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Autore: Daphne S    13/01/2011    5 recensioni
Fan Fiction Momentaneamente Sospesa
Nathan, figlio di una potente famiglia londinese, decide di evadere dalla falsità della sua vita.
Daphne, ragazza di campagna stanca delle offese ricevute dagli zii, decide di allontanarsi dalla monotonia del piccolo paese in cui vive.
Le loro vite si incrociano sul treno per Brighton della mezzanotte.
«Credi nel destino?» Le domandò, fissando il mare.
«Penso che ci siano le coincidenze.» Ribatté, passandosi una mano fra i capelli castani.
«Quindi pensi che sia una pura coincidenza il fatto che ci siamo ritrovati sullo stesso treno e nello stesso vagone?»
«Penso che sia stata fortuna.»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Midnight Train
Capitolo Quinto.

testo

 

Daphne era tornata frastornata da Londra. Il problema non era costituito solamente dalla morte di Matthew, dal dolore che aveva potuto leggere negli occhi della famiglia, di Norah e Victoria ma anche da Nathan Crawford e la sua misteriosa presenza a quel evento.
Innanzitutto era rimasta piacevolmente sorpresa dalle sue parole, dalla facilità con cui aveva accettato le sue scuse ma, nonostante l'inattesa sorpresa, ciò che l'aveva tramortita era stato vederlo con quella divisa addosso e, soprattutto, vedere con i propri occhi Edward e suo padre.

Daphne si sciacquò il viso con l'acqua fredda, guardandosi poi alla specchio. Le occhiaie fortunatamente erano diminuite ma il colore della sua pelle era stranamente spento. Passò le dita sulle leggere lentiggini che aveva sparse sulle guance e poi sospirò, chinandosi per raccogliere la borsa che aveva poggiato a terra e voltando la schiena al proprio riflesso.
Uscì dalla sua stanza e si incamminò nella direzione dell'entrata principale del Brasenose College, dove l'aspettavano Victoria, Rebecca ed Evan.
Da quando erano tornati dalla capitale britannica, stranamente Victoria aveva assunto un comportamento totalmente contrario a quello che aveva assunto nei giorni in cui aveva appreso del lutto. Era come se improvvisamente la sua mente avesse fatto tabula rasa delle giornate che aveva passato affogando le lacrime nel proprio cuscino, come se quel funerale non fosse mai avvenuto. Tuttavia si poteva comprendere facilmente che fosse agitata, soprattutto per gli amici: delle volte parlava a raffica, sorrideva in una maniera tanto esagerata da rendere falso ogni suo gesto, sorvolava ogni argomento che potesse riguardare la sua famiglia e, nello specifico, Norah.

«Alla buon'ora!» La voce di Evan fece riscuotere Daphne dai suoi pensieri e, nel momento in cui distolse lo sguardo da terra, incrociò tre paia di occhi fisse su di lei.

«Io, ehm, stavo finendo un saggio breve.» Si giustificò, schiarendosi la voce e sistemandosi meglio la borsa a tracolla. «Vogliamo andare?»

Il programma di quella domenica consisteva nell'andare a vedere prima l'allenamento della squadra di Oxford e, dopo, la partita fra il Keble College ed il Saint Catherine's. Ovviamente né a Rebecca, né ad Evan, né tanto meno a Daphne interessava partecipare a quell'evento della vita sociale dell'università ma da quando Victoria si era baciata con Damien, per i tre era quasi impossibile sfuggire alle partite del loro college affiliato.

Daphne aveva passato le ultime due settimane a pensare a quello che aveva visto a Londra. Continuava a domandarsi il perché della divisa di Nathan e di tutte le spille che aveva viste appese sulla sua giacca, continuava a non capire quale fosse il suo ruolo in quell'ambiente e soprattutto i suoi legami con Matthew. Così aveva cercato di trovare l'occasione giusta per parlare con Victoria, cercare di strapparle qualche informazione, ma le era sembrata sempre esageratamente su di giri, sempre impegnata a fingere qualcosa che in realtà non era: felice. Quelle due settimane erano passate lentamente, noiosamente quasi, e malgrado fossero ormai giunti a febbraio e quella vigilia di Natale sembrava essere lontana, l'immagine di Nathan non abbandonava i ricordi di Daphne. Non aveva più avuto l'occasione di parlare con lui, di incontrarlo faccia a faccia. In realtà sembrava che si fosse veramente volatizzato, in quanto neanche agli allenamenti calcistici aveva avuto più modo di vederlo. Aveva sentito Damien raccontare a Victoria che Nathan aveva la febbre e non usciva dalle quattro mura del Keble College ma poteva durare una semplice febbre ben quattordici giorni? Che fine aveva fatto Crawford?
Infondo era vero che stava girando una strana influenza per Oxford: lo stesso David, che avrebbe dovuto festeggiare i suoi vent'anni organizzando una serata in discoteca, si era sentito male e aveva rimandato a quella stessa domenica. Daphne, mentre si sedeva sulle tribune affianco ai suoi amici, continuava ad interrogarsi su come si sarebbe dovuta acconciare, come si sarebbe dovuta comportare; per quanto ritenesse che David fosse incredibilmente dolce e gentile, vedeva in lui un ameba, un essere passivo che non sarebbe mai riuscito a scuoterle l'anima come Nathan aveva fatto più volte, anche inconsapevolmente.

«Vuoi qualcosa da mangiare?» Domandò Rebecca alla ragazza, sedendosi affianco a lei e tirando fuori dalla borsa un pacchetto di patatine ed una scatola di biscotti.

«No, grazie.» Accennò un sorriso, passandosi una mano fra i capelli castani. Tuttavia Rebecca posò sulle sue gambe le due confezioni e tirò fuori dalla propria borsa un enorme libro di anatomia. Sorrise a Daphne e quest'ultima scoppiò a ridere. «Quello non lo voglio di sicuro.» Ridacchiò ancora, accendendosi poi una sigaretta.

«Sei la solita secchiona.» Disse Evan, sedendosi affianco a Rebecca. Daphne notò come la ragazza arrossì violentemente.

Il rapporto fra Evan e Rebecca era sempre stato particolarmente delicato e particolare. Sin dal loro primo anno al Brasenose College avevano avuto un feeling particolare che si era concretizzato in baci rubati, abbracci passionali e pieni di sentimento mostrati dopo aver bevuto qualche bicchierino di troppo. Eppure, dopo due anni, erano ancora nella stessa situazione iniziale: impacciati, sorridenti ed evidentemente cotti l'uno dell'altro ma così rimbecilliti da non rendersene conto, o meglio: Evan era così rimbecillito da non accorgersi né di ciò che provava Rebecca né di ciò che provava lui stesso.

«Intanto la secchiona ne capisce più di te di storia e sei tu quello che frequenta la facoltà di storia e politica.» Ribatté, facendogli la linguaccia. Il rossore dalle sue guance era leggermente svanito, ma i suoi occhi continuavano a brillare.

«Ora non è che se hai azzeccato un paio di date per puro culo sfrontato puoi farti tanto la gradassa.» Rispose a tono, fare schioccare poi la lingua. Daphne distolse la sua attenzione dai loro battibecchi quotidiani dallo sfondo melenso e guardò il campo.

Il suo sguardo andò a cercare istintivamente la figura di Nathan Crawford e quando non la trovò il suo cuore si riempì di un senso di vuoto. Quello stesso vuoto l'aveva accompagnata nelle ultime due settimane quando lo aveva cercato invano nella biblioteca comune, nel campo di calcio, nelle riunioni del Keble con il Brasenose.

«Senza Nathan non vinceremo mai contro il Catz(*)» Daphne sentì alcuni ragazzi dietro di loro parlare e si voltò al nome di Crawford.

«Sai che fine ha fatto? Non l'ho più visto in giro.» Commentò l'altro ragazzo.

«Parli del Diavolo...»

A quelle parole Daphne si girò nuovamente verso il campo ed il suo sguardo vide il ragazzo correre sull'erba verde verso i compagni. I capelli neri erano sempre leggermente disordinati e la frangia era stata sfoltita. Improvvisamente sentì come i polmoni riempirsi d'aria nuova, il cuore prese a battere e si sentì leggera, al suo posto. Che cosa le stava succedendo? Perché un sorriso ebete si era dipinto sulle sue labbra alla sua semplice vista dopo due settimane? Possibile che le fosse mancato? Scosse la testa, mordicchiandosi leggermente il labbro inferiore.

«Damien è bellissimo.» Disse con tono sognante Victoria, sospirando. Daphne guardò il ragazzo accanto a Nathan; Damien era alto, con un fisico giustamente allenato e delle spalle larghe, il viso tuttavia era particolare, dai lineamenti non regolari, ma contemporaneamente aveva un suo certo fascino. La castana si limitò ad annuire, rubando poi un biscotto ad una Rebecca sempre più rossa nella sua discussione con Evan: erano estremamente fastidiosi certe volte.

Dopo aver assistito all'allenamento della squadra fra i sospiri di Victoria, le guance rosse di Rebecca e le fastidiose battute di Evan, cominciò la partita vera e propria. I tifosi delle due squadre riempirono le tribune ed il vociare surclassò tutti gli altri suoni. Daphne guardò l'orologio che portava al polso: le quindici e trenta. Fra sette ore avrebbe avuto quella magnifica ed attesissima festa di compleanno. Si sarebbe portata dietro i suoi amici, non aveva la minima intenzione di passare la serata da sola con una mandria di sconosciuti e con David a fissarla insistentemente come suo solito.

La partita aveva preso il via da almeno quindici minuti ed era proseguita nella più completa monotonia; c'erano state un paio di azioni ma nessuna degna di nota. Nathan era arrivato vicino al gol ma nel momento cruciale, quando avrebbe dovuto reagire per tirare il calcio, si era fatto prendere in contropiede da un difensore del Catherine's. In quel momento Keats, il centrocampista del Keble, riuscì a rubare la palla agli avversari. Furono un paio di veloci passaggi quelli che fecero arrivare il pallone proprio ai piedi di Nathan. Quest'ultimo si trovava già oltre la metà campo degli avversari e si diresse con convinzione verso la porta. Successe tutto in pochi istanti. Harris, un ragazzo del Catherine's, afferrò con forza la maglia di Nathan nel tentativo di fermare la sua avanzata e quella trattenuta strappò con violenza il tessuto verde di essa. Un pezzo della maglia di Nathan cadde a terra nel momento in cui l'arbitro fischiò e lo sguardo di Daphne si posò come quello di molti su una cicatrice che interessava tutta la parte lombare della schiena del ragazzo. Sedeva nella prima fila, quindi poté vedere abbastanza bene quei segni che erano stati lasciati da un lato da una brutta ustione e dall'altro da un evidente taglio profondo. Era una ferita guarita male, piuttosto evidente, possibile che in ospedale non fossero riusciti a fare di meglio?

«Lo ammazza.» Disse il ragazzo seduto dietro Daphne.

Infatti Nathan si voltò inizialmente con una estrema lentezza verso Harris e, quando quello invece di scusarsi gli scoppiò a ridere in faccia, il ragazzo si avvicinò in un paio di falcate e con un colpo solo lo buttò a terra. Ne aveva viste di sfaccettature nel carattere di Nathan ma quella le era incredibilmente nuova. Solo tre dei suoi compagni messi insieme riuscirono a fermarlo dal continuare a picchiare Harris. L'arbitro non tentennò assolutamente nella sua decisione di espellerlo e Nathan non reagì in alcun modo. Lanciò un'ultima occhiata a Harris e poi sputò a terra, dirigendosi poi verso gli spogliatoi. Il clima tra gli spalti dei tifosi del Keble era incredibilmente teso e nessuno sembrava avere più voglia di tifare o parlare. Possibile che solamente perché gli aveva strappato la maglia aveva reagito in quel modo così esagerato?

Si girò verso i suoi amici ma anche le loro espressioni erano incredibilmente stupite. Evan si limitò a stringersi nelle spalle, Rebecca ad addentare una patatina e Victoria ad accertarsi che Damien nel tentativo di trattenere Nathan non si fosse fatto male. Sempre più cose non quadravano.


«Rebecca, non sai quanto ti sono grata per avere accettato.»

Daphne e Rebecca erano in piedi davanti allo specchio e si stavano finendo di truccare. La prima indossava un semplice tubino nero, il suo abito da occasione, e delle alte scarpe nere e grigio scuro. La seconda invece indossava un paio di jeans stretti ed una maglia color panna scollata sulla schiena.

«Figurati, poi c'è anche...» Si azzittì improvvisamente, resasi conto di aver detto qualcosa di troppo. Daphne si legò i lunghi capelli in un elegante chignon e guardò con dolcezza l'amica.

«Evan?» Rebecca arrossì vistosamente, concentrandosi a mettersi il mascara e Daphne sorrise. Avevano scoperto quella mattina che Evan e David si erano conosciuti quella stessa estate in un locale di Londra e che avevano mantenuto i loro rapporti anche ad Oxford. Certo che tutti quei piccoli dettagli le sfuggivano sempre, eh! «Ti piace tanto, vero?»

«Si nota così tanto?» Domandò preoccupata guardando l'amica.

«Beh, onestamente si... Ma Evan è un pesce lesso e non se ne è ancora accorto.» La tranquillizzò, mettendo poi a posto la sua borsetta con i trucchi e indossando il cappotto. Rebecca la imitò, fissando insistentemente il pavimento.

«Io per lui sono semplicemente quella che si può fare in discoteca. Come stasera, ad esempio.» Disse con una nota di tristezza, stringendosi poi nelle spalle. «Sono troppo una secchiona.»

«Non dire idiozie... Lo sappiamo tutti che quando ti scateni sei tutto tranne che una secchiona. Sei fantastica stasera.» Rebecca le faceva estremamente tenerezza: era una ragazza splendida, incredibilmente intelligente, ma continuamente in lotta con quell'inutile stereotipo di “secchiona”.

Gli stereotipi condizionano sempre, in tutti i momenti la nostra vita. Quando sorridiamo, quando camminiamo, quando parliamo. Evitiamo certi gesti, certe movenze perché sono inusuali, non rispecchiano i canoni prescritti dalla società e dei mass media.
Per quando Daphne potesse criticare Rebecca per farsi condizionare così tanto da quelle stupide idee inculcate nelle loro menti da altri, non poteva non rendersi conto che lei quotidianamente lottava con gli stessi concetti. La ragazza povera. Il ragazzo ricco.

«Chissà perché Nathan ha reagito così oggi.» Disse Daphne mentre camminavano verso il locale situato sulla High Street.

«Era da tanto che non lo nominavi.» Notò Rebecca, sorridendole. «Comunque non so, mi è sembrata una reazione davvero assurda.» Scrollò le spalle, stringendosi meglio nel cappotto: si gelava quella sera ed i loro vestiti da discoteca non aiutavano di certo. «Hai visto che cicatrice che aveva sulla schiena?» Daphne annuì, mentre le veniva la pelle d'oca. Aveva la strana impressione che non fosse a causa del freddo ma dell'immagine di Nathan. «Sembra una operazione fatta d'urgenza, senza alcuna preoccupazione del risultato... In ospedale avrebbero limitato i danni. Quello è troppo

Mentre Rebecca faceva un'ampia digressione di sfondo medico sulle ustioni e sui modi di curarle, nasconderne i segni, Daphne continuava a riflettere sul perché di quella ferita. Possibile che se la fosse procurata in accademia?

«L'espulsione era proprio il minimo.» Concluse Rebecca. Daphne non rispose, notando che erano praticamente a due passi dal locale. Si avvicinarono al bodyguard che dopo averle scrutate ed aver domandato loro i nomi, le fece entrare.

«Buonasera, ragazze!» Mentre lasciavano le giacche li si avvicinò una ragazza dai capelli biondi e corti che con voce acuta ma gentile, diede loro il benvenuto. «Il tavolo a nome David Harris? Sì, vi ci accompagno io.»

Inizialmente il fatto che il cognome di David fosse Harris non colpì l'attenzione né di Daphne né di Rebecca ma quando arrivarono al tavolo e si trovarono davanti un ragazzo del Saint Catherine's con un occhio nero, collegarono velocemente David Harris a John Harris, quello stesso ragazzo che Nathan aveva picchiato durante la partita.

«Daphne! Finalmente!» David la accolse con un abbraccio, presentandola poi ai suoi amici. Max, Francis, George,... Nomi su nomi si sovrapposero nella sua mente mentre stringeva le mani dei ragazzi. Solo alla fine il suo sguardo e quello spaesato di Rebecca incrociarono quello di Evan. Le salutò entrambe, sorridente.

«Quanto è piccolo il mondo, eh!»


La serata partì velocemente. Il DJ di quella sera era particolarmente bravo e sveglio a capire quali fossero i gusti delle persone presente. Alternava differenti tipi di musica riuscendo a coinvolgere tutti e, grazie alla vodka che venne servita a volontà al tavolo prenotato da David, ben presto ci si sciolse, lasciandosi travolgere dal ritmo.
Cogliendo l'occasione datale dal fatto che David si fosse allontanato per rispondere ad una chiamata, Daphne fissava con interesse John Harris, sorseggiando il suo vodka-redbull. Ci doveva essere obbligatoriamente un motivo se Nathan aveva reagito in quel modo così violento proprio nei suoi confronti, o no?

«Mi dispiace per il tuo occhio.» Mormorò forse con un tono troppo suadente, avvicinandosi al ragazzo. Lui si voltò, guardandola con un sorriso soddisfatto. Daphne si rese conto di aver bevuto troppo visto la maniera in cui le girava la testa. «Crawford è proprio un cretino.» Aggiunse, sperando che il suo volto avesse assunto una espressione decisamente dolce. Il petto di John si gonfiò, mentre portava alle labbra il suo bicchiere. Esteriormente era proprio un deficiente.

«Il punto è che non volevo farmi espellere, altrimenti lo gonfiavo.» Disse e Daphne per poco non gli scoppiò a ridere in faccia. «Studi ad Oxford allora...» Aggiunse, guardandola negli occhi. «Come ho fatto a non aver mai visto una bellezza simile?» Quello era decisamente troppo ma la curiosità di Daphne la spinse a continuare quella messinscena per indagare oltre.

«Magari era semplicemente disattento.» Crucciò il labbro inferiore, fingendosi ferita. Lui giocherellò con una ciocca di capelli che sfuggiva allo chignon, sorridendo.

«Non mi distrarrò più tranquilla.» Le ricordava incredibilmente David per il modo fastidioso in cui la guardava negli occhi.

«Promesso?» Dondolò leggermente, sbattendo un paio di volta le ciglia. Lui annuì, versandosi poi un altro po' di vodka nel bicchiere.

«Certamente, bambola.» Daphne sorrise, guardandosi poi per un istante intorno. Rebecca ed Evan erano scomparsi, David ballava con degli amici di cui lei non si ricordava minimamente il nome: aveva la piena possibilità di agire.

«Ma...Come mai tutta questa avversione nei tuoi confronti da parte di Crawford?» Domandò, pesando bene ogni singola parola.

«Lunga storia.» Disse lui, facendo il vago. No, le regole le dettava lei, lui non poteva permettersi quella vaghezza.

«Ma abbiamo tanto tempo.» Insistette Daphne, mordicchiandosi con insistenza il labbro inferiore. Parve funzionare quell'ultimo trucchetto.

«Facciamo che se balli con me te lo racconto.» Daphne annuì vittoriosa. La mano di John strinse la sua e la condusse verso la pista da ballo.

La musica era forte, rimbombava con violenza nelle orecchie della ragazza, alterata anche per l'eccesso di alcol. La pista era piena, nonostante fosse domenica, e studenti di tutte le età si muovevano: chi sinuosamente, chi con meno energia.

La mano di John passò dietro la schiena di Daphne e la strinse con forza a sé, cominciando poi a muoversi in maniera evidentemente sensuale e tentatrice. Lei cercò di contenersi, non esagerare con nessun gesto ma il fiato di lui sul suo collo cominciava ad essere estremamente esigente e fastidioso. Più volte le mani di John cercarono di invitare il bacino di Daphne a fare movimenti più consoni se fatti in un film porno che in un locale e lei miracolosamente riuscì a controllare il suo desiderio di completare l'opera di Nathan annerendo anche un altro suo occhio.

Ad un tratto le labbra di John si posarono sul collo di Daphne, dando inizio ad una calda scia di baci. Daphne si morse a sangue la labbra mentre lui risaliva l'incavo del suo collo arrivando alla mandibola. Quando fu sul punto di baciarla sulle labbra, lei si allontanò, portando le labbra al suo orecchio.

«Mi devi ancora raccontare la storia.» Urlò al suo orecchio. «Ti ho concesso più di un ballo.»

Lui annuì, evidentemente scocciata e, dopo averla presa nuovamente per mano, si diresse fuori dal locale. Uscirono dall'uscita posteriore, ritrovandosi su una strada abbastanza desolata in confronto alla High Street. John spinse la ragazza contro un muro con non troppa delicatezza, avventandosi nuovamente sul suo collo. Daphne posò le mani sul suo petto e lo spinse via con forza.

«Prima la storia.» Il freddo di Oxford la stava facendo tremare. Lui sbuffò, posando una mano proprio al di sopra della spalla di Daphne, contro il muro.

«Che storia vuoi sentire? Non c'è nessuna storia.» Disse, mentre il suo tono era sempre più simile a quello di uno sull'orlo del coma etilico. «Pensavo fosse solo una scusa.» Ridacchiò, avvicinandosi di più. Daphne strabuzzò gli occhi, schivando l'ennesimo bacio.

«Rientriamo allora.» Cercò di avvicinarsi alla porta la lui la afferrò per un braccio e la sbatté contro il muro.

«Lo so che mi vuoi, bambola, il tuo corpo sta fremendo.» Disse, posando il suo corpo su quello della ragazza. Aderirono perfettamente e Daphne sentì l'eccitazione di John all'altezza del proprio bacino.

«Ho solamente freddo, idiota!» Lo spinse nuovamente via ma lui non fece altro che afferrarla con più violenza spingendola contro la parete.

«Zitta, troia.» Sibilò sulle sue labbra. Immobilizzò i suoi polsi con le proprie mani ed il suo corpo con il proprio fisico imponente, baciandola poi con irruenza. La baciava con violenza, spingendo la lingua nella bocca della ragazza che non poteva fare altro che subire.

«Lasciami...» Mormorò supplichevole, mentre lui infilava con forza le proprie mani sotto il suo vestito. Non poteva essere vero, non poteva essere vero... Non di nuovo. Continuò a toccarla ovunque sotto il suo corto vestito, senza staccare le sue labbra dalle sue.

Sembrava essere tornata indietro nel tempo. L'incenso tornò ad inebriarle la mente. Quelle lezioni di matematica a casa sua, quando i suoi genitori erano ancora vivi, quel ragazzo così carino che la aiutava con i compiti di matematica. Quel ragazzo che aveva quindici anni e da sette era in affidamento presso gli zii. Quel ragazzo che conosceva da quando era nata. Poi quando gli zii e i suoi genitori se ne andavano, quel ragazzo provetto provava ad insegnare altro a Daphne. Eppure lei scappava, scappava ogni volta... Si rifugiava a vedere le stelle fra le lacrime, si rifugiava sempre più lontano, finché non incontrò una stazione di polizia.

«Lasciami... Lasciami, Simon...»

Nel momento in cui John si allontanò per slacciarsi i pantaloni, un'altra mano afferrò quella di Daphne spingendola lontana dal muro. Daphne tenne gli occhi chiusi, cadendo a terra sia per l'effetto dell'alcol che per la forza con cui l'avevano allontanato. Non voleva vedere quello che le stava accadendo intorno, non voleva.

«Ti giuro su Dio che tu sei morto.» Una voce non sconosciuta risuonò nel vialetto e solo allora Daphne aprì gli occhi. Nathan? Sbatté le palpebre, incredula ma il suo stupore fu spazzato via dal primo gancio che andò a colpire il naso di John. Nathan sbatté il ragazzo più volte contro la parete contro la quale lei era stata schiacciata prima. In pochi istante John rantolò a terra, coprendosi con una mano il volto e con l'altra il ventre che Nathan continuava a colpire con calci.

Improvvisamente si aprì la porta del locale ed uscirono Evan, Rebecca e David con i suoi amici. Rebecca urlò, precipitandosi dentro a chiamare probabilmente la sicurezza, mentre David si fiondò su Nathan, allontanandolo dal fratello. Mentre David si concentrò a guardare John, gli amici di David si avventarono su Nathan. Quest'ultimo schivò i loro colpi più volte ma lo scimmione di nome George lo colpì in pieno volto, facendolo inciampare.

«Che cazzo succede qui?» Il bodyguard dell'ingresso allontanò George da Nathan, spingendo poi quest'ultimo via. Rebecca guardava spiazzata la scena ed Evan cercava di scendere a compromessi con l'uomo. David aveva aiutato John a rialzarsi, facendogli dare le spalle alla porta in modo tale che l'uomo non potesse vedere il suo volto insanguinato. Era conciato veramente male.

«Avete dieci secondi per andarvene o chiamo la polizia.» Decretò infine, chiudendo la porta alle sue spalle ed andandosene. Ci fu un attimo di silenzio, che fu rotto da David.

«Ti giuro sulla tomba di mia madre che se ti vedo ti spacco la faccia.» Sputò per terra guardando Nathan. Quest'ultimo fece per reagire ma Daphne afferrò in tempo le sue mani.

«Andatevene e ce ne andiamo anche noi.» Disse con tono fermo.

«Da quand'è che frequenti questa gente di merda?» Le domandò con disprezzo David, fissando Nathan.

«Per lo meno lui non tenta di stuprarmi.» Guardò con odio John, che era sorretto dai suoi amici poco più in là. David strabuzzò gli occhi, dandole poi le spalle ed allontanandosi.

«Dovete portarlo in ospedale!» Urlò Rebecca, per avvicinarsi poi di corsa all'amica.

Le mani di Daphne erano rimaste intrecciate con quelle di Nathan. Stavano in piedi in completo silenzio. Lui tremava leggermente, respirando profondamente, ma non osava parlare. Daphne si sentiva inadeguata dinanzi tutto ciò che era successo. Si era improvvisamente ritrovata durante gli anni della sua infanzia... Simon... Eppure continuava a ripetersi di aver bevuto decisamente troppo alcol quella sera... Simon... Eppure Nathan da dove era sbucato? ...Simon... Lui la rincorreva per la casa, la afferrava e provava a buttarla a terra... Simon... Ma lei scappava... Faceva freddo quella sera ma Daphne non lo riusciva più a percepire.

«Daph, stai bene?» Le domandò Rebecca. O forse era Evan?

«E' bianca cadaverica...» No, questo era Evan. Prima due mani si posarono sulle sue guance, facendole scuotere la testa.

«Apri gli occhi!» Parlò nuovamente Rebecca. Improvvisamente le mancò la terra sotto i piedi e si sentì sprofondare. Tutto nella sua mente si annerì non appena le sue ginocchia cedettero. Due mani forti la afferrarono, evitandole l'impatto con il terreno.

Simon...


Si rigirò fra le lenzuola e pregò con tutta se stessa che tutto ciò che passava per la sua mente fossero i rimasugli di un orrendo incubo. Si portò la coperta fin sopra al naso, aprendo poi gli occhi. Le pareti che vedeva erano verdi. Le sue erano gialle. Dove diavolo si trovava? Si girò di scatto ed il suo sguardo vide una figura che le dava le spalle a torso nudo. Strizzò gli occhi e dai capelli neri capì che si trattava di Nathan. Aveva un corpo a dir poco perfetto e, mentre alzava le braccia per indossare una maglia, il suo sguardo si posò nuovamente sulla cicatrice. Da quella distanza era ancora più inguardabile. Nathan si voltò di scatto e beccò il suo sguardo curioso. Arrossì, sistemandosi frettolosamente la maglietta e avvicinandosi al letto.

«Stai tranquilla, stai da me perché era più vicino alla discoteca... Sono le quattro del mattino, hai dormito due ore.» Le disse, passandole una mano fra i capelli. Si era quasi dimenticata da quanto fosse bello e delicato il suo tocco, per non parlare dei suoi occhi del colore degli smeraldi...

«Rebecca ed Evan?» Mormorò, posando nuovamente la testa sul cuscino.

«Sono stati qui fino a mezz'ora fa, sono tornati al Brasenose.» Disse con dolcezza. In quel momento Daphne notò un livido viola sullo zigomo di Nathan. Passò il suo indice con delicatezza sul punto ferito. «Non è niente, tranquilla.» Mormorò con voce leggermente roca. «Come ti senti?»

«Cos'è quella cicatrice sulla schiena?» Domandò ad un tratto, schivando la sua domanda. Lui evidentemente non se la era aspettata e rimase interdetto, boccheggiando qualche istante. Distolse lo sguardo, deglutendo.

«Chi è Simon?» Domandò di rimando lui e, questa volta, fu Daphne ad essere stupita e presa in contropiede. «Non hai fatto che ripetere il suo nome.»




**

Ehm! Eccomi qui! Si, questo è un capitolo un po' crudo , ecco, ma era incredibilmente necessario per svelare la storia di entrambi i personaggi :) ! Spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno per i temi trattati...
Non posso fare altro che ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita fino a qui e sperare che continuerete a farlo. Risponderò personalmente alle vostre recensioni appena ho un attimo di tempo; con l'inizio della scuola mi sono ritrovata catapultata su noiosissimi vocabolari di greco ç__ç maledetta maturità! Un abbraccio a tutti,
Silvia.

   
 
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