Poi canto. Insieme a lui. Non sono mai stata brava a cantare, ma tutto in quel momento mi sembrava perfetto. Finiamo. Lui mi guarda.
- E di te che mi dici? Che cosa ti piace?
- Adoro leggere, ed amo con tutta me stessa i fuochi d’artificio!
- Sì, sono bellissimi da vedere in cielo, non credi?
- Oh, no! Non mi riferivo al fatto di vederli, ma… di farli.
- Tu sai fare i fuochi d’artificio?
- Secondo te come me la sono procurata questa?
E gli feci vedere l’ustione che partiva da metà avambraccio e arrivava fino al gomito.
- Oh! Wow!
Sorrisi. Stette in silenzio per un paio di minuti.
- Domani facciamo la festa per il compleanno di George. Ti andrebbe di venire. Con le altre, intendo.
- Certo!
- E di fare i tuoi fuochi per l’occasione?
- Ma il materiale…
- Te lo faremo procurare. Siamo i Beatles, dopotutto.
- Ok.
Ad un certo punto John si fece serio. Si voltò verso di me, avvicinandosi pericolosamente. Ed era strano perché i poster non si avvicinano pericolosamente. “Non rovinare tutto” pensai. Volete la verità? Avevo paura. Ero stata sì e no con due ragazzi, e tutti e due non mi avevano mai capito. John era l’unico. L’unico che mi riusciva a capire dopo una chiacchierata di pochi minuti. Io non lo meritavo. Tutti mi consideravano così poco interessante. Io mi consideravo poco interessante. Non lo potevo permettere. Non in quel momento. Si era avvicinato ancora di più, i nostri nasi si stavano per toccare.
- John – sussurrai, posandogli due dita sulle labbra.
Lui si bloccò.
Non riuscivo a trovare una scusa plausibile.
- Sono così stanca! – dissi infine.
- C’entra? – mi chiese sorridendo.
Ok, no. Ma che ci potevo fare? “Fai lavorare le tue rotelline, Aida! Forza!”
- Nima ti adora.
- E?
- E basta
- Un bacio rovinerebbe la serata, Aida?
- Il fatto è che non ci conosciamo.
- Io ti conosco. Da esattamente tre ore e cinquantacinque minuti. – disse guardando l’orologio da polso.
E prima che potessi fiatare sentii le sue labbra posarsi sulle mie, in un bacio lento, delicato.
- Ora sono davvero così stanca. – gli dissi.
Lui sorrise.
- E’ stato un piacere parlare con te, Aida.
- E con te, John.
Aida si diresse alla sua capanna. Pensando a John e a quel bacio. Non poteva funzionare.


John rientrò nella capanna.
- Cyn, domani vado a dormire da un’altra parte. – disse alla moglie.
Lei non lo sentì. Era già nel pieno del sonno.
John estrasse da sotto il cuscino delle cartoline.
“Guarda un nuvola in cielo e pensa a me” – Yoko.
“Quando un lampo squarcia il cielo la figlia dell’oceano ti pensa.” – Yoko.
Le rimise sotto il cuscino.
Non riusciva a prendere sonno.
Non riusciva a mettere insieme i suoi pensieri.
Non riusciva a chiudere le palpebre in pace.
Eppure era… così stanco!


Piccole note dell'autrice:
1. spero vi siate resi conto che Aida ispira John nello scrivere I'm So Tired (involontariamente e inconsapevolmente)
2. mi scuso per il fuori programma del bacio, ma non avevo in mente nient'altro a cui collegare I'm So Tired. Ad ogni modo, fate in modo che tra John e Aida non funzioni negli altri capitoli, e che diventino solo amici... non voglio fare la guastafeste (:
3. mi raccomando, scrivete della festa per il compleanno di George e dei fuochi d'artificio nei prossimi
  
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