Silas si precipitò nella sagrestia, da dove venivano le urla di Aringarosa. Il vescovo, evidentemente appena entrato nella stanza anche lui, marciò con aria furibonda verso la cassetta delle offerte; Silas lo superò con due falcate e afferrò per un braccio la ragazza, tirandola via dalla refurtiva, poi la spinse contro il muro. Era bassina, magra, con i capelli neri arruffatissimi e gli occhi scuri. Il naso era cosparso di lentiggini. Indossava una vecchia felpa, jeans laceri e scarpe da tennis sfondate. Spalancò gli occhi nel vedersi inchiodata alla parete dal monaco albino di due metri e cinque, e lo squadrò con una sfacciatissima aria perplessa con cui sperava di farlo arrabbiare, ma non ci riuscì: Silas era troppo abituato al fatto che la gente fosse allarmata dal suo aspetto. Senza dire una parola, ma guardandola con aria truce, tese la mano verso di lei.
-Non ho rubato niente!- abbaiò la ragazza. Cercò di svincolarsi, ma Silas la tenne ferma e le infilò la mano nella tasca della felpa. Tirò fuori due dollari in moneta.
Lei fissò i soldi, poi Silas.- Non so come siano finiti lì- disse.
-Aringarosa- disse Silas- chiami la polizia.
-Già fatto- rispose Aringarosa.
La ragazza emise un ringhio di rabbia.
Passò un quarto d'ora prima che la polizia arrivasse, durante il quale la ragazza continuò a cercare di sgusciare via dalla presa di Silas e di guadagnare la porta, senza successo, ma impegnandolo in un corpo a corpo finché due agenti non gli vennero in soccorso, afferrando la ragazza per le braccia.
-Ancora tu- le disse uno degli agenti.
-La conoscete?- chiese Aringarosa.
L'agente annuì.- Sta in una casa-famiglia, ma continua a scappare. E' da una settimana che la cercano. Forza, muoviti. Tu vieni con noi- intimò alla ragazza, e la condusse, un po' spingendola un po' trascinandola, alla porta.