CAPITOLO QUINDICESIMO – “Salvare
un
gruppo di persone assediate dagli Zerg su un’astronave in rotta di
collisione
con una luna? Uh, mi sento come una ragazza timida che viene invitata
al ballo
della scuola dal capitano della squadra di football!”. Continua
a sognare. Nessuno ti inviterà da nessuna parte, con quell’orrido
grugno che ti
ritrovi. E dai, non essere così duro. E poi non abbiamo
tutto il gelato ai
frutti di bosco anti-depressione che avevamo l’ultima volta. La plancia di comando della
nave era piccola, quasi angusta, ed era
occupata da due sole persone. Una era l’uomo che aveva appena parlato,
avvolto
da capo a piedi in una tuta rossa e nera e una katana assicurata sulla
schiena,
cosa che lo faceva sembrare una versione ninja di Spiderman. “Ehi!
Versione
ninja di Spiderman a chi?”, esclamò lui piccato. Già,
diglielo! C’è già fin troppa gente che ti scambia per quello spara
stelle
filanti da due soldi! Devo ancora capire cosa ci trovino esattamente, in
quel tizio. “Con chi ce l’hai?”, domandò
l’altra occupante della cabina di
pilotaggio, una donna dai corti capelli blu scuro e dal fisico
prorompente. L’uomo voltò la testa
incappucciata verso di lei. “Con
il narratore, ovvio”,
rispose lui, facendo spallucce. Lei aprì la bocca, rimase
immobile per qualche secondo, poi decise che
scuotere la testa sarebbe stato più efficace di qualsiasi parola.
“Scommetto
che te l’hanno detto le due vocine nella tua testa”, borbottò, tornando
a
rivolgere la sua attenzione al quadro comandi. Scherzi,
bellezza? Mica assecondiamo i suoi deliri. Già. Di pazzo ne basta uno. Sigla d’apertura: Falling Down,
degli Oasis “Capitano Suzumiya”, Piton si
era fatto avanti, scostando Hayate e
fissando la giovane donna con sguardo torvo. “Non devo essere io a
dirle quanto
sia stato inconcepibilmente idiota mandare
quei quattro ragazzi a morire su un’astronave infestata da mostri,
vero?”. “Prima di tutto non sono
morti. Non ancora, almeno. O meglio, non
finché non troviamo i cadaveri”, ribatté lei. “E comunque lo so
benissimo da
sola, professore, non ho certo bisogno di qualcuno che me lo ripeta”. “Evidentemente sì. Le ricordo
che la sicurezza di quei ragazzi è stata
dichiarata prioritaria dal professor Silente, che quanto ad autorità è
di gran lunga
superiore a lei”. “Oh, e così la mette sul piano
dell’autorità, eh? Beh, si dà il caso
che questa sia la mia nave. Il che
vuol dire che siete sotto la mia responsabilità, è vero, ma anche che a
dare
gli ordini qui sono io”. “Piantatela! Tutti e due!”.
Marie si era frapposta fra i litiganti.
“Stata perdendo di vista l’aspetto più importante della faccenda, o
sbaglio?”. Haruhi sollevò lo sguardo e
arricciò le labbra. “In effetti hai
ragione”, mormorò, un po’ contrariata per essere stata ripresa; poi si
voltò
verso Hayate. “Fra quanto saranno qui i tuoi colleghi?”. Lui estrasse una sorta di
sottile cellulare azzurro chiaro da una
delle tasche dell’uniforme. “Pare che stiano per uscire dl tunnel
subspaziale”,
disse. “Appena sono a portata comunico loro di mettersi in contatto?”. “Ovvio!”, rispose il capitano.
“Non possiamo perdere un minuto di
più!”. “Moriremo, vero?”. Il tono di
Pietro era oltre il terrore, e
direttamente in una sorta di consapevolezza zen che contrastava con il
pallore
del suo viso. “Ovvio che non moriremo!”,
replicò Yoichi. “Dobbiamo solo attendere i
rinforzi”. I tre erano riusciti a barricarsi dentro una delle stive,
che come
quelle della Crazy Diamond
sembravano
insonorizzate dall’interno. “Stai continuando a mandare l’SOS
telepatico a
Marco?”. “Eh? Oh, sì, più o meno una
volta al minuto”; un po’ di colore era
tornato ad affiorargli sulle guance. “Ma non credo riesca a sentirmi. O
se mi
sente, non riesce a rispondere”. Riccardo stava accanto alla
porta con la spada sguainata, come di vedetta.
Sulla sua spalla il Pikmin rimaneva ben saldo al suo posto, come se la
gravità
della situazione non lo toccasse. “Dici che potremmo farcela a tirarne
giù
almeno qualcuno?”, domandò. “Al massimo possiamo lasciarli a Pietro,
tanto è
bravissimo a fare esplodere roba”. “Uff, devi proprio continuare
a rinfacciarmelo? E poi sbaglio o
avevamo detto niente magia?”. “Già, ma questo era prima di
avere all’inseguimento la metà degli Zerg
esistenti. E poi ormai siamo già ricoperti di poltiglia verde, quindi…”. “No, nessuno uscirà di qui
finché non sarò io a deciderlo”, rispose
Yoichi, che si era seduta a gambe incrociate sul freddo pavimento
metallico e
stava sistemando la tensione della corda del suo arco. “Ma…”. “Chi fra noi ha partecipato a
più cacce allo Zerg alzi la mano”. E questo calmò la discussione
per almeno dieci minuti. “C-che facciamo?”, balbettò
Marco, facendo un passo indietro per
allontanarsi dalla paratia; non aveva ancora finito di parlare che
Zaraki aveva
già sfoderato la sua zanpakuto e un ghigno da folle. “Ehi!”, esclamò
Elena.”Qualunque cosa tu abbia in mente di fare, non
provare a sfondare…”. SBRANG! “…la porta. Cosa parlo a fare
non so”. Gli Zerg nel corridoio,
allertati dal suo del metallo squarciato, si
misero in allarme. Prima che potessero tentare qualsiasi reazione,
però, le
teste di uno zergling e di un’idralisca erano già rotolate a terra,
troncate di
netto. “Il vostro amico se lo
ricorda, sì, che siamo su un’astronave?”,
domandò Shin. “E comunque io aspetto ancora una spiegazione”. Marco si riscosse dallo
stupore e rivolse la sua attenzione al
giovane, ancora nudo e apparentemente neppure intenzionato a coprirsi.
“Prima
vediamo di uscire vivi da qui, eh?”, disse, estraendo uno dei pugnali
dalla
cintura; fu quasi un riflesso condizionato a fargli scegliere l’arma
bianca
piuttosto che la magia. Inoltre, con gli incantesimi c’era sempre il
pericolo
di incasinarsi. “Se volete aiuto per
combattere quei mostri là fuori, potte contare su
di noi”, asserì Senkou; l’uomo aveva tolto un telone un po’ polveroso
da un
macchinario inutilizzato e se lo era legato addosso creando una rozza
tunica
grigio smorto. “Anche se, ehm… mi sembra che lo spadaccino che vi
accompagna se
la stia cavando piuttosto bene anche da solo…”. “Sì, ma è meglio non lasciarlo
incustodito…”, replicò Marco. “Davvero,
lo sappiamo per esperienza personale”. “Non c’era anche una bambina
con lei?”, intervenne Miyu. Anche lei
aveva strappato delle strisce di tessuto e se le era legate all’altezza
del
seno e dei fianchi, dando origine ad un bizzarro bikini che non copriva
granché
e che avrebbe fatto la gioia di Haruhi. “Insomma, non è pericoloso
lasciarla
con un individuo simile?”. “Macché, quella è l’unica cosa
che lo mantenga sano di mente”, spiegò
Elena. “Cioè, quasi sano di mente. Cioè, non completamente pazzo.
Insomma,
avete capito”. Shin sospirò. Ancora non si
era messo addosso nulla; se ne stava a
braccia conserte, mezzo voltato di schiena, così che tutti potevano
vedere
l’estesa macchia di squame argentate e traslucide che gli ricopriva le
spalle e
il centro della schiena, lungo la colonna vertebrale. “Questo vuol dire
che
toccherà combattere anche a noi?”. “Come se la cosa ti
dispiacesse”, replicò secca Miyu. “E vedi di
metterti qualcosa addosso, non mi va di vedere il tuo pene ciondolare
qua e là
mentre ce ne andiamo in giro”. Marco e Elena arrossirono per
interposta persona. “Mica mi ricordavo
di averla creata così sfacciata…”, bisbigliò il ragazzo. “Beh, il suo carattere in
effetti l’hai deciso tu”, rispose lei.
“Almeno uno dei due”. Shin emise un grugnito di
disappunto, ma fece ciò che gli era stato
detto, costruendosi una rudimentale toga come quella di Senkou. “Bene.
Adesso
vogliamo stare qui finché quell’invasato non apre una crepa nello scafo
e ci
condanna tutti a morte, oppure ci diamo una mossa?”. Ma
non eri tu quello che non voleva
combattere, un minuto fa? “Quindi andiamo?”, domandò
Senkou, che si era avvicinato al portello
sradicato e lanciava occhiate circospette all’esterno; in ogni caso, a
parte il
rumore ormai lontano degli Zerg messi in fuga da Zaraki, la situazione
si
prospettava tranquilla. Elena annuì. “Abbiamo una
navetta attraccata all’hangar centrale.
Credo sia meglio dirigerci lì e aspettare che anche i nostri amici ci
raggiungano”. “Perciò andiamo a destra?”,
domandò Miyu. “A giudicare dalla scia di
cadaveri, almeno, il vostro amico è andato di lì”. Elena si batté un palmo sulla
faccia. “No, è andato pure nella
direzione sbagliata…”, mormorò in tono sconsolato. “Quantomeno ci ha spianato la
strada”, disse Shin facendo spallucce.
“Ma di certo non lo ringrazierò per questo”. “Siamo usciti dal tunnel
subspaziale”, annunciò la donna dalla chioma
blu. “Fra pochi minuti saremo a portata di contatto con la nave di
Hayate-kun”. “Ottimo!”,
esclamò l’uomo incappucciato. “E
pensare che ultimamente iniziavo ad annoiarmi… Ora però non saprei
dire perché, ma non mi sentivo così eccitato da quella volta che sono
riuscito
a baciare Dorothy Zbornak!”. Non
era Dorothy, era solo un cuscino con una foto di Bea Arthur appiccicata
sopra. Non ricordarglielo ogni volta. Anche se quella
circostanza è al terzo
posto nella mia classifica delle scene più patetiche di sempre. “Mh, sì, come ti pare”,
borbottò l’altra, tornando a rivolgere la sua
attenzione al quadro comandi. “Sei andato ad avvertire gli altri che
siamo
quasi arrivati?”, domandò qualche secondo dopo. “Devo
proprio?”,
domandò lui. “Ultimamente
mi sono reso conto che su questa nave nessuno capisce i miei
riferimenti alla
cultura pop, e ogni tanto mi chiedo se sia un bene che io frequenti
persone
simili”. Tranquillo.
Noi ti frequentiamo tutti i giorni e nemmeno noi capiamo la metà delle
cose che
dici. E non torniamo a parlare delle tue fantasie
erotiche con il cast di
“Cuori senza età”, per favore… Ci sono cose che nessun uomo dovrebbe
vedere mai. “Ci stanno chiamando”, disse
Kyon. Era difficile da rintracciare, ma
nella sua voce c’era una sfumatura di sollievo. “Li passo sullo schermo
principale”. Tutti i passeggeri della Crazy
Diamond (che in effetti in quel momento consistevano in dieci
persone, una
tigre, un gattino e un numero non meglio precisato di Pikmin) erano
riuniti
nella plancia di comando, e avevano atteso in un silenzio febbrile
durante i
minuti precedenti, i visori esterni fissi sulla nave infestata dagli
Zerg, così
vicina e allo stesso tempo così irraggiungibile. Lo schermo si illuminò,
mostrando il volto di una donna dai capelli
blu. “Qui Carmen 99, capitano della Magnetic
Rose. Capitano Suzumiya, dico bene?”. Haruhi fece un passo in
avanti. “Esattamente”, esclamò. “Lieta di
vedere che siete stati rapidi ad accorrere”. “Fortunatamente eravamo
stazionati presso un’arteria subspaziale molto
ampia”, rispose la donna con piglio pratico. “Comunque, direi che non è
il caso
di perdersi in chiacchiere: secondo la vostra strumentazione di bordo,
quanto
manca all’impatto?”. Haruhi lanciò un’occhiata
eloquente a Kyon. “Un’ora e quarantanove
minuti”, disse lui. “Ma di fatto bisogna togliere almeno dieci minuti
dal
conteggio, la velocità di caduta poi diventerebbe troppo alta per
poterla
bloccare con un raggio traente”. “Quindi abbiamo un’ora e
mezza? E’ più che sufficiente”. Carmen si
voltò. “Certo, se Wade si decidesse a tornare… Gli ho detto di andare
ad
avvertire gli altri, invece si sarà messo a raccontare qualcuna delle
sue
storie idiote”. La donna schioccò le labbra con disappunto. “Intanto
teletrasporto a bordo Hayate, d’accordo?”. “Io sono pronto”, disse il
diretto interessato. Accanto a lui ora
c’era un baule di legno dall’aria molto pesante. “E ho qui anche
Nadeshiko[1]”. “C’è una ragazza dentro quel
baule?”, domandò Marie, l’occhio
spalancato per la sorpresa. “Ovviamente no”, rispose Nagi
in tono secco, per poi rivolgersi al
maggiordomo con gli occhi spalancati e colmi di paura. “Hayate, devi
proprio
andare?”. Il ragazzo si grattò la nuca
con aria un po’ imbarazzata. “Beh… Devo
pur guadagnarmi un po’ di soldi in qualche maniera”. “Ma non ne hai bisogno!”,
rispose la giovane ereditiera. “Sono
abbastanza ricca per tutti e due, e lo sai benissimo!”. Hayate le poggiò una mano
sulla testa in un gesto colmo di tenerezza.
“E lei sa benissimo che non mi sentirò a posto con la coscienza finché
non avrò
ripagato il mio debito, signorina Nagi”. La ragazzina arrossì. “Oh,
Hayate…”, mormorò in tono sognante. I due furono interrotti dal
piede di Haruhi che batteva nervoso sul
pavimento. “Mi spiace interrompere la vostra scena da commedia
romantica di
terza categoria, ma, sapete com’è, ci sono delle persone che rischiano
la vita
e alcune sono alle mie dirette dipendenze…”. “Ehi!”, replicò Nagi. “Questa
potrebbe essere l’ultima volta che vedo
l’uomo che am… cioè, che lavora per me!”. “Ma fammi il favore, mica
morirà per così poco”, minimizzò l’altra.
“Capitano… ehm, 99, trasporti Hayate a bordo, per favore”. “Subito”. E meno di due
secondi dopo, il maggiordomo e il suo baule
scomparvero dalla plancia in un vortice di scintille azzurre. “E ora, vedete di darvi una
mossa”, continuò Haruhi. Il suo tono era
così diretto da suonare offensivo; la giovane donna, comunque, come al
solito
se ne fregava altamente di ciò che gli altri potevano pensare. “Da quel
che so
non mi costerete certo poco. Ma vi prometto una cosa: se non salverete
il mio
equipaggio, non solo da me non avrete un soldo, ma farò in modo di
mettervi
contro l’intera Confederazione. Intesi?”. Carmen non sembrava offesa, in
ogni caso. Anzi, semmai appariva
divertita. “Ricevuto, capitano”, disse esibendo un sorrisetto. “Ma
voglio che
sappia una cosa, anche se immagino che Hayate gliel’abbia già spiegato:
quando
ci assumiamo un incarico, noi lo portiamo a termine; in altre parole,
non
abbiamo mai fallito”. “Beh, fate che questa non sia
la prima volta, allora”, replicò Haruhi,
per nulla impressionata. “Kyon, chiudi la comunicazione”. E prima che
Carmen
potesse rispondere, il suo viso sparì dallo schermo, che tornò a
riempirsi
dell’immagine dell’astronave alla deriva. “Avrebbe potuto anche essere
un po’ più civile con quella donna,
capitano Suzumiya”, disse Severus in tono freddo. “Sono pur sempre
mercenari”. Haruhi gli rivolse un ghigno.
“Oh, da che pulpito, professore. E
comunque non ci posso fare nulla, situazioni come questa tirano fuori
il peggio
di me”. La ragazza batté un altro paio di volte un piede a terra,
probabilmente
per tentare di scacciare la tensione accumulata. “In ogni caso proprio
perché
sono mercenari posso trattarli come mi pare, tanto tutto quello che
vogliono è
essere pagati”. “E quindi?”, domandò Russia,
che stava lucidando il rubinetto che si
portava dietro ovunque. “Ora che facciamo?”. Haruhi si voltò verso il
visore esterno. “Tutto quello che possiamo
fare al momento”, rispose. “Aspettare”. “Possiamo uscire, ora?”.
Riccardo era andato avanti e indietro davanti
alla porta della stiva così tante volte che c’era da stupirsi che non
avesse
ancora scavato un solco nel pavimento. Il Pikmin sulla sua spalla gli
premeva
una manina sulla guancia, come per tentare di calmarlo in qualche modo. “Ovviamente no”, rispose
Yoichi. Anche se la donna continuava a
mantenere un atteggiamento calmo e compassato, era evidente che il
passare dei
minuti iniziava ad avere effetti anche su di lei: una ciocca di capelli
era
fuoriuscita dalla severa coda di cavallo e le si annodava scomposta nei
pressi
dell’orecchio destro, mentre la fronte le si imperlava per
l’occasionale goccia
di sudore. “Hai dimenticato quello che ho detto riguardo ai soccorsi?”. Riccardo si voltò verso di lei
con uno scatto rabbioso, rischiando di
far capitombolare a terra il Pikmin. “Oh, falla finita!”, ringhiò. “Per
prima
cosa, che ti rende così sicura del fatto che arriverà qualcuno?”. Stranamente l’arciera abbassò
lo sguardo sulla propria arma. “Il
capitano Suzumiya non è il tipo da lasciare indietro qualcuno”,
mormorò, quasi
sulla difensiva. “Questa, almeno, è l’impressione che ho di lei”. La destra di Riccardo si
strinse sull’elsa della spada. “D’accordo”,
rispose, ma il tono della sua voce era teso e affilato come il filo
della sua
arma. “D’accordo, mettiamo che sia così. Mettiamo che Haruhi riesca a
trovare
qualcuno disposto a venire qui a farsi ammazzare per salvarci. Perché
noi
allora dobbiamo stare qui barricati in ‘sto cazzo di buco, eh? Quante
possibilità ci sono che ci trovino, se ce ne stiamo rintanati come
vermi?”. Il
ragazzo non attese una risposta. “Io esco da qui. Voi fate come vi
pare”. Yoichi, con uno scatto felino,
si alzò in piedi e si parò davanti alla
porta. “Mi spiace”, disse. I suoi occhi neri erano tornati ad essere
acuti e
minacciosi. “Urla pure contro di me e insultami, se la cosa ti fa
piacere. Ma
rimango comunque la tua caposquadra, e se ho deciso che non uscirai da
qui, tu.
Non. Uscirai. Intesi?”. Riccardo era a un passo
dall’estrarre l’arma dal fodero. “Cos’è, vuoi
provare a vedere chi vincerebbe fra un arco e una spada? Perché mi sa
che sei
in leggero svantaggio”. Yoichi si lasciò sfuggire un
sorrisetto. “Sembri sicuro, per uno che
tiene in mano un’arma da meno di due mesi”, rispose. “Prima di decidere
chi è
in svantaggio dovresti sincerarti di essere in grado di colpirmi”. L’espressione sul viso di
Riccardo iniziava ad assomigliare pericolosamente
a quella di Zaraki; lo scontro verbale con la donna, però, sembrava
stare
distogliendolo da quello fisico. “Non preoccuparti per questo, ho un
ottimo
maestro”. “Di questo non dubito. Resta
da vedere se tu sei un ottimo allievo”. Un leggero ma chiaramente
indispettito schiarirsi di gola fece voltare
i due, interrompendo un conflitto ormai degenerato in un battibecco:
Pietro,
che in tutto il casino era rimasto tranquillo e in silenzio, ora se ne
stava
seduto in uno degli angoli della piccola stiva, le lunghe gambe ossute
ripiegate in una parvenza di postura yoga e le mani stese davanti a sé.
Sotto
le palpebre abbassate i suoi occhi si muovevano in una corsa frenetica. “Grazie”, disse, dopo che il
silenzio perdurò per qualche secondo.
“Sapete, è difficile concentrarsi quando la gente intorno a te continua
ad
urlare senza motivo”. “Concentrarsi per cosa?”,
domandò Riccardo. Pietro non rispose per qualche
secondo, prendendo un paio di lenti e
profondi respiri. “Anche io voglio trovare un modo per uscire da qui,
sapete;
ma non credo che litigando andremo da qualche parte… Voglio dire, non
possiamo
nemmeno sperare che ci sentano se gridiamo abbastanza forte, visto che
le
pareti sono insonorizzate. Quindi ho deciso di improvvisare qualcosa”. “Aspetta… stai usando la
magia?”. “Di certo non sto in questa
posizione perché sono comodo!”. “Mica farai esplodere
qualcosa?”. Pietro fece schioccare la
lingua sui denti. “Non sto usando la
bacchetta appunto per questo. Anche perché non mi servirebbe a niente,
per un
incantesimo del genere”. “E che effetto dovrebbe avere,
questo incantesimo?”, si informò
Yoichi, allontanandosi dal presidio della porta e gettando un’occhiata
penetrante a Pietro. Il ragazzo sospirò. “Ancora un
paio di minuti e lo vedrete da voi…
Sempre che tutto vada come spero”. Sui tre calò il silenzio. Poco
più di un minuto dopo, Riccardo iniziò
a borbottare qualcosa di incomprensibile. “Ehm… Yoichi…”, disse, quando
ebbe
alzato la voce di un paio di decibel. “Ecco… scusa per prima. Per
essermi
incazzato con te, dico. Insomma, non è che fosse colpa tua o che”. La donna sorrise. “Figurati. E
poi stavo iniziando a perdere le
speranze; il tuo scatto è servito a scuotermi, quindi credo che dovrei
ringraziarti, più che accettare le tue scuse”. Il ragazzo sobbalzò nell’udire
quelle parole. “Ah, n-no… Ma che
ringaziarmi, ma figurati…”. In cerca di un modo per cambiare argomento,
il suo
sguardo saettò per la stanza fino a fermarsi nuovamente su Pietro.
“Quanto ti
manca?”, domandò, in un tono più brusco di quanto avrebbe voluto. L’altro aprì gli occhi.
“Dovrei avere finito giusto ora”, disse. Diede
una scossa alle mani tese, e da esse cadde una pioggia di scintille
colorate.
“Ecco, ora fate le brave…”, mormorò Pietro; le lucine parvero recepire
il
messaggio, perché iniziarono a disporsi davanti a lui in un’area larga
un metro
circa. “Ehm… e esattamente che cosa
sarebbe, questo?”, chiese Riccardo,
indicando il risultato dell’incantesimo di Pietro. Il mago scrutò il pavimento
con aria critica e fronte aggrottata. “In
effetti sarebbe più utile avere una piantina dell’astronave a
disposizione. Ma
temo che ci si debba accontentare così”. “E quindi queste luci
sarebbero le forme di vita presenti a bordo?”,
domandò Yoichi, indicando le scintille: e in effetti parecchie di loro
si stavano
lentamente muovendo su e giù per il pavimento. Pietro annuì. “Noi dovremmo
essere questi qui”, e con un dito indicò
tre luci (una delle quali aveva una gobbetta sul fianco, a indicare il
Pikmin),
che si trovavano a brevissima distanza da un ammasso luminoso di
proporzioni
considerevoli. “E, uhm… credo che possiate capire da voi che cosa sono
questi
altri, invece”. “E dove sono Zaraki e gli
altri?”, domandò Riccardo. “Non potevi
metterci delle legende, a ‘sti cosi?”. Pietro gli lanciò un’occhiata
storta. “Pretendi troppo. Comunque,
giudicando dalla distanza che dovrebbero avere percorso, potrebbero
essere
questi qui”, accennò a cinque puntini che si stavano spostando verso la
sua
destra, in direzione di quello che doveva essere il fondo della nave.
“Anche se
i conti non tornano, dato che c’è una persona di troppo. Certo,
potrebbero
sempre aver salvato qualcuno, anche se considerata la condizione
attuale della
nave mi pare alquanto improbabile…”. “Comunque è davvero un ottimo
lavoro”, disse Yoichi in tono ammirato.
“Ed è incredibile come tu sia riuscito a farlo senza usare qualche
oggetto per
aiutarti… Insomma, per quel poco che ne so di magia”. Pietro cercò di non arrossire
troppo. “Nah, non è davvero niente di
che… E comunque dovevo arrangiarmi in qualche modo, di certo non potevo
usare
la bacchetta. Alla fine lamentarsi non serve, non volevo stare qui con
le mani
in mano, quindi ho messo su la prima cosa che mi è venuta in mente”. “Beh, dai, per questa volta
hai fatto un bel lavoro”, lo rassicurò
Riccardo. “Per
questa volta?”. “Uh, guarda, e questi invece
che sono?”, chiese l’altro, del tutto
ignaro dell’interruzione; stava indicando un piccolo gruppo di
scintille che si
era materializzato a mezz’aria e stava calando dall’alto con una certa
velocità. Pietro fece tanto d’occhi. “E’
incredibile, ho creato un incantesimo
in 3-D!”. “Sì, questo lo vedo, ma chi
sarebbero?”. “E secondo te come faccio a
saperlo? L’unica cosa che mi pare di
capire è che stanno arrivando dall’esterno dell’astronave”. “Quindi potrebbero essere dei
soccorsi?”, domandò Yoichi, osservando
il gruppo di luci posarsi sul pavimento della stiva. Un paio di secondi
dopo,
lo scafo fu scosso da una leggera vibrazione. Pietro ebbe un brivido.
“Potrebbero, sì. O potrebbe essere qualcosa di
molto peggio”. “Ripetetemi un attimo perché
stiamo correndo dietro a quel pazzo
omicida invece di filarcela dalla parte opposta e lasciare
quest’astronave
degli orrori il prima possibile”, disse Shin, che stava occhieggiando
con
disgusto una pozzanghera rappresa di sangue Zerg. “Rispondigli tu, sennò io
giuro che lo prendo a pugni”, sibilò Elena
nell’orecchio di Marco. “Davvero, com’è che ci è venuto fuori un
deficiente del
genere?”. Me
lo sto chiedendo anche io…, pensò il ragazzo. “Perché
non ce ne andremo da
qui finché non saremo certi di essere tutti in salvo”, rispose poi.
“Inoltre
abbiamo una sola navicella, quindi non potremmo comunque andarcene
senza aver
aspettato i nostri amici che sono andati verso la prua. E… nessuno di
noi qui
presenti sa pilotare la suddetta navicella. Soddisfatto?”. Shin rispose con un borbottio
indecifrabile. “Marco ha ragione!”,
intervenne Miyu con piglio deciso. “Se tu fossi
perso da qualche parte io verrei a cercarti, e sono sicura che tu
faresti lo
stesso per me!”. Stavolta il mugolare di Shin
fu sospettosamente simile a un: non esserne
così sicura, ma Miyu non
sembrò farci caso. “Comunque è ovvio che appena
avremo recuperato Zaraki e Yachiru
torneremo verso la navetta”, si affrettò a chiarire Marco. “Non voglio
stare
qui dentro un minuto più del necessario, esattamente come non lo volete
voi”. Elena, intanto, si era
avvicinata a Senkou, che apriva la fila.
“Ricordi per caso come siete finiti in quella situazione?”. L’uomo spostò i grandi e
benevoli occhi d’oro sulla ragazza; sembrava
che la domanda lo turbasse. “Ecco… non lo so”, ammise. “In effetti, ad
essere
sincero, non ho alcun ricordo preciso di ciò che ho fatto prima di
risvegliarmi
nella capsula. O meglio, so che conosco Shin e Miyu da anni, ma se mi
chiedi
che cosa abbiamo fatto insieme, ecco… Questo non te lo saprei proprio
dire”.
Senkou scosse la testa, come per scacciare la confusione dai propri
ricordi.
“Non so se anche per Shin e Miyu valga lo stesso”. “Capisco. Beh, ha senso”,
rispose Elena, che si rese conto del significato
delle proprie parole solo dopo averle dette. “Cioè, volevo dire…”. “Senti, Elena”, la interruppe
l’uomo. “E’ ovvio che tu e Marco
sappiate molte cose su di noi, forse più di quante ne sappiamo noi
stessi. Ora,
non mi interessa che tu mi racconti tutto ora, abbiamo cose ben più
importanti
a cui pensare; ma quando saremo al sicuro sulla vostra nave, vorrei che
non ci
nascondessi nulla, d’accordo? Per quanto scioccante ciò che dovrai
dirci ti
possa sembrare, intendo”. Elena abbassò gli occhi per un
istante. “D’accordo”, capitolo. “Era
quello che avevo intenzione di fare fin dall’inizio, in ogni caso”. La
ragazza
sospirò. “Certo che la tua gentilezza è davvero disarmante, lo sai?”. Senkou ridacchiò. “Non sei la
prima persona che me lo dice, in effetti”.
Riportò lo sguardo davanti a sé, e i suoi occhi si indurirono di colpo.
“Temo
che abbiamo un problema”. Il corridoio davanti al gruppo
si apriva su uno slargo, le cui pareti
e pavimento erano imbrattati di resti di Zerg in rapido disfacimento e
in fondo
al quale tre porte assolutamente identiche sembravano fissare i cinque
con aria
di sfida. “E ora, dietro a quale porta
si sarà infilato, quello?”, disse Shin.
“E che nessuno provi anche solo a suggerire di dividersi”. “Non mi era nemmeno passato
per la testa, a dire il vero”, rispose
Elena in tono secco. “Forza, quale prendiamo? Credo che una valga
l’altra,
almeno finché non vediamo che cosa c’è dall’altra parte”. “Conoscendo Zaraki avrà tirato
dritto senza neanche pensare a dove
andava”, disse Marco. “Quindi, insomma, io sono per la porta di mezzo”. “Già”, intervenne Miyu. “In
effetti il vostro amico non mi pare uno
che va per il sottile”. “Per la ventesima volta, non è
un nostro amico. Credo che l’unico
motivo per il quale non ha ancora provato ad ucciderci è perché siamo
troppo
scarsi per potergli tenere testa per più di quattro decimi di secondo”.
Marco
si voltò verso gli altri. “Allora, tutti d’accordo?”. Shin fece spallucce.
“D’altronde, non vedo cosa possa capitare di così
tremendo scegliendone una piuttosto che un’altra”, e detto ciò si
avvicinò alla
porta, che scivolò obbediente sui suoi cardini. Il rettangolo della porta
delineava un breve corridoio che conduceva
ad una paratia identica alla prima. “Uhm, che facciamo?”, domandò Marco
aggrottando la fronte. “Non vedo segni di massacro Zerg”. “Magari semplicemente qui non
ce n’era nemmeno uno”, osservò Senkou.
“Dovremmo almeno vedere cosa c’è dietro quella porta, prima di provare
con
un’altra direzione”. E dietro la porta c’era
indubbiamente qualcosa: per la precisione, una
lunga e ampia stanza completamente vuota, con un’unica entrata a circa
trenta
metri sulla parete opposta; sembrava un incrocio fra una stiva di
carico e una
sala da ballo. “Wow, ci si potrebbe fare una
festa qui dentro”, esclamò non a caso
Miyu dopo essere entrata nella stanza. “Una festa è proprio l’ultima
cosa di cui sento il bisogno al momento,
sai?”, la rimbeccò Shin, che era tornato a chiudere la fila. Non appena
il
ragazzo ebbe varcato la soglia, però, la porta scivolò di nuovo al suo
posto.
“Ehi! Ma…”. Shin si girò e dopo un paio di secondi la colpì con un
pugno.
Nessuna reazione. “Perfetto, ora siamo pure bloccati qui dentro”,
borbottò. “A dire il vero c’è una porta
dall’altro lato”, lo corresse Senkou.
“E… oh, cavolo”. Gli altri quattro membri del
gruppo spostarono lo sguardo sulla porta
in questione, e poterono notare due cose: si era aperta, e da essa
stavano
entrando degli Zerg. “Magari se stiamo immobili non
ci noteranno”, bisbigliò Elena mentre
sei zergling e una coppia di idralische facevano il loro ingresso nella
sala. “Hai visto troppe volte
Jurassic Park, per caso?”, ribatté Shin; e in
effetti uno degli zergling li stava fissando; subito dopo, le
indralische
iniziarono a emettere un suono a metà fra un rutto e un trapano da
dentista.
“Merda, stanno chiamando degli amichetti”, continuò il ragazzo. “A
quanto pare
ci sarà davvero una festa, ma noi saremo la portata principale del
buffet”. “E’ per quello che non ci
attaccano? Aspettano di essere in
superiorità di forze?”, domandò Elena. Senkou annuì. “E dobbiamo
approfittare della cosa per riuscire a
chiudere la porta”. “E come facciamo, scusa?”,
mormorò Miyu. “Basta raggiungere il pannello
lì accanto, no?”. “Appunto, siamo a trenta metri
da lì e in mezzo ci sono degli Zerg
molto poco amichevoli… Come credi di fare?”. Marco cercò di ignorare la
spiacevole sensazione di pressione alla
bocca dello stomaco; riuscì a reprimerla per qualche secondo,poi
sospirò,
estrasse un pugnale dalla cintura e si fece avanti. “Io… penso di
poterci
riuscire”. Miyu guardò prima lui, poi il
coltello, poi di nuovo lui. “Azzardato”,
borbottò, mentre il viso le si illuminava. “Mi piace!”. “In effetti, mi sembra anche troppo
azzardato”. Shin, ovviamente. “Se hai un’alternativa
migliore, sarei lieto di sentirla”, lo zittì
Marco, che senza aspettare risposta sollevò leggermente il braccio
sinistro e
si preparò a lanciare. Ok, ce la puoi
fare, cercò di convincersi mentalmente. Dimentica
di essere il Marco che non riusciva neppure a fare centro con una
pallina di
carta in un cestino della spazzatura da un metro di distanza, quella
persona
non esiste più…, nah, forse così è un po’ troppo melodrammatico. Si dice che nel momento in cui
un individuo è sospeso fra la vita e la
morte possa vedere tutta la vita scivolargli davanti come un film
avanti
veloce; Marco, che ancora non era in una situazione così tragica,
rivisse
soltanto una scena. Sfortunatamente, era proprio
ciò che non avrebbe voluto vedere in
nessun caso. “Ci saranno sangue e dolore. E
non soltanto tuoi”. Le due frasi,
durante le loro “lezioni private”, sembravano essere il mantra di
Bielorussia. “Ho capito, ho capito…”,
borbottò Marco a denti stretti. La ragazza lo squadrò con i
suoi glaciali occhi blu scuro. “Non
abbastanza, evidentemente. O non avresti sbagliato mira di
nuovo”. E con un gesto vago accennò al bersaglio rotondo
appeso
al muro della stiva. Un bersaglio minuscolo, per essere precisi. “Non… non è colpa mia, sai?”,
tentò di ribattere lui fra una fitta di
dolore e l’altra, ma la voce che gli uscì dalle labbra era molto più
patetica
di ciò che sperava. Per un attimo abbassò lo sguardo sul braccio
destro, ma lo
distolse subito quando sentì un conato di vomito farglisi strada lungo
la gola.
Tutto quel sangue… “Sono i tuoi
‘metodi di insegnamento’”. “Se non vuoi che ti faccia un
altro taglio, puoi sempre provare a
colpire il bersaglio”, rispose lei, per nulla impressionata. “Ma il dolore delle ferite mi
imp-pedisce di concentrarmi!”, si
lamentò Marco. L’espressione sul volto di
Bielorussia rimase indecifrabile. “Pensi
che se dovrai combattere davvero, potrai dire al tuo avversario: ‘Per
favore,
non farmi del male, poi non riuscirò a concentrarmi!’?”. “No, ma…”. “No, appunto. Comunque curati,
se ti dà così fastidio”. Marco estrasse di tasca la
bacchetta e la agitò con dita tremanti,
evitando accuratamente di guardare dove la puntava. “Brachium
emendo”, borbottò, sentendo la pelle prudere dove le
ferite si rimarginavano e il dolore scomparire. Rimaneva il sangue, ma
quello
si poteva togliere con una doccia. “Posso andare, ora?”, domandò con un
certo
sollievo. “No, ovvio”. “Ma mi hai detto…”. “Ho detto che potevi guarirti
il braccio”. “Già…”, mormorò lui sconfitto,
raccogliendo uno dei coltelli sparsi
sul pavimento della stiva e lanciandolo contro il bersaglio. Lo mancò
ancora
una volta, ma veramente di poco. Con un sospiro, tese il braccio
incrostato di
sangue e spostò gli occhi su Bielorussia, in attesa che lei procedesse
come suo
solito. “Pare che il dolore non c’entrasse, in fondo”, si sforzò di
escalamare,
ma il tono era debole e spento. “Pare”, rispose lei. Poi, in
perfetto silenzio, sfilò un pugnale dalla
tasca del vestito e lo calò sul palmo aperto della propria mano
sinistra,
trafiggendola fino all’elsa. Marco si lasciò sfuggire un
urlo. “Ma
che fai, sei impazzita?”. Impugnò di nuovo la bacchetta.
“Forza, fammi
vedere la mano, così cerco di sistemartela”. Lei, però, mosse il braccio
fuori dalla portata dell’allievo. Il
sangue che sgorgava dalla ferita tracciò un arco irregolare sul
pavimento,
imbrattando le lame di diversi coltelli e facendo assomigliare sempre
più la
stiva al luogo di una strage. Il suo volto, però, rimaneva severo e
immobile.
“Te l’ho detto”, disse, nel solito tono neutro. “Ci saranno sangue e
dolore, e
non soltanto tuoi. Sbaglia la mira in battaglia, e puoi rimanere ferito
o
ucciso, ma non è detto che debba capitare a te. A morire può essere chi
ti sta
accanto. Perciò, perché non succeda, hai una sola possibilità: non
sbagliare mai la mira”. Gli occhi di Marco erano
ancora fissi sull’arma piantata nella mano
della ragazza. “Non… non avresti dovuto farlo”, mormorò. “Non dovevi
farti del
male solo per insegnarmi qualcosa”. Lei gli destinò uno sguardo
più intenso rispetto al solito. “Forse
allora inizi a capire”, disse. “Se vuoi proteggere chi ti sta intorno,
basta
solo che tu sia abbastanza forte per farlo. Ma se non lo sei, allora
sarà
soltanto colpa tua”.La ragazza estrasse di tasca un altro coltello con
la mano
sana e lo tese all’allievo. “Ora riprova. E se dovessi fallire ancora…
Ci
saranno conseguenze che non ti
piaceranno”. “Marco, non per metterti
fretta… anzi, no, è proprio per metterti
fretta, eccome”. Il tono nervoso di Elena riportò il giovane alla
realtà. “Ma
quei cosi si stanno moltiplicando”. Marco si riscosse: dalla porta
erano appena strisciate altre tre
idralische, accompagnate da una coppia di zergling. “Oh. Scusate”,
borbottò
lui, portando il braccio all’indietro e poi facendolo scattare in
avanti mentre
lasciava la presa sul coltello. Diciotto paia di occhi seguirono l’arco
tracciato dall’arma, che volò dritta verso il pannello… per poi cozzare
alla
sua destra e cadere a terra con un’acuta nota metallica che rimbombò
per tutta
la stanza. Gli sguardi di tutti gli Zerg si focalizzarono su Marco nel
medesimo
istante, le aliene iridi giallastre da rettile animate da un chiaro
istinto
omicida. “Aah, ‘fanculo!”, gridò il
ragazzo con stizza, mentre sfilava il
secondo coltello dalla cintura e lo scagliava con tutta la rapidità di
cui fu
capace. Il manico del pugnale,
stavolta, colpì il pannello quasi perfettamente
al centro e la porta scivolò al suo posto, proprio mentre un altro
gruppetto di
Zerg si stava preparando ad entrare nella sala. “Al secondo tentativo, eh?”,
fece Shin. “Pensavo te la saresti cavata
peggio, in effetti”. “Avevo solo due coltelli, sai
com’è…”, rispose l’altro con un
sogghigno. “Uhm, ragazzi? Credo sia il
caso di decidere cosa fare con quelli”,
intervenne Miyu. Gli zergling presenti stavano iniziando a farsi
avanti, con
un’andatura circospetta e un ruggito distorto in fondo alla gola
squamosa. “Devono essere ancora
terrorizzati da quello che Zaraki ha fatto ai
loro fratellini”, osservò Marco. “Di solito si lanciano all’attacco
fregandosene di tutto”. Shin e Senkou si scambiarono
un’occhiata. “Direi che adesso tocca a
noi, eh?”, disse l’uomo. “Sai, mi scoccia ammetterlo,
ma Miyu per una volta ha ragione”,
rispose l’altro. “Un bel combattimento non mi spiace affatto”. [1] Letteralmente “garofano”, ma
può anche essere un
nome di donna. Il nome della nave spaziale Nadesico
viene dal medesimo fiore. SHIN:
Devo farlo per forza? SENKOU:
Parli del combattimento? MIYU:
Non avrai mica già cambiato
idea! SHIN:
No, parlo di ‘ste cacchio di
anticipazioni! Sono stupide, ecco! MIYU:
Devi farle sì, è nel contratto. SHIN:
E va bene… Il sedicesimo
capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle” si intitola
“La luna
è severa maestra, parte seconda”. Ma non vi aspettate che vi dica cosa
succede. SENKOU:
Tranquillo, tanto non lo dice
mai nessuno… Uh,
eccoci di nuovo qui! Ho dovuto
dividere questo capitolo perché era veramente un po’ troppo lungo! Non
credevo
che avrei avuto così tante cose da scrivere riguardo alla “missione di
pulizia”
della nave misteriosa.XD Finalmente
anche il gruppetto di mercenari
è entrato in scena… Ormai la maggior parte dei personaggi principali
della
storia è apparsa, ancora qualche capitolo e questa prima parte (che
temo sia
stata fin troppo introduttiva e sospetto pallosetta per chi legge!
Chiedo
perdono) sarà conclusa. Chiedo
perdono anche per Deadpool… So
che è difficile seguire quello che dice e quello che dicono le due
vocine nella
sua testa. Mi sono scelto una bella gatta da pelare inserendolo nella
storia.XD E
proprio per la seconda parte avevo
in mente un’iniziativa… “interattiva”, per così dire! Ho pensato che
insomma,
questo è un cross-over in cui ho messo dentro veramente di tutto…
Quindi perché
non inserire anche dei personaggi propostimi direttamente dai lettori?
E non
dico personaggi già esistenti, intendo proprio vostre creazioni. Tengo
a
precisare che chiunque può fare proposte, anche se non ha mai recensito
prima
un capitolo; quindi se fino ad ora avete soltanto letto senza farvi
vedere non
fatevi problemi, a me farebbe comunque estremamente piacere!^^ Se
siete interessati alla cosa, usate
il form “Contatta” del sito e mandatemi la vostra idea per il
personaggio… Una
cosa breve, se non avete voglia di scrivere chissà cosa non c’è
problema,
giusto due parole sull’aspetto fisico, sul carattere e sulle capacità
(qui non
metto grossi limiti, tanto l’ambientazione come avete visto permette
l’inserimento praticamente di qualunque razza e potere… Basta che non
mi
proponiate delle Mary Sue, per il resto sono aperto a quasi tutto), poi
nel
caso se ne discute e troviamo la sua collocazione all’interno delle
vicende! Spero
che l’iniziativa vi possa
interessare… A me, come ho detto, farebbe piacere!^^ Bene,
ora passo alle consuete
risposte ai miei “fedelissimi”! Per
Morens: Sì, ho letto “Animorphs”!
Bei tempi, quelli… Sono ancora
incazzato a morte con Per
Anonimo: Contento del fatto che Shin faccia qualcosa?XD Nel prossimo
vedrai anche che fanno lui, Miyu e “quello grosso”. E, beh… Zaraki
d’altronde è
bravo a combattere, ma per il resto non è che sia una cima! C’è anche
da
considerare che fra lui e Yachiru hanno un senso dell’orientamento che
farebbe
invidia a quello di Ryoga Hibiki!XD Bene,
e per stavolta è veramente
tutto. Alla prossima!^^ Davide