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Autore: isachan    10/01/2011    5 recensioni
"Forse era stato in quell'istante... quando, passeggiando per le vie della sua Tokyo, Akito le aveva involontariamente sfiorato una mano.
Un gesto normale, ovvio per due fidanzati.
Forse fu proprio in quel pomeriggio che Sana Kurata pensò per la prima volta che la mano di Akito sarebbe stata quella che avrebbe stretto per tutta la vita."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Saaaaaaaalve gente!!! Sono di nuovo io! ^-^ Si, lo so. Ho aggiunto questa storia solo pochi giorni fa però visto che questo capitolo era già pronto ho pensato di postarlo subito. ^-^

Per i soliti chiarimenti, vi aspetto al termine del capitolo!

 

 

CAPITOLO DUE: OCCHI

 

 

Sana Kurata avrebbe assolutamente potuto affermare, senza la minima ombra di dubbio, di adorare la città di New York. Di adorarne ogni singola strada, ogni suono, ogni altissimo grattacielo.

Quella città l’aveva stregata con il suo continuo e incessante movimento. Non c’era un istante in cui si poteva dire “Ecco, New York sta dormendo.” Perché New York non si fermava mai. Proprio come lei.

Ma c’era una cosa che adorava più di tutte. Era quando, nelle notti d’estate, se ne stava tranquillamente accoccolata nelle braccia calde di Naozumi, seduta sull’alta terrazza della loro splendida casa in centro e con occhi sognanti ammirava lo scintillio di milioni di luci colorate, sotto lo sguardo amorevole del suo dolcissimo fidanzato.

In quei momenti, se alzava lo sguardo, sopra di lei non c’erano più gli immensi grattacieli, ma solo il manto di stelle dei limpidissimi cieli d’agosto.

Però, ogni volta che Naozumi non c’era, ogni volta che rimaneva da sola e sentiva quello strano peso farsi largo sul cuore, si rendeva conto che il suo amore per New York, forse, era motivato anche e soprattutto da un altro fattore.

Le luci di New York non si spegnevano mai e, fortunatamente, non le lasciavano neppure il tempo di ricordarsi quanto orribile fosse avere paura del buio.

 

 

                                                                       ***

 

 

- Allora è vero quello che dicono tutte su di te!

Akito si voltò di scatto e si rese conto che la “bionda” – così l’aveva ribattezzata visto che, accidenti a lui, non riusciva a ricordarne il nome-, si era finalmente svegliata.

- Buongiorno…

Le disse, mentre sul suo viso comparve una leggerissima ombra di imbarazzo non appena notò che la ragazza con la quale aveva passato la notte non aveva alcuna vergogna nel mostrarsi completamente nuda.

Ovvio, Akito! C’hai passato la notte, anche se non ricordi un bel niente! Perché dovrebbe vergognarsi?

- Buongiorno anche a te, biondo.

Gli disse lei, accennando un sorriso divertito.

- Allora… questa notte noi…

- Abbiamo fatto sesso per tutta la notte, si. Ed è stato anche molto bello. Era questo che volevi sapere vero?

Akito spalancò un poco gli occhi dorati, cercando nel viso che gli stava di fronte un indizio, un ricordo, un’immagine qualsiasi che potesse riportarlo alla notte appena trascorsa. Ma non trovò niente.

Forse perché l’unica cosa alla quale riusciva a pensare era quella di alzarsi e di prendere al più presto una medicina per quel dannato mal di testa.

- Bene…

La voce acuta della “bionda” lo riscosse dai suoi pensieri.

- … ora devo andare. Il mio manager mi aspetta.

Manager?

Allora doveva essere un’attrice, una showgirl o qualcosa del genere.

Capì che la sua sensazione era più che giusta non appena lei si alzò e mise in mostra il suo fisico perfetto. Solo ora che poteva vederla “interamente” il biondo acceso dei lunghi capelli gli sembrò palesemente finto, un biondo forzato, innaturale. Guardandola meglio, anche in quel seno perfetto, ma un po’ troppo grande per il suo fisico snello, c’era decisamente molto poco di naturale.

- Ciao biondo. È stato un piacere!

Salì con un ginocchio sul letto e si sporse verso di lui, salutandolo con un leggero bacio sulle labbra.

- Ah..

Disse poi, sorridendo furbescamente.

- … non preoccuparti se non ricordi il mio nome. Ieri non mi hai neppure lasciato il tempo di dirtelo.

Akito scosse la testa e sorrise appena.

- Devo chiamarti “bionda” o un nome vero ce l’hai?

Rise divertita.

- Mi chiamo Naoko, ma “bionda” mi piace di più.

- Come ti pare…

Lei rise ancora e Akito notò che il suo sorriso, contrariamente alla maggior parte del suo aspetto esteriore, era fresco e leggero e le dava un’aria un po’ più infantile.

- Ma cos’è che hai detto prima? Cosa dicono tutte su di me?

Le chiese, prima che lasciasse la sua stanza. Lei lo guardò un lungo istante, come se quei lineamenti poco più che sconosciuti volesse imprimerli per bene nella memoria.

- Che a due occhi come i tuoi è impossibile dire di no.

Rise un poco anche lui. Ma solo un attimo, come si conveniva ad Akito. Uno per cui un sorriso costava più fatica di una maratona per tutta la città.

“Bionda” uscì dalla camera da letto, lasciandosi dietro una fortissima scia di profumo. Così forte che il mal di testa di Akito non potè fare altro che peggiorare.

 

 

***

 

 

- SANA, AMORE , CI SEI? SONO A CASA!

Scese le scale a grandi falcate e si gettò tra le braccia di Naozumi,- appena tornato dall’ennesimo servizio fotografico-, incurante del fatto di avere indosso solo un minuscolo asciugamano.

- Nao finalmente!

Urlò. Lui sorrise, più con gli occhi che con le labbra e sentì salire un lieve rossore sulle guance. Cretino lui che ancora, nonostante tutto il tempo trascorso, moriva di imbarazzo se la vedeva mezza nuda.

Lei se ne accorse e arrossì a sua volta.

- Sa… Sana io credo che…che sia meglio se vai a vestirti.

Per tutta risposta, lei gli si avvinghiò al collo e lo baciò, facendo scorrere sul petto le mani ancora umide.

- Io ho un’idea migliore.

Disse, mentre gli sbottonava i primi bottoni della camicia. E allora Naozumi scollegò il cervello, come succedeva ogni volta che faceva l’amore con Sana. Bastava una sua carezza e il cuore quasi esplodeva, tanta era la felicità di vederla finalmente solo sua.

- Mmm… direi che la tua idea mi piace molto più della mia.

Rise, mentre lui la baciava ancora e tuffava una mano tra i capelli appena lavati, chiudendo gli occhi e beandosi dell’estatica sensazione che gli provocava quell’avvolgente odore di pesca.

- Le mie idee sono sempre migliori delle tue, Nao.

Sorrise divertito, prendendola in braccio e portandola su per le scale, verso la camera da letto, senza lasciare mai quelle labbra così morbide e perfette.

- Mi sei mancata così tanto…

Le disse, mentre lei, lei che a volte era ancora la ragazzina goffa di un tempo, faceva apparire difficile anche una cosa estremamente semplice come sbottonare la cintura dei suoi pantaloni.

Proprio quando sembrava essere finalmente riuscita nell’impresa, ovviamente non senza l’aiuto di Naozumi, un suono proveniente dalla stanza accanto attirò la loro attenzione.

- Ma che…?

Fece Sana, tremendamente rossa in viso per l’eccitazione che, fino ad un istante prima, stava provando.

- Ah! Dev’essere una mail!

Riuscì a dire poi, scostandosi da Naozumi e mettendosi in ginocchio sul letto.

Lui la imitò, mettendosi a sedere sconfortato.

- Perché non spegni mai il PC, Sana? E poi chi ti manda una mail a quest’ora della notte?

- E secondo te come faccio a saperlo se non vado a controllare?

Naozumi sbuffò.

- Ok vai… ma torna immediatamente qui.

Lei sorrise e si risistemò l’asciugamano che le aveva tolto lui solo un istante prima. Velocemente si alzò e sentì un brivido di freddo non appena il suo corpo lasciò il caldo rifugio delle lenzuola di cotone e delle braccia di Naozumi. Desiderò ignorare quella dannata mail e tornare a fare quello che aveva interrotto, ma non lo fece. E in un attimo si trovò davanti lo schermo illuminato del suo PC.

Giuro che se è la solita mail pubblicitaria me la prendo con ogni singolo oggetto che mi ritrovo davanti!

Cliccò sull’icona raffigurante la piccola busta chiusa e, non appena lesse le prime righe, spalancò gli occhi più di quanto fosse umanamente possibile.

Il mittente era sconosciuto. Ma le prime 4 parole riuscirono a scombussolargli lo stomaco, la mente, il cuore, ogni cosa. Le sembrò che anche la più piccola cellula del suo corpo si mettesse a correre impazzita. Sulle prime, non riuscì a muovere neppure un muscolo e non poté fare altro che continuare a leggere.

 

“ Ciao, Sanachan. Sono Aya. Forse ti chiederai come faccio ad avere il tuo indirizzo mail visto che tu non me l’hai mai dato. Bè, diciamo che l’ho chiesto a Rey. “Chiesto” è un po’ riduttivo…direi che l’ho letteralmente obbligato a darmelo. Lui non voleva. Ha detto che era per la privacy.

Privacy? Tra me e te?

Quasi sono scoppiata a ridergli in faccia.

Comunque, alla fine come vedi sono riuscita a convincerlo.

Innanzitutto, vorrei dirti che ho cercato di trovare le parole giuste per iniziare questa mail. Mi sono arrovellata il cervello per non sembrarti troppo invadente, o troppo distante.

Ma non so affrontare certe situazioni. Non sono affatto brava a programmare i discorsi. Specialmente con te, che sei sempre stata la persona che meno badava a certi artifizi.

Per questo ho pensato che mi sarebbe bastato iniziare con un “Ciao, Sanachan!”. Perché era così che ti salutavo un tempo, quando ti vedevo arrivare a scuola tutta trafelata, perché come al solito eri in ritardo. O quando venivo a prenderti sotto casa tua, nei pomeriggi d’estate, per andare a fare un giro per negozi con Hisae e Fuka.

Te le ricordi queste cose? Ti ricordi com’era?

Io si. Mi ricordo ogni singolo momento passato insieme.

Sai, quando sei andata via, per i primi tempi, covavo la stupida convinzione che un giorno ti saresti resa conto che New York non era casa tua e che partire era stata una follia.

Ma poi passavano i giorni e tu non tornavi. E io non sapevo come fare per avere tue notizie.

Così ho lasciato che gli anni scivolassero via e che, insieme al tempo, portassero via anche le risate, gli sguardi complici, le parole che ci leggevamo negli occhi senza neppure pronunciarle.

È che avrei così tante cose da dirti… perché 4 anni di silenzio sono troppi anche per me. Sono successe così tante cose… siamo tutti così tanto cambiati.

Vorrei vedere come sei diventata. Vorrei sapere se sei davvero felice come appari sulle foto dei giornali, se davvero sei convinta che andare a New York sia stata la cosa giusta.

Scusami, sto divagando. Non volevo affatto mettermi a fare certi discorsi tristi. Scusami.

Il motivo per cui ti ho scritto è per darti una bellissima notizia.

Io e Tsuyoshi ci sposiamo! Ebbene, si! Finalmente ci siamo decisi ad affrontare il grande passo!

E ti vorrei accanto nel giorno più bello della mia vita. Vorrei che tu fossi con me sull’altare a sorridermi e a dirmi che ci sarai sempre, come un tempo, ogni volta che avrò bisogno di un’amica.

Vuoi essere la mia testimone, Sana?

So che è una domanda improvvisa, quindi non ti chiedo di rispondermi ora. Prenditi tutto il tempo che ti serve per riflettere.

Il matrimonio è fissato per il giorno di Natale. Romantico, vero?

So che ti sto dando poco preavviso, visto che mancano poco meno di venti giorni. Però non sai quanto ho riflettuto prima di decidermi a mandarti questa mail.

Comunque, la sera del 22 dicembre terrò una festa a casa mia e di Tsu (conviviamo da quasi due anni!).

L’indirizzo puoi chiederlo a Rey o a tua madre visto che loro sono venuti a trovarci qualche volta.

Se verrai, allora saprò che sarai la mia testimone.

Ovviamente l’invito è esteso anche a Naozumi.

Ti voglio bene, Sanachan. E sappi che questo non cambierà mai.

 

                                                                                                                      Con affetto, Aya.”

 

Le sembrò di non riuscire a vedere più nulla, se non uno schermo opaco e appannato. Forse, era per colpa delle lacrime che avevano iniziato a rigarle il volto fin da quando aveva letto il nome della sua migliore amica.

Strinse forte le ginocchia al petto e si sfogò in un pianto liberatorio.

Attirata dalle sue lacrime, la sagoma di Naozumi comparve da dietro lo stipite della porta e le si avvicinò, posizionandosi proprio di fronte alla piccola sedia sulla quale stava malamente seduta.

Sana quasi non se ne accorse.

- Ma che diavolo è successo? Perché stai piangendo?

Non rispose, limitandosi a fare un minuscolo cenno con la testa rossiccia per indicargli lo schermo del computer dietro di lui.

Naozumi si voltò, lesse quelle poche righe in un istante e in quello stesso istante capì il motivo di quelle lacrime.

- Vuoi andarci?

Alzò il viso e incontrò due occhi azzurri che la guardavano seri e preoccupati.

Lì per lì non seppe cosa dire. Voleva andare? Voleva davvero fare ritorno a Tokyo dopo tutto quel tempo? Forse si.

- Si.

Le labbra di Naozumi si sciolsero in un sorriso tenerissimo, mentre una mano si mosse veloce per raggiungere il suo viso e asciugarle le lacrime.

- Allora andremo.

 

 

                                                                       ***

 

 

- Tu credi che accetterà l’invito?

La guardò, facendo due passi verso di lei e sedendole accanto sul divano del soggiorno appena ristrutturato.

Poi sbuffò un poco. Era appena tornato dal supermercato dopo essere stato letteralmente investito da un temporale e l’ultima cosa che voleva era affrontare quel genere di discorsi che gli intristivano il cuore.

- Non fartela proprio questa domanda, Aya. È di Sana che stiamo parlando. Certo che accetterà.

- Come fai ad esserne così sicuro? Voglio dire…è…

Abbassò il capo, lasciando che i lunghi capelli, - ormai non portava più quel fiocchetto infantile-, le nascondessero gli occhioni nocciola.

- … è passato così tanto tempo.

- Questo non vuol dire niente!

Quasi urlò nel dirle quelle parole.

- Tu non puoi saperlo!

- Aya, ascolta. Noi siamo i suoi migliori amici. Siamo praticamente cresciuti insieme. Davvero credi che potrebbe non venire al nostro matrimonio?

Lei gli sorrise. Un sorriso esattamente a metà tra la sua immancabile dolcezza e un’insolita nostalgia.

- Già. Forse hai ragione tu. Forse mi sto facendo troppe paranoie. È che ne soffrirei moltissimo se non l’avessi accanto a me nel giorno più bello della mia vita.

Tsuyoshi le sfiorò una guancia. La pelle di Aya era incredibilmente candida e delicata. E nonostante l’avesse sfiorata infinite volte ormai, era assolutamente convinto che non se ne sarebbe mai stancato.

E si rese conto che anche lui nutriva le sue stesse paura. Anche lui avrebbe sofferto se non avesse avuto accanto tutti coloro con i quali, un tempo, era solito dividere le giornate.

- Verrà Aya, vedrai. Certe cose nemmeno il tempo riesce a farle morire.

Disse poi, cercando di convincere soprattutto se stesso.

 

 

                                                                       ***

 

 

 

C’era un altro motivo per cui Sana Kurata adorava New York. Era il fatto che c’era sempre così tanta gente che era praticamente impossibile sentirsi soli.

Eppure, quella notte ripensò alle parole di quella che un tempo era una delle sue migliori amiche e sentì distintamente aprirsi quella maledetta spaccatura al centro del cuore.

Così, mentre Naozumi la teneva stretta tra le braccia e la cullava in un silenzio così assoluto da sembrare quasi irreale, si rese conto che, forse per la prima volta da quando era a New York, neppure la dolcezza di Naozumi sarebbe riuscita a curarla.

E si sentì irrimediabilmente sola.

 

 

***

 

- MAMMA, MAMMA!

Vide il piccolo Shin muovere le labbra in uno splendido sorriso, non appena oltrepassò la soglia della porta della casa dove abitavano i suoi genitori.

- Eccomi qui, tesoro. Mi dispiace di averti fatto aspettare.

Spalancò le braccia e inginocchiandosi accolse suo figlio, avvolgendolo in una lunghissima stretta.

- Finalmente sei arrivata, figlia mia!

Sua madre le si presentò davanti, con le braccia incrociate e gli occhi stanchi. Dopotutto, badare a Shin praticamente ogni mattina non doveva essere un’impresa facile. D’altronde, però, non era facile neppure crescere un figlio senza un marito, un compagno o una qualsiasi figura maschile.

Così come non era facile mantenere sé stessa e il suo bambino con quel misero lavoro da segretaria.

Certo, i suoi genitori l’aiutavano, ma non navigavano certo nell’oro e non potevano fare più di tanto. Quindi, alla fine, era costretta a lavorare comunque e ad assentarsi da casa ogni mattina.

Le capitava spesso di sentirsi in colpa per non essere in grado di vivere ogni secondo accanto a suo figlio.

- Scusami, mamma. So che sono in ritardo, ma il mio capo, il mio odiosissimo capo, non ne voleva

proprio sapere di lasciarmi andare!

- Non preoccuparti, tesoro. So che è difficile, ma sappi che sono orgogliosa di te.

Orgogliosa, certo. Come no!

Avrebbe voluto tanto poter dire che anche lei era, in primo luogo, orgogliosa di se stessa.

Ma non era mai stata una persona bugiarda e mentire non le riusciva proprio. Senza contare il fatto che mentire a se stessi è un’impresa praticamente impossibile.

C’erano giorni nei quali odiava praticamente ogni cosa. Odiava il sole, le nuvole, il vento. Odiava gli alberi e la spiaggia. Odiava il suo lavoro, le persone, la sua casa.

Soprattutto, odiava Osaka. Quella città dalla quale, molti anni prima, era scappata e nella quale, alla fine, era stata costretta a tornare.

- Torniamo a casa, mamma? Sono stanco e ho tanto sonno.

Ma c’era una cosa che proprio non era mai riuscita ad odiare. Una cosa che le faceva sempre tornare la voglia di sorridere.

-Certo, amore. Andiamo a casa.

Era il volto fresco e pulito di suo figlio.

Salutò sua madre con un bacio e poi, con la mano stretta forte in quella minuscola di Shin, si avviò verso la porta.

Non appena entrarono in macchina, sentì addosso lo sguardo curioso del suo bambino.

- Mamma… perché ogni tanto diventi triste?

Ai bambini certe cose non puoi proprio nasconderle.

- Ma no, tesoro. La mamma è solo un po’ stanca.

Oh, no. Non era affatto stanchezza. Perché era tornata ancora quella strana fitta al centro dello stomaco. Succedeva sempre, ogni volta che guardava il volto di suo figlio e nei suoi occhi vedeva altri due occhi.

E come sempre accadeva, pensò che fossero stati messi lì apposta, al solo scopo di rinfacciarle quanto stupida fosse stata, quando, di fronte a quegli stessi occhi, aveva scioccamente ceduto.

Avrebbe potuto sopportare ogni cosa. Che Shin avesse quegli stessi capelli, quello stesso colore di pelle, quello stesso insopportabile carattere. Oh, si. L’avrebbe accettato, prima o poi.

Ma non quegli stessi occhi che, proprio in quel momento, la stavano guardando e di nuovo la uccidevano, mentre, ignari e ancora innocenti, brillavano sfacciatamente dello stesso, bellissimo colore dell’oro.

 

 

                                                                       /*/

 

 

Note dell’autrice: Bene, eccoci giunti alla fine di questo secondo capitolo. ^-^ Non ho assolutamente idea del numero di capitoli che comporranno questa storia perché le idee nella mia testa cambiano continuamente… xD Posso assicurarvi, comunque, che arriverò più o meno ad una diecina, o forse di più. ( Non ne ho la più pallida idea.. xD).

Mi sembra inutile tormentarvi ancora con i miei deliri e, quindi, vi lascio con l’invito ad esprimere, come sempre, quello che pensate su questa storia! ^-^

Un ringraziamento particolare a chi ha commentato il precedente capitolo, ovvero:

- EUTERPE_12;

- DEB;

- ELENAFIRE;

- RYANFOREVER.

E un grazie anche a chi si è limitato a leggere! xD A risentirci presto!

 

   
 
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