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Autore: AvevoSolo14Anni    10/01/2011    1 recensioni
[SOSPESA PER MANCANZA DI ISPIRAZIONE!]
E se Isabella Marie Swan fosse stata una giovane d'inizio '900? E se un certo Edward Masen l'avesse trovata? E se i due si fossero scoperti innamorati, ma qualcosa avesse impedito la loro felicità? E se poi fosse successo qualcosa di totalmente inimmaginabile...?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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Capitolo 3

 


La settimana seguente sembrò scorrere ancora più lentamente del solito: lavoro, cena, dormire, lavoro, cena, dormire. Erano principalmente quelle le cose che facevo ogni giorno.
Poi, come una secchiata d’acqua gelida mentre dormi, mi svegliò dal mio torpore una notizia ben poco gradita.
Quel Giovedì, come ogni mattina, stavamo andando al lavoro io e mio padre. Arrivati dalla fabbrica, trovammo tutti gli altri operai ammassati davanti ai cancelli chiusi.
<< Cosa sta succedendo? >> domandò mio padre al primo uomo che si ritrovò di fronte.
<< Non ci fanno entrare. >> rispose l’uomo, sospirando con rassegnazione.
Rimanemmo entrambi impietriti: era molto peggio di quello che mi aspettavo. Stava davvero accadendo quello che a questo punto temevo? Eppure non c’erano stati segni di questo evento, come poteva essere successo tutto così all’improvviso? Perché?
Un uomo, che si distingueva da noi operai grazie ai bei vestiti che indossava, salì su una cassa davanti al cancello della fabbrica, e urlò un paio di volte per richiamare l’attenzione di tutti i presenti. Quando ci riuscì, parlò. << Signori, ascoltatemi, ho un annuncio importante da fare. La fabbrica è stata assorbita dalle industrie Iron Company, perciò mi dispiace comunicarvi che tutti i lavoratori hanno perso il posto. >>
Esplose un boato, per la maggior parte composto da insulti e versi di rabbia. Fossi stato nei panni dell’uomo che aveva appena reso certa la notizia, me la sarei data a gambe. Speravo si rendesse conto che rischiava il linciaggio.
Me lo aspettavo, era vero, ma rimasi comunque paralizzato sul posto. E adesso, cosa avremmo fatto?
<< Vieni, Edward. >> disse mio padre, tirandomi per un braccio.
Lo seguii senza fiatare, lanciando un’ultima occhiata alla folla adirata e alla fabbrica in cui non avrei più rimesso piede. È brutto da ammettere, ma una piccola parte di me tirò un sospiro di sollievo a quella constatazione.
<< Dove andiamo? >> domandai dopo qualche centinaio di metri.
<< A casa. >> rispose mio padre con voce incolore.
<< E poi, cosa faremo? >>
<< Nelle ultime settimane stavo già cercando un lavoro alternativo. Tutti i lavori migliori, con gli stipendi più alti, sono occupati, però rimane ancora qualcosa giù al porto. >> mi comunicò.
Inutile dire che quella prospettiva non mi riempì di gioia. << Quindi già lo sapevi. >>
<< Giravano delle voci. >> spiegò. << Meglio prevenire che curare, ricordalo sempre. Se ti si presenterà mai davanti la prospettiva di un problema, cerca delle soluzioni ancor prima che capiti. >>
<< Lo farò. >>
Arrivammo a casa poco dopo. Appena entrammo, mia madre si presentò in corridoio con uno sguardo stupito.
<< È successo. >> disse semplicemente mio padre.
Le sue labbra piene si piegarono di colpo all’ingiù e il suo sguardo si fece triste, abbassandosi anch’esso sul pavimento. Annuì lentamente.
I miei timori della settimana prima erano stati inutili, lei sapeva già tutto.
Andai in camera mia e mi buttai a peso morto sul mio letto, a riflettere. Avevo sempre odiato il mio lavoro, ma adesso probabilmente ne avrei fatto uno anche peggiore.
Quella compagnia, la Iron Company, stava lentamente assorbendo tutte le fabbriche della città. Mi sentii uno stupido per non averci pensato prima. Erano ormai note tutte le proteste fatte delle migliaia di operai che avevano perso il posto. L’impresa licenziava sempre tutti i vecchie lavoratori, perché usava stranieri che prendevano meno paga, oppure solo i giovani locali, più forti e resistenti. Ma io ero troppo giovane.
 
Nei giorni seguenti mio padre si affannò per ottenere i posti su cui aveva messo gli occhi, mentre io ero sempre più depresso dopo aver scoperto di cosa si trattasse esattamente il nuovo lavoro.
Scaricatori di porto. Da operaio a scaricatore di porto e soltanto sedici anni di vita. È proprio vero che non c’è limite al peggio.
Il peggio era vedere nella mia testa tutte le mie mete, i miei sogni – diventare medico, politico, avvocato o altre cose simili – diventare sempre più lontani e irraggiungibili.
Alla fine l’ottenne – e dire che ne sembrava pure entusiasta, per quanto possa essere entusiasta di qualsiasi cosa mio padre –, avremmo iniziato Lunedì.
Mentre il Sabato me lo annunciava con quello che poteva essere una specie di sorriso, io non facevo esattamente i salti di gioia.
Quella sera avevo cercato di vedere i lati positivi della faccenda, di trovare qualcosa per tirarmi su, ma fu tutto inutile. In città ormai tutte le famiglie di ceto medio o povere odiavano la Iron Company, che aveva tolto il lavoro già a troppe persone e non sembrava volersi fermare. Senza accorgermene, finii per odiarla intensamente anche io (non so se per tutti i discorsi furenti di mio padre o per mia spontanea iniziativa).
Mia madre, nel frattempo, non sembrava preoccupata. Un po’ secondo me lo era, ma di certo era anche brava nel non darlo a vedere. Tutte le volte che le chiesi se era intimorita dalla nostra situazione così precaria, rispondeva frasi come “sono certa che ce la faremo” oppure “ho fiducia in tuo padre e so che farà le scelte giuste”. A sentirglielo dire un po’ mi veniva da ridere; non perché non avessi fede in mio padre, ma perché visti tutti i disordini in città e l’accanimento di tantissime persone nel trovare un lavoro nuovo dubitavo che lui sarebbe riuscito a farcela. Ma come sempre fu furbo, infatti si era già praticamente aggiudicato i posti prima che la fabbrica annunciasse la chiusura.
Avevo anche parlato con il mio amico Thomas, che mi aveva detto che forse suo padre aveva trovato un posto come insegnante  in un’università e che se così fosse non avrebbe più dovuto lavorare, molto probabilmente. Ero felice per lui, ma non posso nascondere che un po’ lo invidiavo.
Mi ero anche domandato della sorte di tutti quegli operai che erano molto più poveri di me, preoccupandomi che alcuni potessero morire di fame. Ma io non sapevo come evitarlo, quegli anni erano duri quasi per tutti, e cose del genere era più strano non vederle che il contrario.
Quando finalmente mi misi a letto, ricordai che il giorno dopo avrei probabilmente rivisto Isabella. Mi chiesi come fosse stata la sua settimana: chissà come era stata diversa dalla mia.
E con quel pensiero scivolai nell’incoscienza.
 
<< Edward, tesoro, svegliati. >>
Una voce molto familiare interruppe il mio bellissimo sogno. No, non poteva finire! Era così bello, mi sentivo così bene…
Ma cosa stavo sognando?
<< Oggi non devo lavorare. >> mugugnai con un po’ di lucidità.
Impossibile, il sogno era già quasi totalmente svanito. Ho sempre odiato le volte in cui succede che appena ti svegli dimentichi quello che hai sognato. Perché si dimentica?
Tutto svanì, tranne la consapevolezza che fosse un sogno bellissimo. Anche la sensazione di pace stava per essere totalmente scacciata dall’irritazione.
<< Lo so, ma sei tu che mi hai chiesto di farti alzare alle dieci. Non ricordi? >>
Oh cielo, Isabella! Chissà dov’era, chissà se era davvero scappata anche questa volta… Dovevo controllare, e anche in fretta.
<< Sì, è vero. Grazie mamma. >> dissi alzandomi di scatto – con la testa che iniziava girare per il movimento repentino. Le posai un bacio sulla guancia rosea e morbida, poi corsi a cambiarmi.
Dopo essermi vestito e aver mangiato qualcosa al volo quasi volai per le strade piuttosto affollate di Chicago, sotto un sole tiepido che riluceva ovunque.
Incredibile quanto fosse grande la differenza tra le varie persone che passeggiavano per le vie: c’erano giovani donne a braccetto con mariti dall’aria potente, con i figli che saltellavano poco più avanti, tutti eleganti e ordinati; poi si ci voltava dall’altra parte e si vedevano barboni sdraiati sul ciglio della strada, sporchi e maleodoranti, che facevano l’elemosina o urlavano cose prive di senso.
Cercai di non distrarmi per non sbagliare strada e andai dritto verso la piccola spiaggia deserta dove mio padre aveva ancora il capanno che conteneva i resti di quella che era stata una barca a remi da pescatori.
E se lei non fosse stata lì? L’avrei aspettata o me ne sarei andato? Se avessi scelto la prima opzione, magari avrei atteso in vano per tutto il giorno qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Ma dovevo comunque provare.
Tutti i miei dubbi svanirono quando, varcando la soglia del capanno, vidi una magra figura avvolta in una veste azzurra.
Isabella era ancora più graziosa di quanto la ricordassi: aveva un vestito color cielo a maniche corte che la avvolgeva stratta fino ai fianchi, per poi cadere in una gonna larga che le arrivava fino a sopra le caviglie. In vita aveva un sottile fiocco blu scuro, e ai piedi delle ballerine bianche.
<< Ciao. >> disse, e sembrò davvero sollevata nel vedermi.
<< Buongiorno. >> la salutai. Un sorriso si dipinse automaticamente sul mio viso. << Sei venuta davvero. >> aggiunsi dopo qualche istante.
<< Anche io sono stupita che tu sia venuto. >> disse. << In realtà, sono stupita anche di me stessa. >>
Ridacchiai. << Non pensavi di poter essere così coraggiosa? >> azzardai.
<< Esatto. >> approvò sorridente.
<< Com’è andato il rientro? >> chiesi con un velo di apprensione. Mi accomodai sulle assi della barca.
<< Più o meno come mi aspettavo. Mi hanno fatto una bella strigliata, prima i miei tutori e poi addirittura i miei genitori! Non hanno fatto altro che ripetermi quanto erano delusi dal mio comportamento e che avevo la loro più completa disapprovazione. Avrei voluto dirgli che non mi interessa il parere di degli estranei. >> mormorò, facendosi sempre più sconsolata nel progredire del discorso.
Non feci in tempo a parlare che aggiunse: << È incredibile pensare che conosco meglio te, estraneo che vedo adesso per la seconda volta in vita mia, piuttosto che loro, persone che mi hanno messo al mondo. >>
<< Addirittura? >> dissi sorpreso.
<< Sì, stanne certo. >>
<< E cosa sai di me? >> chiesi curioso.
Rifletté per qualche istante. << So che ti chiami Edward, che hai pressoché la mia età… >> poi arrossì lievemente e abbassò lo sguardo. << E che sei un ragazzo molto gentile e generoso. >> 
Sorrisi. << Grazie. >>
Mi sorrise anche lei. << È la verità. Ti devo un grosso favore, tienine conto. >>
<< Non ti preoccupare. >>
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.
<< E ora che si fa? >> chiese lei.
Scossi le spalle. << Non so. >>
<< Mmm. >> mormorò. << Non c’è granché qui dentro. >>
<< Sono spiacente, principessa. >> dissi per punzecchiarla, ma sorridendo affinché capisse che scherzavo.
Mi guardò con aria di sfida. << Guarda che so essere alla mano quanto te. >>
Risi. << Ne dubito. >>
<< Te lo dimostrerò. >> disse decisa. << Prima o poi. >> aggiunse poco dopo.
Sorrisi. << Okay. >>
<< E a te cos’è successo questa settimana? >> domandò con aria stranamente interessata.
<< Niente di cui stupirsi. La fabbrica in cui lavoravo ha chiuso, io e mio padre siamo stati licenziati e da domani farò un lavoro ancora più brutto del precedente. >> dissi con crescente irritazione.
<< Mi dispiace. >> disse. Ne sembrava davvero rattristata.
<< Tranquilla, me lo aspettavo. Ormai in questa città non c’è nulla di cui stupirsi, soprattutto di questi tempi. >>
<< Già. >> sussurrò con imbarazzo.
<< Tu cos’hai fatto durante la settimana? >> chiesi a mia volta, curioso.
Passammo tutto il giorno a parlare, e fui molto sorpreso di non annoiarmi mai. La sua vita era molto interessante, così diversa da quello che conoscevo, e il suo modo di raccontare dovevo ammettere che mi affascinava. Mi raccontò di tutta la sua settimana, poi ci descrivemmo le rispettive abitazioni, mi chiese dei miei genitori e io dei suoi tutori.
Faceva una vita davvero molto lussuosa, eppure non sembrava la solita signorina viziata. Più parlava e più mi incuriosiva.
Purtroppo la sera giunse presto e fu l’ora di salutarci.
<< Questa volta mi permetterai di accompagnarti a casa? >> domandai speranzoso.
Scosse la testa ed io la guardai imbronciato. << Fidati, è meglio così. >>
Non riuscivo a capire il perché, ma mi fidai di lei. Prima o poi sarei riuscito a farmi dire il suo cognome.
<< Allora a Domenica prossima… >> mormorò leggermente imbarazzata, non sapendo come congedarsi.
<< Sì, a Domenica. >> dissi. In un impeto di sicurezza afferrai la sua mano e le posai un lieve bacio sul dorso.
Lei arrossì violentemente, sorrise e se ne andò.
La rimasi a guardare fin quando non sparì dietro un angolo.



Spazio dell'autrice:
Salve a tutti! Sì, lo so, sono in ritardo. Ma quando mai sono stata puntuale? Mi impegnerò ad esserlo, promesso.
Allora... Stiamo entrando pian piano nel vivo della storia! Sappiate fin dall'inizio che io non corro, voglio che ogni cosa si sviluppi per bene... Vedrete! v.v
Grazie come sempre a chi legge, a chi mette la storia tra le seguite o tra le preferite!
Un grazie in particolare a:
Mela_: mi fa sempre molto piacere leggere le tue recensioni! :D Cosa ne pensi ora dei due ragazzi? Spero ti siano piaciuti anche qui! Bella ha i suoi motivi per tenere nascosto il suo cognome... Lo scoprirete più avanti! ;)
iamalone: sei davvero molto gentile! Spero tanto ti sia piaciuto anche questo capitolo e spero me lo farai sapere, anche in caso contrario! :)
Come sempre invito tutti a recensire - io non desisto, anche se ottengo sempre scarsi risultati. ù.ù
A presto, Juls.

P.S. Buon anno e buon rientro a scuola a tutti in ritardo! xD

  
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