Cap°
1
“Buffy! Aiuto!”.
“Willow!”.
Vide,
nascosta sotto la scala della
cantina, l’incantesimo di Tara liberare Willow e sua sorella
Dawn.
Xander
era appena stato
scaraventato dal demone, ma un altro incantesimo lanciato dalla strega
bionda
gli aveva fatto cadere lo scaffale addosso.
Buffy
non rifletté.
Appena
vide il piede di Tara sullo
scalino di fronte a lei, protese la mano e le afferrò la
caviglia, facendola
ruzzolare giù per le scale.
“Tara!”
gridò Willow disperata,
mentre raggiungeva la donna che amava.
“Buffy,
aiutaci!” urlò Dawn.
Ma
Buffy non mosse un solo passo in
loro aiuto. Si rannicchiò e chiuse gli occhi.
“Buffy!”.
“Buffy!”.
“Buffy, aiuto!”.
“Buffy,
svegliati!”.
Troppe
persone che gridavano e lei si sentiva lacerata, scossa da una parte
all’altra.
Il
demone si stava avvicinando
pericolosamente verso la sua amata sorella. La sorellina che aveva
giurato di
proteggere e che era morta per salvarla. Stava ferma e assisteva
all’avanzata del
mostro, con le mani protese per afferrare e uccidere Dawn.
“Buffy!”.
“Dawn!”
gridò Buffy a piena forza, svegliandosi.
Le
ci volle un po’ per rendersi conto che era nella sua camera e
che una persona
la abbracciava. Agì d’istinto. La spinse via e
saltò giù dal letto.
La
stanza era buia e l’unica fonte di luce era la luna, che
filtrava attraverso le
tendine aperte illuminando una piccola porzione della moquette.
“Buffy,
calma. Sono io!”.
Buffy
si concentrò sulla persona che aveva di fronte, la quale si
era alzata per
raggiungerla.
“Va
tutto bene. Era solo un incubo”.
“Mamma?”
domandò Buffy con tono incerto.
Udì
un sospiro di sollievo. “Sì”.
E
poi la luce artificiale invase la stanza. Un uomo alto e robusto stava
sulla
soglia della camera con un’espressione furente dipinta sul
viso. Gettò un breve
sguardo verso sua moglie, per poi puntare gli occhi chiari su sua
figlia.
“Che
cosa sta succedendo?” chiese.
Joyce
si frappose subito tra i due e a Buffy non sfuggì.
Perché sua madre la stava
proteggendo da suo padre? Era vero che da quando lei era arrivata,
ormai due
settimane prima, non avevano fatto altro che litigare, ma non credeva
che la
situazione tra i due si fosse così deteriorata.
“Niente,
papà. Ho solo avuto un incubo” rispose,
guadagnandosi un’occhiataccia da sua
madre.
“Un
incubo? Ancora?”.
“Sì,
Hank. Il dottor Ross ha detto che
Buffy…”iniziò a dire Joyce, ma lo
scatto
repentino fatto da suo marito la fermò.
“Buffy?
Non aveva detto che preferiva essere chiamata Beth?”.
“Ehi,
io sono qui!” disse Buffy, alzando una mano e agitandola, ma
i suoi genitori
non se ne accorsero. Forse erano convinti che fosse ancora pazza, o
forse erano
talmente abituati alla sua assenza, che se c’era o non
c’era non faceva più
alcuna differenza.
“Scusa,
Hank. Perché non torniamo a dormire? Domani, ci
aspetterà una giornata pesante
e tu devi prendere l’aereo…”.
“Parti
ancora, papà?” domandò Buffy sorpresa.
Aveva visto poche volte suo padre in quel breve periodo. Aveva sempre
cene
d’affari e passava molto tempo in ufficio.
Buffy
non voleva pensare male, ma la sua indole sospettosa le faceva credere
che il
suo caro paparino stesse nascondendo qualcosa. Aveva provato a
indagare,
ponendo alcune domande a sua madre, ma Joyce era stata restia a
risponderle e
aveva preferito parlare di cose futili: tipo se aveva intenzione di
rimettersi
a studiare.
“Sì,
parto ancora. Qualcuno deve pur mantenere questa casa” disse
Hank, lasciando la
stanza.
Buffy
strinse le mani a pugno per impedirsi di fare una sciocchezza. Si
limitò ad
avvicinare sua madre e ad abbracciarla.
“Scusa,
mamma. Non volevo. Anche se prendo le medicine, quei sogni
mi… mi
perseguitano”. Quelle parole erano drasticamente vere.
Aveva
sognato la fine dei suoi amici ogni singola notte e non c’era
verso che la sua mente
le desse tregua ogni tanto.
“Non ti
preoccupare, Bu… Beth. Ah, dannazione!
So che ti avevo chiesto di farlo, ma posso richiamarti Buffy?
“ chiese Joyce
con disappunto. “Senza offesa, tesoro. Ma tu non hai la
faccia da Beth!”.
Buffy
ridacchiò e si limitò a sorridere. “Ok,
te lo concedo. Ma solo tu puoi farlo”.
Joyce
diede la buonanotte a Buffy e uscì dalla stanza.
La
ragazza ritornò a letto e afferrò il suo peluche
dal comodino.
“Sai,
Mr. Gordo credo di potercela fare a guarire. Ok, parlare a un peluche a
forma
di maiale non è molto normale, ma sei il mio unico amico.
Eri presente anche
lì…”. Non ce la faceva ancora a
pronunciare quel nome ad alta voce senza
provare un brivido di paura. “Ma questo significa solo una
cosa. A te ci tengo
davvero!”. Buffy rise appena. “Però
credo che non sarà così semplice, Mr.
Gordo. La Buffy Summers Cacciatrice è difficile da uccidere,
ma questa volta
prego di esserci riuscita, a meno che qualcuno non la faccia
resuscitare…”.
E
con queste ultime parole sussurrate al suo animale di peluche, Buffy si
addormentò, tornando al suo incubo.
La
mattina dopo, la sveglia le trapanò la testa. Non aveva
dormito quasi per
niente. Aveva appena finito di rivivere gli ultimi momenti che aveva
passato
con Angel prima di ucciderlo. Era successo quando aveva sedici anni, o
almeno
così era convinta che fosse.
Mentre
si lavava e si vestiva, iniziò a domandarsi come aveva fatto
a innamorarsi di
una persona del genere. Era a conoscenza del fatto che non esisteva,
gliel’avevano
ripetuto per anni, ma proprio non riusciva a capire. E poi la cosa
assurda era
che dopo Angel, aveva avuto un altro vampiro: Spike.
Con
Spike era stato diverso. Lui era diverso. All’inizio voleva
ucciderla, ma dopo
avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di essere ricambiato da lei. La vita
poteva
anche essere folle nel sogno folle di una folle.
Stava
per varcare la soglia della cucina, quando sentì le urla dei
suoi. Si nascose
dietro il muro e rimase immobile per poter ascoltare, senza farsi
scoprire.
“Come
sarebbe a dire che passavi un momento difficile?”.
Sua
madre stava urlando a pieni polmoni.
“Tua
figlia…”.
“Nostra
figlia, Hank. Nostra!”.
“Andiamo,
Joyce. Ma l’hai vista? Non tornerà mai la bambina
che te ed io amavamo. È una
donna che non conosce niente del mondo. Abbiamo fatto male a portarla
via
dall’istituto. Forse, se la riportiamo indietro, noi due
potremmo avere ancora
qualche possibilità”.
Buffy
tentò di ricacciare dentro di sé il dolore e la
rabbia che stava provando in
quel momento, ma era difficile visto che le parole pronunciate da suo
padre
alleggiavano ancora intorno a lei.
“Che
cosa? Tua figlia ha sconfitto i suoi demoni personali, letteralmente, e
tu vuoi
riportarla indietro? Non ti azzardare a dare la colpa a lei. Sei tu che
mi ha
tradito con la segretaria”.
“Joyce,
tu eri distante e…”.
“Vattene
via da questa casa! Subito!”.
“Che
cosa?” gridò Hank. “ Io, da qui, non mi
muovo. Vattene tu e portati appresso
quella pazza di tua figlia!”.
Per
Buffy era troppo. Entrò in cucina e quando i suoi la videro,
impallidirono. Lei
fece finta di niente e si diresse verso il frigorifero per prendere del
succo
d’arancia. Con estrema lentezza, afferrò un
bicchiere e versò il succo.
Il
silenzio li circondava come se fosse stato una fitta coltre di nebbia.
Dopo
aver rimesso il succo dentro il frigo, si appoggiò al
bancone della cucina e
fissò suo padre.
“Sei
ancora qui?” domandò, dopo aver bevuto un sorso.
Hank
strabuzzò gli occhi e aprì e chiuse la bocca
parecchie volte.
“Cosa?”
riuscì a farfugliare.
“Mamma
ti ha detto di andartene. Non capisco cosa aspetti. Un invito scritto?
Forse
dovremmo chiederlo alla tua segretaria di scrivercelo. Ah,
già. È troppo
occupata a…”.
“Buffy!”
Buffy
si voltò verso sua madre e, notando come la guardava,
capì di aver esagerato.
“Papà,
hai un’ora di tempo”.
“Perché,
se no?” le domandò con tono di sfida.
Lei
non rispose, ma sembrava che sprigionasse un’aurea forte e
misteriosa. Talmente
forte che Hank si precipitò fuori dalla stanza.
Sentirono
la porta d’ingresso aprirsi per poi richiudersi con violenza.
“Credo
che non tornerà dal suo viaggetto
d’affari…” tentò di
sdrammatizzare Buffy, senza riuscirci realmente.
Sua
madre teneva gli occhi bassi.
“Mamma?”.
“Buffy,
vado su un attimo. Preparati che dobbiamo
uscire…”, detto questo Joyce se ne
andò, lasciando sola Buffy accompagnata dal rumore della
goccia che cadeva nel
lavello.
Due
ore dopo, Buffy si trovava in macchina con Joyce. Più volte
aveva tentato di
instaurare una conversazione, ma sua madre rispondeva solo con
monosillabi e
cenni della testa.
Decise
di rinunciare, aspettando il momento più opportuno per
affrontare il discorso.
Guardò fuori dal finestrino e cacciò un urlo.
Sua
madre inchiodò in mezzo alla strada, scatenando una tempesta
di clacson da
parte degli altri automobilisti.
“Buffy,
che cosa è successo?”.
Ma
lei non rispose. Stava osservando la ragazza seduta sul marciapiede di
fronte.
Aveva lunghi capelli castani e due grandi occhi azzurri. La carnagione
era
chiara e le labbra sottili e rosse.
“Dawn…”
sussurrò Buffy, con la mano già pronta per aprire
lo sportello della macchina.
“Dawn,
cosa? Buffy!”.
Le
urla di sua madre la riportarono nel mondo reale. Si voltò
verso Joyce
terrorizzata e le indicò la ragazza che assomigliava a sua
sorella, quella mai
esistita.
“Mamma,
dimmi che la vedi! Dimmi che la vedi!”.
“Buffy,
calma! A chi ti stai riferendo?”.
“A
lei” strepitò Buffy, voltandosi sulla sua destra.
La
ragazza era ancora lì seduta e, se i suoi occhi non la
ingannavano, stava
chiedendo l’elemosina.
“Dici
quella ragazza con i capelli lunghi? Quella che indossa la felpa tutta
colorata?”.
“Sì.
Oh Dio. Allora non sono impazzita ancora…”
sospirò Buffy, tentando di calmare
il respiro.
Joyce
avviò subito l’auto e si allontanarono in fretta e
furia da quella parte della
città. Non vivevano più a Los Angeles, ma in una
piccola cittadina là vicino.
Le spese mediche di Buffy avevano prosciugato i risparmi dei suoi
genitori e
anche se si sentiva in colpa per questo, lei non era dispiaciuta di
aver
lasciato la grande città. Se doveva ricominciare, doveva
partire da lì. Come
aveva fatto a Sunnydale.
“Così
quella ragazza…” disse Joyce, tentando di
mantenere un tono di voce calmo.
“Sì”.
“Be’,
è una bella ragazza. Spero che si rimetta”.
“Si
rimetterà” affermò Buffy con decisione.
“Buffy,
lei…”.
“Lo
so, mamma. Lei non è Dawn. Io non ho sorelle. Ma quella
ragazza è… è…”.
Calò
il silenzio, rotto solo dal rumore del traffico che le circondava.
Proseguirono,
fino a quando Joyce non parcheggiò l’auto davanti
a un parco. Buffy gettò
un’occhiata confusa a sua madre, ma lei stava già
scendendo dalla macchina.
Si
affrettò a raggiungerla. Sganciò la cintura e
uscì.
Faceva
caldo per essere aprile e il parco pullulava di studenti in
libertà. Alcuni
stavano passeggiando, altri giocavano a lanciarsi o un frisbee o un
pallone da
football, ma la maggior parte di loro stava studiando su libri che a
Buffy
sembravano enormi.
Poi
il suo sguardo fu catturato dall’edificio di mattoni scuri
davanti a lei. Era
antico e segnato dall’intemperie. Un grosso orologio indicava
lo scorrere del
tempo e l’imponente portone metteva in soggezione chiunque lo
varcasse.
Buffy
vide molti ragazzi entrare e uscire dai battenti aperti e
provò lo strano
impulso di unirsi a loro. Gli sembravano così felici,
così normali.
Con
la coda dell’occhio, notò sua madre osservarla.
“Che
cosa c’è?” domandò un
po’ imbarazzata.
“Mi
sembri diversa…”.
“Rilassata?”.
“Sì”.
Joyce sorrise. “Rilassata”.
Le
due donne si guardarono negli occhi e si poteva leggere la
complicità che le
univa.
“Per
prima… Ecco…”.
Joyce
non la fece finire. Abbracciò Buffy, azzittendola.
“Non
devi scusarti. Anzi, devo ringraziarti. Io non so se avrei mai avuto il
coraggio”.
“Quindi,
non ce l’hai con me?” domandò Buffy con
un sussurro.
Sua
madre la allontanò appena per guardarla negli occhi.
“Io
non ce l’avrò mai con te. Mai, hai capito? Sei la
cosa più bella che mi sia mai
capitata”.
“Ma
io…”.
“Niente,
ma. Però voglio farti una domanda. Non mi sembri sconvolta
dalla storia di tuo
padre. Io avevo qualche sospetto, ma tu ti comporti come se
già lo sapessi da
tempo”.
Buffy
non ebbe il coraggio di continuare a guardarla. Abbassò la
testa e, usando il
tono più tranquillo che poté, disse:
“Quando
ero a Sunnydale…” si fermò, convinta
che sua madre la interrompesse.
“Buffy,
puoi parlarmi della tua altra vita. Adesso che ho la certezza che stai
bene,
posso affrontarla… la possiamo affrontare insieme, se
vuoi”.
Notando
il sorriso di Joyce, Buffy prese fiducia.
“Al
terzo anno, papà mi diede buca. A ogni compleanno mi portava
a vedere Holiday
on Ice, ma quell’anno non venne. E per quelli avvenire non si
fece quasi mai
sentire, perché era scappato con la segretaria per andare in
Spagna. E stamattina,
quando ho sentito di lui e della segretaria, è come se tutta
la rabbia che
provavo nei suoi confronti fosse esplosa anche qui. Nel mondo
reale”.
Buffy
fissò sua madre, che era rimasta silenziosa per tutto il
tempo. Aveva un
colorito più pallido del solito, ma sembrava prendere bene
lo shock.
“Così
tu ci sei già passata?” chiese cercando di
infondere un senso logico nel
discorso.
“Sì.
L’ho superata. E anche tu”.
“Davvero?”.
“Certo!
Sei uscita anche con un uomo. Però non è andata
bene, perché si è rivelato
essere un robot con la mania di sposarsi e uccidere le sue
mogli”.
“Che
cosa?”.
“Ok,
forse ho esagerato!” affermò subito Buffy.
“ Non volevo. Sono guarita, giuro!”.
Joyce
fece per ribattere, ma preferì lasciar perdere. Diede
un’occhiata all’orologio
e trasalì.
“Dannazione,
sono in ritardo! Tu aspetta qui, ok?” ordinò a
Buffy.
“Perché
tu dove vai?”.
“Devo
andare a parlare con il bibliotecario” rispose Joyce,
indicando l’edificio
antico che sovrastava il parco.
“Per
una mostra?” chiese Buffy, confusa. Sapeva che sua madre era
fissata con
l’antichità, ma non credeva che le interessassero
pure i libri ammuffiti.
“Oh,
no. Ti farà da insegnante” disse Joyce.
“Che
cosa?” strepitò Buffy, ma sua madre stava correndo
verso la biblioteca.
“Merda!”
Diede
un calcio pieno di stizza alla portiera della macchina, per poi
appoggiarsi sul
cofano.
Incrociò
le braccia e iniziò a borbottare tra sé.
A
che cosa le serviva un insegnante privato? Sì, era vero che
si era fermata al
secondo anno del liceo, tecnicamente, ma lei era diplomata. Era
riuscita a
finire la scuola ed era andata anche
all’università, prima di mollarla per
prendersi cura di Dawn.
Le
cose le aveva imparate, perché mai avrebbe dovuto rifarlo
ancora?
No,
non voleva. Appena sua madre sarebbe tornata, gliel’avrebbe
detto chiaro e
tondo. Basta, studio. Voleva solo divertirsi e farsi qualche amico.
“Attenta!”.
Un
frisbee rosa centrò in pieno volto Buffy, facendola
imprecare per il dolore. Il
naso le pulsava dolorosamente e quando se lo toccò, vide una
striscia di sangue
sulle dita.
“Bene”
ringhiò, chinandosi per raccogliere il frisbee.
“Oh,
Dio. Ti ho fatto male. Te l’ho detto che non ero capace. Sono
un pericolo
ambulante. Anzi no, sono una catastrofe naturale. Una
calamità. Un asteroide
diretto verso la Terra per distruggerla. Io…”.
“Calmati”
disse una voce maschile, interrompendo quella della sua amica.
“Ok,
calma. Sono calma. Calmissima. Come stai?” chiese nuovamente
la ragazza.
Buffy
si rialzò e rimase bloccata.
Un
ragazzo moro e con gli occhi color nocciola la stava fissando
sorridendo,
mentre la ragazza con i capelli rossi e lo sguardo smeraldino la
osservava con
ansia.
“Oh,
Dio. Devi averle fatto male sul serio, Will. Credo che stia per
svenire”
constatò il ragazzo, gettando un’occhiata verso la
rossa.
“Che
cosa? Oh, no. Xander!”.
Buffy
li guardò ancora per un istante, prima di sprofondare nel
buio.
Ecco
a voi un altro capitolo. Spero che vi sia piaciuto e che la storia
v’incuriosisca.
Grazie
a quelli che l’hanno letta.
Risposta
recensione:
Laura
the vampire slayer:
Grazie mille! Sei l’unica che ha commentato e non puoi
immaginare quanto ciò mi
faccia piacere. Spero che la FF ti piaccia ancora. Grazie di nuovo!
Alla
prossima,
Asiel…