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Autore: Yoshiko    20/12/2005    4 recensioni
+++++ Storia aggiornata +++++
Durante il rigido inverno dell'Hokkaido, quando la temperatura scende di almeno un paio di decine di gradi sotto lo zero, alcuni giocatori della Nazionale giovanile giapponese sono stati invitati (o piuttosto minacciati da Gabriel Gamo) ad andare in ritiro in una località tranquilla, per cercare di appianare certe incomprensioni interne che rischiano di compromettere l'affiatamento della squadra, nonché per fortificarsi con un sano ed efficace allenamento sulla neve. Ma cosa succede se a questo ritiro prendono parte anche quattro ospiti inattese?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Ritiro con sorpresa
Seconda parte


Philip misurava a grandi passi impazienti il corridoio degli arrivi del piccolo ed essenziale aeroporto di Obihiro. Temendo di far tardi era partito da Furano con troppo anticipo. Anzi, era partito presto spinto dalla smania di rivedere Jenny, come se arrivando prima all’appuntamento anche l’aereo avrebbe anticipato l’atterraggio. Ora che era lì ad aspettare, l’orologio sembrava essersi fermato e il tempo che lo separava dalla fidanzata si era magicamente dilatato. Jenny, che quando la mattina aveva aperto gli occhi gli era parsa vicinissima, in quel momento era diventata quasi irraggiungibile.
-Se con i suoi sospiri l’aereo potesse volare più veloce a quest’ora sarebbe già arrivato.-
Philip lanciò uno sguardo truce a un uomo in giacca e cravatta che seguiva infastidito il suo continuo andirivieni. Allora recuperò il trolley abbandonato accanto a una poltroncina e andò a posizionarsi sul muro in fondo, tra due pannelli pubblicitari che reclamizzavano rispettivamente le attrezzatissime piste da sci di Tomamu e il Festival della Neve di Sapporo. Incrociò le braccia e si rassegnò ad aspettare tranquillo l’arrivo dei compagni.
Osservando da lontano le porte automatiche che si aprivano e si richiudevano di continuo al passaggio dei viaggiatori, si chiese cosa stesse facendo Jenny in quel momento e se anche lei fosse così impaziente di rivederlo. Per quanto lo riguardava, non aspettava altro.
Al ryokan di Shintoku era già stato quando frequentava il liceo, ma con il trascorrere degli anni i ricordi di quel vetusto edificio sperduto tra le montagne dell’Hokkaido Centrale si erano sfumati. Non rammentava più la stanza in cui aveva dormito, la cucina in cui aveva mangiato e neppure le facce degli anziani proprietari. In compenso ricordava perfettamente che la nonna cucinava da Dio e le terme gli erano sembrate immense. Ancora poche, pochissime ore e finalmente avrebbe potuto riabbracciare la fidanzata e rinfrescarsi la memoria.
Quant’era che non si vedevano? Un mese? No, per essere precisi quasi due. A Natale come di consueto Jenny aveva raggiunto i genitori negli Stati Uniti. Lo faceva tutti gli anni ma questa volta un paio di giorni prima che lei tornasse, Philip era dovuto partire per Yokohama per prendere parte al ritiro con la nazionale, e una settimana dopo era volato in Uzbekistan insieme al resto della squadra, per giocare quello sfacelo di partita.
Al ricordo dell’incontro sospirò. Una partita, un disastro. Avevano vinto grazie al gol di Mark e a quello di Holly, ma non avevano fatto altro che discutere prima, durante e dopo l’incontro. E la vittoria non diventava affatto una consolazione se quell’anno l’Uzbekistan si stava dimostrando la squadra più schiappa di tutta l’Asia. Non era mai successo prima d’ora che tra loro serpeggiasse un malumore tale da seguirli persino in campo. Philip stesso non riusciva a spiegarsi cosa accidenti fosse accaduto quel giorno. Un’infausta concatenazione di eventi aveva preso forma già prima dell’inizio dell’incontro. Precisamente dal momento in cui Benji e Mark avevano cominciato a guardarsi in cagnesco per uno stupido scambio di battute avvenuto in hotel. Poi, durante il primo tempo, dopo che Landers per errore aveva mandato a puttane una potente rimessa del portiere arrivata dritta dritta nell’area avversaria, il malumore che covavano entrambi era esploso. Secondo Philip, in quel momento Price non aveva sbagliato a rimproverare Mark. Quell’azione di risposta al blando attacco dell’Uzbekistan, grazie all’impegno dell’intera squadra avrebbe potuto trasformarsi facilmente in un gol se Landers non si fosse lasciato trasportare dalle sue solite manie di protagonismo e non si fosse messo in testa di portare avanti la palla fino alla porta avversaria senza l’aiuto di nessuno, neppure di Danny. Però Mark non era il tipo da lasciarsi rimproverare senza controbattere, soprattutto se a farlo era Benji.
Nei primi minuti del secondo tempo la situazione era precipitata. Apparentemente senza motivo Julian e Bruce avevano preso a battibeccare per l’organizzazione della difesa. Ciò si era ripetuto puntualmente nei momenti in cui l’Uzbekistan ritentava l’attacco e il pallone arrivava nell’area del Giappone. In quei terribili istanti, nella frenesia di tamponare una difesa che aveva cominciato a fare acqua da tutte le parti (Bruce e Clifford avevano smesso di ascoltare Benji, reso più arrogante dal litigio con Landers), erano volati i primi temutissimi insulti.
Philip, per quanto lo riguardava, non appena era riuscito a riprendere fiato un istante, aveva fatto notare a Bruce che Julian aveva ragione su ciò che stava cercando di ficcargli nella testa. Vale a dire che per far filare tutto liscio in quella zona del campo era sufficiente sopportare in silenzio le polemiche direttive del portiere. Quella perla di saggezza non richiesta era servita soltanto a inasprire Bruce, che alla fine s’era scagliato anche contro di lui, appoggiato tra l’altro da Clifford. Nonostante una vittoria che avrebbe dovuto perlomeno rallegrarli, negli spogliatoi la discussione aveva preso una bruttissima piega. Cosicché quando Tom, con il timore che si passasse presto dalle parole ai fatti, aveva cercato di sedare il malumore di Landers che continuava, corrisposto, a insultare Benji, i due si erano rivoltati contro il povero Becker mettendolo malamente a tacere. A quel punto Gamo, che secondo Philip era rimasto ad ascoltare le loro urla in corridoio sforzandosi di non intervenire, era entrato spalancando la porta ed era esploso. Aveva chiamato a rapporto tutti e sette (anche Holly, che c’entrava solo in quanto capitano), e li aveva obbligati a chiarire subito-immediatamente le loro incomprensioni mentre il resto della squadra si faceva piccolo piccolo sullo sfondo. Nessuno dei ragazzi era stato disposto ad aprire bocca e così Gamo era rientrato in Giappone fumante di rabbia. Dopo una notte di riflessione nella sua più tranquilla villa di Tokyo insieme alla moglie e all’adorata figlia, aveva provato a chiamare Holly, trovando il suo cellulare irraggiungibile. Esaurita la pazienza, il mister non aveva aspettato di riuscire a parlare con il capitano, ma aveva ripiegato sul vice. Quando aveva risposto, Philip si era sentito assegnare una serie di direttive alle quali era stato costretto a ubbidire senza “se” e senza “ma”. Ed eccolo lì: il ritiro speciale. “Insultatevi, scornatevi, ammazzatevi ma soprattutto… chiarite! Altrimenti alla prossima discussione, riempio il campo di riserve!” era esploso il mister. E gli aveva segnalato un hotel in una non ben identificata località nella provincia di Yamagata, un tranquillo paesino sperduto tra le montagne e la neve da raggiungere senza indugi. A quel punto a Philip era venuta in mente un’idea magnifica, di quelle proprio forti. Avrebbe unito l’utile al dilettevole. Era un’idea così geniale che aveva impiegato meno di un istante a decidersi. Aveva richiamato Gamo e gli aveva proposto in alternativa un ryokan tra le montagne dell’Hokkaido a due ore da Furano. Come il ragazzo aveva immaginato (e sperato), per il mister una località valeva l’altra, quello che contava era il risultato. Così aveva acconsentito immediatamente, convinto che il gelo più intenso dell’inverno dell’estremo nord avrebbe raffreddato in maniera più efficace i loro bollenti spiriti. Philip ovviamente si era ben guardato dal rivelargli che l’hotel in questione era gestito dai nonni paterni della sua fidanzata. Una volta d’accordo con il mister, aveva chiamato Jenny e insieme avevano stilato un bel programma. Lei lo avrebbe raggiunto al ryokan. Anzi, lo avrebbe addirittura preceduto. All’inizio il ragazzo le aveva proposto di fingere di lavorare per l’albergo e  restare così insieme per tutta la durata del ritiro. Jenny lo aveva ascoltato perplessa, secondo lei la balla sarebbe durata meno di un secondo. Dopodiché aveva avuto l’illuminazione, di quelle con la “i” maiuscola. L’unico modo per rendere meno traumatica agli altri la sua presenza, era invitare anche le fidanzate dei compagni. Ottenuto il via libera di Philip e il numero di Amy, Jenny era partita da lei. Poi, attraverso la giovane, anche Patty ed Evelyn. Nessuna delle tre si era tirata indietro, anzi erano state ben felici dell’invito inaspettato. Certo non era la vacanza che Philip aveva immaginato. Sarebbe stato arduo trovare il modo di riuscire a godersi attimi di solitudine con Jenny, ma poteva accontentarsi anche così. Insomma, meglio un po’ disagiati che niente. Sospirò felice. Non vedeva l’ora di arrivare a Shintoku.
Quando i passeggeri del volo proveniente da Tokyo cominciarono a defluire nell’atrio, Philip si staccò dalla parete e si conquistò un posto in prima fila. Appoggiato alla balaustra, rimase in attesa degli amici per una decina di minuti e una cinquantina di persone. Poi finalmente scorse Holly e Julian farsi largo tra gli altri viaggiatori. Dietro di loro Bruce arrancava spingendo un carrello su cui avevano ammonticchiato tutti i bagagli. Visto che i tre si dirigevano esattamente dalla parte opposta, li chiamò. Loro lo videro e lo raggiunsero.
-Ciao! Ben arrivati! Tutto a posto?- chiese di slancio, ma il sorriso con cui li aveva accolti svanì miseramente davanti alle loro espressioni preoccupate. Si guardò intorno -Dove sono gli altri?-
-Non ci crederai ma hanno perso l’aereo.-
Philip spalancò gli occhi.
-Porca miseria! Holly, stai scherzando vero?-
-Magari…-
-E come ci sono riusciti?-
-Non chiedermelo.- sospirò il capitano -Quando arriva il prossimo volo?-
Philip alzò gli occhi al tabellone.
-Tra due ore! Ma che deficienti!- no, non poteva crederci. Imprecò tra sé e sé. Erano giorni che aspettava di rivedere Jenny, stringerla tra le braccia… e… e cazzo! Non era possibile! Per un attimo fu sicuro che Landers e Price lo avessero fatto apposta e gli ci volle un istante di saggia riflessione per capire che non poteva assolutamente essere possibile -Vado a telefonare al ryokan per avvertire che arriveremo in ritardo.-
Julian si mosse rapidissimo per seguire il compagno che si era già incamminato. Philip se lo ritrovò accanto e non ne fu contento.
-Cosa vuoi?-
-Voglio parlare con Amy. Sono giorni che non la sento.-
-Scordatelo!-
-Perché?- Julian era intenzionato a rivendicare il diritto di scambiare due parole con la fidanzata. Se l’amico non l’avesse accontentato era pronto a litigare. Tanto non aveva proprio nulla da perdere, lui.
-Perché ti sei rifiutato di collaborare.-
-Collaborare?- gli fece eco Ross.
Philip annuì.
-Non hai detto niente delle ragazze. Potevi avvertire almeno Holly e Bruce! Sarebbe stata una preoccupazione in meno!-
-L’idea è stata loro, no? Lascia che risolvano da sole il problema. Avranno sicuramente escogitato qualcosa.- almeno lo sperò.
-Hai paura?!-
-Io no, ma tu sì. Infatti hai chiamato me, non Holly.- Julian scosse la testa -Non voglio assolutamente che pensino che sia un’idea mia. Mi rovinerebbero la vacanza!-
Philip si fermò di colpo e per poco Ross non lo travolse.
-Cosacosa? Vacanza? Hai detto davvero vacanza?- lo fissò con un’espressione indecifrabile, poi scoppiò a ridere -Sei matto? Che vacanza? Andiamo a Shintoku per allenarci. Se ti sentisse Holly!-
L’altro lo spintonò, seccato.
-Smetti di fare il cretino.-
Callaghan non se la prese, raggiunsero i telefoni.  
-E quello?- Julian indicò sgomento il biglietto da visita del ryokan che l’amico aveva tirato fuori dal portafoglio -Pensavo che avessi trovato l’hotel su internet.-
Philip digitò rapido i numeri, poi si volse a guardarlo.
-Hai pensato male.-
-Come fai ad averlo? Ci sei già stato?- lo incalzò, gli occhi socchiusi dal sospetto -Tutta questa storia mi convince sempre meno, sappilo.-
Philip era pronto a replicare ma dall’altra parte del filo qualcuno gli rispose. Così si concentrò sulla telefonata.
-Sono Philip.- disse -Sì, grazie.-
Julian gli girò intorno per guardarlo.
-Mi stai nascondendo troppe cose.-
-Ah sì? E pensare che stamattina non volevi nemmeno ascoltarmi, mentre adesso…- il tono della sua voce si trasformò, diventando terribilmente zuccheroso -Jenny?-
Ross si guardò bene dall’allontanarsi. Non fece neppure un passo indietro per lasciare l’amico nell’intimità che avrebbe desiderato. Temeva, e a ragione, che se non gli fosse stato addosso Philip avrebbe ignorato la sua richiesta e non gli avrebbe passato Amy.
-Siamo ancora all’aeroporto. Tom, Mark e Benji hanno perso l’aereo. Sì… Non prima delle sei. Venite alla stazione?- la risposta gli piacque perché sorrise. Poi qualcosa che la ragazza aggiunse e che Julian non udì lo fece arrossire leggermente e con gli occhi velati di imbarazzo, lanciò un’occhiata infastidita al compagno che non si era scostato di un millimetro, nonostante tentasse incessantemente di spingerlo via.
-Voglio parlare con Amy.-
Philip allungò ancora una volta il braccio per allontanarlo.
-È una conversazione privata. Levati di torno!-
-Passami Amy.-  
Spazientito da tanta insistenza, Philip arretrò e si accostò di più al muro, sfiorandolo quasi con la fronte e prendendo a parlare fitto fitto con sussurri sommessi. Intanto sul display il credito  diminuiva a vista d’occhio. La scheda si stava esaurendo e Julian non ne aveva un’altra. Certo, poteva andare a comprarla ma poi doveva tornare e pregare Philip di dargli il numero dell’hotel. Visto l’andazzo, non era sicuro che si sarebbe mostrato così collaborativo.
Pochi scatti prima che il credito finisse, ritentò.
-Insomma, Philip! La vedrai tra poche ore! Vuoi lasciarmi parlare un istante con Amy?-
Erano rimasti sì e no due minuti di conversazione e a quel punto era necessario un atto di forza. Strappò la cornetta al compagno e chiese a Jenny di passargli la fidanzata. Lei l’accontentò subito.
-Prepotente!-  
I due ragazzi si guardarono in cagnesco.
-Prepotente, io? Modera il linguaggio Callaghan, o non sarò dalla tua parte!-
-E allora dovrà alzare i tacchi anche la tua, di ragazza! A te la scelta!-
Amy rispose al telefono, mettendo fine al battibecco.
Contento di aver avuto l’ultima parola e ben sapendo che Julian non aveva alternative se desiderava che la fidanzata restasse con loro a Shintoku, lo lasciò solo con quella manciata di secondi che restavano sulla scheda telefonica e tornò dai compagni impettito e compiaciuto.
Bruce e Holly avevano trovato posto sulle poltroncine sotto un gigantesco ikebana di rami di pino e bacche rosse, molto in tono con la stagione invernale. Si sedette di fronte a loro, le gambe allungate davanti a sé, i piedi incrociati e le mani nelle tasche della giacca.
-Dov’è Julian?-
-Al telefono con Amy.-
Holly guardò Bruce, Bruce ricambiò l’occhiata e i due ragazzi furono colti da un improvviso quanto fastidioso attacco di invidia nei confronti di ciò che a loro non era riuscito di fare.  
-Tom ha telefonato.- lo mise al corrente Holly, accantonando la stizza -Arriverà insieme a Benji e Mark con il volo successivo.-
-Ha telefonato?- Philip non capì -E dove?-
-Sul cellulare che Bruce non ha lasciato a casa.-
-I cellulari ai ritiri sono vietati!-
Il rimprovero partì in automatico, poiché Philip era pur sempre il vicecapitano. Ma quando ricordò quello che invece aveva architettato lui per quel ritiro e soprattutto chi li attendeva al ryokan, ebbe la decenza di tacere. Il telefonino di Bruce era niente al confronto.

****

Le facce con cui Mark, Benji e Tom si fecero strada tra i passeggeri in arrivo varcando le porte a vetri delle uscite, non invogliavano certo a pretendere spiegazioni sull’inaccettabile ritardo, ma Bruce era così stufo di aspettare e quelle due ore di attesa gli avevano messo addosso una fame così feroce, che li apostrofò con un’arditezza tale da raggelare persino Holly. Del resto quando il suo stomaco brontolava, Bruce era capace di tutto.
-Cosa diavolo avete combinato voi tre? Vi stiamo aspettando da due ore! Due ore, vi rendete conto? Due ore trascorse inutilmente a imprimerci la sagoma delle poltroncine sul culo!-
-Vuoi anche quella della suola delle mie scarpe?- ribatté Landers ostile -Dillo che mi ci vuole un secondo! La colpa è di Price! Io non c’entro niente!-
-Se non c’entri niente, perché non eri sul nostro volo? Eh?-
A Benji fregava così poco di essere coprotagonista del loro inutile battibecco che addirittura sbadigliò. Non gli importava del ritardo e soprattutto non gli importava del ritiro. Erano ore ormai che rimuginava sulla scusa più plausibile da appioppare ai ragazzi e poi al mister per poter tornare a casa. A costo di fingere di stare male. La presenza di Landers era una condizione che non riusciva assolutamente a sopportare.
Philip fece un passo avanti, giusto per rimarcare la propria presenza. Nessuno dei tre ritardatari lo aveva anche solo sfiorato con lo sguardo.
-Comunque ciao.-
-Ciao.-
Lo salutò soltanto Tom, accennando un sorriso un po’ tirato. Dietro di lui Benji e Mark, senza spiccicare parola, recuperarono dal carrello ciascuno il proprio bagaglio e proseguirono verso l’uscita più vicina ignorandosi reciprocamente.
-Cominciamo bene…- borbottò Philip, lanciando a Julian un’occhiata parecchio preoccupata. Poi afferrò la propria valigia e corse dietro ai due amiconi che avevano imboccato l’uscita sbagliata, quella che portava ai taxi e loro invece dovevano prendere il treno.
Holly non fu per niente felice di notare che dell’espressione ottimista con cui Tom gli aveva dato il buongiorno quella mattina non era rimasta più traccia.
-Tutto bene?-
-Tutto bene quando?- rispose lui con un’eco così brusca da farlo trasalire -Quando si sono messi a discutere in libreria per uno stupido articolo, quando sono rimasto a guardare l’aereo che decollava senza di noi, quando abbiamo aspettato due ore il volo successivo o direttamente sull’aereo, seduto tra loro perché era l’unico modo per costringerli a star zitti?-
Le immagini suscitate dalle parole del compagno fecero venire al capitano i sudori freddi e non riuscì proprio a cacciar fuori una parola di consolazione. Bruce, che era meglio se restava in silenzio ma tanto non lo faceva mai, rigirò il dito nella piaga.
-Philip ha ragione, cominciamo proprio bene.-
Landers agitò un braccio nella loro direzione. Era davanti alle porte automatiche dell’uscita mentre Benji e Philip le avevano già superate, Callaghan sicuramente fiducioso di essere seguito dal resto del gruppo.
-Che fate? Vi muovete? Siamo già in ritardo, aspettiamo un altro po’?-
-E di chi è la colpa se siamo in ritardo?- gli gridò Harper di rimando.
Negli occhi di Mark passò un guizzo di fastidio, poi rispose sollevando il dito medio.
-Vuoi piantarla di provocarlo, Bruce?-
Mentre il capitano rimproverava il compagno, Tom prese la sua decisione.
-Holly, ti avverto fin d’ora. Io non dormirò in camera con nessuno dei due.-
-Speriamo non siano le solite stanze doppie e triple. A loro servono due singole.-
Si guardarono incerti, la soluzione al problema poteva essere a portata di mano, o forse no. Non sapevano nulla dell’hotel di Shintoku perché avevano pensato a tutto Philip e Gamo, neppure che tipo di camere li avrebbe accolti. Del resto le stanze finora non erano mai state un problema e nessuno se ne era preoccupato. Durante i ritiri le camerate dei centri sportivi spesso avevano anche una mezza dozzina di letti a castello. E durante gli incontri della nazionale, ciascuno era sempre libero di scegliere il proprio compagno di stanza, così Mark finiva con i suoi colleghi della Toho e Benji con quelli della New Team. Mai nessuno si era sentito costretto a dividere la camera con una compagnia non gradita.
-Ha pensato a tutto Philip. Bisogna chiedere a lui.-
Neanche Holly lo avesse chiamato, il ragazzo arrivò di corsa.
-Che state facendo?- domandò trafelato -Il nostro treno parte tra otto minuti! Non possiamo perderlo!- detto questo, si lanciò verso l’uscita con l’unica speranza di salire in tempo.
-Ma che diavolo!- Julian arraffò il proprio bagaglio e corse via con le parti finali della sciarpa che gli danzavano sulla schiena.
Gli altri lo imitarono all’istante.
-Philip! Che aspettavi a dircelo?- l’assalì Bruce raggiungendolo.
-I tempi erano calcolati al secondo se soltanto Benji, Tom e Mark non avessero impiegato una vita a scendere dall’aereo!-
Tom, che l’aveva udito nonostante si trovasse qualche passo più indietro, non riuscì a credere che  oltre a tutto ciò che aveva dovuto sopportare, adesso venisse persino rimproverato.
-Vogliamo parlare delle due ore di ritardo?-
Si accanì anche Bruce, mentre Benji prendeva atto che stavolta nonostante la corsa, Harper   sembrava avere ancora fiato sufficiente a sparare sentenze non richieste. Lo urtò con la valigia facendogli perdere l’equilibrio proprio alla fine della scala mobile. Il ragazzo piombò dritto contro il corrimano, rimbalzando sulla gomma.
-L’hai fatto apposta!-
-Può darsi.-
Holly si sforzò di fingere di non averli visti e anzi, per toglierseli da davanti, tante volte intendessero continuare a rimbeccarsi come avevano fatto in campo durante l’ultima partita – spiacevolissimo ricordo ancora troppo recente – affiancò Philip che procedeva in testa. Se occhio  non vede, rifletté caustico, pressione non sale e incazzatura non viene. Far finta di niente era più facile se ce li aveva alle spalle e lui voleva crogiolarsi ancora un pochino nella preoccupazione per la misteriosa sparizione di Patty, prima di dedicarsi con tutte le proprie energie a contenere quelle dei compagni. E, sprofondato in una concatenazione infinita di pensieri di quel genere, si sedette sul treno diretto a Shintoku a un minuto appena dalla partenza.
Il convoglio uscì a velocità moderata dall’agglomerato di case, scuole, uffici, supermercati e negozi che era Obihiro, strizzata tra le colline meridionali dell’isola più a nord del Giappone e l’Hokkaido apparve oltre i finestrini in tutto il suo abbagliante e candido splendore invernale.
-Quanta neveÈ bellissimo!- si entusiasmò Bruce -Non ne ho mai vista così tanta tutta insieme!-
-Te ne stancherai presto.- Philip lanciò un’occhiata distratta oltre il vetro, poi tornò a leggere l’articolo che parlava di loro sulla rivista sgualcita presa in prestito da Tom. Le pagine erano così malridotte che il suo prossimo viaggio sarebbe stato direttamente il cestino della spazzatura.
A parte gli occhi di Callaghan, troppo abituati e già stanchi del candore intenso e purissimo che lassù al nord abbagliava la natura ormai da mesi, quelli dei ragazzi erano puntati su un paesaggio incantato. Il bianco avvolgeva ogni cosa come una soffice nuvola di panna montata che veniva voglia di toccare, affondarvi le mani, sprofondarvi dentro. Le montagne erano ammantate di neve dalla cima alle pendici e il ghiaccio sui picchi più alti risplendeva di bagliori azzurri ai raggi del freddo sole invernale. I campi che costeggiavano la ferrovia erano distese inviolate di soffici fiocchi, ammonticchiati uno sull’altro per decine e decine di centimetri. I tetti delle abitazioni disseminate tra i poderi, gli alberi, i sentieri, i viottoli, i giardini, le aiuole e i cortili delle fattorie ne erano ricolmi e le pareti degli edifici in legno brunito dal tempo spiccavano scure contro tutto quel candore. Sembrava che sulla terra i colori fossero stati cancellati all’improvviso per lasciare il mondo nello scenario in bianco e nero di un malinconico vecchio film degli anni Settanta.
Bruce soffocò uno sbadiglio e si accomodò meglio sull’imbottitura del sedile piacevolmente riscaldato da getti di aria calda provenienti dalle grate all’altezza dell’impiantito, che scongelavano piedi e gambe e avevano un magico effetto soporifero. Spostò gli occhi su Philip che sedeva più in là.
-Tra quanto arriveremo?-
-Poco più di un’ora.-
Cinque minuti dopo Bruce già ronfava, la testa reclinata e poggiata contro l’intelaiatura del finestrino.
Oltrepassate le pianure, tra una fermata e l’altra di piccoli agglomerati di case, il treno cominciò a inerpicarsi tra i dislivelli della catena montuosa dell’Hokkaido Centro-meridionale. Il tragitto era intervallato da frequenti gallerie e ogni volta che i vagoni ne sbucavano fuori si trovavano più in alto. Il colore della sera iniziò a calare già alle quattro dagli spacchi tra le cime dei monti. La neve che li ricopriva si arrossò in sfumature madreperlacee sempre più delicate.
Seguendo il corso millenario del fiume Tokachi, il treno sboccò di nuovo in una pianura sovrastata dal gruppo montuoso più alto della catena, un vulcano ancora attivo con la vetta brulla e frastagliata come il dorso di un drago, che scendeva però con una dolce curva verso valle. Quel picco di duemila e duecento metri sulla destra, compreso nel più grande parco nazionale del Giappone ubicato al centro preciso dell’isola di Hokkaido, li osservava fin da Obihiro, facendosi via via che avanzavano verso nord più vicino e imponente. Se la tennero per parecchio tempo sulla destra, la cima più alta di tutto l’Hokkaido. La montagna li seguì finché il finestrino cominciò ad appannarsi per il freddo e all’esterno calò sempre più rapidamente l’oscurità.
Approfittando di una capatina in bagno, più per sgranchirsi le gambe che per necessità, Julian e Philip si appartarono su sedili lontani per parlare liberamente di ciò che sapevano soltanto loro. Una precauzione necessaria solo fino a un certo punto, perché i compagni si erano appisolati.
-Jenny ha detto di sì.-
Julian lanciò un’occhiata ai compagni ed emise un sospiro molto sentito.
-Speriamo bene.-
Benji era l’unico che non aveva ceduto alla stanchezza del viaggio, al gradevole calore del vagone e al silenzio lasciato dai passeggeri che strada facendo erano quasi tutti scesi, lasciando il treno semi vuoto. Dritto sul sedile, il cappellino appeso a un ginocchio, era rivolto verso il finestrino e osservava annoiato quel poco che l’illuminazione del vagone gli consentiva di scorgere dell’esterno. Udendoli parlare, rivolse loro un’occhiata veloce e molto, molto disinteressata. Solo quando distolse di nuovo lo sguardo, Julian si azzardò a proseguire.
-Cosa accadrà adesso?-
-Me l’hai già fatta al telefono una domanda molto simile.-
-Mi avevi risposto?-
-Non credo, perché non lo so.-
Il treno fece ancora l’ultima fermata prima di giungere a destinazione e quando le porte si richiusero, Philip si alzò perché era così agitato da non poter più resistere seduto. Recuperò la giacca e cominciò a radunare le proprie cose. Poi andò in giro per il vagone a svegliare i compagni. Quando lo scosse, Bruce spalancò gli occhi.
-È la prossima.-
-Di già?-
-Stai scherzando, vero? Abbiamo impiegato un tempo infinito ad arrivare!-
-Callaghan, non ricominciare.- lo mise a tacere Mark, sollevando le braccia per stiracchiarsi.
-Sicuro che siamo arrivati? Non c’è niente qui fuori.-
Bruce osservò l’esterno, adesso improvvisamente impaziente di scendere dal treno. Dapprima scorse soltanto il riflesso della sua faccia assonnata. Poi, oltre l’oscurità della notte, intravide le luci delle prime case.

A quell’ora e con quel tempo la sala d’attesa della stazione di Shintoku era davvero poco frequentata. Oltre a una donna di mezz’età che teneva sulle ginocchia una busta di carta con l’insegna della pasticceria più rinomata della cittadina, c’erano solo quattro graziose ragazze imbacuccate e sedute composte sulle scomode e fredde poltroncine di plastica. Il loro sguardo correva spesso alle lancette dell’orologio appeso in alto sulla parete, che segnava quasi le sei e avanzava con irritante lentezza. Quando fu l’ora, la voce femminile dell’altoparlante spezzò il silenzio assoluto della sala e annunciò l’arrivo del treno. La donna sola si alzò, si strinse la giacca addosso e uscì all’aperto, lasciando entrare dalla porta una ventata di aria gelida.
Amy rabbrividì. Era avvolta da strati e strati di stoffa eppure il freddo era così intenso che le era penetrato fino al midollo. Le dita delle mani, avvolte da morbidi guanti color crema, sembravano destinate a non riacquistare più sensibilità. Si voltò a guardare le amiche agitata, i capelli lisci e lunghi fin oltre le spalle che le incorniciavano il volto arrossato dal freddo.
-Sono arrivati.-
Patty le rivolse un sorriso forzato che pareva imbastito più per calmare se stessa. E le parole che pronunciò trasudavano preoccupazione quanto la curva incerta delle sue labbra.
-Vedrai che andrà tutto liscio.-
-Speriamo.-
-Se proprio non ci vogliono faremo le valigie e torneremo a casa.- affermò Evelyn mentre le altre annuivano d’accordo perché era una cosa che, a mali estremi, erano tutte pronte a fare.
Jenny non disse nulla. L’idea era stata sua, sua e di Philip e doveva essere pronta ad affrontare qualsiasi problema o imprevisto che sarebbe scaturito da quel ritiro, sia che fossero rimaste, sia che ne fossero state scacciate. E se fino a poche ore prima pur di incontrare il fidanzato e poter trascorrere del tempo con lui al ryokan dei nonni era disposta a tutto, adesso i dubbi la rosicchiavano da dentro minando la gioia di rivedere Philip dopo tutti quei giorni di separazione.
Ma la tensione che la faceva sedere dritta come un fuso sulla scomoda sedia di plastica, incurante del freddo a cui era abituata molto più delle amiche, era dovuta anche all’emozione di conoscere finalmente il resto della squadra, le stelle della nazionale giapponese. Li aveva visti in foto, li aveva seguiti dal vivo dagli spalti, ne aveva sentito raccontare di tutti i colori da Philip e da Peter Shake ma non li aveva mai incontrati, mai aveva rivolto loro la parola. Desiderava moltissimo fare buona impressione ma solo in quel momento, seduta nella sala d’attesa della stazione di Shintoku, si rendeva conto che l’imposizione della sua presenza in un’occasione in cui non era né prevista né ammessa, non avrebbe gettato le basi giuste per un rapporto di stima reciproca. E se l’avessero trovata insopportabilmente antipatica? Se non le avessero perdonato la sua intrusione? Si guardò fugacemente alle spalle, fissando la porta sulla strada e la salvezza, l’improvviso e irresistibile desiderio di fuggire.
-Jenny?-
Si volse e si trovò i begli occhi nocciola di Amy puntati addosso.
-Non avrai mica intenzione di tagliare la corda?-
Arrossì di colpo, incapace di credere che la ragazza, che conosceva da pochissimi giorni, fosse stata capace di leggerle la tentazione in faccia. Si prese una mano nell’altra e le dita guantate d’azzurro si torsero nervosamente.
-Se non fosse ormai troppo tardi, annullerei tutto.-
-Di cosa hai paura?- le sorrise Patty, stavolta più decisa -Gli unici che faranno storie saranno Benji e Mark.-
-Mark avrà sicuramente qualcosa da ridire.- concordò Amy.
Benji e Mark preoccupavano tutte, soprattutto Jenny che non li conosceva se non di fama. In quegli ultimi minuti in cui poteva ancora farlo, cercò di ricordare ciò che Philip le aveva detto di loro. Nulla di buono, a pensarci bene. Anzi, più le parole del fidanzato le tornavano alla mente e più cresceva il timore che le amiche avessero ragione. Philip le aveva detto per esempio che Mark era irascibile, scontroso e con un carattere impossibile. Era ostinato, pieno di sé e pretendeva di avere sempre ragione. Poi però aveva aggiunto che sotto sotto, cercando bene, aveva un sacco di lati positivi. Ma quando lei fiduciosa gli aveva chiesto quali, Philip l’aveva guardata, era rimasto in silenzio a riflettere per qualche istante e alla fine non gliene era venuto in mente neppure uno. Sorrise al ricordo, poi accantonò il problema Mark per concentrarsi sulla gioia di incontrare Philip. La voce di Patty la riportò nella sala d’attesa.
-Holly è il capitano e alla fine faranno come dice lui.-
-E tu sei certa di riuscire a convincerlo a farci restare?- domandò Jenny titubante.
Evelyn le diede una pacca su una spalla e le strizzò l’occhio.
-Ti stupirai di cosa è in grado di fare Patty.-
La risata che scaturì fu catartica, ma poi trasalirono al fischio del treno che entrava in stazione. Il tempo delle riflessioni e dei ripensamenti era ormai scaduto.
Jenny si alzò, spinse la porta a vetri e uscì all’aperto, stringendosi addosso il cappotto e la sciarpa. La notte era calata da un pezzo e faceva davvero freddo. Dalle montagne si incanalava nella valle una brezza fastidiosa che portava con sé il profumo del ghiaccio e della neve. Le amiche la raggiunsero lungo il binario rabbrividendo, il respiro che si condensava in nuvolette di vapore dissolte subito da improvvise raffiche gelide.
I fari del treno spuntarono oltre una curva, squarciando il buio della notte. Le quattro ragazze  osservarono il convoglio avvicinarsi, sempre più in ansia e sempre più intirizzite. I primi vagoni si arrestarono a pochi passi da loro con uno stridio di acciaio che fece accapponare la pelle quasi più del freddo. Piccoli e lisci ghiaccioli trasparenti pendevano dalle intelaiature dei finestrini, le luci della stazione si rifrangevano su di essi e li facevano brillare di riflessi multicolori.
Finalmente le porte si aprirono e i passeggeri si riversarono sulla banchina, affrettandosi verso l’uscita per sottrarsi il più presto possibile al gelido inverno dell’Hokkaido.
Julian mise piede per primo sul marciapiede stringendosi addosso la giacca.
-Che freddo terribile! È sempre così?- s’infilò in fretta i guanti e rabbrividì a una folata che lo travolse con rapida intensità, lasciandolo con naso e orecchie intirizziti. Le dita al sicuro, afferrò la valigia e seguì i compagni lungo il binario. Avevano preso posto negli ultimi vagoni, quelli che a Obihiro erano riusciti a raggiungere di corsa e per un pelo, ed erano scesi così lontano dall’uscita che laggiù la pensilina non arrivava, lasciandoli in balia delle raffiche di vento.
Benji si avvolse meglio la sciarpa intorno al collo e si guardò intorno. Oltre i binari poche luci, poche abitazioni, pochi edifici e pressoché nessuna insegna luminosa di quelle catene di locali che sorgevano intorno a tutte le stazioni giapponesi: Starbucks, Mc Donald’s, Seven Eleven, svariati karaoke e via dicendo.
-Siamo scesi in provincia di Shintoku?-
-Più che altro direi che siamo arrivati in Siberia.- gemette Bruce starnutendo e tirando poi su col naso.
Tom si avvolse meglio nella sciarpa e osservò invece i binari e i marciapiedi.
-Siamo sicuri che sia la fermata giusta? Non vedo neppure un cartello.-
-L’hotel è molto lontano, Philip? Ci sono venuti a prendere?-
-Avete finito con le domande? A chi volete che risponda per primo?-
-Vai con ordine.- suggerì Mark più polemico che pratico -Così non farai torto a nessuno.-
Le ragazze impiegarono qualche istante a individuarli. Ci riuscirono solo quando la massa dei viaggiatori si diradò e sul marciapiede rimasero soltanto loro, una manciata di ombre lontane e immerse nella pressoché totale oscurità, perché gli unici lampioni della stazione di Shintoku erano nei pressi dell’edificio e subito sopra le uscite.
-Sono lì.-
Amy li indicò anche se non ce ne fu bisogno, ora che li avevano individuati anche le altre.
-E sono persino tutti! Io pensavo che qualcuno avrebbe tagliato la corda lungo la strada.- s’entusiasmò Evelyn -Approfittando magari di aver perso l’aereo.-
-Gamo stavolta deve averli proprio terrorizzati.-
-Il mister è così terribile, Patty?- chiese Jenny.
Le rispose Evelyn, in piedi al suo fianco talmente vicina da poterne percepire il calore attraverso il cappotto.
-Tieni conto che qualche anno fa ha allontanato dalla squadra, tra gli altri, anche Mark, Tom e mio cugino Clifford dicendo che o miglioravano la loro tecnica o potevano scordarsi il posto in nazionale.-
-Questo non è rassicurante.-
-Non c’è niente di rassicurante in Gabriel Gamo, Jenny.-
Adesso i ragazzi erano così vicini che riuscivano a distinguere le loro voci. L’alta statura di Mark svettava sugli altri insieme al cappellino di Benji che avanzava per ultimo. Individuarono Bruce che non riusciva a camminare in linea retta, spostandosi un po’ qua e un po’ là per deliziare tutti con le proprie spiritosaggini, facendo inciampare i compagni nel trolley che si trascinava dietro a zig-zag.
Confuse tra le ombre di alberi e arbusti delle aiuole che fiancheggiavano l’edificio della stazione e correvano lungo tutto il marciapiede, le ragazze non erano state ancora notate.
-Più o meno quanto può resistere un essere umano a questo freddo prima di morire assiderato, Philip?-
-Direi una media di settanta-ottant’anni, Bruce. Calcola poi che il freddo conserva più a lungo, quindi potresti arrivare a cento.-
-Ibernato o in possesso di tutte le mie facoltà?-
Benji rise.
-Se intendi quelle intellettive, sei ibernato da quando ti conosco.-
-Te lo leverei quel cappellino, magari ti si gelano le sinapsi cerebrali e ti cade la lingua.-
-Se non funziona per te...- Benji lo lasciò perdere -Callaghan, ce l’hai prenotato di lusso l’igloo?-
-A cinque stelle. Vedrai che roba.-
La risposta di Philip arrivò a Jenny forte e chiara perché il ragazzo ormai distava appena una manciata di metri. Posare gli occhi di lui, sul suo sorriso rischiarato a tratti dall’illuminazione stradale, scacciò di colpo tutta l’insicurezza e i timori che l’avevano tormentata fino a pochi istanti prima. Si staccò dalle amiche e, come attirata da una forza magnetica alla quale non era in grado di resistere, affrettò il passo e percorse rapida la distanza che la separava dal fidanzato.
Jenny piombò letteralmente tra le braccia di Philip sbilanciandolo all’indietro e facendogli sfuggire la valigia di mano. Quell’ombra che investì inaspettatamente il compagno li bloccò sul posto, persino Callaghan dovette rendersi conto di cosa l’avesse appena travolto. Ma il suo smarrimento durò giusto un secondo, il tempo di riconoscere il profumo della fidanzata, ritrovare il calore e la morbidezza di quel corpo che era così perfetto per il suo. Reagì stringendola a sé e allora lei lo salutò con una parola appena mormorata, un sussurro dolce e felice che lo raggiunse attraverso le pieghe della sciarpa.
-Ciao…-
Si erano fermati proprio sotto il cono di luce di un lampione e questo diede modo a Benji di scrutare la faccia di Philip colma di beata gioia e intuire la verità. Della giovane avvinghiata al compagno non riusciva a vedere nulla, se non uno zigomo roseo e la massa di capelli neri e lucenti tagliati sopra le spalle. Ma tanto bastò. Ciò che era appena accaduto davanti ai loro occhi per il portiere fu talmente ovvio che la sua voce uscì in un secco rimprovero.
-Che accidenti stai facendo, Callaghan? Cosa significa questo?-
La risposta del compagno non era necessaria, ci arrivava da solo eccome. Lei! Lei era sicuramente la fantomatica fidanzata di Philip. Lei era Jenny! La ragazza che in trasferta, persino all’estero, pretendeva una telefonata al giorno! La tipa che aveva ridotto nientepopodimeno che il vicecapitano della nazionale giapponese di calcio a un povero imbecille, un calzino da girare e rigirare a piacimento. Jenny era lì! Non riusciva a crederci! Lei lo aveva seguito al ritiro! Era inaccettabile, i ritiri erano off-limits! Niente distrazioni! Anzi, niente fidanzate - perché se qualche distrazione capitava tanto meglio. Era una regola. Era LA regola!
-Chi è questa ragazza, Philip?-
L’ingenua domanda di Bruce gli fece quasi cadere le braccia.
-Chi vuoi che sia, idiota?- rispose Mark con un’arguzia che lasciò di stucco il portiere -Sicuramente non una sua fan. Stiamo parlando di Callaghan, quindi...-
Quel povero imbecille del vicecapitano, che lo ascoltava distratto, non riuscì a interpretare il tono della frase lasciata a metà e si ripromise di chiederne conto, ma solo più tardi perché adesso veniva la parte più complicata del viaggio.
Jenny sembrò leggergli nel pensiero, come accadeva spessissimo. Si scostò a malincuore dal corpo caldo e accogliente del fidanzato e si volse verso i ragazzi, registrando nel contempo l’avanzata di un’ombra che schermò la luce del lampione da un’altezza superiore a quella di Philip, facendole calare addosso l’oscurità.
-Il problema non è chi è, Harper, ma che cazzo ci fa qui. Chi l’ha invitata?-
Benji ghignò una presa in giro.
-Secondo te, Landers? Sei scemo o cosa?-
-La piantate voi due?- li zittì Holly stufo, poi si fece avanti -È davvero Jenny, Philip?-
-Esattamente.-
Bruce, che aveva trattenuto il fiato, esplose di sdegno.
-Che ci fa qui? Che ci fa LEI qui? Perché? Perché non me lo avete detto?- frignò.
-Volevi invitare anche Evelyn?-
Il ragazzo fissò Benji.
-Certo, perché no? Se c’è lei, perché non avrebbe potuto esserci anche Eve?-
Jenny era tentatissima di dirgli che in effetti Evelyn c’era e neppure troppo lontana, ma non era sicura che fosse il momento giusto, visto che non riuscivano ad accettare neppure soltanto la sua, di presenza. Le cose, a suo parere, non si stavano mettendo bene per niente. Era comparsa tra loro da appena un paio di minuti ed erano già sul punto di azzuffarsi. Li guardò tesa, forse era meglio finirla lì. “Grazie è stato un piacere.” poteva dire “Scherzavamo, sono passata un attimo solo per salutare Philip. Adesso me ne vado.” e poi fuggire a gambe levate. Invece si sforzò di provare a mettere qualche pezza a destra e a manca. Socchiuse le labbra in un sorriso che, nonostante la tensione, le venne perfetto, con le guance arrossate dal freddo, gli occhi che brillavano di ansia e felicità. Una felicità tale da lasciare Bruce inerme. Le proteste gli morirono in gola, complice anche il bel viso su cui era rimasto impigliato il suo sguardo.
Jenny allungò una mano guantata verso Holly, accompagnando il gesto con un’espressione radiosa che avrebbe incantato chiunque. Forse anche Benji, che poco distante fremeva di contrarietà. Il capitano gliela strinse senza un attimo di esitazione, in fin dei conti talmente sorpreso di trovarsi davanti la fantomatica fidanzata di Philip da dimenticare per un attimo che non avrebbe dovuto essere lì.
-Benvenuti a Shintoku.- li accolse lei con una voce dolce e gentile, consapevole di avere gli sguardi di tutti, chi più e chi meno cordiale, puntati addosso.
Persino Benji, alla fioca luce dei lampioni della stazione, non poté non notare che Jenny oltre a essere invadente e asfissiante era talmente graziosa da potersi permettere qualche capriccio. Piuttosto forse c’era da cominciare a chiedersi come accidenti avesse fatto un tipo scialbo come Callaghan a rimorchiare una ragazza così.
-Ciao Patty.-
La voce di Tom fece sobbalzare Holly.
-Patty?- ripeté con una fievole eco.
-Sì, sono io.- disse lei emergendo dall’ombra della notte e avanzando fino alla luce del lampione.
E dietro di lei anche Evelyn e Amy, una accanto all’altra infreddolite – o forse intimorite – dal loro stesso essere lì.
-Eve! Anche tu!- esclamò Bruce esprimendo sorpresa, collera e infine sollievo in appena tre parole.   
-Ciao.- lo salutò lei con un gesto della mano, rincuorata dal suo entusiasmo -Com’è andato il viaggio?-
Mark non vedeva l’ora che qualcuno lo chiedesse. Era così furioso da scoppiare.
-Decisamente una schifezza!-
Benji incrociò le braccia, poco incline a mostrarsi cordiale.
-E da adesso in poi non può che peggiorare.-
Secondo il portiere, il viaggio era stato davvero fin dall’inizio una schifezza e la sorpresa finale che li aveva accolti a Shintoku non poteva che essere la naturale conseguenza di quella pessima giornata. Ma di chi era la colpa? Di Callaghan o della sua ragazza? Di entrambi? Avevano complici? Nell’incertezza il portiere tornò a guardare Jenny, una novità che non riusciva a fare a meno di catturare i suoi occhi. Non vedeva l’ora di osservarla alla luce, perché la penombra mostrava davvero troppo poco per poter dare un giudizio definitivo, se non altro sul suo aspetto fisico.
Dal volto della giovane trasferì gli occhi su quello di Philip. Si vedeva che Callaghan era davvero stracotto ed era chiaro che avrebbe fatto qualsiasi cosa per consentirle di restare. Finora nessuna delle loro proteste sembrava aver incrinato il suo entusiasmo. Forse era il caso di ribadire che la presenza delle ragazze era assolutamente inaccettabile.
-Ci siete tutte?-
-Se tu sei ancora single, direi di sì.- rispose Patty sfoderando la sua combattività, ora che era al fianco di Holly.
-E chi se lo prende?-
-Su questo aspetto potremmo disquisire per giorni, Landers.-
-E non mi pare il momento di farlo.- disse il capitano e avanzò di un passo, mettendosi tra loro pronto a zittirli se avessero provato a continuare.
Mark tornò a guardare Philip.
-Allora Callaghan, cos’è questa novità? Gamo ne è al corrente? Scommetto di no, vero?-
-E chi glielo dice? Nessuno di noi è così stupido… spero!- esclamò Bruce allarmato.
Landers neppure lo udì. Abbassò gli occhi su Jenny e si rivolse stavolta direttamente a lei.
-Forse il tuo ragazzo non ti ha spiegato bene come funziona un ritiro.-
-Mark...- tentò di intromettersi il ragazzo in questione ma l’altro lo zittì con un brusco gesto della mano.
-Siamo venuti in questo posto dimenticato dalla civiltà per allenarci e voi non dovreste assolutamente esserci!-
-Sai cos’è la civiltà, Landers?- fece eco Benji.
Tom gli infilò un gomito nel fianco facendolo sobbalzare.
Mark ringhiò un insulto al portiere, poi tornò a fissare la ragazza.
Lei esitava combattuta. Era perfettamente consapevole di cosa fosse un ritiro e di fronte alle sue legittime rimostranze, nessuna risposta poteva ritenersi accettabile. Certo non poteva spiattellargli chiaro e tondo di essere lì per trascorrere qualche giorno con il fidanzato che non vedeva da un mese. Non disse nulla quindi, gli porse la mano e gli sorrise come aveva fatto con Holly, cercando di reprimere il disagio che le trasmettevano quegli occhi furiosi puntati su di lei. La sua voce venne fuori limpida e decisa, anche se il cuore nel petto batteva all’impazzata.
-Benvenuto, Mark.-
Le labbra di Landers divennero una linea sottilissima. Non ricambiò il saluto per protesta e non strinse la mano che Jenny gli porgeva con tanta cordialità. Continuò a tenere le proprie affondante nel calore delle tasche e a scrutarla con un cipiglio infastidito. Alla fine lei abbassò il braccio ma non si diede per vinta.
-Sono contenta di conoscerti. Philip mi ha parlato spesso di te.-
-E chissà che belle cose ti avrà detto.-
Callaghan, se solo avesse potuto, avrebbe mollato a Benji un pugno in faccia. La sua ironia, sempre e immancabilmente fuori luogo, annullò l’effetto benevolo delle parole di Jenny. Lo sguardo di Mark si indurì.
-E quindi?-
Quindi la giovane capì che trattare con Landers era difficile, ma che trattare con lui in presenza di Benji era un’impresa ancora più ardua. Si rivolse allora al portiere, per cercare di capire chi dei due fosse più malleabile.
-Ho sentito parlare anche di te, Benji. è un piacere avervi qui a Shintoku.-
-Lo immagino. Soprattutto averci Callaghan.-
A quel punto Philip intervenne.
-E sarà un piacere ancora più grande se usciamo dalla stazione e finiamo saluti e presentazioni in un luogo più caldo e accogliente.- riprese la valigia -Possiamo andare?-
-Andare dove?-
-Al ryokan.-
-Con loro? Callaghan, vuoi farmi scemo? Un ritiro non prevede la compagnia delle fidanzate. Possiamo anche andare se vuoi, ma loro restano qui...- magari lì faceva troppo freddo, quindi Benji si corresse -Comunque non vengono con noi. Vero Holly?-
Il capitano non gli diede l’appoggio che si aspettava. Il suo silenzio fu eloquente, a quella battaglia non avrebbe partecipato. Per una volta sembrava tenere più a Patty che alla squadra. Allora cercò Tom e gli trovò sul volto un’espressione imbarazzata che non apprezzò per niente. E Ross? Non gli rimaneva che Ross il perfettino. Lo cercò e lo trovò. Teneva per mano la fidanzata e aspettava, in un paziente silenzio, che lui smettesse di far storie. Storie? Stava facendo storie? Non era così! Lui aveva ragione da vendere, non si portavano MAI le fidanzate ai ritiri. Si volse verso Harper, anche se non nutriva nessuna speranza su di lui. E infatti il ragazzo pareva addirittura non aver udito nulla di quello che era stato detto in quegli ultimi minuti. Era così entusiasta di aver trovato la fidanzata a Shintoku, che la sua attenzione era totalmente rivolta a Evelyn. Per giunta lei gli stava dicendo qualcosa che lo fece sorridere, chissà che non stessero ridendo proprio di lui. Possibile che il suo unico alleato fosse Landers? Merda! Lui no! Si censurò in un silenzio infastidito, passò accanto a Patty a testa alta e si avviò lungo il marciapiede, dove alla fine si era stufato di stazionare, investito da continue raffiche di vento ghiacciato.
Tolto di mezzo il portiere, le ragazze si lanciarono un’occhiata sollevata che a Mark non sfuggì.
-Non farete fesso anche me. Io aspetto ancora spiegazioni. Anzi le pretendo, o da qui non mi muovo.-
-Nessuno vuol far fesso nessuno...- borbottò Evelyn.
Benji, che non era ancora abbastanza lontano, udì entrambi e si volse.
-Avresti mai immaginato di trovare un eucalipto in Hokkaido, Landers? Provaci pure, forse sarai più fortunato di me e se riuscirai a dare un tono a questa farsa di ritiro avrai purtroppo tutta la mia gratitudine.-
-Che eucalipto?-
-Niente Evelyn, lascia perdere.-
Holly non vedeva l’ora di raggiungere l’hotel o il ryokan o quello che era, scongelarsi le estremità ibernate, cenare e andare a letto. Ignorò Mark che adesso puntava i piedi e faceva le bizze e,  stringendo la mano di Patty, seguì il portiere verso l’uscita della stazione. Julian e Amy si scambiarono un’occhiata e s’incamminarono anche loro, subito imitati da Evelyn e Bruce, tremanti di freddo.
Philip sbuffò in sordina e lanciò uno sguardo sghembo a Mark. Era strasicuro che gli amici avrebbero avuto da ridire ma sperava almeno di riuscire a portarli fino al ryokan per discuterne con calma, magari davanti a una tazza di tè bollente e dopo aver cenato. E invece quel cretino di Landers seguitava a impuntarsi lì, in stazione, in balia del freddo e della notte. Ma non era stanco? Non aveva fame, accidenti a lui?
In quel momento comunque, la cosa più importante era impedirgli di salire sul primo treno diretto a Obihiro. Se tornava a casa e mandava a monte il ritiro, Gamo lo avrebbe maciullato. Avrebbe maciullato tutti.
-Che dici Mark, ti muovi o aspetti di trasformarti in un pezzo di ghiaccio?- lo sollecitò brusco.
-Testone...- borbottò Tom dietro di lui.
-Hai detto qualcosa, Becker?-
-Giammai.-
Mentre Tom e Philip reprimevano la violenta tentazione di afferrare il compagno di peso e trascinarlo via, Jenny gli si avvicinò e gli posò una mano sul braccio col tocco delicato di una farfalla. Gli occhi di Mark seguirono il gesto, indugiarono sul guanto azzurro e poi si spostarono sul suo viso con un lampo di collera che indusse la giovane a ritrarre le dita all’istante. Non le restò che parlare.
-Qui fa freddo. Va bene lo stesso se le spiegazioni te le diamo al ryokan?-
Il bel viso di Jenny era sollevato verso di lui. Nel suo sguardo Mark riconobbe un’espressione che aveva un qualcosa di vagamente familiare. Una folata di vento le scompigliò i capelli, una ciocca le finì sugli occhi ombreggiati da lunghe ciglia scure e quando lei la scostò con un gesto della mano, il suo profumo gli solleticò le narici. Era buono. Una seconda raffica di vento, più forte della prima, li costrinse a socchiudere gli occhi e ad abbassare il viso per ripararsi dai fiocchi di neve che turbinarono nell’aria pizzicando la pelle con minuscoli aghi.
La temperatura doveva essere scesa molto sotto lo zero. Si gelava e gelava soprattutto chi non era abituato a inverni così rigidi. Mark avrebbe voluto mostrarsi inflessibile, ma purtroppo per lui stava morendo di freddo. Ancora pochi minuti nella morsa del gelo dell’Hokkaido e, come aveva preannunciato Philip, si sarebbe trasformato in una statua di ghiaccio. Afferrò con un movimento brusco la valigia da terra e s’incamminò.
-Sia chiaro che non è stata lei a smuovermi ma il freddo.- disse a Tom superandolo.
-Non ne dubito.-
-E al ryokan dovrai essere molto convincente, Callaghan. Altrimenti me ne vado.-
-Lo abbiamo capito.-
Gli altri erano già fuori dell’edificio, infreddoliti, disorientati e in attesa.
-Prendiamo l’autobus?- domandò Bruce.
-Il taxi, se non volete andare a piedi.-
Il ragazzo guardò Jenny.
-Quant’è distante?-
-Circa tre chilometri in salita.-
-Che bella notizia.-
-Già inizi a battere la fiacca, Harper?- lo schernì Mark, a cui non rimaneva altro da fare che riversare lo scontento sui compagni -Siamo venuti in ritiro, no? Cosa vuoi che siano tre chilometri in salita?-
-Ti interessa solo risparmiare i soldi del taxi, Landers!-
Holly guardò Benji sospirando, era sicuro che lo avrebbe detto.
-Ovvio! Per colpa di qualcuno ho dovuto pagarmi due biglietti aerei! Non sai che un certo idiota ha lasciato le carte di imbarco in libreria perché era troppo occupato a farsi bello su un articolo che parlava di lui?-
Se il loro tono non avesse preannunciato nuovamente guai, Patty sarebbe scoppiata a ridere tanto i loro continui battibecchi le parevano infantili. Invece fu costretta a rinunciare di nuovo alle dita calde di Holly che stringevano le sue, per dargli modo di ricorrere alla sua autorità di capitano.
-Bene, andremo a piedi! Spero proprio che la salita e il freddo vi gelino la lingua! Non ne posso più di sentirvi!-
-A chi lo dici.- fece eco Tom.
Benji si calcò il cappellino sulla testa e spostò gli occhi su Jenny.
-Facci strada.- ordinò brusco.
Lei non se lo fece ripetere. Girò a destra, attraversò il piazzale della stazione e imboccò una via piuttosto larga che si stendeva dritta fino alle pendici della montagna. La neve era stata spazzata  dalla carreggiata, ora sporca di terra e sale chimico per scongiurare pericolosissime lastre di ghiaccio. Le vetture che la percorrevano producevano uno sciacquio che intirizziva tutti i sensi. Anche i marciapiedi erano stati ripuliti e cosparsi di granelli bianchi, ma a ridosso degli edifici si erano accumulate alte montagnole di ghiaccio candide, solide e risplendenti. Qua e là, davanti ai negozi, nei pressi degli incroci, sotto i lampioni e accanto alle cabine telefoniche, si ergevano pupazzi di neve di tutti i tipi e misure plasmati dai bambini di Shintoku, messi lì quasi a proteggere con la loro presenza rassicurante automobilisti e passanti dalle insidie del lungo inverno del nord.
Alle sei del pomeriggio il traffico dei veicoli era notevole, le strade della piccola cittadina erano percorse in lungo e in largo da automobili, furgoncini e furgoni commerciali. I fari delle vetture illuminavano tutto quel bianco creando aloni di luce che si riflettevano sulle nuvole basse e cariche di neve. Di passanti invece ce n’erano pochissimi e sembravano trovarsi in strada solo perché non avevano proprio potuto fare a meno di uscire. Imbacuccati fino alle orecchie, infreddoliti e stanchi si affrettavano ciascuno verso la propria meta, senza far caso a quel cospicuo gruppetto di presenze famose che procedeva sotto anonimato per le vie di Shintoku.
Mark si sentiva il volto ghiacciato e la pelle tirata dal freddo ma il moto teneva al caldo il resto del corpo, ben riparato da giacca a vento, sciarpa e guanti. Dopo tante ore trascorse seduto sui treni e in aereo, era felice di poter fare un po’ di movimento.
Dietro di lui udiva le chiacchiere di Julian e Amy, coperte a tratti dal rombo delle macchine che li superavano.
-Fa sempre così freddo?-
-Sentirai più tardi. Questa notte certamente gelerà.-
-Mi sembra che lo abbia già fatto in abbondanza.-
-In effetti...- rise lei.
Mark li lasciò perdere per lanciare un’occhiata alla vetrina sguarnita di una panetteria, ormai in chiusura. Nei cesti di vimini in mostra dietro le vetrate era rimasto ben poco, ma il ricordo dell’odore del pane lo colpì lo stesso, accartocciandogli lo stomaco. Sperava che le ragazze avessero provveduto a una cena appropriata agli strapazzi di quel giorno. Si volse. Qualche passo più avanti Jenny procedeva alla sua sinistra, accanto a Philip che le parlava e sorrideva. Lui la teneva per mano e Mark gli leggeva in faccia un’espressione che non riconosceva. Lo aveva visto felice in parecchie occasioni, praticamente dopo tutte le loro vittorie. Ma la gioia di quel giorno era diversa, più intima e completa. Un sentimento che forse a lui non era mai capitato di provare. Incuriosito diede una seconda sbirciata alla ragazza. Jenny, dunque. Finora lei gli era arrivata davanti agli occhi solo attraverso qualche foto sottratta a Philip durante i ritiri, sbandierata ai quattro venti a sua insaputa per prenderlo in giro o farlo arrabbiare. Una volta gli era successo di udire la sua voce attraverso il cellulare dell’amico. A parte ciò, nient’altro.
Come aveva avuto già modo di notare sulle foto e intuire poco prima nella penombra della stazione, Jenny era davvero carina. Addirittura poteva dirsi bella, se solo fosse riuscito a guardarla meglio. Per il momento aveva preso atto di qualche particolare, come il viso dai tratti regolari, la pelle rosea e vellutata, il naso piccolo e un po’ all’insù, le labbra rosse e piene dalla linea perfetta. Tuttavia, nonostante la sua avvenenza, nonostante i suoi sorrisi e la sua gentilezza, nonostante il suo profumo, nonostante ciò che Philip provava per lei, non poteva perdonarle di essere lì. Di essersi intrufolata, insieme alle altre, nel loro ritiro.
Non era passato neppure un quarto d’ora da quando si erano messi in cammino che Bruce iniziò con le sue scontate lamentele.
-Quanto manca? Sto morendo di fame!-
Un po’ mancava ancora di sicuro. A circondarli, in quel momento c’era il niente mescolato al buio. Il viale che avevano percorso dal momento in cui erano usciti dalla stazione, a poco a poco si era ristretto trasformandosi da arteria principale del centro abitato a stradina di campagna. Gli edifici si erano fatti più radi, i negozi erano scomparsi e si erano ritrovati ad andare incontro all’oscurità della montagna. Il largo marciapiede lastricato, comprensivo di pista ciclabile, era diventato una gettata di asfalto così stretta che a mala pena riuscivano a percorrerla due persone affiancate. Per di più, i lampioni che illuminavano la carreggiata a un certo punto erano finiti. Dopo un’ampia curva in salita che aveva cinto col suo corso sinuoso le pendici della montagna, quella striscia d’asfalto ammantata di ghiaccio aveva cominciato a inerpicarsi a zig-zag tra alberi coperti di neve, arbusti e cespugli e dal momento in cui si erano inoltrati nel bosco, non avevano più incontrato neppure una macchina.
Le ragazze, e pure Bruce, avevano tirato fuori il telefonino e adesso illuminavano il cammino con le luci traballanti e fredde delle torce.
-Ho fatto proprio bene a portare con me il cellulare.- sghignazzò Harper dopo essersi piazzato appositamente accanto al capitano, facendo luce dove mettevano i piedi -Non sembra anche a te, Holly?-
-No, e te lo requisisco appena arriviamo.-
Bruce non badò alla minaccia.
-Quanto avete detto che manca?- domandò di nuovo petulante.
-Siamo quasi arrivati.- lo rassicurò Patty, mostrando una pazienza che in realtà era agli sgoccioli. Ma per amore della tranquillità e soprattutto per amore di Holly, era decisa a sopportare anche le lagne di Bruce -Il ryokan è in cima alla salita.-
Tom si chiese quanto fosse in alto la cima della salita, poi tornò a rivolgersi a Benji che gli camminava accanto, affondando rancoroso i piedi nella neve intatta ai lati della strada. Non riusciva proprio a capire perché stesse reagendo in quel modo.
-Che ti importa se ci sono anche loro? Le cose tra noi vanno comunque male, la presenza delle ragazze non può turbare un’armonia che non esiste. Ti stai impuntando su una sciocchezza. La tua presa di posizione è assurda e infantile.-
-Ah sì?-
Ritenendosi nel giusto, a Benji non faceva piacere sapere che l’amico la pensasse in quel modo. Lui odiava le sorprese e odiava ancor più che si prendessero a sua insaputa decisioni che lo riguardavano. Odiava trovarsi di fronte al fatto compiuto se non era lui a compierlo, quindi odiava esattamente ciò che era appena accaduto.
-Chi ha organizzato tutto questo? Callaghan?- si fermò di colpo per guardarlo in faccia -Tu lo sapevi?-
-Certo che no!- si affrettò a rispondere Tom, che seppure ne fosse stato al corrente, in quel momento avrebbe negato anche sotto tortura pur di non sentirsi accusato di qualcosa. Per quel giorno era saturo.
-Quanto manca?- chiese Bruce ancora -Sono stanco e fa davvero troppo freddo. Come faremo ad allenarci con questo gelo? Philip, non era meglio l’hotel di Yamagata?-
Callaghan sussultò. Che diavolo ne sapeva lui dell’hotel di Yamagata? Chi gliel’aveva detto?
-Ti posso assicurare che quando fa freddo, essere a meno sette o meno quindici non fa nessuna differenza.-
-Se lo dici tu…- lo fissò poco convinto -Quindi? Quanto manca?-
Patty alzò gli occhi al cielo.
-Risparmia il fiato per camminare, Bruce. Siamo quasi arrivati.-
-E chi ci crede più? L’hai detto anche mezz’ora fa.-
-Lascia che si lamenti.- la rabbonì Holly -Lo fa per scaldarsi.-
-Se sei stanco puoi fermarti qui e raggiungerci domani con più calma.-
Jenny parlò con un sorriso gentile e una voce dolce come il miele che dissimulò in parte l’ironia di fondo.
Bruce infatti non la colse. Si bloccò dov’era, a guardarla con gli occhi spalancati. Dopodiché le corse vicino con un braccio proteso, slittando sul ghiaccio.
-Comunque molto, molto piacere! Come avrai sicuramente capito io sono Bruce Harper e senza di me, con questi qui la nazionale sarebbe di una noia mortale.-
Tom rise di cuore mentre Philip riusciva a fatica a strecciare le dita del compagno che stringevano quelle di Jenny e non volevano saperne di mollarla.
-Sa perfettamente chi sei, imbecille! La tua è una faccia che non si dimentica!-
-Verissimo.- concordò il proprietario delle fattezze memorabili -Sono molto felice di conoscerti Jenny. Purtroppo ho sentito pochissimo parlare di te, ed è un vero peccato. Qualche parola in più valeva proprio la pena spendercela. Eh, Philip?-
Lei arrossì, ma il buio celò il suo imbarazzo.
Proseguirono ancora per alcuni minuti, poi il ryokan comparve oltre una grande curva. La strada si aprì in un ampio piazzale pianeggiante, in fondo al quale si innalzava un imponente edificio a tre piani in stile tradizionale, dalle linee armoniose e leggere, ma in realtà robusto e massiccio. Il piazzale era illuminato da lampioncini che gettavano una tenue luce anche sulla costruzione. I muri esterni erano intonacati di bianco crema e incorniciati da travi e pilastri di un legno reso ancor più scuro dalle intemperie e dal passare del tempo. Leggermente curvato verso l’alto alle estremità, il tetto dava un’impressione di leggerezza ed era ricoperto di tegole di ardesia che si scorgevano solo a tratti, scure, sotto il candido e spesso manto di neve. Il piano inferiore era abbellito, nella parte centrale, da una veranda di legno riparata da gronde sporgenti. Dal primo piano si affacciavano tre balconate coperte da una tettoia più leggera. Il legno degli spioventi e dei tetti dei balconi era appesantito da pietre di varie dimensioni per non essere spazzato via dai venti impetuosi che si incanalavano tra le valli montane. In alto, quasi all’apice del tetto, si aprivano le minuscole finestrelle dell’abbaino con la cima arrotondata. Ai lati e alle spalle dell’edificio gli alberi crescevano fitti e salivano a ricoprire con un manto continuo il pendio delle montagne.
Dalla maggior parte delle finestre del pian terreno filtrava una calda luce dorata che si rifletteva sulla neve illuminando il piazzale. Arrancando tra la neve i ragazzi raggiunsero l’ampio portico aggettante dell’ingresso, coperto da un tetto a due falde. Il pavimento era di larghe tavole disposte perpendicolarmente rispetto alla soglia e si raggiungeva salendo tre scalini. Varcata la grande porta a vetri a doppia anta, attraverso un altro gradino, da questo stesso pavimento si giungeva a quello superiore, che apparteneva al pianterreno del ryokan.
-Che piacevole tepore…- sospirò Bruce quando furono finalmente all’interno dell’edificio e al riparo dal freddo. Lasciò la valigia a terra per srotolare la sciarpa mentre si guardava intorno curioso.
Uno zoccolo di legno chiaro e pregiato correva lungo i lati dell’ingresso mentre la parte superiore del muro era intonacata di bianco-crema. Da un lato, addossata alla parete, c’era una scaffalatura con dei vani per riporre le scarpe e dall’altro, appesi al muro, una fila di pomelli per giacche a vento e cappotti. In un angolo un enorme vaso dall’invetriatura color giada conteneva alcuni ombrelli a disposizione dei clienti.
Mentre si sfilavano giacche e cappotti, una coppia di anziani signori arrivò ad accoglierli con un inchino e un caloroso benvenuto. La vecchietta squadrò uno ad uno quei ragazzi alti e atletici, poi i suoi occhi miopi si soffermarono su Philip e le sue labbra si schiusero in un sorriso colmo d’affetto.
-Siamo felici di rivederti, Philip. È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati che temevamo di non riconoscerti più.-
-Anche per me è un piacere essere di nuovo qui.- rispose lui educato e con sincerità, sfilandosi i guanti di lana e riponendoli nelle tasche della giacca.
Lo scambio di convenevoli risultò decisamente sospetto.
-Li conosci? Vi conoscete?- quelle di Mark suonavano più come accuse che domande -Callaghan! Sono stanco delle sorprese!-
-Ci conosciamo, sì.- disse la padrona del ryokan -Noi siamo i nonni di Jenny.-
Poi tirò fuori gli occhiali dalla tasca della calda gonna di lana e li inforcò, sbattendo gli occhietti per mettere a fuoco. Esaminò Mark con ammirato stupore e le sue rughe si tesero formando un sorriso.
-Che bel ragazzo che hai portato, nipote mia!-
Soddisfatta la vista, nonna Harriet decise di appagare anche il tatto e gli premette due volte il dito al centro del maglione, quasi a saggiare la sua reale presenza o forse ancor più la solidità dei suoi muscoli, continuando comunque a fissarlo con occhietti grinzosi luccicanti di approvazione.
-Se avessi quarant’anni di meno saprei perfettamente come trascorrere i prossimi giorni!-
Jenny arrossì fino alla punta delle orecchie e si accostò a nonno Ernest, sperando che riportasse all’ordine quella burlona della moglie. Lui si limitò a strizzarle l’occhio mentre Benji scoppiava a ridere di cuore. Mark, totalmente privo di malizia per indole, non fu capace di tener testa a un apprezzamento che lo colse del tutto impreparato. Quindi si comportò come d’abitudine e lanciò occhiate assassine a destra e a manca, pronto a vendicare il proprio onore se qualcuno del gruppo si fosse unito alla risata del portiere.
Harriet si sfilò gli occhiali e li ripose.
-Naturalmente scherzavo. Jenny, accompagna i tuoi amici nella loro camera così potranno sistemarsi prima di cena.-
Lei annuì e dopo aver distribuito ai ragazzi sette paia di pantofole dei colori dell’arcobaleno, imboccò le scale con la punta delle orecchie ancora in fiamme, e li precedette al primo piano, lanciando occhiate preoccupate a Mark che però sembrava aver superato la fase critica. Aprì la porta della stanza, allungò una mano sul muro per accendere la luce e poi scostò per lasciarli entrare.  
Era una camera di dodici tatami grande e spaziosa, in grado di ospitarli tutti e lasciar avanzare ancora dello spazio. Le stuoie, bordate di stoffa marrone decorata di piccoli motivi floreali color crema, erano così pulite da emanare ancora un gradevole profumo di paglia. Le pareti, intonacate di un pallido color avorio, erano completamente spoglie eccetto un rotolo dipinto appeso in una rientranza del muro, che rappresentava un paesaggio invernale a inchiostro monocromo con pennellate morbide e un sapiente uso delle sfumature.
Il centro della stanza era occupato da un enorme tavolo basso rettangolare, così lucido che la superficie rispecchiava i loro volti; a terra erano sparpagliati dei cuscini rossi e verdi ricamati con filo beige, ognuno con motivi diversi. La luce che Jenny aveva acceso era costituita da otto faretti incassati nel soffitto. In un angolo c’era un lume alto e slanciato con un paraluce rettangolare di carta di riso e bambù; la parete di fronte alla porta era occupata per la maggior parte da un’enorme finestra ora chiusa e nascosta dagli shoji, pannelli di carta di riso e intelaiatura di legno, che fungevano da tapparelle. Una delle pareti laterali della camera era costituita interamente da fusuma, i pannelli scorrevoli tipici delle stanze giapponesi tradizionali. L’altra era un immenso armadio a muro che conteneva i futon, i cuscini, lo spazio per disporre le valigie e i ripiani per gli abiti. C’era posto a sufficienza per tutti i loro bagagli. Sopra alla finestra era istallato un climatizzatore che emetteva aria calda. La camera era immersa in un piacevole tepore.
-Spero che non avrete problemi a dormire insieme per questa notte.-
Jenny li osservò un po’ tutti speranzosa. Non aveva idea di come i ragazzi si comportassero gli uni con gli altri durante i ritiri, essendo quella la prima - e probabilmente anche l’ultima - volta che vi prendeva parte. Seguivano una gerarchia? Decideva tutto il capitano oppure ognuno diceva la sua e poi mettevano ai voti? Fermò lo sguardo su Holly, perché era probabile che certe decisioni spettassero a lui. Guardandolo, proseguì.
-Domattina partiranno gli ultimi ospiti, poi il ryokan resterà chiuso per due settimane e avremo a disposizione tutte le stanze di cui abbiamo bisogno.-
Benji restò a guardarla anche quando smise di parlare, esaminandola dalla cima dei capelli fino alla punta dei calzini. Accidenti se era carina. Ora che riusciva a vederla bene, cominciava a capire perché Callaghan fosse cotto. Obiettivamente, lui che se ne intendeva, non poteva dargli torto. Scacciò di corsa quei pensieri, nati in modo del tutto spontaneo, e posò la valigia lungo la parete.
-E voi dove dormite?- chiese Bruce.
-Ci siamo sistemate qui accanto.- Patty attraversò l’ampia stanza, raggiunse un pannello della parete di destra e l’aprì, mostrando una camera identica ma di dimensioni più ridotte.
-Perfetto. Credo proprio che non mi muoverò da qui neanche domani.-
-Il solito scontato.- Holly appoggiò la borsa a terra e si stiracchiò, contento di essere finalmente arrivato a destinazione dopo un’intera giornata di viaggio.
-I bagni sono in fondo al corridoio.- li informò Jenny mentre prendevano possesso della stanza, iniziando finalmente a scongelarsi -La cucina è al piano terra e alla fine del corridoio di destra, ci sono le terme.-
-Terme?- fece eco Bruce -Quasi quasi...-
-La cena è pronta, ma se volete andare il tempo c’è.-
Convincerli a farsi un bagno, per le ragazze poteva essere una buona occasione. L’acqua calda li avrebbe rilassati e loro quattro ne avrebbero approfittato per ritagliarsi un attimo di tranquillità, consultarsi sull’allarmante reazione di Benji e Mark e prendere gli opportuni provvedimenti prima di sedersi a tavola tutti insieme.  
-Se c’è tempo allora vado. Ho bisogno di scongelarmi come si deve.- Tom si inginocchiò accanto alla valigia, l’aprì e tirò fuori un cambio di abiti, pregustando già quel bagno caldo che lo avrebbe rimesso in forze e, sperava, di buonumore.
Anche Bruce, seppur combattuto tra le terme e la cena perché desiderava sì scaldarsi ma pure rifocillarsi, alla fine optò per la scelta di Tom e si affrettò a seguirlo. Holly invece decise che avrebbe sistemato prima i vestiti. Era sicuro che dopo una giornata così lunga, dopo le terme e la cena, non avrebbe avuto voglia di farlo. Aprì la valigia sui tatami e cominciò a trasferire i suoi abiti nell’armadio a muro.
Philip era già lì con un paio di maglioni da riporre.
-Il ryokan è bello.- gli disse.
-Sono contento che ti piaccia.- e lo era davvero, sicuro anche che nel giudizio di Holly la presenza di Patty svolgesse un ruolo importante, praticamente fondamentale. Jenny aveva fatto proprio bene a invitare lei e le altre.
Mark li udì ma si fece i fatti propri. C’erano ancora tante cose che voleva valutare prima di dare un parere sulla sistemazione e in particolare sulla compagnia. Innanzitutto il freddo e la neve, poi la camera da dividere con gli altri, anche se solo per una notte, e per finire, la cosa più importante di tutte, la presenza delle ragazze. Sarebbe stato un bene o un male? Non riusciva a stabilirlo ma dentro di sé, anche se ancora non poteva rendersene conto, l’aveva già accettata.
Prese degli abiti puliti e raggiunse la porta. Oltrepassò la soglia e fu nel corridoio. Si guardò intorno curioso e finse di non notare Julian all’estremità più lontana in compagnia di Amy, così vicini che il passo successivo poteva essere solo un bacio. Ross non era uno che perdeva tempo.  
Loro non lo notarono e lui imboccò le scale per scendere alle terme. Quando fu sull’ultimo gradino, proprio davanti alla porta d’ingresso, udì dei passi sulla rampa e si volse. Benji e Holly, abiti puliti in mano, stavano scendendo. E poiché l’ambiente era per lui del tutto nuovo, decise di aspettarli.
Philip, al primo piano, cincischiò tra i propri vestiti finché non restò solo. Dopodiché, non udendo più rumori e ritenendo trascorso un tempo sufficiente a garantire la totale assenza dei compagni, si affacciò cauto nella camera delle ragazze attraverso il pannello divisorio. Seduta sulle stuoie a piegare alcuni asciugamani freschi di bucato, c’era Jenny che era riuscita a sua volta a sganciarsi dalle amiche. La chiamò, lei si volse e guardandosi scoppiarono a ridere di complicità.
-Siamo qui da neanche mezz’ora e li abbiamo già fregati. Alla faccia di quei guastafeste di Landers e Price.-
Mentre Philip avanzava, lei gli corse tra le braccia. Si lasciarono cadere tra i cuscini, unendo le labbra in un bacio che durò poco solo perché avevano un sacco di cose da dirsi.
-Mi sei mancata decisamente troppo!-
-Anche tu… in modo insopportabile!- Jenny si aggrappò al suo collo -Sicuro che non vuoi scendere alle terme?-
-Pensavo di andarci con te dopo cena. Soltanto noi due mentre gli altri dormono. Ti va?-
-C’è bisogno di chiederlo?- si accostò per baciarlo di nuovo ma poi esitò, perché la preoccupazione tornò a riaffacciarsi -Pensi che andrà tutto bene?-
-Holly non sembra troppo contrariato. Hai avuto un’ottima idea a chiamare Patty, Amy ed Evelyn.-
Lei rimase pensierosa.
-Non lo so. Adesso hanno fame e sono stanchi, ma vedrai che dopo ricominceranno a protestare.-
-Probabile.-
-E se decidessero che dobbiamo andarcene?-
-Lo metteremo ai voti. A Tom non interessa che ci siate o meno e in questi casi la maggioranza vince. Ora dimmi, com’è andata dai tuoi?-
Jenny sospirò. Philip glielo chiedeva sempre anche se sapeva che non le faceva piacere parlarne. E si informava sia perché era sinceramente preoccupato del rapporto conflittuale che aveva con suo padre, sia perché si sentiva estromesso da quella parte della vita che Jenny non poteva condividere con lui. Abbassò lo sguardo sulla trama delle stuoie, perché non amava parlare della propria famiglia.
-Mio padre è stato insopportabile come al solito, non vedevo l’ora di ripartire.- udì dei rumori, abbassò la voce e lanciò un’occhiata preoccupata alla porta. Ma era soltanto Julian che entrava nella stanza accanto e, senza accorgersi di loro, racimolava degli abiti puliti per raggiungere i compagni alle terme. Lo udirono scendere insieme ad Amy.
-E tu? Come hai passato le vacanze?-
-A studiare e ad allenarmi. Come al solito.-
-Non sei uscito per niente? Non hai visto Peter e gli altri?-
-Non molto. Una volta siamo andati insieme a cena fuori, un’altra al karaoke. Ma sai, li vedo durante il giorno, non ho voglia di trascorrere con loro anche tutte le mie serate. Adesso però basta chiacchiere. Perché non mi saluti come si deve?-
-Non l’ho già fatto?-
-Non direi.-
Jenny rise, prima di avvinghiarglisi addosso con tutte le intenzioni di accontentarlo.

Amy spense il fuoco sotto la pentola che bolliva ormai da tempo. Le patate, nel curry, erano sul punto di dissolversi. Le foglie di tè verde giacevano in infusione nella teiera, il timer della macchina del riso aveva raggiunto lo zero e si era spento.
-Siamo sicure che ci convenga cenare nella stanza dei ragazzi? Jenny non ci ha raggiunte e questo significa che è ancora con Philip.-
-Tra poco arriverà.- affermò Patty fiduciosa.
Ma Amy non si lasciò convincere. Appoggiata la schiena contro il lavello, riprese a esternare le proprie perplessità.
-Senza contare poi gli innumerevoli viaggi che dovremo fare per apparecchiare, sparecchiare e portare su e giù il cibo e tutto l’occorrente.-
-In camera l’atmosfera è molto più raccolta e confortevole che non in cucina…- obiettò Evelyn.
-Ho paura che l’unica cosa che avremo da raccogliere sarà quello che ci cadrà durante il tragitto su e giù per le scale.- sospirò Amy.
Le amiche risero, poi Patty si avvicinò ai fornelli e sbirciò nella pentola.
-Il curry è pronto?-
-Da un bel po’.- Amy si lasciò cadere su una sedia -Non ci resta che aspettare che i ragazzi siano pronti per la cena.-
-O che Jenny scenda.-
-Lei e Philip non si vedono da un sacco di tempo, ne avranno di cose da dirsi.-
-Molte meno di quante ne hanno da fare.- ridacchiò Evelyn maliziosa.
Un’ora e mezza dopo, mentre le ragazze riordinavano la cucina, dove avevano finito per cenare, Bruce, sbracato sui tatami della loro stanza, si massaggiava una pancia così piena da scoppiare. Per stare più comodo, aveva persino sganciato il primo bottone dei jeans mostrando al mondo l’elastico griffato delle sue mutande.
-Ho mangiato benissimo.-
-Ci siamo accorti che hai gradito, ti sei ingozzato come un maiale.- Mark gli lanciò un’occhiata disgustata mentre afferrava un paio di cuscini e se li infilava sotto il sedere per stare più comodo.
-Tu no?-
-No.-
Benji appoggiò i gomiti sul tavolo, bevve l’ultimo sorso di tè e decise che era giunta l’ora di tirar fuori le questioni rimaste in sospeso.
-Adesso Callaghan spiegaci come cazzo ti è saltato in mente di portare qui la tua ragazza.- lo fissò furente e la sua voce si alzò di un tono -Da quando in qua ai ritiri si viene con la fidanzata? Pensavo che tenessi alla squadra visto che sei il vicecapitano, e soprattutto che avessi imparato, dopo tanti anni, cosa significa essere in ritiro!-
-Tenere alla squadra, io? Ti rendi conto di cosa hai appena detto?- Philip si alzò in piedi -Non sono io che mi sono messo a litigare con Mark prima della partita! Non sono io che ho cominciato a insultare l’intera difesa!-
-Non avevo ragione, forse?-
-Certo che l’avevi! Ma non puoi pretendere che gli altri ti diano ascolto se li aggredisci in quel modo!-
-E cosa avrei dovuto fare, secondo te? Chiedere a Bruce o a quell’altra testa di granito di Yuma “Di grazia potreste marcare i vostri giocatori? Ve ne sarò grato per l’eternità”? Nel momento in cui l’Uzbekistan veniva in attacco? Secondo te avrei avuto il tempo di aggiungere anche qualche altro cordiale intercalare, tanto per non rischiare di offenderli?-
-Se ti udissi pronunciare parole simili potrei vomitare anche durante la finale della Coppa del Mondo.- ci tenne a metterlo al corrente Mark.
-Appunto.-
Holly intervenne.
-Quante volte devo ancora sentir ripetere questa storia? Possiamo voltare pagina e andare avanti?-
-Come facciamo a voltare pagina se è proprio per questa storia che siamo qui?- replicò giustamente Bruce.
Benji invece concordò all’istante con il capitano.
-Sì, andiamo avanti. Stavi solo cercando di divagare per non assumerti le tue responsabilità, Callaghan!-
-Io? Ma se sei tu che...-
-Apri bene le orecchie, idiota! NOI NON SIAMO QUI IN VACANZA!-
-LO SO BENISSIMO!-
-Non urlate...- tentò di calmarli Tom -Philip, siediti...-
Lui neppure lo udì, infiammato com’era.
-Se fossimo in vacanza, voi non sareste qui e io potrei passare tutto il mio tempo con Jenny senza fastidiosi seccatori tra i piedi!-
Mark trasecolò.
-Stai forse dicendo che siamo di troppo? CHE TI DIAMO FASTIDIO?-
-NON CAPIRE QUELLO CHE TI PARE, LANDERS!-
-MA SE L’HAI APPENA DETTO!-
-Siediti Philip.- ripeté Tom e stavolta il compagno lo ascoltò.
Il portiere riprese la parola.
-Comunque, ora che hai salutato la tua bella rimandala a casa!- ordinò categorico e si volse verso Holly, Julian e Bruce -Vale anche per voi.-
-Non mando a casa proprio nessuno!- Philip si sporse sul tavolo sempre più polemico -Stai facendo tutte queste storie soltanto perché sei da solo! Se ci fosse stata anche la tua di ragazza, saresti rimasto zitto esattamente come loro!- e tirò di nuovo in ballo Julian, Bruce e Holly che in effetti si guardavano bene dall’intervenire.
Mark fissò i tre silenti, poi lasciò che i suoi occhi indugiassero in quelli del capitano.
-Stento a credere che tu non dica nulla!-
-Voi state già parlando a sufficienza.-
-Questo non è un ritiro, è una farsa.- decretò Benji inesorabile -Philip, fai ancora in tempo a resettare tutto e a rendere il nostro soggiorno qui quello che dovrebbe essere. Dì alle ragazze di preparare le valigie e togliere il disturbo.-
Callaghan lo fissò negli occhi.
-Perché non glielo dici tu?-
-Decidi, Callaghan. O loro, o me. Hai una notte per pensarci, rifletti bene e poi fai la tua scelta.- si alzò e uscì dalla stanza.
Philip lo guardò sparire nel corridoio.
-Sapevo che avrebbe fatto una marea di lagne. Anche tu hai intenzione di filartela, Mark?-
Filarsela significava scappare e Landers non era uno che fuggiva. La sua risposta fu scontata.
-Non me ne frega niente se le ragazze restano, ma se in qualche modo intralciano gli allenamenti, allora me ne vado anch’io.-
Holly inspirò a fondo, poi riprese la parola.
-È evidente che questo ritiro non piace a nessuno. Se Gamo non ci avesse obbligati, avremmo occupato il nostro tempo in modo più piacevole.-
-Più piacevole di avere Patty qui?-
Gli zigomi del capitano si tinsero di scarlatto, forse per la collera o più probabilmente per l’imbarazzo.
-Non sei divertente, Mark. E per favore cerchiamo di non peggiorare le cose.- spostò gli occhi su ciascuno dei compagni e gli dispiacque che Benji fosse uscito, per andare dove, poi... -È ovvio che non siamo qui in vacanza ed è ovvio che ci comporteremo tutti di conseguenza anche se ci sono le ragazze.- fissò Philip e Bruce, quelli di cui, allo stato dei fatti, si fidava di meno -Chiaro?-  
   
 
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