Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    09/01/2011    9 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il riassunto, ve l'avevo promesso XD. Devo ammettere di essere in difficoltà: è successa un po' di roba ma non so come riassumerla. Vabbè, io ci provo (ma non prometto niente).
Dunque, le superiori sono iniziate nel migliore dei modi per Mikan e alla festa di Natale si sono consolidate le coppie che si dovevano stabilizzare, tra le gelosie di Natsume in particolare verso gli interessi che il Preside ha dimostrato verso Mikan. C'è stato anche il suo compleanno durante il quale ha ricevuto svariati regali, tra cui un portafotografie portentoso da Hotaru, un pupazzo carino da Natsume e da Narumi una pietra Alice.
Per Natsume, invece, l'anno è iniziato un po' meno meglio: ha dovuto partecipare a un'altra missione che l'ha turbato e per la quale è stato scelto per infiltrarsi nella Watanabe Corporation, una specie di centro del lavoro, che smista i ragazzi diplomati, a seconda delle loro attitudini, in un certo ambiente di lavoro. Natsume è costretto a diplomarsi prima per far iniziare l'operazione il più presto possibile, ma ancora i piani del Preside sono piuttosto oscuri, anche dopo la bella chiacchierata con Narumi durante la quale sperava di capire come mai stiano arrivando tutti questi bambini in Accademia.
Dovremmo esserci, più o meno XD.
E ora vi lascio alla lettura di questo nuovo capitolo.

Capitolo 18 – In cerca di casa
(Natsume)


Sentii dei rumori provenire dall'altra stanza, tesi l'orecchio, anche se non credevo possibile che Mikan potesse essere già sveglia: si era addormentata come una pera cotta – e svegliarla sarebbe stata davvero un'impresa – mentre stavamo parlando, avevo colto l'occasione e mi ero alzato.
Guardai l'orologio: avevo decisamente sforato gli orari dei patti: qualche ora in ritardo. Tornai a sentire degli strani suoni dall'altra stanza e stavolta decisi di andare a controllare, sperando che nessuno fosse venuto ad assicurarsi che avessi davvero tolto il disturbo. Sarebbe stato un problema.
Aprii la porta del bagno, e trovai Mikan a piangere disperatamente. Sospirai: speravo che non sarebbe dovuto succedere, ma a quanto pare era inevitabile. Improvvisamente, cercai qualcosa da dire e non la trovai. L'unica era improvvisare, cercare di sdrammatizzare, o quantomeno provarci.
«Ehi, non avevamo detto niente saluti... corredati di pianto?» immaginai che avrei potuto essere meno lapidario, ma lei sembrò non averci fatto minimamente caso, anzi sobbalzò, come se fosse spaventata. Improvvisamente smise di singhiozzare e mi rivolse uno sguardo sconvolto, quasi come se fosse stata sorpresa di trovarmi lì. Aspettai una spiegazione, ma lei aveva davvero la faccia di qualcuno che ha visto un fantasma o ha avuto una visione mistica. «Ehi,» sussurrai, abbracciandola. Lei ricambiò la stretta con forza, immergendo il volto nella mia camicia. La sentii sospirare di sollievo. «ehi... Mikan, che hai?» possibile che credesse...? Aspettai che rispondesse prima di costruire teorie.
Mi sfiorò il viso, mentre un debole sorriso le increspava le labbra. Mi gettò le braccia al collo e mi baciò, come se davvero non si aspettasse di vedermi. «M-mi dispiace.» la sentii biascicare, tra le lacrime. Si aggrappò ai miei vestiti, stringendosi di più a me. Avevo pensato spesso a come avrei fatto ad andarmene, al momento dei saluti, e tante altre cose, ma alla fine avevo sempre desistito, confidando nel fatto che avrei saputo cosa fare al momento opportuno. Il risultato? Zero idee. Poteva andare peggio... no, effettivamente, no. «Credevo... credevo che... fossi andato via.» continuò a singhiozzare, mentre le accarezzavo i capelli.
«Stai scherzando?!» il fastidio che mi provocò quell'affermazione era più di quanto mi fossi aspettato, nonostante avessi appena pensato che lei potesse crederlo veramente. Si allontanò un po', rivolgendomi uno sguardo di scuse.
Scossi la testa, accantonando la curiosità di sapere che razza di persona lei pensasse che fossi, e mi sedetti vicino a lei, senza dire nient'altro.
«Scusa...» mormorò lei, abbassando lo sguardo. «È che... non ti ho visto, non...» feci un gesto con la mano, come per dire che non era importante. Rimanemmo in silenzio per un po'. «E... e ora?» senz'altro la peggiore domanda in quel momento, ma anche la più ovvia. Che avrei dovuto rispondere?
Ci misi un po' prima di farlo. «E ora... beh, dovrei andare.» la diplomazia era il mio cavallo di battaglia. Gettai un'occhiata furtiva all'orologio. Lei cominciò a scuotere la testa, e vidi gli occhi che le tornavano lucidi. Non avevo idea di come risolvere la situazione, e non mi aspettavo neanche che mi avrebbe lasciato andare tranquilla come se la cosa non la riguardasse. Mi trattenne per le maniche della camicia, più per bisogno che altro, dato che la stretta non era affatto forte. «Non...» capii che non c'era modo di risolvere il problema: se fossimo rimasti a guardarci senza muoverci, non sarei mai andato via, e l'ipotesi, come più volte mi era stato gentilmente ricordato, non era contemplata. In definitiva, era uno schifo, e non c'era possibilità che potesse finire diversamente. Allontanai le sue mani e mi alzai: c'era una sola cosa da fare, per quanto potesse fare ancora più schifo, in mezzo allo schifo.
«Non... non si può...» tentò lei, guardandomi confusa mentre aprivo il borsone che avevo preparato per partire. Non ero del tutto certo di stare per fare quello che stavo per fare. L'unica certezza era che lei se la sarebbe presa a morte, ma in queste condizioni, non saremmo andati da nessuna parte, in senso letterale e figurato.
Richiusi il borsone velocemente, senza lasciare che il senso di colpa mi fermasse. La missione prima di tutto. La peggiore frase che potessero insegnarmi. «Che co...?»
«Mastica.» quasi le ordinai, dopo averle fatto mangiare una caramella. Se non ricordavo male, erano quelle che facevano addormentare all'istante, almeno stando a quello che aveva detto l'amica di Mikan. «Cos...» era sempre più confusa, ma continuava a masticare. La mandò giù, e poi alzò lo sguardo, quasi preoccupata, come se fossi impazzito o qualcosa di simile. Io le sorrisi debolmente, accarezzandole i capelli. «Mi gira la testa...» si allontanò un po' e si mise una mano sulla fronte. Abbassai lo sguardo per non incontrare il suo, non c'era bisogno di nessuna spiegazione per capire che ero stato io.
«Mi dispiace.» mi affrettai a dire, prima che perdesse i sensi. Mi avvicinai per baciarla, e un secondo più tardi era nel mondo dei sogni. Mi rassicurò molto il fatto che funzionasse davvero, o avrei potuto correre a scavarmi una bara, e sarebbe stato lo stesso se si fosse svegliata e fossi stato ancora lì.
Buttai il borsone fuori dalla porta. Nessuno scocciatore sarebbe entrato a darle fastidio, inoltre era abbastanza irritante saperla in una stanza aperta con addosso solo un lenzuolo, perciò la decisione più ovvia era stata decidere di uscire dalla finestra, dopo aver chiuso a chiave la porta.
Non mi voltai indietro a guardare, faceva molto commedia romantica, e non avevo intenzione di farmi prendere dai rimorsi per la frettolosa scelta fatta. Non era il caso, e neanche il momento adatto.

«Finalmente.» commentò Persona, vedendomi arrivare. Avevo il borsone caricato in spalla e – sperai – un'espressione considerevolmente annoiata stampata in faccia. «Credevo che sarei dovuto venire a prenderti, per portarti qui.»
Inarcai un sopracciglio, annoiato. «Come vedi,» allargai le braccia, come per mostrargli che ero lì, davvero. «non ce n'è bisogno.» ghignai. «Non credevo di mancarti così tanto da venirmi a cercare.»
Anche lui fece un sorrisetto. «Avevo il dubbio che volessi restare molto più di quanto pattuito.» il suo tono aveva qualcosa che mi piaceva poco. «A... come dire... perderti tra le grazie di quella ragazzina.»
Non risposi subito, perché altrimenti avrei potuto tirargli un pugno, e sarebbe stato controproducente: lui avrebbe avuto un gran bel livido, ma io avrei detto addio al mondo, e ancora non ci tenevo. Pensai che fosse meglio non buttare altra benzina sul fuoco, dato che non ero una persona eccessivamente riflessiva. «Beh,» incrociai le braccia al petto, scocciato. «avevi così tanta fretta e hai il tempo di metterti a chiacchierare?»
Lui rispose con un sorriso malizioso. Forse non potevo tirargli un pugno, magari un sasso, qualcosa... mi guardai intorno, ma interruppe la mia ricerca. «Su, avanti.» mi indicò la sezione delle Elementari con un cenno della testa. «Andiamo.»
«Devo porgere i miei più sentiti e sinceri saluti al Preside prima di andarmene?» non suonai ironico come volevo, e Persona inarcò un sopracciglio.
«Ti facevo più intelligente.» e non disse altro. Mi limitai a seguirlo, non è che avessi molta voglia di fare discussione con quel tizio. Il corridoio per arrivare all'ufficio del poppante non mi era mai sembrato tanto breve. Persona si mise davanti alla porta e me la indicò con un gesto del braccio. «Prego.» mi stupii leggermente: entravo senza il cagnolino? «Ti sta aspettando.»
Entrai, e mi stupii di quanto poca fosse la differenza dello studio visto alle sei – o sette, non sapevo bene – del mattino e in pieno pomeriggio. Rimaneva sempre buio e ti dava la sensazione di volerti soffocare. Proprio da lui, non c'era niente di cui stupirsi.
«Finalmente.» aveva un sorriso più o meno soddisfatto, con una nota di irritazione che gli percorreva la voce. Mi chiesi se si scambiavano le battute, lui e il suo caro amico. «Pensavo che avessi intenzione di farmi aspettare ancora a lungo.»
«Non trovavo la crema per i piedi.» risposi, sarcasticamente. «Sarebbe stato difficile sopravvivere senza.»
«Divertente.» commentò lui, senza enfasi. «Credo che mi dispiacerà non godere più del tuo fantastico senso dell'umorismo.» mi appoggiai allo schienale della sedia, dove mi ero seduto ancora prima che lui mi avesse invitato a farlo. «Adesso riassumeremo quello che già sappiamo e ti spiegherò bene cosa dovrai fare, giusto per evitare... errori.»
Mi trattenni dallo sbuffare. Quel piano da strapazzo avrei potuto benissimo recitarlo a memoria, ma perché togliergli il piacere di fargli ascoltare la sua stessa voce? Non sarebbe stato carino. «Sono tutto orecchie.» entusiasmo: meno infinito.
«Perfetto.» sorrideva in modo irritante. «Come ti ho detto, la Watanabe Corporation è un'azienda che smista i diplomati della nostra Accademia dove ci sia un posto di lavoro per loro. Tu farai richiesta per entrare a lavorare lì. Dalle informazioni che abbiamo, ci sono vari tipi di mansioni che una persona può ricoprire, non mi interessa quale ti daranno. L'importante è che questa ti permetta di mandarci informazioni utili sull'ubicazione di qualche Alice interessante che possiamo prelevare e portare in Accademia, e se questo non dovesse accadere, trova il modo di aggirare gli ostacoli. Tutto chiaro?» annuii. «Bene, questo palmare ha la connessione diretta con noi. Raccogli i dati, e trasferiscili attraverso questo. Arriveranno qui direttamente.»
Bel piano. «E se mi scoprono che faccio?» non ero 007, e se lui credeva di poter mettere in mano questa cosa a un ragazzino era fuori di testa. Ma questa non era una novità: era lo stesso pazzo che mandava i bambini a sbrigare le sue faccende.
«Magari non ti uccideranno.» i suoi occhi si fecero improvvisamente più luminosi: evidentemente, gli interessava la prospettiva. «Comunque, spero proprio che tu eviterai questo... come dire... inconveniente, sempre che a te interessi la sorte di... come si chiama? Sakura Mikan?» mi rivolse uno sguardo eloquente.
«Ho un'altra domanda.» ed era forse quella che mi interessava di più. Lui inclinò il capo da un lato, come se non riuscisse a capire. Pensai che fosse un invito a parlare. «Per quanto tempo dovrò farlo?» Lui rise, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta. «Non ho mai detto che il nostro patto avesse una scadenza.» mi fece notare. «Non ci sono limiti di tempo. Starai lì finché mi servirai, anche a costo di tenere qui per sempre la ragazza. Se questo dovesse servire.» non era esattamente questo quello che avevo immaginato. «In altre parole, fino a che non troverò un degno sostituto. E potrei anche non trovarlo mai.» immaginavo che avessero delle squadre di recupero come le aveva l'Accademia. Provai a pensarmi mentre, a ottant'anni, cercavo di saltare giù da un muro di cinque metri e mi rompevo un femore. Nella migliore delle ipotesi.
«È tutto?» volli sapere, del tutto saturo di quella conversazione.
«Sì. In ogni caso, se ci dovesse essere altro,» si alzò e feci lo stesso. Quasi non vedevo l'ora di andarmene! «ci metteremo in contatto con te.» era davvero ottima come prospettiva. «Arrivederci, allora.»
“A non tanto presto” pensai, stringendogli la mano per obbligo. Quando richiusi la porta dietro le spalle mi concessi un debole sospiro di sollievo: non avrei visto la sua brutta faccia per un bel pezzo, questo era l'unico lato positivo della cosa, e poteva anche bastarmi, in fondo.
«Allora, andiamo?» la voce di Persona interruppe il primo quasi buon momento da che ero uscito dalla stanza. «O preferisci restare lì?»
Evitai di rispondere, prima di dire qualcosa di vagamente offensivo.

Entrai in macchina dopo aver caricato il bagaglio. Era una sensazione quasi confortante pensare che era l'ultima volta che dovevo sedermi su quel sedile grigio topo. Bella limousine, certo, ma la odiavo quasi quanto odiavo Persona.
«Le richieste di lavoro si fanno al terzo piano.» mi spiegò lui, distogliendomi dal guardare il panorama. Uno spettacolo sicuramente più interessante di lui.
«So leggere e parlare.» ribattei, in un misero tentativo di troncare qualunque tipo di conversazione volesse intraprendere. Non ero mai stato un tipo loquace, nella mia vita. E, soprattutto, non lo ero di mattina presto.
«Non pensare di poterti comportare così solo perché sarai lontano dalla scuola.» disse lui, sorridendo in modo orribile. «I tuoi amici sono ancora lì...» incrociò le mani sullo stomaco. «potrebbe succedere qualunque cosa, non credi?»
Sbuffai. «Dacci un taglio.» sbottai: era sempre la solita musica. «Che stavi dicendo?»
«Da' loro questo.» mi passò una cartellina marrone, di quelle che usavamo anche durante le missioni. Supposi dover essere la mia. «Il resto, se siamo fortunati come il Preside crede, si farà da sé.» l'unica cosa che dovevo fare io era presentarmi. Per il momento, sembrava tutto semplice, anche troppo.
«Tutto qui?» domandai, sventolando debolmente quei quattro fogli. Lui semplicemente non rispose e io supposi che fosse davvero tutto lì. Buttai uno sguardo all'orologio, erano quasi le sette e mezzo. Mi chiesi se fosse possibile che fossero già tutti pronti in ufficio.
Venti minuti dopo, la macchina si fermò, inchiodando. «Siamo arrivati.» commentò Persona, senza particolare enfasi. «Coraggio, scendi.»
Obbedii, cercando il più possibile di sembrare scocciato. Mi immaginavo mentre entravo vestito come un vecchio senatore romano dicendo il mio nome con voce solenne. Scossi la testa: dovevo scoraggiare la mia immaginazione in questo senso.
«Da ora in poi la missione è nelle tue mani.» mi voltai verso Persona che aveva abbassato il finestrino. Quel sorrisetto sempre presente sulle sue labbra, come se sfottermi fosse di questo grande conforto. «Vedi di non fallire.»
«Sì, sì...» borbottai, mentre lui rialzava il finestrino e la macchina partiva per ritornare in Accademia. Mi passai le mani tra i capelli, per riordinare un attimo le idee. I punti fermi erano pochi: avevo lasciato l'Accademia, e in quel momento ero davanti allo stesso palazzo da cui era uscito quel tizio che Persona aveva ucciso qualche mese fa. Sarebbe stato semplice non ricordarsene e vivere tranquillo. Certo, com'era vero che i miei capelli erano rossi.
Quando varcai la porta di vetro, c'erano solo due persone dietro due banconi. Mi fermai un momento chiedendomi perché in venti metri quadri dovessero esserci due segretari. Ma non era una cosa importante, in effetti. La solita vecchia abitudine di osservare qualunque cosa in un posto che non conoscevo, esattamente come quando andavo in missione per l'Accademia. Beh, in effetti, anche questa lo era.
«Hai bisogno di aiuto?» mi chiese uno di loro. Non so come lo fissai, perché mi restituì uno sguardo terrorizzato. Pensavo addirittura che si sarebbe nascosto sotto il bancone. Tentai di assumere l'espressione più neutra che potevo.
«Ehm...» cominciai, indeciso su cosa dire. “Sto cercando un lavoro” era forse la soluzione migliore, ma non avevo intenzione di mettermi a fare conversazione. «Terzo piano, giusto?» lui mi rivolse un debole cenno della testa: probabilmente pensava che mi sarei messo a sputare fuoco come un drago.
Corrugai la fronte. «Grazie.» dissi, poi, poco convinto e con sottile ironia. Lui rispose con un sorriso tirato: okay, non ero un vecchio senatore romano, ero decisamente un drago sputafuoco. Un inizio decisamente promettente, non c'era che dire.
Optai per l'ascensore, e quando arrivai al terzo piano, mi ritrovai sommerso in un mare di gente, che probabilmente era andato a fare la stessa identica cosa per cui anch'io ero lì. Era un'enorme stanza con le pareti bianche e qualche sedia blu appoggiata al muro: più che un centro del lavoro sembrava un ospedale. Nessuna faccia conosciuta, per fortuna.
Mi misi in coda per prendere il numerino, mi sentivo tanto un tizio che va a comprare del prosciutto. La ragazza che li distribuiva mi fece un sorriso, io risposi solo con un cenno della testa, sperando di non aver spaventato anche lei, ma non diede segno di aver notato niente di strano: o avevo raggiunto lo scopo oppure era abituata a vedere gente scontrosa alle otto del mattino.
«Ciao!» mi disse un'altra ragazza, non appena mi sedetti vicino a lei. Non avevo avuto neanche il tempo di accorgermi che ci fosse qualcuno in quel posto, che subito lei aveva iniziato a parlare.
«Ciao.» sperai che il mio tono fosse abbastanza eloquente e la inducesse a lasciar perdere, ma a quanto pare non ero stato abbastanza persuasivo.
«Mi chiamo Kurumizawa Yuuko. Mi sono diplomata alla Alice Academy quest'anno, e tu?» appoggiai la testa al muro, cercando di non far uscire quel sospiro sconsolato che cercavo di bloccare da quando mi ero svegliato. Una risposta del tipo “io no” avrebbe di sicuro troncato la discussione, ma non era il modo migliore di iniziare le mie relazioni lavorative. Sempre ammesso che avessi dovuto averne.
Potevo fare di meglio. «Hyuuga Natsume.» risposi, voltando la testa verso di lei. Lei mi rivolse un sorriso quasi compiaciuto. «Mi sono diplomato...ehm... ieri?»
Ci fu un attimo di silenzio. «Davvero?» mi chiese, non seppi se con disgusto, sorpresa, o entrambi. Io annuii. «Oh...» mormorò poi, sorpresa. «Sei uno di quelli che si diplomano in anticipo...» a quanto pare ero l'unico a non essere al corrente di una cosa del genere, prima che mi fosse stato chiesto.
«Già...» risposi intrecciando le mani sullo stomaco. Non mi sembrava possibile che fino a un'ora prima ero ancora in Accademia; sembrava quasi che avessi preso il razzo e non la macchina per arrivare fin lì. «Beh, meglio così.» commentò lei, facendomi inarcare un sopracciglio. «In fondo prima si esce da quel posto, meglio è. Il mio fratellino è stato “reclutato” nella classe di Abilità Pericolose. Neanche sapevo che esistesse una cosa del genere dentro l'Accademia,» non mi stupiva affatto: non che non si sapesse, ma di solito era semplicemente considerata una classe di abilità come le altre. «dovevo andarlo a trovare tutte le settimane in ospedale. Se lo portavano sempre in missione, ma ha sempre avuto un fisico debole, e il suo Alice è uno di quelli che più lo usi, più rischi la vita.»
«E sei qui per... lavorare con loro?» domandai, accennando con la testa agli operatori dietro alle scrivanie che raccoglievano i numeri e i nominativi. Lei annuì. «Per salvare tuo fratello?»
Lei rise, tristemente. «Non c'è più niente da salvare, purtroppo.» distolse lo sguardo, puntandolo insistentemente contro la finestra. «Non ce l'ha fatta.»
Chissà perché non mi sembrò strano per niente. «Mi dispiace.» dissi. Non ricordavo assolutamente un bambino con quel cognome, ma neanche questa era una cosa strana, difficilmente mi concentravo sui membri della mia classe di abilità.
«È successo molto tempo fa.» continuò lei, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Dieci anni.» pensai che ero arrivato io in quel periodo, quindi forse non l'avevo mai conosciuto. «E tu,» mi chiese dopo essersi soffiata il naso. «perché sei qui?»
«Io ero nella classe di Abilità Pericolose.» spiegai, sbuffando. Era una mezza verità, dopo essermi diplomato, ovviamente percorrendo il normale corso di studi sarei finito lì comunque. «Avrei voluto prendere a calci il Preside quando me ne sono andato ma non potevo.»
«Perché no?» volle sapere lei, corrugando la fronte.
Si vedeva che non sapeva granché su di loro. «Ho delle persone a cui tengo a scuola.» precisai, guardando il tetto, cosparso di luci al neon. «Mi hanno elegantemente fatto capire che se al primo passo falso sarebbe successo loro qualcosa. Preferivo di no.»
Non sapevo bene perché le stavo dicendo tutte quelle cose, in fondo nemmeno la conoscevo e non amavo particolarmente parlare dei fatti miei. Fatto sta che lo stessi facendo.
«Capisco...» disse lei, prima che una voce la facesse sobbalzare. «Scusa, mi hanno chiamato. Beh, se ci accettano, ci vediamo!» mi sorrise, assottigliando gli occhi azzurri, ma se avessi dovuto giurare di averli visti scuri, la prima volta che l'avevo guardata, l'avrei fatto.

Quando arrivò il mio turno, che fu qualcosa come due ore dopo, avevo ascoltato i problemi esistenziali di almeno una dozzina di persone. Non ho mai capito il motivo per cui erano tutti venuti da me. Chi a poco più di vent'anni aveva avuto un figlio, chi non sapeva cosa fare, chi aveva cari all'ospedale, chi non sapeva dove andare. Quest'ultimo mi fece particolarmente riflettere: io non avevo uno straccio di posto dove stare. Appena fossi uscito di lì, mi appuntai mentalmente che avrei dovuto provvedere a procurarmene uno, anche se non sapevo in che modo. Scrollai le spalle: ci avrei pensato in un secondo momento.
«Salve,» mi salutò la ragazza dietro il bancone. Io risposi con un cenno della testa e lei prese alcuni fogli. «dunque...»
«Haruko!» la interruppe un'altra, scendendo dalle scale alla nostra sinistra. «Haruko!» rischiò di investire circa venti persone durante il tragitto per arrivare proprio da noi. Si appoggiò al bancone prendendo un bel respiro, come se avesse corso per chilometri. «Haruko, il capo vuole vederti per via di quella questione. Pare ci sia bisogno di te, di sopra.»
«Ma...» tentò di protestare lei, quasi scioccata. «devo finire qui... mi ha specificatamente detto di non muovermi di nuovo o...»
«Oh, non ti preoccupare.» le rispose l'altra, prendendole i fogli dalle mani. Io mi limitavo a fissarle, sconcertato. «Finisco io qui, è tanto che non facevo un turno qui al terzo piano, sarà divertente. Tu va' pure.» poi si voltò verso di me, con un sorriso smagliante comparso dal nulla. «Ciao, io sono Mitsuki. Harada Mitsuki!» mi porse la mano e io la strinsi.
«Hyuuga Natsume.» mi presentai. Lei annuì, tornando a fissare i fogli di cui si era appropriata.
«Bene, allora. Hai il tuo curriculum?» mi guardò, in attesa. Pensai che il curriculum di cui neanche sapevo l'esistenza fossero quelle quattro carte che Persona mi aveva dato in macchina. Gliele passai, ricordandomi di ciò che aveva detto. «Oh, fantastico. Alice del fuoco, mmm...» si mise una mano sotto il mento, pensierosa. «carriera scolastica interessante!» mi gettò un'occhiata, come se non ci credesse davvero. Corrugò la fronte, tornando alla pagina dei miei dati personali. Forse il momento di spalancare porte con l'interminabile potere del mio nome era arrivato. Lei borbottò qualcosa che io non riuscii a capire. «Avevi qualche...» distolse lo sguardo dai fogli in un tempo molto più lungo del normale. «qualche idea?»
«Mi chiedevo se...» avrei tanto voluto sapere che cos'avrei fatto se non fossero stati in cerca di personale. «potevo... ehm... lavorare qui.»
Lei sollevò entrambe le sopracciglia, come se questo non fosse niente di meglio di quanto si aspettasse. «Oh, beh...» cominciò, appoggiando il mio curriculum al banco. «abbiamo sempre bisogno di personale, ora devo... inoltrare la richiesta al mio capo. Ehm...» si guardò intorno, in cerca di una penna. «puoi lasciarmi un indirizzo, o un numero di telefono, sai per contattarti in caso tu dovessi essere accettato.» l'unica cosa che avevo e che somigliava a un telefono era quell'attrezzo che mi aveva dato il Preside. Ma ignoravo totalmente quale fosse il numero. Bel problema.
«Non ho... niente del genere.»
Il suo entusiasmo sembrò svanire in un colpo solo. «Ah.» tossicchiò, grattandosi la nuca. «Okay, facciamo così. Appena esci dall'ascensore se ti giri a destra e guardi sulla bacheca alla parete trovi un sacco di annunci per persone che affittano case per studenti. Magari c'è qualcosa che va bene anche per te. Quando ti sei trasferito, torna qui a depositare l'indirizzo, in ogni caso. Non si sa mai quali sono i casi della vita.» mi strizzò l'occhio, come se questo avesse dovuto dirmi qualcosa. Io annuii, cercando di sembrare il più convinto possibile. «Qui non c'è da fare molto di più.» chiuse il fascicolo. Io annuii.
«Arrivederci.» dissi, non sapendo bene che altro dire.
Le mi rispose con l'ennesimo sorriso. «Arrivederci!» trillò, e la sentì scusarsi con il tizio dietro di me, perché doveva portare su il mio curriculum. Corrugai la fronte: che il Preside avesse visto giusto?

Appena uscii dall'ascensore, feci esattamente come mi era stato detto. Sulla parete c'era una bacheca verde con un sacco di annunci. Sospirai: mi sarebbe servito un bel po' di tempo, prima di riuscire a leggerli tutti. Dovetti scartare i primi tredici: erano annunci per ragazze non fumatrici e chissà che altro. Ne trovai un paio adatti a me, anche se l'ultimo era alquanto... strano. Insomma, non avevo molta esperienza in quel campo ma quello era davvero diverso da tutti gli altri. Presi una copia di ognuno e solo allora mi accorsi cosa c'era davvero di strano nell'ultimo annuncio.
Cercavano un ragazzo serio e responsabile a cui piacesse l'acqua. Mi trovai in difficoltà su questo punto: che cavolo significava? Lo misi in fondo agli altri, lasciandolo come ultima alternativa. Sperai che se avessi dovuto prendere in considerazione quella proposta, non fossero dei salutisti. O almeno, che non cercassero di coinvolgermi.
Bussai alla prima porta, dopo aver fatto un bel po' di strada ed essermi perso un paio di volte. L'unica cosa che mi aveva lasciato del tutto scioccato durante il tragitto era stato un vecchio a cui avevo chiesto informazioni che mi aveva raccontato la storia di sua nipote, costretta a fare la prostituta. Lo avevo ringraziato ed ero andato via, mentre aveva cominciato a raccontarmi i fatti di alcuni suoi clienti che avevano problemi con le mogli. Mi concessi un sospiro di sollievo, appena voltato l'angolo, accorgendomi di essere arrivato a destinazione.
Mi venne ad aprire un altro signore anziano, sperai senza problemi di nipoti. Mi guardò come se fossi stato una specie di apparizione divina. Si spostò da una parte e mi fece cenno di entrare senza dire una parola. Seduta sul divano c'era una donna che supposi essere sua moglie, teneva le mani giunte in grembo e sembrava che stesse attendendo qualcosa, un qualcosa che probabilmente ero io, anche se non mi spiegavo come potessero farlo, dato che non avevo neanche telefonato.
«Cara,» disse l'uomo, emozionato. «È arrivato!»
Anche i suoi occhi si illuminarono, e un sorriso le nacque sulle labbra. Aggrottai la fronte: c'era assolutamente qualcosa che non andava, dal momento che la casa era immersa nel buio fatta eccezione per tre candele, tre macabre candele posizionate davanti ad una foto che non riuscivo a vedere.
L'istinto mi disse di svignarmela, ma l'uomo mi invitò a sedermi nel divanetto di fronte a quello su cui sedevano loro.
In effetti, sarebbe stato scortese scappare a gambe levate mentre quei due mi guardavano con così tanta aspettativa, inoltre pensavo che non sarebbe successo niente di male se fossi stato ad ascoltare quello che avevano da dire. Non sembravano due cattive persone.
«Siamo contenti che tu abbia letto il nostro annuncio.» fu lei a parlare, e la sua voce mi mise i brividi. Scossi la testa: dovevo assolutamente darmi una calmata. «Molti ragazzi sono venuti prima, ma... sono tutti scappati via.» tirò su col naso, come se la cosa la rendesse molto triste. Non riuscii a capire il motivo per cui qualcuno avrebbe desiderato restare, ma io non avevo di questi problemi. Di sicuro ero stato in posti peggiori, qualunque strano problema emozionale quei due avessero. L'unico problema si sarebbe presentato se avessero voluto strangolarmi nel sonno, ma evitai di approfondire quel pensiero, altrimenti sarei sconfinato nella paranoia.
«Già!» aggiunse suo marito, circondandole le spalle con un braccio, forse nel tentativo di consolarla. Deglutii, immaginandomi alla loro età seduto sullo stesso divano, a fare lo stesso discorso. Scossi la testa: quel giorno la mia immaginazione aveva deciso di giocarmi dei brutti tiri. «Nessuno di loro ha voluto ascoltare la nostra storia...»
Mi massaggiai una tempia, innervosendomi: non è che avevano ideato una specie di storia di fantasmi per rendere la convivenza più avventurosa per i giovani – o qualcosa del genere – in modo tale da spingere qualcuno ad accettare, sprezzante del pericolo? «Quale storia?» lo incitai, immaginando che fosse la domanda che si aspettava che facessi.
«Sai, caro...» fu la donna a riprendere la parola. Sembrava che avessero deciso di parlare a turno. «c'è una credenza popolare secondo cui l'anima di un defunto, se i suoi cari non sono disposti a lasciarlo andare, non va nell'aldilà.» fece una breve pausa, in cui suo marito le strinse la mano. «Non va all'aldilà, quindi... si incarna in uno di quelli che noi chiamiamo spiriti affini. Sono esseri umani vivi le cui caratteristiche sono simili a quelle del defunto. Da quel momento le due anime condividono lo stesso corpo.» ammutolii. «Ed è questo che noi stiamo cercando!»
«Ehm...» cominciai, senza capire. «State cercando... cosa
«Uno spirito affine al nostro defunto figlio che voglia finalmente tornare a casa!» mi alzai, in fretta: ora sì che avevo ben chiaro il motivo per cui tutti quanti erano scappati. Lo stavo per fare anch'io.
«Scusate il disturbo.» dissi, infatti. «Arrivederci.»
Uscii di tutta fretta. Appena fui convinto di essere lontano abbastanza, accartocciai il loro annuncio e lo buttai nel cestino più vicino, augurando al prossimo sfortunato di fuggire molto prima di sentire quella storia. Io non potevo rimpiazzare il figlio di nessuno, questo era tutto: c'era un che di macabro in tutta quella faccenda, a cominciare dall'altarino con la foto di quello che ero certo essere il figlio defunto. Sicuramente non sapevo cosa significasse perdere il proprio figlio, ma lo trovavo esagerato.
L'annuncio successivo fu un buco nell'acqua: la stanza era già stata affittata e non c'era più spazio per nessuno. Quando bussai alla porta, uno degli occupanti mi chiese che ci facessi lì.
«Oh, mi spiace...» si scusò, dopo che gli spiegai la situazione. «Credevo di averli tolti dalla circolazione tutti questi annunci. Abbiamo già affittato la camera...» avrei volentieri bruciacchiato qualcosa, ma pensai che fosse meglio contenersi. Avevo avuto esperienze abbastanza significative riguardo l'uso dell'Alice fuori dalla scuola, e non avevo intenzione di creare nessun tipo di incidente, o qualunque altra cosa.
Il terreno su cui era costruita la casa del terzo annuncio era stato comprato, la casa demolita e, al suo posto, avevano costruito un supermercato. In conclusione, l'unica scelta papabile, era quella dei salutisti amanti dell'acqua. Non solo, era anche dalla parte opposta della città, rispetto a quella in cui mi trovavo io. Sospirai: dovevo prendere in seria considerazione l'idea di fare un abbonamento per i mezzi pubblici.
Salii le scale che conducevano alla porta. L'appartamento aveva un piano solo, a giudicare da quello che vedevo. Mi decisi a bussare, sperando, contro ogni aspettativa che avessero ancora il posto libero.
«Sì?» un ragazzo aprì la porta e si guardò intorno, evitando di soffermarsi su di me. Mi schiarii la voce, giusto per farmi notare. «Oh!» e fu davvero come se non mi avesse visto prima. Quello che riuscii a pensare fu: cominciamo bene. «Chi sei?»
«Sono venuto per l'annuncio...» cominciai, lui mi fece un gesto con la mano, come se dovesse scacciare una mosca fastidiosa.
«Senti, se vuoi vendermi qualcosa, non girarci tanto intorno.» disse, svogliato. Presi fiato: dopo aver camminato per tutta la città e aver incontrato la gente più strana di tutto il globo, non avevo assolutamente voglia di mettermi a discutere con un tizio che sembrava del tutto fuori di testa.
«Questo annuncio.» specificai, quasi con rabbia. Lui indietreggiò di un passo.
«Okay, amico, calmati. Scherzavo!» mi chiesi se avessi dovuto picchiarlo, perché la tentazione era abbastanza forte. «Su, dai, entra.» mi fece un cenno con la testa e io lo seguii, trascinandomi dietro il borsone, che mi aveva seguito in tutte le mie disavventure. «Ragazzi, abbiamo trovato il coinquilino.»
Altre due teste sbucarono fuori dalla cucina. Avevano in mano dei palloncini pieni d'acqua, e cominciai a farmi delle raccomandazioni mentali sui successivi annunci. «Ciao!» salutarono in coro, alzando la mano libera.
«Ciao.» risposi diffidente. Loro sorrisero, e uno dei due diede una gomitata al ragazzo che mi aveva aperto.
«Sembra un tipo simpatico!» gli altri due annuirono.
«Siamo d'accordo, allora!» disse il terzo, buttando il palloncino in un angolo, questo scoppiò, lasciando una grossa pozza d'acqua sulla moquette. «Sarai il nostro nuovo coinquilino.»
Aggrottai la fronte: io non avevo ancora detto di sì, anche se le possibilità erano davvero poche. «Ehm... ecco...» tentai, confuso.
«Ah, giusto. Che scemo, neanche ti abbiamo chiesto come ti chiami.»
«Hyuuga Natsume.»
«Perfetto, Nat, vieni ti mostro la tua stanza!» notai con apprensione che anche a loro piaceva vivere al buio, quando ne chiesi il motivo, la risposta che ricevetti fu abbastanza allarmante. «Abbiamo smesso di pagare la luce. Tanto a che ci serviva? Nessuno di noi guardava la televisione.» decisi di non fare più domande. Il lato positivo era che la stanza era piuttosto grande e il prezzo piuttosto basso, anche se lo stato della compagnia era piuttosto preoccupante.
«A proposito,» fu di nuovo il tizio che mi aveva aperto a parlare. «Io sono Shiratori Ryoutarou, piacere di conoscerti. Loro sono Yamamoto Eichi,» e mi indicò quello dei due che aveva buttato via il palloncino. «e Chiaki Masao.»
«Piacere!» di nuovo in coro, mentre facevano qualcosa che non riuscivo a capire. Erano accovacciati a terra e confabulavano, ma a voce troppo bassa perché potessi capire.
«Ci conosciamo dai tempi delle elementari.» raccontò ancora Kintarou. Io annuii, buttando a terra il borsone, vicino al letto. La posizione era alquanto scomoda, dato che era sotto la finestra e non c'era né una tenda o la serranda. Forse avevano abolite anche quelle per fare economia. «Di solito, alle otto di sera la vecchietta del piano di sotto ci porta la cena. A proposito, se vuoi cucinarti qualcosa, beh... è meglio se vai da lei, perché anche la bolletta del gas è una cosa che abbiamo abolito. Spero che le docce fredde non siano un problema.» mi diede una pacca sulla spalla e uscì. «Fa' quello che devi fare e poi raggiungici, se ti va.»
«Okay...» risposi, ma non mi sentivo per niente tranquillo.
Quando uscii dal bagno capii perché: nessuno di quei tre era a posto. Mi ritrovai davanti un palloncino rosso con disegnate sopra due ics al posto degli occhi e la bocca con la lingua che sporgeva, come se si fosse impiccata. Mi chiesi se volessero spaventarmi o se fossero semplicemente scemi.
C'era un puntaspilli sul mobile proprio lì vicino, ed era una tentazione davvero troppo grande, qualunque delle due ipotesi fosse quella giusta. Ne presi uno e bucai il palloncino. Dopodiché sentii un grido, come se qualcuno si stesse facendo squartare. Feci qualche passo, evitando di pestare l'acqua che era caduta a terra, e trovai quello che mi pareva fosse Masao con espressione dolorante e avvilita. «Sei pazzo?» mi chiese alzandosi e puntando un dito contro di me. «Quello era... quello era...» sporse il labbro inferiore e si appoggiò contro il muro, battendo un pugno su di esso. «il mio palloncino!»
«Che è successo al piccolo Heiji?» venne Eichi, di corsa, con un'espressione preoccupata sul viso. «Dov'è il nostro piccolino?»
Gli indicai il relitto del palloncino, che a quanto pareva era il loro piccolo qualcosa. Ora quei due vecchi che avevo incontrato a inizio giornata, non mi sembravano più tanto strani, e la loro proposta non mi sembrava più così male. Eichi mi guardò costernato.
«Che c'è?» domandai, reprimendo l'impulso di chiudermi in camera o di farmi ricoverare in un manicomio.
«Era il nostro piccolo Heiji!» gridò, e mi scosse per le spalle. Sapevo che era irrazionale cercare una spiegazione in tutto quello, ma non riuscivo a capire perché tutta quella storia per un palloncino uguale a quello che lui stesso aveva gettato in un angolo senza riguardo poco prima. E anche se non l'avesse fatto, insomma... era uno stupido palloncino uguale a milioni di altri.
«Era il nostro piccolino...» singhiozzò Masao. «l'abbiamo messo lì perché volevamo solo che anche lui ti desse il benvenuto come nostro nuovo amico...» nascose il volto tra la mano e il muro. «e tu l'hai ucciso!»
Sospirai: avevo passato molto tempo con Miyako che aveva otto anni, ma giuravo di non sapere come comportarmi in una situazione del genere. Probabilmente aveva ragione Mikan quando, ogni tanto, diceva che non avevo rispetto per i sentimenti altrui. «Posso sempre gonfiarne un altro.» in fondo poteva essere la soluzione.
Vidi Masao sgranare gli occhi e voltarsi verso Eichi, come se la mia proposta fosse stata quella di uccidere la signora del piano di sotto e mangiarla per cena. «L'hai sentito, Eichi?» gli domandò, puntando un dito contro di me, di nuovo. «L'hai sentito anche tu, vero?» l'altro annuì, solenne. Masao assottigliò gli occhi e si avvicinò a me. «Come puoi pensare, come puoi solo.... immaginare che uno stupido, comune palloncino possa rimpiazzare il mio piccolo Heiji?» fece una pausa. «Eh?»
«Insomma ragazzi perché state gridando?» intervenne Ryoutarou, uscendo dalla propria stanza. Calciò i resti di Heiji verso il battiscopa e si avvicinò a noi.
«Niente.» assicurò Masao, scrollando le spalle. «Solo uno scherzetto.» mi diede una pacca sulla spalla e tutti e tre si diressero in cucina, lasciandomi fermo come un idiota in mezzo al corridoio, del tutto scioccato. Forse aveva davvero ragione chiunque mi avesse detto che non avevo senso dell'umorismo, perché davvero non capivo. L'unica cosa certa era che adesso avevo un indirizzo da dare alla Watanabe, ed era il caso che ci andassi, prima che cambiassi idea, oppure casa.

Mi svegliai alle tre di notte con la testa che pulsava per il dolore. Mi alzai per andare a vedere se in cucina c'era qualcosa che potesse aiutarmi a farlo passare, senza svegliare qualcuno di quei tre. Primo perché non mi pareva il caso di sentirli chiacchierare a quell'ora di notte e poi perché se qualcuno avesse osato svegliare me, mi sarebbero saltati abbastanza i nervi. Quando uscii dalla stanza, però, sentii delle voci e degli strani rumori. Pregai perché fossero ladri e non loro tre svegli.
«Dai, ora tocca a te!» sentii dire a Masao. «Dai, che Ryoutarou ci ha messo un secolo per trovare questi costumi!» costumi? Sperai che non volessero giocarmi qualche altro brutto tiro, magari vestiti da polli. Era più di quanto potessi sopportare a quell'ora indegna.
«Ma perché prima io? E se poi è fredda?» chiese Eichi, contrariato. Mi appoggiai allo stipite della porta che dava sulla piccola sala e li vidi appollaiati sul mobile che avrebbe dovuto ospitare la televisione. Quando ero arrivato non avevo capito perché fosse vuoto, ora ne avevo una vaga idea.
«È fredda per forza, genio! L'acqua calda non l'abbiamo da quando abbiamo smesso di pagare il gas!» non riuscivo bene a vedere che stessero combinando da dove mi trovavo perché uno dei due divani mi copriva la visuale di quel che c'era a terra.
«E va bene.... oh! Kaname! Eccoti qui, perché te ne stai lì fermo? Unisciti a noi!» mi fece cenno con il braccio di avvicinarmi e allora capii che con “Kaname” si stava riferendo a me. «Sono certo che possiamo trovare un costume anche per te.» e, finalmente, capii: non erano costumi di carnevale o chissà che altro, erano costumi da bagno. Stavano cercando di tuffarsi in una piscina per bambini e anche da quell'altezza ridicola, se si fossero tuffati come da un trampolino, ad andargli bene, si sarebbero rotti il naso.
«Credo che... stavolta... passerò.» dissi, arretrando verso la porta della cucina.
Sentii mugolare Ryoutarou. «Forse non è così divertente come pensavamo...» borbottò. Trovai le pasticche per il mal di testa e tornai a dormire, cercando di non fare caso a quello che avevo appena visto.

La mattina dopo, durante l'ora di colazione, composta da latte freddo e biscotti, sentimmo bussare alla porta, appunto perché il campanello non funzionava.
«Ehi,» Eichi mi diede una gomitata, col risultato che il biscotto che tenevo in mano cadde nel latte. Mi limitai a guardarlo, truce. «scusa, amico, ma è l'ultimo arrivato l'addetto alla porta!»
Mi alzai e mi diressi alla porta, maledissi chiunque avesse avuto la malaugurata idea di venire a bussare alle nove di mattina. Mi ritrovai davanti la stessa ragazza con cui avevo parlato il giorno prima «Natsume-kun,» mi salutò, gioviale. «il mio capo vorrebbe vederti.»
Prima che potessi rispondere ero già stato sommerso da quei tre e spinto verso il muro. «Cavolo,» commentò Ryoutarou, molleggiando sulle gambe. «salve bellezza, cercavi me?»
«Certo che no, idiota!» ribatté Masao, passandosi una mano tra i capelli per poi farle il baciamano. «Lei cercava me.»
«Come no!» fu il turno di Eichi di parlare. Si appoggiò allo stipite della porta schioccando la lingua. «È me che cerchi, vero, tesoro?»
Il sorriso della ragazza si incrinò un po', ma non scomparve. «Mi dispiace deludervi, ragazzi...» disse lei, mettendo le mani avanti. «cercavo lui.» mi prese per la maglietta e mi trascinò fuori. Mi voltai indietro e vidi che tutti e tre mi guardavano con espressione sconcertata. L'unica cosa a cui pensavo io era che stavo andando a conoscere il mio nuovo capo.

*****

Allora! Eccoci qui: volevo pubblicare oggi, nonostante il capitolo sia pronto da una buona settimana, perché sono i miei 18 anni e volevo fare qualcosa di straordinario (in effetti la pubblicazione è un evento straordinario, sono mesi che non pubblico questa storia XD. Non è un miraggio!).
Per quanto riguarda il prossimo ce l'ho quasi tutto, mi mancano delle piccole – okay, forse non tanto piccole – parti, ma non c'è niente di cui preoccuparsi, non dovrebbe essere così complicato scriverle, anche se ho bisogno di un bel colpo di genio per una scena in particolare. Ma mi verrà in mente, sono sulla buona strada!
Spero che questo capitolo abbia fatto il suo lavoro, insomma... per quanto riguarda gli ultimi eravamo piuttosto sulla modalità “depressione blu”. Spero di aver risollevato un po' il tono, ai lettori l'ardua sentenza!
Ora passo direttamente ai ringraziamenti. Non ci capisco più un tubo perché mi ritrovo a oscillare tra i 33 e i 34 preferiti e non capisco chi va e chi viene, quindi mi sono limitata a copiare le liste per non fare confusione, anche perché coi cambi di nick è diventato tutto più difficile XD

Pertanto, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. AkA GirL
2. Anime xx
3. Annie Roxane Jackson
4. bennycullen
5. Butterfly_Dream
6. Deni Coccy Boh
7. EkoChan
8. Erica97
9. fedee_s2
10. forzaN
11. HimeRein
12. Kiuxy
13. lauretta 96
14. Luine
15. Manila
16. marzy93
17. mikamey
18. MooN_LiE_
19. rinxse
20. rizzila93
21. Rubis HD
22. sakurina_the_best
23. Seleliu
24. SEXY__CHiC
25. Spuffy93
26. stella93mer
27. Thedarkgirl96
28. twilighttina
29. valuzza92
30. Veronica91
31. XIUKY88
32. Yumi_chan
33. _evy89_

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. AkA GirL
2. aliasNLH
3. angteen
4. HimeRein
5. Mei91
6. sakura2611
7. Thedarkgirl96

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. AkA GirL
2. ChibiRoby
3. DaMnEdQuEeN
4. Deni Coccy Boh
5. dolce_luna
6. EdelSky
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9. grifoncina93
10. HimeRein
11. laurA_
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13. MatsuriGil
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16. Miki89
17. miricullen
18. naruhina 7
19. punk92
20. Rubis HD
21. sailorm
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23. shinigamina_love
24. Spuffy93
25. tate89
26. Thedarkgirl96
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28. _Dana_
29. _evy89_
30. _Haruka_

  
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