Ad personam:
Cara Atlantis Lux, innanzitutto grazie per la tua bella recensione. Sisì, la battuta di Vera è da tipica capoufficio, e lei lo sa benissimo. L'idea dei trenini sotterranei non è male, anche se risolve solo i modesti problemi dei pedoni, perchè questi mezzi non sarebbero in grado di trainare i carri di merce. A mio parere, un grosso montacarichi da affiancare alla strada in salita verso l'altopiano potrebbe essere più utile, così porterebbe su e giù i carri di prodotti agricoli risparmiando al groppone dei poveri buoi un dislivello di 80 metri. Però, dal punto di vista della trama futura, mi serviva una descrizione dei sotterranei e degli incarichi di Terry, per cui temo che i buoi dovranno aspettare la prossima amministrazione. Un grande grazie anche a Kuruccha per le numerose recensioni lasciate di recente ai primi capitoli. Mi fa immensamente piacere sapere che c'è ancora chi ha preso a seguire la storia a quattro anni dall'inizio, ed è così gentile da farmi sapere con costanza cosa ne pensa. Qualche parola sul presente capitolo, che segue il precedente di
pochi minuti. Le nostre quattro esploratrici, di cui una molto riluttante,
ci daranno un'idea più precisa dei sotterranei, così vasti
da essere chiamati 'la città infinita', e del perchè della
loro esistenza. Nel fumetto, il nome 'Città infinita' è
utilizzato solo una volta da Galgheita nel n.4, mentre viene frequentemente
ripreso nel cartone animato.
Buona lettura
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi a Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, che prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza. Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi, un anno di Meridian. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità, o con l'aspetto di aquile. Come dal piano di Vera, le false Guardiane imprigionano Galgheitha e altri personaggi importanti, che potrebbero rendersi conto che la sempre più tirannica Regina e le Guardiane sono state impersonate da controfigure; la principessa Vera fa la parte della buona, facendo fuggire questi prigionieri dalla città. Vera affida a Theresion, che gode della sua massima fiducia ed ha già preso in mano gli incantesimi del sistema d'allarme del palazzo, anche l'incarico di realizzare un sistema di sorveglianza del sotterraneo basato sul contatto mentale con gli insetti che lo popolano, incarico che però le crea una resistenza psicologica dovuta alla sua aracnofobia. Così Vera, con la scusa di studiare il percorso possibile di un trenino, manda tutte le gocce ad accompagnarla nei sotterranei. |
Cap.58
La città infinita
Meridian, atrio alla base della torre est
Una volta aperta la porta del sotterraneo, le quattro
gocce hanno un momento di esitazione: il contrasto tra ciò che si
presenta ai loro occhi e il grande atrio alla base della torre est non
potrebbe essere più netto.
Al di qua della soglia c’è il grande, rassicurante
salone circolare dai lucidi graniti bianchi e grigiazzurri, ben illuminato
dalle alte finestre che danno sul giardino rigoglioso; al di là,
invece, l’oscurità della stretta galleria che discende nel cuore
della rupe è mitigata solo da un’inquietante fosforescenza verdina.
A quella vista, si sente distintamente deglutire Theresion.
Lei è l’unica fasciata in una sorta di tuta da speleologo di puro
sacco, e stringe a sé una ramazza come se fosse un’arma con cui
difendere la sua vita.
Anche il contrasto con l’espressione incuriosita e le
vesti lunghe e colorate delle altre non potrebbe essere più stridente.
La prima a decidersi è Carol: “Coraggio,
di qua”, e fa per muoversi.
Inaspettatamente, è Irenior a entrare per prima
nel passaggio, discendendo i primi scalini senza esitare. Come reagendo
alla sua presenza, la fosforescenza verdolina si intensifica.
Ripresasi dalla sorpresa, Carol la segue; grazie alle
sue lunghe gambe e ai suoi lunghi gomiti, si riporta rapidamente in testa
al gruppo. “Aspetta, vi faccio da guida. Mi ricordo esattamente di questi
passaggi”.
Irenior, retrocessa suo malgrado in seconda posizione,
non può che punzecchiare: “Già. Mi stavo quasi dimenticando
la tua parentela con un’altra signorina io-so-tutto”.
Carol ignora la battuta e continua a camminare sicura
in testa al gruppo. “Che posto spettrale!”, commenta, ma la sua voce dimostra
curiosità ed eccitazione.
Paochaion, dietro di loro, sta cercando ostinatamente
di tenere aperta una grande pergamena. “Non c’è abbastanza lu… AH!”.
D’improvviso scivola.
Theresion fa appena in tempo a sorreggerla, dandole peraltro
il manico della scopa sulla testa. “Scusa… Fatta male?”
“Ehi, Pao!”, “Tutto bene?”, si preoccupano le altre.
“Ahi!”, geme lei tenendosi la sommità del capo
dolente, indecisa se ringraziare la sua amica o arrabbiarsi. “Terry, cosa
ne dici di far sparire questa roba?”. Senza aspettare risposta, le prende
la scopa di mano e se la fa sparire nel palmo. Al suo posto, le porge un
oggetto simile a uno specchietto. “Potresti farmi luce, piuttosto”.
“Va bene”, risponde Theresion, “Ma non guardare la mappa
finché camminiamo sulle scale”.
Pao annuisce per farla contenta mentre riprende
il rotolo che Irenior le porge. “Comunque è chiaro che un
trenino non potrebbe salire di qua”.
“Consideralo come la scalinata del metrò”, le
suggerisce Theresion, dirigendo il fascio di luce dello specchietto sulle
volte e i pavimenti. Con sollievo, nota che il passaggio è abbastanza
pulito e ben tenuto; evidentemente è ancora in uso.
“La luce!”, protesta Pao, che ha già riaperto
la pergamena.
“Scusa”. Terry torna controvoglia a dirigere il fascio
dello specchietto verso la mappa, ma rimane immersa nei suoi pensieri.
Il fatto che in questo passaggio le fessure siano state stuccate non favorisce
il compito che Vera le ha assegnato: creare un sistema di controllo dei
locali basato sui sensi della microfauna presente. Prima di accendere il
suo specchietto, aveva notato che la bioluminescenza si intensifica al
passaggio delle persone e si smorza dietro di loro. Questo è interessante:
qualunque sia il sistema sensibile alle presenze, basterebbe collegarlo
con un trasmettitore telepatico per ottenere un buon sistema d’allarme.
Dopo le scale, la galleria prosegue in leggera discesa. Le pareti, prima disadorne, ora cominciano a essere istoriate di bassorilievi di fiori e di visi. Strano luogo, per dei semplici ornamenti. Fanno certamente parte di un sistema di sorveglianza analogo a quello del palazzo: forme come queste si prestano bene a supportare incantesimi.
In fondo al corridoio, la luce aranciata di alcune lanterne
a olio si sovrappone alla debole fosforescenza verdina.
Un robusto portone a due battenti, rinforzato di bronzo
e ferro, chiude la via. Su un lato si trovano finestrelle chiuse
da robuste sbarre d’acciaio e da vetri specchianti. Una porticina di metallo
chiude l’accesso a locali fortificati, scavati nella viva roccia.
Quando il gruppo si avvicina, le lanterne appese sotto
la volta intensificano le loro luci.
“Alt! Abbassate le lampade e fatevi riconoscere!”, tuona
una voce innaturalmente amplificata.
Carol si fa avanti. “Sono Lady…”, ma la voce dall’altoparlante
la interrompe: “Salve, Lady Irenior”, fa più cordiale, “Passate
pure!”.
Davanti a loro, i pesanti battenti iniziano ad aprirsi
lentamente.
Al di là, il passaggio è chiuso da un secondo
portone. Tra i due c’è un fossato lungo e profondo un paio
di metri, dal quale si alza una robusta passerella di legno, una specie
di ponte levatoio alla rovescia.
Interessante, pensa Theresion. Il fossato tra i portoni
potrebbe essere un accorgimento contro l’attraversamento dei battenti:
infatti è possibile smaterializzare parte del proprio corpo
per attraversare un portone chiuso, ma se dall’altra parte non si trova
un appoggio per il piede, sono guai.
Quelle cinque pietre sfaccettate sulle spallette e gli
stipiti sono i cosiddetti nodi di infrabarriera, i componenti fondamentali
delle barriere contro il teletrasporto.
“Prego, andate avanti”, invita la voce dall’altoparlante.
Mentre salgono intimidite sulla passerella e il portone
si chiude lentamente alle loro spalle, Theresion continua a osservare i
dettagli di quell’ingegnoso sistema. Sulle pareti ci sono bassorilievi
di mostri dalla cui bocca sporgono bocchette di bronzo di due fogge diverse.
Un tipo potrebbe immettere nel vano dei gas anestetici, che hanno anche
l’effetto di azzerare i poteri psichici. Buon trucco, ma contrastabile
con un autorespiratore. E le altre… che siano lanciafiamme? Al chiuso avrebbero
un effetto ancora più devastante, divorando l’ossigeno dell’aria.
Nessuna meraviglia che porte e finestre delle guardiole sembrino ininfiammabili
e a tenuta stagna.
Questi posti di blocco sono degni di una fortezza, considera
Therese. Eppure, pensando all’interfaccia telepatica del sistema di allarme
del palazzo che le stata affidata, è certa che non ci sia alcun
collegamento a questo ingresso. Ciò andrebbe corretto, altrimenti…
“Finalmente!”, sbotta Carol spazientita, mentre il secondo
portone si schiude con un debole cigolio. Dopo le luci calde delle lanterne,
la fluorescenza verdina appare ancora più oscura e spettrale.
“Fiat Lux!”, scandisce. Anche nella sua mano appare uno
specchietto, che subito proietta un forte fascio biancazzurro nel corridoio
in leggera discesa davanti a loro.
Con lei nuovamente in testa, il gruppo riprende a camminare.
Theresion si volta indietro per un’occhiata ai portoni
dall’esterno; alla luce del suo specchietto, osserva anche i bassorilievi
di fiori e visi disposti sulle pareti come all’interno. Come sensori di
allarme sembrano un po’ troppo prevedibili. O che siano solo specchietti
per le allodole? Che i veri incantesimi difensivi siano impressi nelle
nude pareti di calcare, irriconoscibili alla vista e al tatto?
“Qui un trenino ci passerebbe benissimo”, commenta Paochaion
osservando il corridoio largo e ben tenuto. “Però non ho visto lo
spazio per farlo voltare”. La mappa torna ad apparirle in mano. “Terry,
per piacere, fammi ancora luce”.
Appena guadagnata un po’ di distanza dal portone, Carol
dà un’occhiata di sbieco a Irenior. “Polpetta, mi spiegheresti come
mai la guardia ti ha riconosciuta al volo?”.
L’altra risponde evasiva: “Sono le stesse che sorvegliano
il palazzo. Perché non avrebbero dovuto riconoscermi?”.
“E come mai non hanno neppure salutato noialtre?”.
“Si vede che ho più fascino”, risponde lei con
nervosa civetteria.
“Eppure, a Midgale hai sempre avuto buon gusto per i
tuoi amanti!”.
Pao alza gli occhi dalla mappa, stupita. “Come? Hai dato
confidenze a questi ceffi?”.
Né il colorito verdazzurro, né la penombra
riescono a mascherare l’avvampare di Irenior. “Ma no! Come potete pensarlo?”.
“L’astinenza non è il tuo forte”, lascia cadere
Carol con un’occhiata in tralice. “Ma tranquilla, non te..”.
“Astinenza un corno!” grida Irenior rossa di indignazione,
pronta a metterle le mani addosso, “E’ che io lavoro per la nostra causa,
mentre tu sputi le tue battutine velenose! E ora che hai dovuto abbassare
la cresta con Vera e le…”.
“State zitte!”. La voce imperiosa di una Nemesis le interrompe.
E’ lì, accanto a loro, con la sua divisa scura e gli occhi fiammeggianti
sotto la mascherina nera come dipinta sul viso.
Le altre sussultano: “Ah!”. “Ehi… ma…”. “Che spavento!”.
Lo specchio di Theresion va a infrangersi sul pavimento, e si spegne con
sfrigolii e scintille.
“Vi rendete conto di cosa state urlando?”, le rimprovera
la nuova arrivata a mezza voce, ma con una grinta da far chinare gli occhi
a qualunque sergente. “Non potete dare per scontato di essere sole, in
questi sotterranei!”.
Theresion osserva con rimpianto, sul pavimento, i frammenti
ormai inutili di uno dei suoi deboli baluardi contro la paura. “Ci stavi
sorvegliando?”, chiede riprendendosi dalla sorpresa.
“Vi stavamo scortando”.
Irenior si guarda attorno. Al di là del chiarore
della loro ormai unica lampada, si vede solo la semioscurità pervasa
dal lucore verdino. “Ragazze, se vogliamo parlare con tranquillità,
conosco un posto proprio qui vicino”.
Irenior prende la guida del gruppo, dirigendosi verso
un ampio androne sulla destra. Di qui si aprono diversi ingressi come di
abitazioni.
La ragazza striata di verde si avvicina alla seconda
porta sulla sinistra; a un suo gesto, la serratura si apre con uno schiocco,
e lei fa strada verso l’interno.
Diverse lanterne a olio si accendono da sole, inondando
di luce calda un bel soggiorno pulito, non molto diverso da quello di una
casa di superficie, se non per la completa mancanza di finestre.
“Entrate e accomodatevi. Siete mie ospiti”.
“Carino”, concede Carol osservando il tavolone circondato
da sedie, i credenzoni coperti da suppellettili e un caminetto spento.
“Vi porto qualcosa da bere”, dice Irenior sparendo al
di là di una porta.
Mentre lei è in cucina, le altre si siedono al
tavolo.
Solo allora Carol si rende conto che le Nemesis in divisa
sono due, non una. “Ehilà! Se non sbaglio, Dora…”.
“Giusto, brava”, risponde compiaciuta quella con la sottile
treccina e la mascherina nera.
“E Katja”, fa rivolta verso l’altra, dal viso senza strisce.
Questa spalanca gli occhi, offesa. “Come, non mi riconosci
più, dopo che abbiamo abitato assieme due anni? Io sono Wanda!”.
“Oops.. scusa…”.
“Fa niente”, risponde l’altra di malumore, rimuginando
che forse non valeva la pena di interrompere il suo bel volo per venire
a scortare in quel buco le sue vecchie amiche che neppure la riconoscono
più.
Nel frattempo, Paochaion si sforza di tenere aperta la
mappa sul tavolo. “Tienimi qui un dito”, chiede a Theresion.
“Te la blocco io”, si offre Wanda, appoggiandosi sopra
con i gomiti, stanca e depressa.
Dopo pochi istanti, il volto intento di Pao si illumina
di un sorriso trionfale. “Ho trovato! Siamo qui!”, dice indicando un punto
sulla carta.
Poco dopo, serviti succo di frutta e biscotti, anche Irene
si siede al tavolo. “Ora possiamo parlare liberamente, vero?”.
Wanda scrolla le spalle. “Tanto lo faresti comunque…
Ma non dare dettagli. Più cose sapete, più ci penserete,
e non è impossibile che qualcun altro vi legga il pensiero”.
L’altra riprende: “A scanso di insinuazioni e viperaggini
varie tanto in voga, voglio spiegare perché non sono nuova di questo
luogo. Come sapete, la gente crede che molti notabili coinvolti in un complotto
siano stati arrestati per ordine di Elyon e marciscano in qualche carcere
sotterraneo.
In realtà, sono stati arrestati perché
potevano capire che Elyon è stata sostituita”.
“E così, fate ancora marcire in prigione degli
innocenti?”, si rabbuia Carol.
“No! Io ho aiutato Vera a mandarli tutti al confino sotto
falsa identità, facendo credere loro che li facevamo evadere. Li
portavamo proprio in questa stanza, prima di spedirli via”.
“E quindi, fate la figura delle salvatrici”, commenta
Carol. “Ma se richiamerete queste persone in città dopo che lei
sarà incoronata, non potrebbero capire egualmente cos’è successo?”.
“Forse”, risponde Dora giocando con la sua treccina,
“Ma hanno già avuto un breve assaggio di quello che toccherebbe
loro, se ne parlassero!”.
Le ragazze restano brevemente in silenzio, cercando di
mettere a tacere il lontano brontolio della coscienza.
Dopo qualche istante, Pao si guarda attorno. “Ma perché
esistono abitazioni nel sotterraneo?”.
“E perché sono inutilizzate?”, aggiunge Theresion.
“Dipende dai cicli climatici del metamondo”, risponde
Carol, preparandosi a far sfoggio delle sue conoscenze.
“Oh, ecco, sentiamo la professoressa Hair”, ironizza
Irenior con la voce più candida che riesce a fare.
Dopo un’occhiata stortissima alla padrona di casa, Carol
inizia: “Al giorno d’oggi il clima di Meridian è ottimale, con minime
escursioni stagionali. Non è sempre stato così, né
lo sarà per sempre”.
“E tu come lo sai? Sempre dalle memorie dei dignitari,
o ti diverti a menare jella?”.
“No, cara Irene. L’ho letto su un libro di storia di
Meridian. Poi ti spiegherò cos’è un libro”.
“Dopo che te l’avrà spiegato Terry?”.
“Ma cosa c’entro io?”, protesta Theresion. “Lasciala
continuare, per piacere!”.
Quando sente di nuovo l’attenzione, Carol riprende: “L’orbita
del metamondo attorno al suo sole è un po’ eccentrica. Nell’emisfero
Boreale dove si trova Meridian, d’inverno il sole è più basso
all’orizzonte che d’estate, ma è più vicino, e le due cose
più o meno si compensano. D’estate, invece, il sole è più
alto ma più lontano, e così non fa molto caldo”.
Theresion interviene: “Ma allora l’emisfero australe
sarà un inferno. Estati caldissime e inverni rigidissimi”.
“Brava Terry. Però non è sempre stato così.
L’asse di rotazione di questo mondo cambia con un periodo di precessione
di soli cinquecento anni. Il che significa che duecentocinquanta anni fa
il clima estremo era a Meridian, e così pure settecentocinquanta,
milleduecentocinquanta…”.
“Mentre nell’altro emisfero si stava da pacchia”, completa
Irene. “Bene, ora sappiamo di avere tra noi un’esperta di geometria astrologica!”.
“Semmai sarà geografia astronomica, Polpetta.
Perché non vai a farci una crostata, che almeno in quello sei brava?”
“Grazie per l’ ‘almeno’, superbionda. Ma cosa c’entra
tutta questa tua bella lezioncina con questi sotterranei?”.
“Se mi lasciassi continuare, lo sapresti. Posso, sì?
Bene. Se hai quattro mesi all’anno di neve e ghiacci, e quattro di caldo
torrido e siccità, non desidereresti trasferire una parte della
vita cittadina nei sotterranei?”.
L’altra le fa un grazioso gesto di stizza. “Per otto
mesi all’anno? Piuttosto me ne andrei nell’altro emicoso… emisfero!”.
“Tu, non ne dubito. Ma a Meridian c’è una risorsa
eccezionale: la sorgente di acqua magica. Inoltre c’erano moltissime grotte
scavate dalle acque nel calcare di questo territorio carsico. Queste sono
state gradualmente trasformate in un’estensione sotterranea della città.
Sotto terra, la temperatura era quasi costante, un grado in meno della
media annuale. Non nevicava, non si formava ghiaccio. Nei livelli profondi
c’erano già canalizzazioni enormi in grado di convogliare le acque
che si riversano dall’altopiano quando si scioglievano i ghiacci invernali.
Alcune grotte sono state trasformate in cisterne immense in grado di far
fronte a mesi di siccità. Sono stati ricavati passaggi pedonali
e perfino carrabili, collegati con tutti gli edifici pubblici e a numerose
case private. E poi, grandi sale sotterranee, dormitori, mense, perfino
alloggi privati per i più benestanti”. Indica la stanza in cui si
trovano. “Alloggi come questo, suppongo”.
“Brava, bella lezione”, applaude Irenior con una punta
d’invidia. “Abbiamo tra di noi un’astronoma e una storica”.
“E un’esperta in vaccate… pardon, in zootecnia”, ribatte
Carol con un ghigno di autocompiacimento.
Paochaion, tutta seria, riprende a studiarsi la mappa.
“Scusa, puoi togliere il gomito?” chiede a Wanda, che ci si è quasi
addormentata sopra. “E tu, Terry, mi fai più luce?”.
Mentre le sostiene pazientemente lo specchietto sopravvissuto,
Theresion ascolta distrattamente lo scambio di frecciate che continua tra
le due aspiranti primedonne. Sì, almeno sotto questo punto di vista
le cose sono ritornate alla normalità. Per rientrare nel gruppo,
Carol ha accettato di sottostare a continui e invasivi controlli della
sua memoria: un compromesso umiliante a cui lei non avrebbe mai consentito.
Da parte sua, Therese ha sempre fatto del suo meglio per essere all’altezza
della fiducia datale.
Alzando gli occhi dalla mappa, Paochaion dice decisa:
“Ragazze, adesso abbiamo qualcosa di più importante da fare, o sbaglio?”.
“E’ meglio proseguire”, conviene Nemesis Uno, alzandosi
in piedi e svanendo alla vista.
Anche Wanda si scuote, e sparisce senza neppure alzarsi
dalla sedia.
Appena uscite dall’androne, le ragazze tornano sul corridoio
principale.
Illuminandolo con lo specchietto, Theresion si accorge
con orrore che il prosieguo non è affatto pulito come quello che
hanno percorso fino a ora: festoni di ragnatele e insetti volanti le vengono
impietosamente rivelati dal fascio di luce. Un’ombra guizza veloce sul
pavimento e sfugge alla sua vista, restando però ben impressa nella
sua immaginazione.
Theresion viene strappata alle sue visioni da incubo
dal sorrisino ironico di Carol che si è voltata indietro e
allunga la mano per riprendersi il suo specchio: “Sicura di farcela, Terry?”.
“S-sì. Sono sicura”, mente lei, consegnandole
malvolentieri la fonte di luce.
“E qui viene il bello di farsi guidare da Carol”, interviene
Irenior ammiccando, “Con la sua magnifica testolona bionda, spazza via
tutte le ragnatele dal soffitto”.
Questa la squadra con il suo tipico sguardo dall’alto,
poi accenna un gesto della mano verso la galleria. Tenui aloni dalla
luminosità azzurrina prendono a percorrere lentamente, in un silenzio
assurdo, la volta e le pareti dell’ampio corridoio, cancellando ogni traccia
di sporco, inanimato o vivente, per parecchi metri.
Therese, con rammarico, si costringe a dire: “No!”.
“Perché no?”, chiede l’altra stupita, mentre gli
aloni svaniscono lentamente in distanza.
“Perché… perché non voglio che uccidi quelle
bestiole per me”. Non è il caso di spiegare che, se vaporizza gli
insetti, si può dire addio al sistema di allarme proposto da Vera.
“Sono in grado di vincere queste paure”, afferma con coraggio.
L’altra la gratifica di un’alzata di spalle. “Veramente
pensavo ai miei capelli”.
Mentre parlavano, Paochaion si è già spinta
avanti di una decina di passi. “Allora?”, fa, tamburellando un piede con
impazienza.
“So esattamente dove arriva questo corridoio”, afferma
Carol riprendendo velocemente la posizione di testa. “Troveremo una grossa
sala con molte diramazioni importanti sotto piazza Sottocastello”. Quasi
a confermare le sue parole, poco più in là la galleria si
incurva a sinistra in una specie di tornante che ricorda quelli della strada
lungo la scarpata.
Alla fine della lunga discesa, ai loro occhi si presenta
un grande salone colonnato e ben rifinito, ampio quanto una grande chiesa;
su un lato vi è una specie di palco come quello di un teatro, mentre
numerosi corridoi si diramano da tutti i lati.
“Le regine del passato hanno parlato numerose volte da
lì, durante i periodi più inclementi”, spiega Carol, immersa
nel suo nuovo ruolo di guida, proiettando il suo fascio luminoso sul palco.
A sorpresa, Irenior vi si porta sopra ed emette un lungo
e melodioso La, che risuona nella sala.
“Bella acustica”, conclude soddisfatta ridiscendendo
gli scalini.
Da una galleria laterale, un silenzioso svolazzo di pipistrelli
sottolinea le sue parole.
Carol, stizzita dall’interruzione, riprende subito il
controllo del gruppo: “Da quella parte si arriva sotto piazza Due Lune”,
dice incamminandosi verso una galleria di fronte.
Paochaion si rigira tra le mani la mappa. “Allora è
sbagliata”, sbuffa con disappunto.
Mentre proseguono, la cinese nota le architetture disomogenee
e non ripetitive che caratterizzano questi sotterranei, in cui si alternano
tratti scavati nella viva roccia ad altri intonacati, o anche riquadrati
in sassi o mattoni che rivelano le modifiche che si sono succedute
nei secoli; corridoi dalle alte volte a una sola campata vengono talvolta
seguiti da slarghi costellati da archi e colonne; passerelle di legno distorto
collegano passaggi posti in alto sulle pareti.
“Comunque, da qui fino ai portoni del palazzo è
tutto carrabile”, si rallegra Paochaion.
Andando avanti ancora, in alcuni punti si riconoscono
sul terreno residui di calcinacci, e l’intonaco appare corroso dall’umidità,
che sta lasciando tracce sempre più evidenti a mano a mano che proseguono:
agli aloni scuri sulle pareti inizia a far seguito, sempre più frequentemente,
il luccichio del bagnato sul pavimento.
Quando si fermano per guardarsi attorno, il sommesso
gocciolare dell’acqua riempie i silenzi.
“Di là usciremo in piazza Due Lune”, afferma Carol
indicando una scalinata in una diramazione laterale.
Meridian, quartiere Trasclovkir
La vecchia Tagral procede zoppicando lungo lo stretto
vicolo in salita, sopportando con rassegnazione le fitte alla gamba; da
quando la sua vicina guaritrice è svanita, la sciatica non le dà
tregua. Guarda con un sospiro la scalinata prima della sua casa, arrampicata
sulla scarpata, e si fa forza per salire.
Lo scatto di una serratura e lo stridio di cardini rugginosi
la fanno voltare: dalla cancellata del sotterraneo, aperta sul vicolo,
escono quattro giovani donne dall’aspetto sorprendente, che si guardano
attorno come perse.
“E questa sarebbe piazza Due Lune?”, chiede con un accento
forestiero quella dalle iridi gialle, i cui aderenti cenci da spazzacamino
stridono con le vesti delle altre, lunghe e colorate.
“Carol, mi sa che ci hai fatte allunare sulla luna sbagliata”,
sfreccia quella dagli occhi verdi.
“Questo è Trasclovkir”, dice l’altra dalla pelle
azzurrina e dagli occhi obliqui. “Ecco perché tutta quell’umidità
nei sotterranei”.
Ma è la giovane altissima dalla pelle rosata che
colpisce Tagral come un fantasma dal passato.
Altri passanti cominciano a scambiarsi gomitate e mormorare:
“Ma quella non è la guardiana di Kandrakar?”.
La
diceria passa di bocca in bocca, finché una voce decisa la interrompe:
“No! Siamo noi, le guardiane di Kandrakar!”.
Dalla galleria escono due aliene dai costumi variopinti
con scostumati ombelichi in vista, alette iridescenti e sguardi sprezzanti.
Dalla parte opposta, passi pesanti di scarponi chiodati
risalgono il vicolo. Due tozzi soldati dalla pelle marrone e i canini sporgenti
si arrestano, ostili, davanti alle nuove arrivate.
La guardiana dagli occhi verdi li affronta, impettita:
“Le signorine sono autorizzate a esplorare i sotterranei dalla Luce di
Meridian!”.
“Qualcosa in contrario?”, chiede con sfida, pugni sui
fianchi, quella dai lunghi capelli biondi.
“Non osate ostacolarle, bestioni!”, incalza l'altra minacciosa,
puntando loro addosso un dito come fosse un'arma mortale.
Per un lungo momento si sente la tensione farsi palpabile,
poi i due armigeri si ritirano con sguardi risentiti, senza proferir parola.
La vecchia Tagral alza il suo sguardo opaco sulla giovane
altissima dalla pelle rosata. “Ma è la principessa Vera?”, chiede
fra sé.
Carol l’ha sentita. “Io Vera?”, si stupisce.
“Di che farnetichi, vecchia?”, l'apostrofa la guardiana
dagli occhi verdi, “Non l’hai mai vista, la tua principessa? Ce n’è
solo una!”.
Tagral china il capo. “Scusatemi… i miei occhi non mi
permettono di vedere lontano. Ma mi ricordo bene di com’era il principe
Phobos, prima che si isolasse nel palazzo, e la signorina gli somiglia
tanto… Così ho creduto che avesse lo stesso sangue”.
La guardiana la squadra per un attimo quasi con compassione,
subito cancellata da un ghigno di disprezzo. “Secondo te, vecchia, tutti
quelli con la pelle rosata e i capelli biondi sono della famiglia reale?”.
“Guardami!”, incalza l’altra guardiana dai lunghi capelli
biondi. “Sono una Escanor, io?”.
Tagral abbassa il capo umiliata e si avvia verso casa
sua.
Mentre sale la ripida scalinata intuisce, più
che vedere, le strane dame che rientrano imbarazzate nel sotterraneo, seguite
dalla loro sinistra scorta e dal clangore rugginoso del cancello che si
chiude dietro a loro.
Meridian, sotterraneo
Nel sotterraneo, appena dopo la prima svolta, la guardiana
Irma afferra Carol per un braccio. “La sorella di Phobos, nientedimeno!
Ti sei resa conto, finalmente, dei problemi che hai creato con il tuo rifiuto
di cambiare aspetto?!?”.
Cornelia rincara: “Se non mi fossi mostrata così,
ora ci sarebbe gente che blatera che Cornelia sei tu! Di qui a dedurre
chi sono quelle con te, il passo è breve!”.
“E ci hai costrette a maltrattare la gente per stroncare
le voci sul nascere. Credi che ci divertiamo a fare questo?”.
Detto ciò, entrambe le guardiane svaniscono alla
vista.
Carol rimane silenziosa, turbata dall’accaduto, mentre
Paochaion, impossessatasi dello specchietto, guida il gruppo lungo i corridoi.
“C’è una buona notizia”, dice la cinesina volgendosi
con un sorriso verso le amiche: “La mappa è giusta!”.
Meridian, quartiere Trasclovkir
Mentre riprendono il loro pattugliamento per le vie umide
e tristi di Trasclovkir, i due tozzi soldati restano chiusi nei loro cupi
pensieri per un po’.
Uno dei due butta lì: “Sei silenzioso, Torlor.
Stai ancora pensando all’ombelico delle guardiane?”. Ridacchia sguaiato
alla sua stessa battuta. “Oscene! Peccato che abbiano quel fisico esile
e sgraziato a forma di clessidra! A prova di tentazione!”. Si guarda attorno,
e i passanti abbassano il capo intimiditi. “Almeno, la gente orribile di
questa città ha il pudore di nascondersi sotto i pastrani, ma…”.
L’altro lo zittisce con una gomitata. “Attento a come
parli, Athisok!” gli bisbiglia , “Anzi, attento anche a come pensi! Lo
sai bene che il razzismo è vietato quanto bestemmiare il nome della
Regina! Vuoi finire ai lavori forzati, così rimbambito da ricordarti
a fatica il tuo nome?”.
Il soldato tace, spaventato dalla prospettiva, e distoglie
lo sguardo da un passante dal cui saio sporge una vistosa coda da rettile.
Dopo un lungo silenzio, chiede: “E tu, Torlor, a cosa
stai pensando?”.
“Alla guardiana, quella tettona. Ritrovarmela davanti
così! Non so se mi ha riconosciuto”.
“Avrebbe dovuto?”.
“Durante la rivolta contro Phobos, nella mischia mi trovai
faccia a faccia con lei. Sparava raggi contro di noi dai palmi delle mani.
Ero a un solo passo. Stavo per trapassarla con la spada, ma qualcosa mi
colpì prima che potessi farlo. Non so neanche cosa”. Il soldato
tace, mentre la sua grossa mano corre sovrappensiero all’elsa. Ricorda
l’umiliazione della cattura, di essere minacciato dai ribelli con la sua
stessa spada, dei suoi polsi legati da ruvide corde di canapa. Questa gente
gli fece mordere la polvere.
E oggi lo sguardo arrogante della guardiana, risvegliando
questi ricordi amari, gli ha fatto rimpiangere più che mai di non
aver potuto allungare il suo braccio in quel giorno lontano.