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Autore: fedenow    15/01/2011    9 recensioni
Lo vide raccogliere con stizza la sciarpa, scivolatagli a terra, prima che trovasse finalmente il coraggio di guardarlo. Matt aveva gli occhi di cristallo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nuovo sole

Disclaimer

Matt Bellamy è mio, e anche tutti i Placebo. Questa è una cronaca veritiera dei fatti, e io sono diventata multimilionaria per averla scritta.
Uhm, fa un bell'effetto. Solo, non credo sia troppo credibile.  






NUOVO SOLE




Brian osservò la tazzina ormai vuota davanti a lui. Era il quarto caffè della giornata, il terzo da quando si era seduto in quel bar quarantacinque minuti prima, secondo l’accordo con Matt. Matt. Dove diavolo era Matt? Gli aveva dato appuntamento per le 17 in punto – in punto, aveva precisato -, ma ancora non si era fatto vedere. Guardò l’orologio: 17.48. Perfetto, Matt stava stabilendo il record storico.

E il silenzio di quel luogo iniziava a irritarlo seriamente. Si voltò ad osservare la sala: vuota e desolata, fatta eccezione per la cameriera seduta su uno sgabello di fronte al bancone. Focalizzò la sua attenzione su di lei: non più di diciassette anni, tarchiata, capelli castani a ciocche rosa – non si addicono al suo viso -, non troppo magra. Decisamente non bella. E chissà cosa stava scrivendo con tale foga sul cellulare che stritolava fra le mani. Si interrompeva solo per guardare fuori dalla finestra – c’è un vicolo sporco, fuori da quella finestra! -, prima di rigettarsi interamente sul telefonino. Lo teneva così vicino al volto che Brian temette seriamente che avrebbe tentato di entrarci, per lo meno con la faccia.

Stancato anche da quella occupazione, prese a tamburellare sul tavolino con la mano destra, dapprima piano, poi sempre più rapidamente, attirandosi occhiate sgradevoli da parte della ragazza. Quando Brian interruppe il suo passatempo quel tanto che bastava per spostare il peso del corpo a destra e riprendere il ticchettio con l’altra mano, la giovane barista sbatté con violenza il cellulare sul bancone, afferrò il taccuino con altrettanta malagrazia e si diresse a passò deciso verso di lui.
- Vuole un caffè?
Sembrava una minaccia più che una richiesta. Brian alzò un sopracciglio.
- Mi lancerei su un cappuccino, se non ti dispiace.
- No. Ottima scelta. Originale. – abbaiò di nuovo. Prese la tazzina vuota dal tavolino e scomparve dietro la macchina del caffè. Brian si chiese da dove venissero certi soggetti.

Il campanello suonò non appena la porta fu spinta, e Matthew fece il suo ingresso nel locale. Il volto arrossato dal freddo, nonostante la sciarpa paurosamente tirata fin sotto gli occhi. Si fermò un momento, come esitando, poi parve decidere che quell’incontro fosse inevitabile e di diresse al tavolo di Brian.
- Ciao, Matt.
- Ciao.
Matt era in piedi di fronte a lui, e per qualche strano motivo non accennava a sedersi. Brian lo guardò perplesso.

Era come se qualcosa dovesse accadere…

- Vuoi sederti? – lo invitò, continuando a fissarlo.
Matt parve riscuotersi. – Ah, sì, sì…grazie.

…qualcosa di grande, che da tempo desiderava esplodere…

Matt fissava il tavolo mentre tentava di aprirsi il cappotto, mancando un bottone su due.
- Matt, va tutto bene?

Brian lo sapeva, lo sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato…
Lo capiva dagli sguardi di Matt nelle ultime settimane, dal suo tono sempre assente e distratto, dai suoi modi di fare così tesi.

Lo vide raccogliere con stizza la sciarpa, scivolatagli a terra, prima che trovasse finalmente il coraggio di guardarlo. Matt aveva gli occhi di cristallo. Sempre. Brian glielo diceva sempre. Ma quel giorno erano diversi. Quel giorno gli occhi di Matt urlavano e si dimenavano.
- Matt, stai bene?
Ripeté la domanda sperando in una risposta – una qualsiasi risposta di circostanza, Matt. Una risposta normale.

Matt sussultò debolmente, sforzandosi di mantenere la calma. Distolse lo sguardo e lo fissò da qualche parte alla destra di Brian, dove il maggiore degli intrattenimenti era un acquerello stinto.
- Brian, senti…

Eccolo, il supremo momento. Brian era oltremodo calmo. Era sicuro di cosa avrebbe detto Matt. Lo sentiva. Era come se avesse già vissuto tutto. Avrebbe potuto alzarsi e dire “Ok, non fa niente. Non importa!”, ma per qualche motivo non lo fece.

Dillo, Matt. Dillo.

- Senti…dobbiamo finirla qui.
Improvvisamente, pronunciate queste parole, trovò il coraggio di guardare Brian. Sembrava dire “Ecco, ho fatto la mia parte, ora tocca te. Io sono salvo, almeno il tempo della tua risposta.”
Brian interrogò a fondo quegli occhi trasparenti. Erano inerti, finti. Il cristallo si era rotto, e ciò che rimaneva erano solo scaglie di vetro.

Brian lo sapeva, lo sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato…
Il guaio è che, quando arriva, fa terribilmente male.

Dimmi, Matt, dove ho sbagliato?





- Brian, quel film faceva schifo!
- È la settima volta che palesi la tua opinione, Matt. Ho capito.
- Sì, ma fa davvero schifo!
- Ottava.
Brian rallentò, accostando sotto casa di Matt.
- Sua signoria è arrivata. È pregata di scendere in fretta, perché sono in doppia fila.
- Non ci penso neanche.
- Matt, sei scemo?
Si ritrovò il volto di Matt a pochi centimetri dal suo.
- Ho detto di no. – gli soffiò sulle labbra, mentre si metteva goffamente a cavalcioni sopra di lui.
- Matt, non sei un po’ vecchio per pomiciare in macchina? Guarda che un volante nella schiena a quest’età non è l’ideale.
- La prossima volta porto le carte da briscola, ma oggi ti devi accontentare… di questo…- biascicò, stampandogli una scia di baci sul collo.
- Sei sgradevolmente spiritoso stasera.
- Lo so, tesoro…

Brian realizzò come il suo compagno non fosse affatto dell’idea di fermarsi. Lo spinse a fatica sul suo sedile, nonostante quello si agitasse scompostamente.
- Matt, la sobrietà ha effetti devastanti su di te. Ti prego, d’ora in poi, di bere sempre qualcosa, prima di uscire con me. Secondo: esci dall’auto di tua spontanea volontà, senza costringermi a denunciarti alla polizia per tentato stupro.

Matt mascherò malamente il suo sorriso sotto un broncio bizzarro.
- Come sei…conformista! – articolò, gesticolando con le mani.
- Conformista?!? Sono le due di notte, Matt, e si dà il caso che domani entrambi lavoriamo. Senza contare che ho sonno e ho bisogno di dormire. Tradotto: ciao, Matt.
- Amore, se sei sempre così gentile rischio di innamorarmi di te...
- Matt, smettila di fare le fusa e dileguati!
Matt, ubbidiente, sorrise, gli diede un rapido bacio e scese dal veicolo.
- Brian?
- Sì?
- Ci vediamo domani?
- Non ti viene mai il dubbio che io abbia qualcosa da fare nelle mie giornate?
- No. Alle otto?
Brian guardò quegli occhi brillanti, felici. Erano felici. Sorrise.
- Certo.
- ‘Notte, Brian.
- Buonanotte.
L’auto si mise in moto lentamente.

- Comunque, Brian, il film faceva cagare!

Per fortuna era ormai troppo lontano per rispondergli.

Nel tragitto verso casa, Brian cercò di delineare il loro rapporto. “Stiamo bene” era la cosa più sensata che gli venne in mente. E stava bene davvero. Non sapeva che Matthew era terrorizzato all’idea che lui, una di quelle sere, potesse stancarsi del suo carattere infantile. Brian, dal canto suo, sapeva che sarebbe arrivato al punto di dover ammettere di essere innamorato di Matt, per non perderlo, ed era certo che non ci sarebbe riuscito.





- È finita.
Brian metabolizzò ad alta voce quanto Matt gli aveva riferito.
- Non trovi assurdo, Matt, che dopo cinque mesi io e te riusciamo a concordare solo sul fatto che fra noi è finita?

- Brian, ti prego…
- Lo sapevamo entrambi.
- No, Brian! Non sapevamo proprio un bel niente! Io non lo sapevo! Io ci credevo!
Matt aveva gli occhi lucidi, oltre che la mano dolorante per il colpo che aveva appena sferrato al tavolo.

La cameriera parve riscuotersi, portò il cappuccino di Brian e versò del caffè a Matthew nel gelo più totale. È incredibile come dei particolari così normali come una barista con tendenze dittatoriali ti tengano ancorato alla realtà, quando rischi di dimenticarla.

- È inutile che ti scaldi.
- Io reagisco, Brian! Tu sei lì… fermo. Non ti smuove niente. Potrei esser morto e per te sarebbe uguale.
- Non fare l’idiota.
- Sono serio, Brian. Tu sei fatto così, prendi quello che viene, come viene. Io no.
Si guardò intorno, come a cercare qualcosa che lo aiutasse a chiarire quel semplice concetto che non riusciva a far comprendere a Brian.

- Tu hai un’altra. Tu hai Gaia. Sei tornato con Gaia.

Brian espose il suo ragionamento per gradi, così come gli era venuto in mente, senza sforzarsi di arricchirlo con belle parole. Guardò Matt: aveva l’aria distrutta, di chi avrebbe preferito essere in qualunque posto piuttosto che lì, piuttosto che far del male ad una persona che amava davvero.

- A questo punto converrai con me sul fatto che non ci sia molto da dire, vero, Matt?
- Brian, ti supplico…- Il tono di Matt era implorante.
- Ma che cosa ti aspettavi che ti dicessi? Di non tornare con lei? Che stai facendo un grosso errore? Che sono affranto perché penso che tu mi abbia usato solo per scopare?
Era incredibile come i pensieri fluissero naturalmente dal suo cervello, e con che tranquillità riuscisse a dar loro voce. Non era arrabbiato, Brian, non lo era davvero.

- Io non penso nessuna di queste cose, Matthew. Io penso che, se ci lasciamo, è perché deve succedere. Qualcosa – chiamalo fato, chiamalo Dio, non importa – ci ha resi quelli che siamo, e ci ha fatto compiere le nostre scelte. Qui è dove queste ci hanno portato, dove noi siamo arrivati. Se vuoi, ti dico che fra voi non funzionerà, come non ha funzionato la prima volta, e che con me staresti molto meglio, ma non è questo il punto. Il punto è cosa vuoi, Matt. E tu vuoi lei. Ora. Non ieri, Matt. Non quando eri innamorato di me. Adesso. E conta solo adesso, Matt.

Matt si coprì il volto con le mani, per  sorreggere una testa che gli sembrava sopraffatta da troppi pensieri.
- Cristo, Brian, vorrei esserne così sicuro…
- Tu ne sei sicuro.

Matt si guardò in giro alla disperata ricerca di un appiglio per la salvezza. Qualunque cosa.
- Io… so solo che ho bisogno di credere in qualcosa. Qualcosa di eterno, di stabile, capisci? Ho bisogno di una certezza, anche una sola, nella mia vita. E lei c’è sempre stata, era riuscita a dare un senso a… tutto.
Non trovava le parole. Il suo era un procedere incessantemente titubante.
- Io non riesco a vivere alla giornata coma fai tu, Brian. Ho bisogno di credere che ci sia qualcosa oltre quello che vedo, oltre quello che succede. Devo sapere che esiste altro.
Era esausto. Prese la mano di Brian e gliela strinse. “Non mi chiedere altro”, urlava, “Non mi chiedere altro”. Brian rispose alla stretta.

- Va bene così, Matt. Va bene così! Io non ho rimpianti. Quello che ho passato con te è stato solo tempo guadagnato. Sono stato bene, ho fatto tutto quello che volevo fare. Tu eri felice, ed io pure. Perché stavo da dio quando facevi l’idiota e poi mi sorridevi! Noi non abbiamo mai vissuto alla giornata, Matt, noi vivevamo la giornata. Non stavo ad aspettare la manna celeste. Sceglievo. Mi guardavo intorno, con un piede ben piantato a terra, e decidevo di conseguenza. E per lo stesso motivo è giusto che tu ora vada da lei. Perché l’ami, perché è una cosa bella che ti è capitata, perché fra i due hai scelto lei. Questa è la scelta da fare, Matt, non quella fra realtà e utopia. Il fatto che ora mi sembra di morire non è un problema tuo né mio, è una conseguenza di tutto questo. Siamo qui, è giusto così. In qualche modo è giusto così.

Gli lasciò la mano con una leggera carezza, si alzò e si preparò ad abbandonare il locale. Andò al bancone per pagare il conto, costringendo la cameriera a interrompere la sua conversazione telefonica.
- Accetti i contanti o vuoi direttamente le ricariche per il cellulare?
- Come, scusi?
- Lascia stare, gioia. Dammi il conto in fretta, che ti è già arrivato un nuovo messaggio.

Tornando indietro, trovò Matthew nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Aveva le mani scomposte sul tavolino. Sollevò lo sguardo verso Brian, ma non trovò la forza di alzarsi.
- Vado. Ciao, Matt.
- Non ha senso che io ora ti dica che ti amo, vero?
- No.

E non mi dire che ti ho fatto male.

- Scusami, Brian.

Brian era già verso l’uscita, si voltò e guardò Matt. Era sicuro che, più di ogni cosa, gli sarebbe mancata la sua sincerità, quella che così costantemente lo faceva sembrare fuori luogo. Non poté fare a meno di sorridere.

- E di cosa.

Fece un respiro profondo, si strinse la sciarpa al collo e uscì.


Ricordati sempre una cosa, Matt…



- Sai che ho scritto una canzone sul sole che sorge, anziché sulle tenebre che calano?
- Uh. Brian, facciamo più spesso l’amore, se poi mi fai queste rivelazioni sconvolgenti.
- Esilarante. Con un pezzo del genere non vendo neanche un disco.
Matt assentì. – Sì, è molto poco "Placebo" un sole che sorge.
- Però è… è bella, cazzo! Bella! È vera!
- E tu cantala.
- Prego?
- Cantala. – Matt scrollò le spalle. – La gente capisce quando senti una cosa, quando è tua, quando non è di plastica. Se per te è bella, devi cantarla. È giusta così.



… mi hai insegnato tu tutto quello che so.







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Vi interessa sapere che ho vergato questa storia a mano? E che ho usato una penna blu? Ecco, lo sapevo.
Cose molto più interessanti da dirvi riguardo il racconto non ne ho, a parte il fatto che la lotta
me vs titolo è stata estenuante, e che sono tornata alle fanfiction dopo un anno e mezzo di trastulli di vario genere. Il che equivale a:
- Brian al bar: fritto
- Brian che ha un flash: rifritto
- Brian che ha un flash al bar: *si ritira in una grotta e conduce una vita da eremita*

Cosa volete, per ora è tornata la scrittura, presto o tardi, spero, si farà viva anche l'originalità.
   
 
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