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Autore: Irina_89    09/01/2011    6 recensioni
“Ecco, lo vedi?” fece Simone.
“Cosa?” rispose brusca lei. Non era sua intenzione rivolgersi a Simone con quel tono, ma non sopportava che lei la trattasse così.
“Hai bisogno di riposarti.”
“No, ho solo bisogno di stendermi.” Replicò la rossa.
“E non è la stessa cosa?” alzò un sopracciglio la donna.
“No.” rispose decisa Inge. “Non è la stessa cosa.”
“Inge,” roteò gli occhi. “Perché non metti da parte la tua testardaggine e lasci che ti si aiuti?” il suo tono era leggermente più irritato.
“Perché non ne ho bisogno!” insistette lei, muovendo le mani scocciata.
“Scommetto che non l’hai ancora detto a nessuno.” Disse improvvisamente, senza, però, cambiare il contesto del discorso.
“E allora?” si stava arrabbiando. Le faceva sempre questo effetto stare con Simone a parlare di queste cose. Anche due settimane fa, quando venne per stare un po’ con Alex, le fece una paternale del genere ed Inge si dovette controllare per evitare di tirarle qualcosa addosso. Non che fosse insopportabile, anzi! Simone era una delle persone più belle al mondo. Disponibile, sempre carina… Insomma, era fantastica, ma quando entrava in questo argomento – e il più delle volte anche senza entrarci, bastavano i suoi occhi saccenti ed eloquenti in un qualunque momento della giornata – la ragazza si sentiva messa alle strette, come se non avesse altra scelta che fare come voleva lei.
[Sequel di Just A Kid]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Superwoman

Superwoman

Inge era ancora a letto, inerme. Erano giorni che non parlava a Tom di come si sentiva. Certo, era quasi una prassi non parlarsi quando erano arrabbiati, ma questa volta non era una cazzata. Questa volta non avevano litigato per una qualsiasi minchiata come decidere di mandare Alex all’asilo, oppure discutere sul fatto che Tom non dava il minimo aiuto in casa nemmeno a chiederglielo, e nemmeno qualcosa riguardo il non buttare le sue mutande sporche sul bordo della vasca invece che nella cesta dei panni sudici. Al confronto, quelle sì che erano vere e proprie cazzate, quasi Inge trovò da ridere sul come avessero potuto litigare per certe cose.

I ragazzi quel giorno erano andati agli studi dopo che Georg e Gustav erano andati a prenderli. David doveva parlare loro di un futuro piccolo tour per la Germania, o almeno così aveva detto Georg, che sembrava aver parlato con Jost proprio la sera prima e si era preso l’incarico di radunare tutti gli altri. Inge aveva ascoltato tutto dalla sala mentre giocava con Alex con le costruzioni, non aveva voluto seguirli nello studio per pura testardaggine, ma Bill ebbe l’accortezza di tenere la porta della stanza aperta, in modo da rendere indirettamente partecipe anche lei.

Quella mattina, infatti, Tom nemmeno si era fatto vivo nella sua vecchia camera, dove lei era tornata a dormire per la seconda volta in quel mese. Solo Bill aveva fatto capolino, avvisandola che avrebbero portato Alex all’asilo e poi sarebbero andati allo studio. Lei lo aveva ringraziato e si era alzata per lasciare un grosso bacio ad Alex, per poi scarruffandogli i capelli e salutarlo. Poi si era rimessa a letto, le coperte tirate fin sul naso, gli occhi chiusi e le mani intorno alla pancia. Non sentiva niente, era troppo presto per sentire la presenza di quei due esserini dentro di sé, ma sapeva che loro erano lì. Sorrise e si appallottolò su se stessa, come per abbracciarli, sussurrando domande a cui non arrivavano risposte.

“Cosa dovrei fare? È veramente finita? Perché non riusciamo nemmeno più a parlare?”

E suonò il campanello. Inge non si mosse, non aveva voglia di alzarsi, era in una di quelle fasi di depressione acuta che le impediva ogni movimento se non quello legato al pianto, ma il suono elettrico del campanello era così insistente da trasformare quella depressione in irritazione, costringendola a scoprirsi e scendere a piedi scalzi al piano terra. Ci avrebbe scommesso: era uno dei ragazzi che si era dimenticato qualcosa. Ma perché diavolo non si portavano dietro le chiavi? Lei sarebbe potuta andare anche al lavoro! Peccato solo che Sophie l’aveva costretta a starsene a casa dopo aver preso il suo posto “perché faresti meglio a riposarti”, aveva detto. L’aveva riferito a Bill e di certo lui l’aveva ripetuto anche agli altri.

Troppo facile avermi in casa, eh?

Non guardò nemmeno lo schermo del citofono, troppo sicura di chi si sarebbe trovata davanti, pronta a urlargli il suo disappunto. Ma contrariamente alle sue aspettative, non c’era nessun Bill irresponsabile davanti al cancello, né – fortunatamente – nessun Tom indifferente. C’era solo Simone, armata di due grosse valigie e un sorriso smagliante, che Inge avrebbe anche definito trionfante. Forse l’unica cosa che poteva mancarle era un mantello rosso svolazzante e una S si Superwoman cucita sul petto della giacca che indossava, perché la sua visione ebbe un effetto rassicurante per Inge, quasi come se inconsciamente lei la stesse aspettando.

“Simone!” le aprì subito il cancello e fece per andarle incontro e prenderle le borse.

“No, guai a te se provi a toccare qualcosa per aiutarmi. Primo perché non mi sembra di avere ancora raggiunto l’età che mi impedisca di fare da me, e secondo perché se ti azzardi a stancarti ti lego al letto, chiaro?”

Inge sorrise per la prima volta da giorni, un sorriso riconoscente e caloroso. Accompagnò la donna nella sala le offrì subito qualcosa. “Un bicchiere d’acqua, un po’ di biscotti… Insomma, vuoi qualcosa?”

“No, sono a posto così.” Le sorrise lei, stiracchiandosi. “Sai, in treno l’unica cosa che non sopporto sono i sedili troppo rigidi, per il resto sono organizzatissima.”

“Ma… Perché sei qua?” chiese Inge, sedendosi sul divano, seguita da lei.

“Tesoro, mica potevo rimanere a casa dopo quello che mi ha detto Bill!” esclamò con tono ovvio, mentre si toglieva il cappotto. “Immagino che tu non gradisca troppo la mia visita, so che sei abbastanza testarda da credere di poter affrontare questa situazione da sola, ma credimi, tutte le donne in questo periodo della loro vita hanno bisogno di una mano, che sia quella del compagno, che della suocera. E tu non fai davvero eccezione.”

“Oh, Simone, ma non dovevi, davvero. Avevo detto che ti avrei chiamato io se ci sarebbe stato bisogno.”

“E secondo te io avrei dovuto aspettare una chiamata che non sarebbe mai arrivata?” la guardò saccente. “Suvvia, non essere sciocca! So perfettamente quanto è il momento di entrare in scena. Chiamalo istinto materno, se vuoi. O sesto senso, boh.” Inge trattenne una risata. Era incredibile quanta vitalità potesse sprigionare quella donna: era una bomba di energia e in quel periodo Inge la invidiava e adorava allo stesso tempo, perché non ne poteva più di alternare stati di ansia a rabbia funesta. “Volevo parlare anche con Tom, dove è cara? Mi stupisco che mi sia dovuta venire ad aprire tu e non uno di quegli altri due.”

“Sono tutti agli studi.” Rispose Inge, difendendoli.

“E Alex?”

“È all’asilo.”

“Oh, finalmente ce l’avete portato!” sorrise allegra, battendo le mani sulle gambe con soddisfazione. “Ottimo, così può fare nuove conoscenze. Sai, è una buona cosa per i bambini iniziare a sapere come è fatto il mondo al di fuori delle mura di casa.”

“Anche tu la pensi così?” mormorò Inge, rassegnata.

“Certamente! Perché non dovrei?”

“No, è che penso sia un po’ troppo presto.” Spiegò lei, sospirando. Non volle aggiungere il fatto poi che fosse figlio di uno dei Kaulitz, una delle persone più famose della Germania. Non lo fece tanto per non incrementare la dose di paranoie che con il tempo avrebbe svelato a Simone, che sicuramente non si sarebbe risparmiata di tirarle fuori.

“Affatto, Cara.” Le sorrise dolcemente. “Ma tranquilla, ti ci abituerai. In questi casi dobbiamo solo pensare al bene dei bambini, non a quello che vorremo noi. Sai, quando dobbiamo crescere un bambino, quando abbiamo delle responsabilità su questa piccola creatura, si impara a capire i suoi bisogni e quello che dovrebbe imparare a conoscere piano piano con il nostro aiuto.”

“E perché io non riesco a pensarla così, mentre Tom sì?” si rattristò Inge, già immaginando la risposta di Simone. Tentò con tutta se stessa di mantenere un tono calmo, forse distaccato, ma la voce le uscì più fragile del previsto e lei finse un colpo di tosse per nascondere quell’incerta vibrazione.

“Non vorrei sembrarti scortese, tesoro, però potrebbe essere perché non è tuo figlio.” Inge la guardò cercando di controllare il suo respiro più del solito. “Tom deve aver metabolizzato – volente o nolente – questo fatto, quindi ha imparato a comportarsi di conseguenza, magari sulla base dei suoi ricordi dell’infanzia, chissà.”

“I miei ricordi dell’infanzia sono che mia madre beveva e mio padre la riempiva di botte,” mormorò ironica, ricordando quel passato a cui non pensava da anni, ormai. “E io me ne stavo rinchiusa in camera con mio fratello.”

“Immagino che questo potrebbe essere un motivo ancora più valido per capire perché tu cerchi di far provare ad Alex quello che a te è mancato… L’amore di una famiglia.” Le rispose con calma. Inge non le disse che quella tristezza che per un attimo attraversò il suo sguardo le aveva dato un po’ fastidio. A lei non piaceva suscitare la pietà negli altri, tanto meno a Simone, che più di altre persone teneva a lei quasi come ad una figlia. “Però visto che vi occupare tutti del bambino eccellentemente, penso che portarlo a far conoscere nuove persone non possa altro che fargli bene.” Le sorrise, allungano una mano verso di lei e posandogliela sulla spalla con l’amore di una madre che a lei era sempre mancata.

Forse fu perché Simone si accorse delle lacrime che avrebbero potuto sgorgarle dagli occhi senza ritegno, oppure per semplice curiosità irrefrenabile, che cambiò discorso con un sorriso eccitato.

“Ma dimmi, ora, che ti ha detto il ginecologo?”

Inge si rimangiò le lacrime che aveva imparato ad odiare e scacciò quel fastidioso prurito al naso e le sorrise, invitandola a salire nella sua camera per mostrarle le immagini e per metterla al corrente di ogni cosa. Quella fu la prima volta in cui Inge poté sentirsi libera di mostrare tutta la sua felicità riguardo la gravidanza, senza sentirsi in colpa per portare dentro di sé il frutto di una notte di passione che l’uomo che lei amava considerava un “problema”.

 

***

 

“Inge, siamo tornati tutti e tre!” urlò Bill appena varcata la soglia d’ingresso.

“Sta dormendo su, vedi di abbassare la voce!”

“Mamma?!” due mandibole rischiarono di toccare terra non appena videro Simone comparire davanti a loro dalla cucina.

“Nonna!” esclamò Alex euforico, invece, correndole incontro e salutandola con un bel bacio sulla guancia, facendo sorridere la donna.

“Ehi, amore, ti sei divertito all’asilo?”

“Sì! Ho giocato con Carl a nascondino! Ho vinto io perché Carl è più grande di me e io lo trovavo sempre!” le raccontò divertito il bambino, smanacciando per aria per l’eccitazione. “Guarda, nonna, ti voglio far vedere un disegno bellissimo che ho fatto con la signorina Fischer!” il piccolo sgambettò per poter scendere e andò a prendere lo zaino che Tom gli aveva portato in casa.

“Mamma! Co-Cosa ci fai tu qui?” farfugliò Bill, mentre Tom si racchiudeva nel suo tipico silenzio che l’aveva accompagnato in tutti quei giorni. La presenza di sua madre in casa non era un buon segno. Che Inge l’avesse chiamata? E perché? Cosa sperava di ottenere? Che lei gli facesse il culo come ad un bambino?

“Dopo quello che mi avevi detto non potevo non -” Bill sgranò gli occhi e fece segno alla madre di smettere di parlare, ma i suoi sgraziati e indelicati balzi per attirare la sua attenzione, attirarono anche quella di Tom, che si ricredette e incolpò il fratello per la presenza della madre in casa loro. Trucidò Bill con uno sguardo, che deglutì a fatica e sospirò, ormai rassegnato al suo infelice destino.

“Mamma, ti avevo detto di non venire, però.” Si lamentò Bill, come se tanto ormai non contava più quel che era successo, visto che Tom aveva capito tutto.

“Lo so, ma non potevo rimanere con le mani in mano.”

“Certo che potevi, mamma. Questi non sono affari tuoi.” Si intromise Tom. “Non ti immischiare in questa faccenda, perché tanto lo so cosa sei venuta a fare.”

Simone sospirò e si mise le mani ai fianchi, per poi essere assalita da un Alex raggiante che sventolava un foglio colorato tra le mani, cercando di farsi considerare da lei. Tom ringraziò il tempismo del bambino e decise che era giunto il momento di rinchiudersi in camera per poter avere pace, perché se sua madre era lì, non voleva dire altro che una ramanzina era in arrivo. E se non era una ramanzina, era sempre un qualche discorso che includeva un tête-à-tête tra loro due, cosa che lui non aveva la minima voglia di affrontare. Come se lui non avesse già abbastanza problemi da risolvere.

“Ehi, Tom, dove stai andando?” tentò di fermarlo sua madre, invano. Alex era un ottimo diversivo e raramente lasciava sfuggire le sue prede. Contando che erano almeno un paio di settimane che non vedeva sua nonna, la possibilità che la lasciasse in pace anche per soli cinque minuti tendeva strettamente a zero.

“Lascia stare, mamma.” Tom sentì Bill intervenire per rassicurarla. “È meglio fare come vuole, te l’avevo detto anche per telefono.”

Tom si rinchiuse in camera sua prima di sentire la risposta della madre, ma già sapeva che non sarebbe finita lì. Era ovvio – lui lo sapeva, era da sempre stato così – che lei sarebbe tornata all’attacco per cercare di strappargli di bocca delle parole che lui nemmeno sapeva pronunciare. Era per questo che scappava da lei: che avrebbe dovuto dirle? Pensava davvero che in tutto questo tempo, che dopo tutto quello che era successo, lui stesse davvero cercando di allontanare Inge da sé? Non era minimamente vero. Purtroppo era successo, si erano allontanati, ma non era stata una cosa volontaria. Era successo. E lui non sapeva nemmeno da dove cominciare per avvicinarsi nuovamente a lei. Sua madre sicuramente avrebbe voluto sentire le sue ragioni, perché se c’era qualcosa che aveva sempre apprezzato di Simone era il voler sentire sempre tutte le versioni, prima di farsi un’idea dell’accaduto, ma cosa poteva dirle di più di quel che aveva già detto e ridetto in tutti quei giorni? Lui non se la sentiva di avere altri bambini, non voleva che la sua vita venisse stravolta ulteriormente. E tutto questo sicuramente era già giunto alle sue orecchie, quindi qualunque altra cosa sarebbe stata inutile da dire.

Eppure, nonostante facesse il duro, l’indifferente, era anche vero che aveva bisogno di sua madre, una delle poche persone che avrebbe potuto capire il suo punto di vista e che l’avrebbe sicuramente ascoltato senza giudicare, contrariamente a quello che aveva fatto Bill, che non si era saputo trattenere. Tuttavia non aveva il coraggio di ammetterlo, non era mai stato in grado di confessare il suo bisogno di parlare, e anche questa volta, in sua presenza, si sarebbe tenuto tutto dentro, fintantoché non sarebbe scoppiato. Sperò solo che quando sarebbe successo, Inge non fosse nelle vicinanze, perché non voleva che la situazione potesse peggiorare più di quel che già era.

Si sedette, infine, sul letto, al buio, non volle né aprire la finestra né accendere la luce. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si nascose il viso tra le mani. Cosa doveva fare? Era davvero tutto finito? Perché non riusciva più a parlare con Inge?

 

***

 

“Tom, posso entrare?”

Il bussare alla porta lo distrasse dalle corde della sua Gibson. Sospirò e si passò una mano sul viso, per poi posare la chitarra sul suo sostegno e aprire la porta alla madre.

“Entra, tanto non potrei fare diversamente.” Disse ironico. “Alex?”

“È arrivata Inge e sta giocando con lei in sala.” Si sedette sul letto e gli rivolse uno sguardo soddisfatto. “Allora, finalmente ci incontriamo, Tom.” Annunciò cambiando totalmente tono, quasi a prendersi gioco di lui.

Il ragazzo si sedette affianco a lei e senza guardarla lasciò sfuggire una amara risata. “Mamma, sai spiegarmi perché questa frase mi sa tanto di imminente apocalissi?”

“Coda di paglia, tesoro?” gli diede una debole spallata, mentre gli sorrideva.

“No, solo paura di quello che mi stai per dire, perché non promette niente di buono.” Replicò lui.

“Oh, Tom, lo sai che io voglio solo aiutarti.”

“Ma io non ho chiesto il tuo aiuto, quindi torna pure da Gordon.”

“Tesoro, come puoi pensare che tua madre non capisca anche il tuo più insignificante atteggiamento?” lo stuzzicò. “Più fai così, più mostri il tuo lato testardo. E questo significa solo che stai nascondendo qualcosa, magari qualcosa che sai non sia giusto fare, e non vuoi che qualcuno possa farti notare certi tuoi errori.”

“Non sono errori e non sono testardo.” Si impuntò lui.

“Allora perché non vuoi raccontarmi niente e non mi permetti di aiutarti?”

“Perché non c’è niente da raccontarti e non c’è niente di cui chiedere aiuto.” Sì, era testardo e aveva bisogno di aiuto. Eccome se aveva bisogno di raccontarle quello che pensava. Guardò con la coda dell’occhio sua madre, che lo guardava a sua volta, le mani in grembo, uno sguardo dolce, ma al tempo stesso di chi sa che prima o poi avrebbe ottenuto ciò che voleva.

“Ti ho già detto che sei una rottura di palle?” borbottò stizzito, girandosi verso di lei.

“Ogni volta che avevo ragione.” Gli sorrise, passandogli una mano sulle spalle e dandogli una piccola pacca. “Dai, sputa il rospo.”

Tom tornò a guardare i suoi piedi e pensò da dove iniziare. Aveva così poco da dire, eppure gli sembrava un discorso senza fine, e tutte quelle parole che ogni volta gli morivano in gola, quel peso che si portava sulla schiena, gli sembravano diventare sempre più opprimenti. Era vero, doveva parlarne a qualcuno, e se non a Inge, almeno a sua madre. Deglutì e soffiò via tutti gli ostacoli che gli impedivano di parlare.

“Io non sono sicuro di poter continuare così.” Iniziò.

“Mi ha detto Inge, però, che sei cambiato.”

“Mamma… Io devo essere quello che Inge vuole che sia. Lo faccio per lei. Lo facevo.”

“Non credi che così tu la stessi prendendo solo in giro? Lei voleva seriamente che tu le stessi vicino in questo periodo. Voleva che tu fossi sincero con lei.” Lo scosse dolcemente per le spalle.

“Ma io ho cercato di esserle più vicino!”

“Circondarla di attenzioni non è essere vicini.”

“Lo so, purtroppo.” Sospirò tristemente. Si passò una mano sul viso, poi si voltò verso di lei, guardandola serio negli occhi. “Ma che devo fare, mamma?”

Simone lo guardò dapprima seriamente, ma piano piano il suo sguardo si addolcì, proprio come faceva quando lui era piccolo e si trovava in un guaio. Sua madre era sempre stata una donna meravigliosa, era capace di dire sempre le parole giuste al momento giusto, di rendere tutti i problemi più semplici da affrontare, di razionalizzare le cose. Anche per questo aveva bisogno di parlare con lei.

“Tom,” gli sorrise. “Ci siamo passati tutti. Anche io, cosa credi? Con tuo padre abbiamo passato molti momenti brutti, lo sai purtroppo, ma devi sapere che quando ci siamo resi conto che saremo diventati una famiglia molto più grande, be’, devi sapere che la cosa ha reso entrambi entusiasti.”

“È questo che non riesco a capire. Perché allora io non riesco a vedere la cosa sotto questo punto di vista? Perché io non ne sono entusiasta come dovrebbe essere per tutti?” Non stava per piangere. No. Odiava piangere e soprattutto farsi vedere piangere, ma, sì, stava cedendo. Sentiva che se non si fosse imposto di mantenere un certo contegno, sarebbe crollato, per questo prese un profondo respiro e continuò a guardare sua madre dritto negli occhi, mentre il respiro di faceva involontariamente più affannoso. “Eh, mamma, perché?”

“Perché sei troppo legato alla tua carriera, tesoro.” Gli sorrise, cercando di avvicinarlo a sé. Tom fece però un minimo di resistenza e sua madre capì, togliendo la mano dalle sue spalle e posandola sul suo braccio. “Ma guarda un po’ il mondo fuori,” si sporse per farsi vedere meglio in viso, mostrandogli un’espressione felice, positiva e ottimista. “Quante persone famose hanno figli? Quante persone famose vanno avanti con la loro carriera con una famiglia alle spalle che li ama? Ce ne sono tantissime, tesoro, non sei l’unico. Sei soltanto un po’ più giovane degli altri, senza esperienza. Sei spaventato.” Sua madre gli stava ripetendo esattamente ciò che già sapeva, ma il suo volto quasi orgoglioso di lui, gli seppe sollevare – anche se in minima parte – quel peso che si sentiva addosso. “Ovviamente non ti era mai capitata una cosa del genere, anche se alla fine è molto simile alla situazione che si è creata con Alex. Perché, cosa gli fai?” Tom la guardò senza rispondere. “Gli fai da padre, no? Forse nemmeno te ne accorgi, ma per un bambino è importante la presenza di una persona da prendere come modello. E tu sei il modello di Alex. E lo sarai anche i gemelli che nasceranno.” Gli carezzò una guancia. Sembrava quasi che lei ora si sarebbe messa a piangere. Aveva gli occhi lucidi, ma non per tristezza. No, Simone sembrava stesse per piangere per felicità. Aveva il sorriso orgoglioso, fiero, sulle labbra tremanti e gli occhi un po’ rossi e Tom ebbe l’impulso di abbracciarla, perché grazie a quelle parole, sembrava aver diradato la nebbia che gli offuscava la vista. “L’unica differenza,” continuò lei. “È che Alex era già indipendente quando l’avete accolto, mentre coi bambini dovrai avere più pazienza. Dovrai crescerli, prenderti cura di loro e delle loro fragilità dal momento in cui verranno alla luce.”

Ci fu un attimo di silenzio in cui Tom continuava a ripetersi le parole della madre come per farsi coraggio, come per dare una spiegazione a quelle sue paure, per giustificarle e renderle più concrete e affrontabili.

Poi Simone riprese, stringendo la propria mano nella sua. “E poi ricordati che Inge ti aspetta. Lei vuole averti accanto.”

Tom si trovò davanti agli occhi l’immagine di Inge arrabbiata, delusa, e provò una fitta al petto. Dopo tutto quello che avevano passato insieme, per trovarsi, ritrovarsi, perché erano arrivati a quel punto? I suoi occhi verdi lo odiavano, e ormai non lo guardavano nemmeno più. Ci stava male. E le parole della madre gli fecero capire che forse avrebbe dovuto fare qualcosa di più, pur di non far degenerare il loro rapporto. O almeno, per non farlo degenerare ulteriormente. Si ricordò della determinazione del suo sguardo, di quello che aveva provato quando lei gli aveva detto di voler tenere i bambini a scapito di tutti e di tutto. E nuovamente quella determinazione lo conquistò, quella determinazione gli fece capire che si era comportato da idiota. Lui non aveva avuto quella determinazione, lui si era solamente tirato indietro, timoroso di prendere qualunque decisione. Aveva paura di perdere Inge e aveva paura di quei due esserini che in nemmeno nove mesi gli avrebbero cambiato radicalmente la vita. Aveva paura del cambiamento. Aveva paura di molte cose. Ma Inge no. Lei era più forte di lui, e solo ora Tom l’aveva capito. Quando mai era successo che lui fosse stato così determinato nei confronti di Inge? Forse solo quando l’aveva ritrovata e non era stato più disposto a perderla, due anni fa. E forse anche l’anno scorso, per non perderla di nuovo. Era assurdo, ma era anche vero: Inge gli aveva fatto perdere la testa. Perché, allora, rovinare tutto? Certo, la paura ancora non lo abbandonava, ancora Tom sentiva che il timore del cambiamento l’avrebbe accompagnato per chissà quanto altro tempo, ma forse, proprio per questo, aveva bisogno di avere Inge affianco a sé, per poter aver la determinazione di affrontare il futuro.

Guardò sua madre negli occhi e le si avvicinò, abbracciandola.

“Grazie, mamma.” Poi le lasciò un bacio in fronte e uscì di camera, lasciando Simone sul letto a guardarlo con lo sguardo di una madre fiera del proprio figlio.

 

***

 

Alex si era addormentato sul divano mentre Phil Collins ancora cantava il prologo di Tarzan, molto probabilmente all’asilo aveva giocato fino allo sfinimento. Inge si ritrovò invidiosa della signorina Fischer ancora una volta: da quando andava laggiù, Alex ogni pomeriggio si addormentava per un paio di orette, orette che solitamente passava insieme a lei. Certo, forse era un bene, dopotutto tutti le dicevano che lei doveva riposarsi, e giocare con Alex era tutto fuorché riposante, ma le mancava.

“Si è addormentato?”

Inge sobbalzò nel sentire quella voce alle sue spalle, non tanto per il tono – che tra l’altro era anche basso e caldo, gentile – quanto per di chi era quella voce. Non si erano rivolti una parola per giorni, e ora Tom stava appoggiato allo schienale del divano dietro di lei, con un mezzo sorriso sulle labbra, mentre la guardava. Inge sembrò volerlo scrutare a fondo prima di rispondergli, la bocca aperta per lo stupore, e Tom distolse lo sguardo, evidentemente messo a disagio, portandolo su Alex, che dormiva con la testa appoggiata al bracciolo del divano. Gli accarezzò la testa, sfiorandogli con delicatezza i capelli e poi tornò a guardare Inge negli occhi, che ancora non sapeva che espressione assumere. Avrebbe voluto sputargli in faccia che dopo quello che aveva detto – o meglio, che non aveva detto – sarebbe dovuto tornare da lei strisciando, ma qualcosa le impedì di essere così dura. E forse quel qualcosa altro non era stato che quel piccolo gesto nei confronti di Alex. Una fitta allo stomaco le fece almeno chiudere la bocca, e lei sperò tanto che non fosse un altro attacco di vomito.

“Inge,” iniziò lui, offrendole una mano, mentre nell’altra teneva due bottiglie di birra piene. Lei gliela guardò come se fosse sporca. Non riusciva ancora a fidarsi, sebbene fosse paradossale la sua voglia di saltargli addosso per solo il fatto di averla chiamata per nome dopo tutto quel periodo di silenzio reciproco. “Senti, ti va di andare in camera a parlare?”

Lei ancora non rispose, combattuta tra il dubbio e la paura delle parole che avrebbe potuto dirle, ma quel suo sorriso di incoraggiamento, seppure incerto, seppe almeno farle articolare mezzo discorso.

“Perché… Cosa vuoi?”

“Parlare, Inge.”

“Come al solito, sei sempre tu a decidere quando, eh?” gli fece notare con tono duro, rifiutando la sua mano.

“Sì, lo so, scusami. Scusami ancora.” Chiuse gli occhi e sospirò. “Ma vedi,” tornò a fissarla intensamente. “Non sono stato per niente sincero con te.” Iniziò. Sembrava che facesse fatica a trovare le parole per continuare a spiegarsi.

“Tom,” lo interruppe lei, senza sbilanciarsi troppo in gesti eclatanti come il prenderlo per mano, oppure abbracciarlo. “Andiamo di sopra a parlare, Alex dorme.”

Il ragazzo acconsentì e la seguì a qualche passo di distanza. Inge avrebbe tanto voluto fermarsi ad aspettarlo, prenderlo davvero per mano, ma si sentiva troppo vulnerabile. In un solo mese avevano litigato ben due volte senza riserve, se n’erano dette senza indugiare e altrettante le avevano lasciate trapelare con il loro silenzio. Non poteva far finta che fosse nuovamente tutto normale. Il suo orgoglio non lo permetteva.

Tom la superò e la condusse nella sua camera. Era da quando avevano smesso di parlare che Inge non vi entrava più, nemmeno per prendere le sue magliette per dormire. Aveva voluto dare un taglio secco ai suoi rapporti con Tom, o almeno ci aveva provato, perché ovviamente continuando a vivere sotto lo stesso tetto, era impossibile rompere tutti i ponti. E lei nemmeno lo voleva.

“Inge, io volevo chiederti scusa.” Lei si sedette sul letto e lui accanto a lei. “Ho parlato con mia madre. Mi ha fatto ragionare, capire cosa ho sbagliato.” La ragazza l’ascoltava divisa tra due sentimenti: la voglia crescente di saltargli addosso e la voglia di continuare a fare l’algida regina dei ghiacci. Pensando di essere più razionale nel suo atteggiamento algido, dovette pensare di calmare i suoi bollenti spiriti ed ascoltare Tom in silenzio, magari anche senza guardarlo. Indubbiamente non mancò dall’imprecare contro i suoi cavoli di ormoni, che certe volte la facevano ragionare quasi come se lei fosse un’altra persona. “Tutta questa storia mi è caduta addosso come una doccia fredda e forse non ho ancora assimilato bene cosa voglia dire tutto questo, cosa fare… Ma ti garantisco che ci sarò. Non come prima, ci sarò come ci sono sempre stato.” Lei non poté più resistere oltre e i suoi occhi raggiunsero i suoi, come se fossero una calamita. Da quanto non vi ci specchiava dentro? Così tanto tempo che vi poté leggere la sincerità delle sue parole, i suoi occhi erano sinceri, dispiaciuti e risoluti, determinati come non li aveva più visti da tempo. “Capito?” concluse con soffiò, mentre Inge si scoprì incerta su cosa rispondergli.

Gli era mancato, Dio se gli era mancato! E ora che l’aveva di nuovo davanti cosa doveva fare? Doveva dare un bel calcio a quel suo orgoglio e lasciarsi dominare dagli istinti, oppure fargli pesare tutte le seghe mentali che nel frattempo che lui cercava di capire i suoi sbagli avevano colonizzato la sua testa?

“Perché questa volta dovrei fidarmi?” gli chiese.

“Perché credo di non essere mai stato più sincero di così.” Sussurrò lui.

“E secondo te questo basta?”

“Io non posso fare di più. La fiducia si basa su questo. Sta a te decidere.”

Inge non seppe che cosa rispondere e boccheggiò per qualche istante. “Tom,” mormorò. “Mi dici come posso fidarmi? Le tue sono delle parole bellissime, ti giuro che non aspettavo altro, ma io ho bisogno di sicurezza, ho bisogno di sapere che sarai veramente sempre qui.”

“Sì, lo so.”

“Quindi?”

“Inge, cosa vuoi che ti dica di più? Io non so prevedere il futuro, non so cosa succederà.” I suoi occhi bruciavano, erano talmente intensi che Inge si sentì scottare. “Ma ti giuro che farò il possibile per starti vicino.”

E cosa avrebbe potuto fare? Come poteva resistere a tutta quella determinazione, a quegli occhi. A lui? Forse se ne sarebbe pentita, forse no. Come aveva detto Tom, nemmeno lei sapeva prevedere il futuro. Doveva fidarsi? Sì, aveva deciso di farlo, si sarebbe fidata. Allargò le braccia e le avvolse al collo del ragazzo, per poi avvicinarsi a lui, ritrovando quel contatto che da giorni le mancava. Lui l’abbracciò stretta a sua volta, stendendosi sul letto con lei sopra e lasciando cadere sul materasso quelle due bottiglie di birra che si era portato dietro e che si erano scontrate, producendo un rumore vitreo che catturò l’attenzione di Inge.

“E queste? Sapevi già che avremmo festeggiato?” lo punzecchiò, tirandosi su e prendendone una in mano.

“Ci speravo, diciamo.” Sorrise, prendendo in mano l’altra.

“Lo sai, vero, che non posso berla?”

Tom si allungò per lasciare un bacio a fior di labbra alla ragazza, prendendo nel mentre l’altra bottiglia con la mano libera, ridendo.

“Sì, infatti sono tutte e due per me. Ne ho bisogno.”

Anche Inge rise, ritrovando nelle parole di Tom la loro naturale sfacciataggine, e mentre l’abbracciava nuovamente, per poi mordergli il labbro inferiore all’altezza del piercing, pensò che non avrebbe mai potuto ringraziare Simone abbastanza per quello che era riuscita a fare.

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Pensavate che non avrei più aggiornato? Be', posso capirlo, praticamente sono scomparsa per due mesi! Ma ora sono tornata con un altro capitolo! E che capitolo! Non so se avete capito che io adoro Simone, non so se sia veramente così in realtà, ma questa sua immagine mi piace parecchio! Una donna forte, determinata! La adoro! *-* Tra l'altro scrivere il dialogo tra lei e Tom è stato bellissimo, perché mi ha permesso di vedere una sfaccettatura di Tom che da tempo volevo far venire fuori ma non avrei saputo come, perché penso che se mai lui si facesse vedere vulnerabile, lo farebbe solo in presenza di sua madre - o Bill, ma in casi estremi :) Non lo pensate anche voi? E anche se non fosse vero, è appagante pensare però che la situazione possa anche solo sembrare verosimile!

Ad ogni modo, ora s'è tutto risolto, o così pare, no? Che bello! Sono contenta pure io, perché detto sinceramente non ce la facevo più a sopportare capitoli deprimenti come quelli passati, cioè, dopotutto Tom e Inge sono una coppia frizzante, forse divertente, una di quelle che solitamente si prende per il culo a vicenda, non di certo una di quelle sdolcinate e piagnucolanti XD E proprio per questo era anche l'ora che le cose si aggiustassero un po'! Oh, se io ero la prima a volerli nuovamente vedere insieme, nella loro arroganza, sfacciataggine, mi immagino voi!

E visto che è tantissimo che non mi faccio viva, ora passo a ringraziare le tre sostenitrici di questa storia!

memy881: Ahahahah, ma hai visto che Super Simone è entrata in scena e ha fatto ragionare tutti? È stata miticissima, sopratutto nel far ragionare Tom, nel fargli accettare la situazione e il tutto con una tranquilla chiacchierata, ovviamente seria, densa di significato, ma senza urla, schiaffi e sputi - ogni riferimento ad Inge è puramente casuale u.u Per quanto riguarda Alex, be', il capitolo che ti sarebbe piaciuto leggere non l'ho scritto, sinceramente perché non volevo entrare nella testa del piccolo Alex, visto che pensare come lui mi metterebbe ancora più tristezza, quindi ho solo un po' accennato al suo stato d'animo nello scorso capitolo e aggiungerò qualcos'altro nel prossimo, ma tutto qui. Mi dispiace far soffrire quel bambino! T.T E comunque la visita della nonna, in questo aggiornamento un po' l'ha distratto e l'ha riportato alla sua naturale vivacità. Meglio così, no? ;) E concludo scusandomi di essermi fatta viva così tardi. Di nuovo................ T.T

nikky_cullen: Povero Tom, tutti i torti però non li ha, dài :) Voglio dire - magari lo dico solo perché scrivendo dei suoi sentimenti, entro perfettamente nella sua testa XD - sì, non si è impegnato minimamente, ma penso che sia davvero difficile accettare che la propria vita venga sconvolta ancora una volta ad un'età così giovane - tra l'altro aggiungo che questa storia è un po' in ritardo rispetto all'attuale età dei ragazzi perché dovevo legarmi all'episodio precedente, ma vabbè, pace! XD - e oltretutto in maniera così drastica, perché i bambini che nasceranno dovranno essere accuditi dall'inizio, non come successe per Alex... E questo Simone glielo spiega :) Grazie per il commento e scusa anche a te per il mostruoso ritardo!

tittikauliz: Mi è piaciuto un sacco il tuo commento! E sono del tuo stesso parere: i bambini hanno un potere incredibile con la loro innocenza. Però in questo caso, non è stato l'aiuto di un bambino come Alex, a far riavvicinare questi due testardi, ma bensì la saggissima e potentissima Simone, arrivata proprio per dare una mano :D Nessuno se lo sarebbe aspettato, eh? Be', spero proprio di avervi un po' tutti colti di sorpresa con questa sua apparizione! Magari in questo caso così difficile da affrontare per Tom, più che l'aiuto di un bambino, ci voleva proprio la madre che gli infondesse forza e lo facesse ragionare seriamente. Mi è piaciuto molto quella parte, sai? XD Spero sia così anche per voi!

Via, gente, ora mi eclisso nuovamente e intanto scriverò, andrò avanti e cercherò di pubblicare il prima possibile! Purtroppo questo è periodo di esami, quindi non posso garantire niente, mi dispiace, ma non preoccupatevi troppo, prima o poi torno sempre! ;)

Alla prossima!

Irina

 

 

 

  
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