PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E
TIMO
Capitolo 4
Bagoas aveva udito troppo.
Aspettò che Dario congedasse Bahram e
corse allarmato ad avvertire Alessandro, che del tutto ignaro lucidava il
pavimento della stanza del re.
«Iskander!»
arrivò nella stanza di Dario con una tale irruenza che quasi cadde tra
le braccia del suo padrone.
Alessandro si mantenne del tutto tranquillo.
«Calmati. Cos’è successo?»
Bagoas si fermò un istante per
riprendere fiato. «Dario ti vuole uccidere!»
«Uccidermi?» sgranò gli
occhi «Ma sei sicuro di quello che dici?»
«Certo, Iskander. Sono appena stato alla sala delle riunioni. Parlava con
lo schiavo che mi comprò al mercato tre settimane fa.»
Alessandro avvertì immediatamente che
qualcosa gli stava sfuggendo. «Mmm. Chissà perché, ma
immaginavo che non fosse stato Dario a comprarti.»
Bagoas roteò le pupille.
«Insomma, dicevi che quei due stavano
tramando alle mie spalle?»
«Dario ha esplicitamente ordinato al suo
schiavo di avvelenarti al più presto possibile.»
Alessandro si grattò nervosamente la
nuca. «Senti, Bagoas, io non ho intenzione di stare ancora qui a subire
la pazzia di Dario. Tu che ne dici?»
«E cosa vorresti fare? Fuggire?»
Si strinse nelle spalle. «Non vedo
alternativa. Non so esattamente il perché, ma sento che in qualche modo
la mia presenza lo rende nervoso. Preferisco togliermi di mezzo da solo
piuttosto che aspettare che mi faccia la pelle.»
«E io verrò con te?»
Alessandro distolse lo sguardo dal suo giovane
schiavo. «Certo. Ma a dire la verità, credo che ci sarebbe un
problema… anche se ammetto che nel contesto potrebbe suonare piuttosto
frivolo.»
Bagoas cercò di scrutare nei suoi
occhi. «Quale?»
«Il soldato con
l’orecchino.» fece una breve pausa «Bagoas, io credo alle parole del tizio che me
l’ha venduto. Non voglio rinunciarci.». Aspettò la risposta
dell’eunuco, ma quella non arrivò. «E poi» riprese
quindi «qualcosa mi dice che sì, non devo perderlo di
vista.»
Bagoas sospirò. «Hai qualche
idea?»
«Per adesso dobbiamo pensare a fuggire.
Quando saremo al sicuro, faremo in modo che tu possa regolarmente comunicare
con il palazzo, per mantenere i contatti con i soldati macedoni. In fondo
è me Dario che vuole morto, non te.»
Bahram, tutto eccitato e solo nella sua umile stanzetta, riversava ogni
sorta di veleni incolori e insapori nella coppa di vino che avrebbe dovuto
portare ad Alessandro.
“Il mio re ha affidato proprio a me
questo compito gravoso,” pensava “questo significa che ripone in me
completa fiducia. Non devo assolutamente deluderlo!”
Solo quando fu sicuro d’aver preparato una pozione abbastanza
letale da finire il servo di Dario in pochi attimi, si affrettò a
dirigersi verso le stanze di Alessandro con la coppa ricolma posata
aggraziatamente su uno splendido vassoio d’argento.
«Presto, Bagoas! Dobbiamo partire prima che arrivi il servo. Porta
con te solo il minimo indispensabile, al resto ci penseremo una volta
fuggiti.» Alessandro aveva già legato un paio di lenzuola pronte
per essere calate dal balcone.
«Sono pronto, Iskander. Ho preso qualche provvista, un paio di vestiti, e qualche
soldo.»
«Benissimo. Vieni.» legò le
lenzuola al parapetto in un saldo nodo «Questo dovrebbe riuscire a
reggerci, siamo entrambi leggeri.»
Bagoas raggiunse il suo padrone e si
calò per primo, Alessandro lo seguì subito dopo ed entrambi
corsero veloci a prendere due cavalli nella scuderia regale.
Bahram giunse fischiettando alla stanza da letto di Alessandro;
bussò, ma nessuno rispose.
Perplesso, bussò un’altra volta,
accostò l’orecchio, ma dalla camera non proveniva alcun rumore. Le
stanze di Dario erano sorvegliate, e il re aveva detto che il suo servo era
stato confinato ai propri appartamenti.
“Che si sia già tolto di mezzo da
solo?”
Incuriosito – e impaziente di vedere il
sorriso soddisfatto del suo re, e magari anche una solida ricompensa –
decise di provare ad entrare. Ma quando fece capolino nella stanza, non
trovò esattamente la scena che si aspettava: l’unico rumore che
disturbava quell’inquietante silenzio erano le tende leggere del balcone
che ondeggiavano smosse dal freddo vento crepuscolare; nessun altro segno di
vita.
Allarmato, osservò meglio qua e
là, anche sotto il letto, ma di Alessandro non c’era nessuna
traccia. Quasi si fece sfuggire il vassoio di mano quando si accorse delle
lenzuola legate alla balaustra del balcone. D’istinto si sporse dal
parapetto per guardare giù: all’orizzonte, una chioma bionda
svolazzava verso il rosso acceso del tramonto - la sagoma di Alessandro dritta
su uno dei cavalli della scuderia, affiancata dalla figura snella del suo
schiavetto personale, anch’egli su un cavallo.
E ora cosa avrebbe dovuto fare? Cosa avrebbe potuto dire al suo re? Non
avrebbe di certo potuto provocargli quell’inutile dispiacere: Alessandro
non era morto, bensì era fuggito! Era fuggito davanti ai suoi occhi! E
lui non aveva fatto niente per fermarlo. Si sentì avvampare
dall’ansia; il suo re gli aveva concesso un’enorme fiducia, e
sapeva benissimo qual era la ricompensa per chi di quella fiducia non sapeva
cosa farsene. Cercò di riflettere. Alessandro era fuggito, aveva portato
via alcune cose con sé, probabilmente non sarebbe più tornato. In
un certo senso, aveva compiuto il volere di Dario.
Si affrettò a rovesciare il vino giù dal balcone. E
promise a sé stesso che, se Alessandro avesse dovuto tornare, non
avrebbe fatto in tempo a vedere Dario un’ultima volta.
«Allora, leggiadra creatura, hai compiuto il tuo dovere?»
«Certo, mio re. E’ morto in pochi
attimi, e ho gettato il cadavere nel fiume a qualche passo dal palazzo.»
e si impettì soddisfatto.
Dario si grattò la barba, tentennante.
«Ma… io non ti avevo detto di gettare il cadavere nel fiume.»
Bahram si irrigidì «Certo, mio
signore, lo so,» balbettò «ma sai, girano molti cortigiani e
guardie curiosi tra i corridoi di questo palazzo… ho avuto paura che si
sarebbero potute scoprire cose che avrebbero dovuto rimanere tra noi due…
ho preferito essere prudente.»
Dario sorrise, questa volta convinto.
«Bravo, mio Bahram. Vedo che sei molto accorto nei tuoi affari.»
Bahram chiuse gli occhi e si godette lo
sguardo appagato del suo re su di sé. Niente lo gratificava di
più che accontentare il suo sovrano. «Ogni desiderio del Gran Re
è un ordine.»
«Benissimo, mia dolce
creatura…» si interruppe all’istante, lasciando qualcosa in
sospeso.
Bahram lo osservò confuso; sentiva gli
occhi di Dario strisciare impudenti sui suoi esili contorni. Si sentì
ardere: Alessandro, lo schiavo personale del re, non c’era più.
Era morto. E ora davanti al Gran Re
c’era lui. Solo lui. Sorrise.
«Bahram…» riprese Dario.
«Mio re…»
«Ti
aspetto questa sera nelle mie stanze..»
Il suo corpo tenero, la pelle
scura, l’odore di selvatico, e quelle labbra fameliche.
Non portava l’orecchino d’oro, e
sicuramente non si sarebbe rivelata la sua anima gemella, ma quella donna era
seduzione, era indecenza, era sesso puro.
Aveva sentito parlare delle donne persiane e dei
loro seni accoglienti, delle loro labbra gonfie, delle loro lunghe gambe tornite,
e doveva ammettere che quando aveva ricevuto l’invito del Gran Re a
raggiungerlo nel suo palazzo quella era stata una delle prime cose a cui aveva
pensato.
«Aahh…» la sentì gemere, e
avvertì le sue mani appigliarsi alle sue braccia, le sue dita affusolate
stringere i suoi muscoli tesi. E parlò, in persiano. Disse qualcosa che
Efestione non si preoccupò troppo di comprendere.
Mentre la guardava tendersi sotto di sé,
mentre la sentiva soffice e calda che lo accoglieva completamente assecondando
i suoi movimenti con il suo bacino, con le gambe cinte sui suoi fianchi,
pensò ad alcuni dei suoi commilitoni che quella sera avevano preferito
portarsi in camera degli esili eunuchi.
Cosa mai ci trovavano in un corpo duro e sterile
come quello di un maschio? – sebbene quello degli eunuchi fosse
modificato ad arte e reso più malleabile.
La mollezza delle forme di una donna, il suo
calore, il suo odore, non erano nemmeno paragonabili all’asprezza di un
corpo maschile. E i capelli di seta… affondò il viso nella chioma
scura di quella splendida creatura, profumata, sensuale… femmina.
Sentì le sue cosce serrargli la vita quando giunse al culmine del
piacere. Quanto lo eccitava soddisfare le sue donne! Adorava sentirsi
accarezzare i capelli e farsi sussurrare all’orecchio che era un
bravissimo amante. Zeus solo aveva saputo contare quante femmine avevano
lasciato il loro odore sulla sua pelle ruvida, quanti segni avesse avuto sul
collo sin dall’adolescenza, quante unghie avevano graffiato la sua
schiena gagliarda. E mai, lo sapeva, mai avrebbe potuto rinunciare a tutto
questo.
Quando si abbandonò esausto al fianco della splendida persiana,
quando sentì le sue labbra catturargli il lobo dell’orecchio e
sussurrargli tutta la loro soddisfazione, si ritrovò a pensare all’orecchino
d’oro e alla strana profezia. E, con gli occhi fissi al soffitto,
cercò di immaginare quale divina creatura potesse indossare il gioiello
complementare, se fosse mora o bionda, se fosse alta o bassa, se tenesse gli
occhi bassi e pudichi o se invece si sapesse leccare le labbra con lascivia.
Si leccò le labbra; aveva appena finito di mangiare. il fuoco che
avevano appena acceso scolpiva i suoi lineamenti stanchi sottolineandogli le
occhiaie che si facevano via via più profonde.
Avevano viaggiato per un giorno intero e ora si stavano godendo
l’aria della sera in un’isolata radura immersa nel boschetto che
inverdiva le zone periferiche di Persepoli. Il giorno dopo sarebbero partiti di
nuovo, alla volta di Susa, la residenza invernale del Gran Re: il freddo si
stava infatti avvicinando, e presto tutta la corte vi si sarebbe trasferita.
Avrebbero fatto in modo che potessero non essere visti ma allo stesso tempo
avessero la possibilità di comunicare con il palazzo. Susa era
immersa nei boschi, non sarebbe stato difficile sfuggire a occhi indiscreti.
Alessandro si ritrovò a osservare il visino assonnato di Bagoas,
i lineamenti delicati, il mento dolce e affusolato e il taglio affilato degli
occhi, il corpo sinuoso e sottile, e si rese conto che, con lui al fianco, non
aveva mai sentito il bisogno di stare con una donna. Cosa poteva dargli, una
femmina, più di quanto già non gli desse Bagoas? Sensibile,
complice, intelligente - anche se purtroppo poco istruito - e di una bellezza
gracile, di una morbidezza sublime, toccare il suo corpo e vederlo rispondere
era un piacere di cui sentiva che non avrebbe mai potuto fare a meno, sentire
il proprio nome pronunciato da quelle sue labbra, con quella sua voce impastata
dal desiderio, con quei suoi gemiti; e quell’esperienza nell’arte
dell’amore, che a lui sembrava non riservare alcun segreto.
Bagoas si accorse degli occhi di Alessandro su di sé e si volto a
guardarlo, sorridendo stancamente. «Ho sonno.».
Alessandro si convinse che sì, forse era meglio
anche per lui che si riposasse un po’, e cercò di calmare le sue
voglie. L’eunuco aspettò che il suo padrone spegnesse il fuoco e
si coricasse nella tenda rudimentale - che avevano costruito con pali di legno
e i loro stessi vestiti - per potersi stringere forte a lui e posare la sua
testa leggera sul suo petto. Si addormentò subito.
Alessandro, invece, teneva gli occhi fissi sopra di sé e si
godeva il torpore che i capelli di Bagoas infondevano al suo corpo.
Cercò di immaginare il viso della sua anima gemella: non era un devoto
eunuco come Bagoas, bensì un rude soldato macedone. Un uomo, in tutto e
per tutto. Si chiese cosa stesse facendo in quel momento, se anche lui ogni
tanto pensasse a dove si trovasse la sua anima gemella, se avesse mai provato
ad immaginarsela.
Avrebbe fatto di tutto, avrebbe lottato contro lo stesso Dario, avrebbe
fatto fronte persino alla sua pazzia, pur di riuscire a raggiungere il soldato
con l’orecchino.