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Autore: Asiel    10/01/2011    2 recensioni
E se Buffy avesse veramente immaginato tutto? E se la Bocca dell'inferno fosse solo una manifestazione della sua mente provata..? E se quelle persone che credeva i suoi amici, non fossero mai esistite?...
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Buffy Anne Summers, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cap° 1

 

 

Buffy! Aiuto!”.

“Willow!”.

Vide, nascosta sotto la scala della cantina, l’incantesimo di Tara liberare Willow e sua sorella Dawn.

Xander era appena stato scaraventato dal demone, ma un altro incantesimo lanciato dalla strega bionda gli aveva fatto cadere lo scaffale addosso.

Buffy non rifletté.

Appena vide il piede di Tara sullo scalino di fronte a lei, protese la mano e le afferrò la caviglia, facendola ruzzolare giù per le scale.

“Tara!” gridò Willow disperata, mentre raggiungeva la donna che amava.

“Buffy, aiutaci!” urlò Dawn.

Ma Buffy non mosse un solo passo in loro aiuto. Si rannicchiò e chiuse gli occhi.

“Buffy!”.

“Buffy!”.

Buffy, aiuto!”.

“Buffy, svegliati!”.

Troppe persone che gridavano e lei si sentiva lacerata, scossa da una parte all’altra.

Il demone si stava avvicinando pericolosamente verso la sua amata sorella. La sorellina che aveva giurato di proteggere e che era morta per salvarla. Stava ferma e assisteva all’avanzata del mostro, con le mani protese per afferrare e uccidere Dawn.

“Buffy!”.

“Dawn!” gridò Buffy a piena forza, svegliandosi.

Le ci volle un po’ per rendersi conto che era nella sua camera e che una persona la abbracciava. Agì d’istinto. La spinse via e saltò giù dal letto.

La stanza era buia e l’unica fonte di luce era la luna, che filtrava attraverso le tendine aperte illuminando una piccola porzione della moquette.

“Buffy, calma. Sono io!”.

Buffy si concentrò sulla persona che aveva di fronte, la quale si era alzata per raggiungerla.

“Va tutto bene. Era solo un incubo”.

“Mamma?” domandò Buffy con tono incerto.

Udì un sospiro di sollievo. “Sì”.

E poi la luce artificiale invase la stanza. Un uomo alto e robusto stava sulla soglia della camera con un’espressione furente dipinta sul viso. Gettò un breve sguardo verso sua moglie, per poi puntare gli occhi chiari su sua figlia.

“Che cosa sta succedendo?” chiese.

Joyce si frappose subito tra i due e a Buffy non sfuggì. Perché sua madre la stava proteggendo da suo padre? Era vero che da quando lei era arrivata, ormai due settimane prima, non avevano fatto altro che litigare, ma non credeva che la situazione tra i due si fosse così deteriorata.

“Niente, papà. Ho solo avuto un incubo” rispose, guadagnandosi un’occhiataccia da sua madre.

“Un incubo? Ancora?”.

“Sì, Hank. Il dottor Ross ha detto che Buffy…”iniziò a dire Joyce, ma lo scatto repentino fatto da suo marito la fermò.

“Buffy? Non aveva detto che preferiva essere chiamata Beth?”.

“Ehi, io sono qui!” disse Buffy, alzando una mano e agitandola, ma i suoi genitori non se ne accorsero. Forse erano convinti che fosse ancora pazza, o forse erano talmente abituati alla sua assenza, che se c’era o non c’era non faceva più alcuna differenza.

“Scusa, Hank. Perché non torniamo a dormire? Domani, ci aspetterà una giornata pesante e tu devi prendere l’aereo…”.

“Parti ancora, papà?” domandò Buffy sorpresa.
Aveva visto poche volte suo padre in quel breve periodo. Aveva sempre cene d’affari e passava molto tempo in ufficio.

Buffy non voleva pensare male, ma la sua indole sospettosa le faceva credere che il suo caro paparino stesse nascondendo qualcosa. Aveva provato a indagare, ponendo alcune domande a sua madre, ma Joyce era stata restia a risponderle e aveva preferito parlare di cose futili: tipo se aveva intenzione di rimettersi a studiare.

“Sì, parto ancora. Qualcuno deve pur mantenere questa casa” disse Hank, lasciando la stanza.

Buffy strinse le mani a pugno per impedirsi di fare una sciocchezza. Si limitò ad avvicinare sua madre e ad abbracciarla.

“Scusa, mamma. Non volevo. Anche se prendo le medicine, quei sogni mi… mi perseguitano”. Quelle parole erano drasticamente vere.

Aveva sognato la fine dei suoi amici ogni singola notte e non c’era verso che la sua mente le desse tregua ogni tanto.

 “Non ti preoccupare, Bu… Beth. Ah, dannazione! So che ti avevo chiesto di farlo, ma posso richiamarti Buffy? “ chiese Joyce con disappunto. “Senza offesa, tesoro. Ma tu non hai la faccia da Beth!”.

Buffy ridacchiò e si limitò a sorridere. “Ok, te lo concedo. Ma solo tu puoi farlo”.

Joyce diede la buonanotte a Buffy e uscì dalla stanza.

La ragazza ritornò a letto e afferrò il suo peluche dal comodino.

“Sai, Mr. Gordo credo di potercela fare a guarire. Ok, parlare a un peluche a forma di maiale non è molto normale, ma sei il mio unico amico. Eri presente anche lì…”. Non ce la faceva ancora a pronunciare quel nome ad alta voce senza provare un brivido di paura. “Ma questo significa solo una cosa. A te ci tengo davvero!”. Buffy rise appena. “Però credo che non sarà così semplice, Mr. Gordo. La Buffy Summers Cacciatrice è difficile da uccidere, ma questa volta prego di esserci riuscita, a meno che qualcuno non la faccia resuscitare…”.

E con queste ultime parole sussurrate al suo animale di peluche, Buffy si addormentò, tornando al suo incubo.

 

 

 

La mattina dopo, la sveglia le trapanò la testa. Non aveva dormito quasi per niente. Aveva appena finito di rivivere gli ultimi momenti che aveva passato con Angel prima di ucciderlo. Era successo quando aveva sedici anni, o almeno così era convinta che fosse.

Mentre si lavava e si vestiva, iniziò a domandarsi come aveva fatto a innamorarsi di una persona del genere. Era a conoscenza del fatto che non esisteva, gliel’avevano ripetuto per anni, ma proprio non riusciva a capire. E poi la cosa assurda era che dopo Angel, aveva avuto un altro vampiro: Spike.

Con Spike era stato diverso. Lui era diverso. All’inizio voleva ucciderla, ma dopo avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di essere ricambiato da lei. La vita poteva anche essere folle nel sogno folle di una folle.

Stava per varcare la soglia della cucina, quando sentì le urla dei suoi. Si nascose dietro il muro e rimase immobile per poter ascoltare, senza farsi scoprire.

“Come sarebbe a dire che passavi un momento difficile?”.

Sua madre stava urlando a pieni polmoni.

“Tua figlia…”.

“Nostra figlia, Hank. Nostra!”.

“Andiamo, Joyce. Ma l’hai vista? Non tornerà mai la bambina che te ed io amavamo. È una donna che non conosce niente del mondo. Abbiamo fatto male a portarla via dall’istituto. Forse, se la riportiamo indietro, noi due potremmo avere ancora qualche possibilità”.

Buffy tentò di ricacciare dentro di sé il dolore e la rabbia che stava provando in quel momento, ma era difficile visto che le parole pronunciate da suo padre alleggiavano ancora intorno a lei.

“Che cosa? Tua figlia ha sconfitto i suoi demoni personali, letteralmente, e tu vuoi riportarla indietro? Non ti azzardare a dare la colpa a lei. Sei tu che mi ha tradito con la segretaria”.

“Joyce, tu eri distante e…”.

“Vattene via da questa casa! Subito!”.

“Che cosa?” gridò Hank. “ Io, da qui, non mi muovo. Vattene tu e portati appresso quella pazza di tua figlia!”.

Per Buffy era troppo. Entrò in cucina e quando i suoi la videro, impallidirono. Lei fece finta di niente e si diresse verso il frigorifero per prendere del succo d’arancia. Con estrema lentezza, afferrò un bicchiere e versò il succo.

Il silenzio li circondava come se fosse stato una fitta coltre di nebbia. Dopo aver rimesso il succo dentro il frigo, si appoggiò al bancone della cucina e fissò suo padre.

“Sei ancora qui?” domandò, dopo aver bevuto un sorso.

Hank strabuzzò gli occhi e aprì e chiuse la bocca parecchie volte.

“Cosa?” riuscì a farfugliare.

“Mamma ti ha detto di andartene. Non capisco cosa aspetti. Un invito scritto? Forse dovremmo chiederlo alla tua segretaria di scrivercelo. Ah, già. È troppo occupata a…”.

“Buffy!”

Buffy si voltò verso sua madre e, notando come la guardava, capì di aver esagerato.

“Papà, hai un’ora di tempo”.

“Perché, se no?” le domandò con tono di sfida.

Lei non rispose, ma sembrava che sprigionasse un’aurea forte e misteriosa. Talmente forte che Hank si precipitò fuori dalla stanza.

Sentirono la porta d’ingresso aprirsi per poi richiudersi con violenza.

“Credo che non tornerà dal suo viaggetto d’affari…” tentò di sdrammatizzare Buffy, senza riuscirci realmente.

Sua madre teneva gli occhi bassi.

“Mamma?”.

“Buffy, vado su un attimo. Preparati che dobbiamo uscire…”, detto questo Joyce se ne andò, lasciando sola Buffy accompagnata dal rumore della goccia che cadeva nel lavello.

 

 

Due ore dopo, Buffy si trovava in macchina con Joyce. Più volte aveva tentato di instaurare una conversazione, ma sua madre rispondeva solo con monosillabi e cenni della testa.

Decise di rinunciare, aspettando il momento più opportuno per affrontare il discorso. Guardò fuori dal finestrino e cacciò un urlo.

Sua madre inchiodò in mezzo alla strada, scatenando una tempesta di clacson da parte degli altri automobilisti.

“Buffy, che cosa è successo?”.

Ma lei non rispose. Stava osservando la ragazza seduta sul marciapiede di fronte. Aveva lunghi capelli castani e due grandi occhi azzurri. La carnagione era chiara e le labbra sottili e rosse.

“Dawn…” sussurrò Buffy, con la mano già pronta per aprire lo sportello della macchina.

“Dawn, cosa? Buffy!”.

Le urla di sua madre la riportarono nel mondo reale. Si voltò verso Joyce terrorizzata e le indicò la ragazza che assomigliava a sua sorella, quella mai esistita.

“Mamma, dimmi che la vedi! Dimmi che la vedi!”.

“Buffy, calma! A chi ti stai riferendo?”.

“A lei” strepitò Buffy, voltandosi sulla sua destra.

La ragazza era ancora lì seduta e, se i suoi occhi non la ingannavano, stava chiedendo l’elemosina.

“Dici quella ragazza con i capelli lunghi? Quella che indossa la felpa tutta colorata?”.

“Sì. Oh Dio. Allora non sono impazzita ancora…” sospirò Buffy, tentando di calmare il respiro.

Joyce avviò subito l’auto e si allontanarono in fretta e furia da quella parte della città. Non vivevano più a Los Angeles, ma in una piccola cittadina là vicino. Le spese mediche di Buffy avevano prosciugato i risparmi dei suoi genitori e anche se si sentiva in colpa per questo, lei non era dispiaciuta di aver lasciato la grande città. Se doveva ricominciare, doveva partire da lì. Come aveva fatto a Sunnydale.

“Così quella ragazza…” disse Joyce, tentando di mantenere un tono di voce calmo.

“Sì”.

“Be’, è una bella ragazza. Spero che si rimetta”.

“Si rimetterà” affermò Buffy con decisione.

“Buffy, lei…”.

“Lo so, mamma. Lei non è Dawn. Io non ho sorelle. Ma quella ragazza è… è…”.

Calò il silenzio, rotto solo dal rumore del traffico che le circondava.

Proseguirono, fino a quando Joyce non parcheggiò l’auto davanti a un parco. Buffy gettò un’occhiata confusa a sua madre, ma lei stava già scendendo dalla macchina.

Si affrettò a raggiungerla. Sganciò la cintura e uscì.

Faceva caldo per essere aprile e il parco pullulava di studenti in libertà. Alcuni stavano passeggiando, altri giocavano a lanciarsi o un frisbee o un pallone da football, ma la maggior parte di loro stava studiando su libri che a Buffy sembravano enormi.

Poi il suo sguardo fu catturato dall’edificio di mattoni scuri davanti a lei. Era antico e segnato dall’intemperie. Un grosso orologio indicava lo scorrere del tempo e l’imponente portone metteva in soggezione chiunque lo varcasse.

Buffy vide molti ragazzi entrare e uscire dai battenti aperti e provò lo strano impulso di unirsi a loro. Gli sembravano così felici, così normali.

Con la coda dell’occhio, notò sua madre osservarla.

“Che cosa c’è?” domandò un po’ imbarazzata.

“Mi sembri diversa…”.

“Rilassata?”.

“Sì”. Joyce sorrise. “Rilassata”.

Le due donne si guardarono negli occhi e si poteva leggere la complicità che le univa.

“Per prima… Ecco…”.

Joyce non la fece finire. Abbracciò Buffy, azzittendola.

“Non devi scusarti. Anzi, devo ringraziarti. Io non so se avrei mai avuto il coraggio”.

“Quindi, non ce l’hai con me?” domandò Buffy con un sussurro.

Sua madre la allontanò appena per guardarla negli occhi.

“Io non ce l’avrò mai con te. Mai, hai capito? Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata”.

“Ma io…”.

“Niente, ma. Però voglio farti una domanda. Non mi sembri sconvolta dalla storia di tuo padre. Io avevo qualche sospetto, ma tu ti comporti come se già lo sapessi da tempo”.

Buffy non ebbe il coraggio di continuare a guardarla. Abbassò la testa e, usando il tono più tranquillo che poté, disse:

“Quando ero a Sunnydale…” si fermò, convinta che sua madre la interrompesse.

“Buffy, puoi parlarmi della tua altra vita. Adesso che ho la certezza che stai bene, posso affrontarla… la possiamo affrontare insieme, se vuoi”.

Notando il sorriso di Joyce, Buffy prese fiducia.

“Al terzo anno, papà mi diede buca. A ogni compleanno mi portava a vedere Holiday on Ice, ma quell’anno non venne. E per quelli avvenire non si fece quasi mai sentire, perché era scappato con la segretaria per andare in Spagna. E stamattina, quando ho sentito di lui e della segretaria, è come se tutta la rabbia che provavo nei suoi confronti fosse esplosa anche qui. Nel mondo reale”.

Buffy fissò sua madre, che era rimasta silenziosa per tutto il tempo. Aveva un colorito più pallido del solito, ma sembrava prendere bene lo shock.

“Così tu ci sei già passata?” chiese cercando di infondere un senso logico nel discorso.

“Sì. L’ho superata. E anche tu”.

“Davvero?”.

“Certo! Sei uscita anche con un uomo. Però non è andata bene, perché si è rivelato essere un robot con la mania di sposarsi e uccidere le sue mogli”.

“Che cosa?”.

“Ok, forse ho esagerato!” affermò subito Buffy. “ Non volevo. Sono guarita, giuro!”.

Joyce fece per ribattere, ma preferì lasciar perdere. Diede un’occhiata all’orologio e trasalì.

“Dannazione, sono in ritardo! Tu aspetta qui, ok?” ordinò a Buffy.

“Perché tu dove vai?”.

“Devo andare a parlare con il bibliotecario” rispose Joyce, indicando l’edificio antico che sovrastava il parco.

“Per una mostra?” chiese Buffy, confusa. Sapeva che sua madre era fissata con l’antichità, ma non credeva che le interessassero pure i libri ammuffiti.

“Oh, no. Ti farà da insegnante” disse Joyce.

“Che cosa?” strepitò Buffy, ma sua madre stava correndo verso la biblioteca. “Merda!”

Diede un calcio pieno di stizza alla portiera della macchina, per poi appoggiarsi sul cofano.

Incrociò le braccia e iniziò a borbottare tra sé.

A che cosa le serviva un insegnante privato? Sì, era vero che si era fermata al secondo anno del liceo, tecnicamente, ma lei era diplomata. Era riuscita a finire la scuola ed era andata anche all’università, prima di mollarla per prendersi cura di Dawn.

Le cose le aveva imparate, perché mai avrebbe dovuto rifarlo ancora?

No, non voleva. Appena sua madre sarebbe tornata, gliel’avrebbe detto chiaro e tondo. Basta, studio. Voleva solo divertirsi e farsi qualche amico.

“Attenta!”.

Un frisbee rosa centrò in pieno volto Buffy, facendola imprecare per il dolore. Il naso le pulsava dolorosamente e quando se lo toccò, vide una striscia di sangue sulle dita.

“Bene” ringhiò, chinandosi per raccogliere il frisbee.

“Oh, Dio. Ti ho fatto male. Te l’ho detto che non ero capace. Sono un pericolo ambulante. Anzi no, sono una catastrofe naturale. Una calamità. Un asteroide diretto verso la Terra per distruggerla. Io…”.

“Calmati” disse una voce maschile, interrompendo quella della sua amica.

“Ok, calma. Sono calma. Calmissima. Come stai?” chiese nuovamente la ragazza.

Buffy si rialzò e rimase bloccata.

Un ragazzo moro e con gli occhi color nocciola la stava fissando sorridendo, mentre la ragazza con i capelli rossi e lo sguardo smeraldino la osservava con ansia.

“Oh, Dio. Devi averle fatto male sul serio, Will. Credo che stia per svenire” constatò il ragazzo, gettando un’occhiata verso la rossa.

“Che cosa? Oh, no. Xander!”.

Buffy li guardò ancora per un istante, prima di sprofondare nel buio.

 

 

 

Ecco a voi un altro capitolo. Spero che vi sia piaciuto e che la storia v’incuriosisca.

Grazie a quelli che l’hanno letta.

 

Risposta recensione:

Laura the vampire slayer: Grazie mille! Sei l’unica che ha commentato e non puoi immaginare quanto ciò mi faccia piacere. Spero che la FF ti piaccia ancora. Grazie di nuovo!

 

 

Alla prossima,

Asiel…

 

  
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