Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Dk86    15/01/2011    2 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO QUINDICESIMO – LA LUNA E’ SEVERA MAESTRA, PARTE PRIMA

 

 

Salvare un gruppo di persone assediate dagli Zerg su un’astronave in rotta di collisione con una luna? Uh, mi sento come una ragazza timida che viene invitata al ballo della scuola dal capitano della squadra di football!”.

Continua a sognare. Nessuno ti inviterà da nessuna parte, con quell’orrido grugno che ti ritrovi.

E dai, non essere così duro. E poi non abbiamo tutto il gelato ai frutti di bosco anti-depressione che avevamo l’ultima volta.

La plancia di comando della nave era piccola, quasi angusta, ed era occupata da due sole persone. Una era l’uomo che aveva appena parlato, avvolto da capo a piedi in una tuta rossa e nera e una katana assicurata sulla schiena, cosa che lo faceva sembrare una versione ninja di Spiderman.

Ehi! Versione ninja di Spiderman a chi?”, esclamò lui piccato.

Già, diglielo! C’è già fin troppa gente che ti scambia per quello spara stelle filanti da due soldi!

Devo ancora capire cosa ci trovino esattamente, in quel tizio.

“Con chi ce l’hai?”, domandò l’altra occupante della cabina di pilotaggio, una donna dai corti capelli blu scuro e dal fisico prorompente.

L’uomo voltò la testa incappucciata verso di lei. “Con il narratore, ovvio”, rispose lui, facendo spallucce.

Lei aprì la bocca, rimase immobile per qualche secondo, poi decise che scuotere la testa sarebbe stato più efficace di qualsiasi parola. “Scommetto che te l’hanno detto le due vocine nella tua testa”, borbottò, tornando a rivolgere la sua attenzione al quadro comandi.

Scherzi, bellezza? Mica assecondiamo i suoi deliri.

Già. Di pazzo ne basta uno.

 

 

Sigla d’apertura: Falling Down, degli Oasis

 

 

“Capitano Suzumiya”, Piton si era fatto avanti, scostando Hayate e fissando la giovane donna con sguardo torvo. “Non devo essere io a dirle quanto sia stato inconcepibilmente idiota mandare quei quattro ragazzi a morire su un’astronave infestata da mostri, vero?”.

“Prima di tutto non sono morti. Non ancora, almeno. O meglio, non finché non troviamo i cadaveri”, ribatté lei. “E comunque lo so benissimo da sola, professore, non ho certo bisogno di qualcuno che me lo ripeta”.

“Evidentemente sì. Le ricordo che la sicurezza di quei ragazzi è stata dichiarata prioritaria dal professor Silente, che quanto ad autorità è di gran lunga superiore a lei”.

“Oh, e così la mette sul piano dell’autorità, eh? Beh, si dà il caso che questa sia la mia nave. Il che vuol dire che siete sotto la mia responsabilità, è vero, ma anche che a dare gli ordini qui sono io”.

“Piantatela! Tutti e due!”. Marie si era frapposta fra i litiganti. “Stata perdendo di vista l’aspetto più importante della faccenda, o sbaglio?”.

Haruhi sollevò lo sguardo e arricciò le labbra. “In effetti hai ragione”, mormorò, un po’ contrariata per essere stata ripresa; poi si voltò verso Hayate. “Fra quanto saranno qui i tuoi colleghi?”.

Lui estrasse una sorta di sottile cellulare azzurro chiaro da una delle tasche dell’uniforme. “Pare che stiano per uscire dl tunnel subspaziale”, disse. “Appena sono a portata comunico loro di mettersi in contatto?”.

“Ovvio!”, rispose il capitano. “Non possiamo perdere un minuto di più!”.

 

 

“Moriremo, vero?”. Il tono di Pietro era oltre il terrore, e direttamente in una sorta di consapevolezza zen che contrastava con il pallore del suo viso.

“Ovvio che non moriremo!”, replicò Yoichi. “Dobbiamo solo attendere i rinforzi”. I tre erano riusciti a barricarsi dentro una delle stive, che come quelle della Crazy Diamond sembravano insonorizzate dall’interno. “Stai continuando a mandare l’SOS telepatico a Marco?”.

“Eh? Oh, sì, più o meno una volta al minuto”; un po’ di colore era tornato ad affiorargli sulle guance. “Ma non credo riesca a sentirmi. O se mi sente, non riesce a rispondere”.

Riccardo stava accanto alla porta con la spada sguainata, come di vedetta. Sulla sua spalla il Pikmin rimaneva ben saldo al suo posto, come se la gravità della situazione non lo toccasse. “Dici che potremmo farcela a tirarne giù almeno qualcuno?”, domandò. “Al massimo possiamo lasciarli a Pietro, tanto è bravissimo a fare esplodere roba”.

“Uff, devi proprio continuare a rinfacciarmelo? E poi sbaglio o avevamo detto niente magia?”.

“Già, ma questo era prima di avere all’inseguimento la metà degli Zerg esistenti. E poi ormai siamo già ricoperti di poltiglia verde, quindi…”.

“No, nessuno uscirà di qui finché non sarò io a deciderlo”, rispose Yoichi, che si era seduta a gambe incrociate sul freddo pavimento metallico e stava sistemando la tensione della corda del suo arco.

“Ma…”.

“Chi fra noi ha partecipato a più cacce allo Zerg alzi la mano”.

E questo calmò la discussione per almeno dieci minuti.

 

 

“C-che facciamo?”, balbettò Marco, facendo un passo indietro per allontanarsi dalla paratia; non aveva ancora finito di parlare che Zaraki aveva già sfoderato la sua zanpakuto e un ghigno da folle.

“Ehi!”, esclamò Elena.”Qualunque cosa tu abbia in mente di fare, non provare a sfondare…”.

SBRANG!

“…la porta. Cosa parlo a fare non so”.

Gli Zerg nel corridoio, allertati dal suo del metallo squarciato, si misero in allarme. Prima che potessero tentare qualsiasi reazione, però, le teste di uno zergling e di un’idralisca erano già rotolate a terra, troncate di netto.

“Il vostro amico se lo ricorda, sì, che siamo su un’astronave?”, domandò Shin. “E comunque io aspetto ancora una spiegazione”.

Marco si riscosse dallo stupore e rivolse la sua attenzione al giovane, ancora nudo e apparentemente neppure intenzionato a coprirsi. “Prima vediamo di uscire vivi da qui, eh?”, disse, estraendo uno dei pugnali dalla cintura; fu quasi un riflesso condizionato a fargli scegliere l’arma bianca piuttosto che la magia. Inoltre, con gli incantesimi c’era sempre il pericolo di incasinarsi.

“Se volete aiuto per combattere quei mostri là fuori, potte contare su di noi”, asserì Senkou; l’uomo aveva tolto un telone un po’ polveroso da un macchinario inutilizzato e se lo era legato addosso creando una rozza tunica grigio smorto. “Anche se, ehm… mi sembra che lo spadaccino che vi accompagna se la stia cavando piuttosto bene anche da solo…”.

“Sì, ma è meglio non lasciarlo incustodito…”, replicò Marco. “Davvero, lo sappiamo per esperienza personale”.

“Non c’era anche una bambina con lei?”, intervenne Miyu. Anche lei aveva strappato delle strisce di tessuto e se le era legate all’altezza del seno e dei fianchi, dando origine ad un bizzarro bikini che non copriva granché e che avrebbe fatto la gioia di Haruhi. “Insomma, non è pericoloso lasciarla con un individuo simile?”.

“Macché, quella è l’unica cosa che lo mantenga sano di mente”, spiegò Elena. “Cioè, quasi sano di mente. Cioè, non completamente pazzo. Insomma, avete capito”.

Shin sospirò. Ancora non si era messo addosso nulla; se ne stava a braccia conserte, mezzo voltato di schiena, così che tutti potevano vedere l’estesa macchia di squame argentate e traslucide che gli ricopriva le spalle e il centro della schiena, lungo la colonna vertebrale. “Questo vuol dire che toccherà combattere anche a noi?”.

“Come se la cosa ti dispiacesse”, replicò secca Miyu. “E vedi di metterti qualcosa addosso, non mi va di vedere il tuo pene ciondolare qua e là mentre ce ne andiamo in giro”.

Marco e Elena arrossirono per interposta persona. “Mica mi ricordavo di averla creata così sfacciata…”, bisbigliò il ragazzo.

“Beh, il suo carattere in effetti l’hai deciso tu”, rispose lei. “Almeno uno dei due”.

Shin emise un grugnito di disappunto, ma fece ciò che gli era stato detto, costruendosi una rudimentale toga come quella di Senkou. “Bene. Adesso vogliamo stare qui finché quell’invasato non apre una crepa nello scafo e ci condanna tutti a morte, oppure ci diamo una mossa?”.

Ma non eri tu quello che non voleva combattere, un minuto fa?

“Quindi andiamo?”, domandò Senkou, che si era avvicinato al portello sradicato e lanciava occhiate circospette all’esterno; in ogni caso, a parte il rumore ormai lontano degli Zerg messi in fuga da Zaraki, la situazione si prospettava tranquilla.

Elena annuì. “Abbiamo una navetta attraccata all’hangar centrale. Credo sia meglio dirigerci lì e aspettare che anche i nostri amici ci raggiungano”.

“Perciò andiamo a destra?”, domandò Miyu. “A giudicare dalla scia di cadaveri, almeno, il vostro amico è andato di lì”.

Elena si batté un palmo sulla faccia. “No, è andato pure nella direzione sbagliata…”, mormorò in tono sconsolato.

“Quantomeno ci ha spianato la strada”, disse Shin facendo spallucce. “Ma di certo non lo ringrazierò per questo”.

 

 

“Siamo usciti dal tunnel subspaziale”, annunciò la donna dalla chioma blu. “Fra pochi minuti saremo a portata di contatto con la nave di Hayate-kun”.

Ottimo!”, esclamò l’uomo incappucciato. “E pensare che ultimamente iniziavo ad annoiarmi… Ora però non saprei dire perché, ma non mi sentivo così eccitato da quella volta che sono riuscito a baciare Dorothy Zbornak!”.

Non era Dorothy, era solo un cuscino con una foto di Bea Arthur appiccicata sopra.

Non ricordarglielo ogni volta. Anche se quella circostanza è al terzo posto nella mia classifica delle scene più patetiche di sempre.

“Mh, sì, come ti pare”, borbottò l’altra, tornando a rivolgere la sua attenzione al quadro comandi. “Sei andato ad avvertire gli altri che siamo quasi arrivati?”, domandò qualche secondo dopo.

Devo proprio?”, domandò lui. “Ultimamente mi sono reso conto che su questa nave nessuno capisce i miei riferimenti alla cultura pop, e ogni tanto mi chiedo se sia un bene che io frequenti persone simili”.

Tranquillo. Noi ti frequentiamo tutti i giorni e nemmeno noi capiamo la metà delle cose che dici.

E non torniamo a parlare delle tue fantasie erotiche con il cast di “Cuori senza età”, per favore… Ci sono cose che nessun uomo dovrebbe vedere mai.

 

 

“Ci stanno chiamando”, disse Kyon. Era difficile da rintracciare, ma nella sua voce c’era una sfumatura di sollievo. “Li passo sullo schermo principale”.

Tutti i passeggeri della Crazy Diamond (che in effetti in quel momento consistevano in dieci persone, una tigre, un gattino e un numero non meglio precisato di Pikmin) erano riuniti nella plancia di comando, e avevano atteso in un silenzio febbrile durante i minuti precedenti, i visori esterni fissi sulla nave infestata dagli Zerg, così vicina e allo stesso tempo così irraggiungibile.

Lo schermo si illuminò, mostrando il volto di una donna dai capelli blu. “Qui Carmen 99, capitano della Magnetic Rose. Capitano Suzumiya, dico bene?”.

Haruhi fece un passo in avanti. “Esattamente”, esclamò. “Lieta di vedere che siete stati rapidi ad accorrere”.

“Fortunatamente eravamo stazionati presso un’arteria subspaziale molto ampia”, rispose la donna con piglio pratico. “Comunque, direi che non è il caso di perdersi in chiacchiere: secondo la vostra strumentazione di bordo, quanto manca all’impatto?”.

Haruhi lanciò un’occhiata eloquente a Kyon. “Un’ora e quarantanove minuti”, disse lui. “Ma di fatto bisogna togliere almeno dieci minuti dal conteggio, la velocità di caduta poi diventerebbe troppo alta per poterla bloccare con un raggio traente”.

“Quindi abbiamo un’ora e mezza? E’ più che sufficiente”. Carmen si voltò. “Certo, se Wade si decidesse a tornare… Gli ho detto di andare ad avvertire gli altri, invece si sarà messo a raccontare qualcuna delle sue storie idiote”. La donna schioccò le labbra con disappunto. “Intanto teletrasporto a bordo Hayate, d’accordo?”.

“Io sono pronto”, disse il diretto interessato. Accanto a lui ora c’era un baule di legno dall’aria molto pesante. “E ho qui anche Nadeshiko[1]”.

“C’è una ragazza dentro quel baule?”, domandò Marie, l’occhio spalancato per la sorpresa.

“Ovviamente no”, rispose Nagi in tono secco, per poi rivolgersi al maggiordomo con gli occhi spalancati e colmi di paura. “Hayate, devi proprio andare?”.

Il ragazzo si grattò la nuca con aria un po’ imbarazzata. “Beh… Devo pur guadagnarmi un po’ di soldi in qualche maniera”.

“Ma non ne hai bisogno!”, rispose la giovane ereditiera. “Sono abbastanza ricca per tutti e due, e lo sai benissimo!”.

Hayate le poggiò una mano sulla testa in un gesto colmo di tenerezza. “E lei sa benissimo che non mi sentirò a posto con la coscienza finché non avrò ripagato il mio debito, signorina Nagi”.

La ragazzina arrossì. “Oh, Hayate…”, mormorò in tono sognante.

I due furono interrotti dal piede di Haruhi che batteva nervoso sul pavimento. “Mi spiace interrompere la vostra scena da commedia romantica di terza categoria, ma, sapete com’è, ci sono delle persone che rischiano la vita e alcune sono alle mie dirette dipendenze…”.

“Ehi!”, replicò Nagi. “Questa potrebbe essere l’ultima volta che vedo l’uomo che am… cioè, che lavora per me!”.

“Ma fammi il favore, mica morirà per così poco”, minimizzò l’altra. “Capitano… ehm, 99, trasporti Hayate a bordo, per favore”.

“Subito”. E meno di due secondi dopo, il maggiordomo e il suo baule scomparvero dalla plancia in un vortice di scintille azzurre.

“E ora, vedete di darvi una mossa”, continuò Haruhi. Il suo tono era così diretto da suonare offensivo; la giovane donna, comunque, come al solito se ne fregava altamente di ciò che gli altri potevano pensare. “Da quel che so non mi costerete certo poco. Ma vi prometto una cosa: se non salverete il mio equipaggio, non solo da me non avrete un soldo, ma farò in modo di mettervi contro l’intera Confederazione. Intesi?”.

Carmen non sembrava offesa, in ogni caso. Anzi, semmai appariva divertita. “Ricevuto, capitano”, disse esibendo un sorrisetto. “Ma voglio che sappia una cosa, anche se immagino che Hayate gliel’abbia già spiegato: quando ci assumiamo un incarico, noi lo portiamo a termine; in altre parole, non abbiamo mai fallito”.

“Beh, fate che questa non sia la prima volta, allora”, replicò Haruhi, per nulla impressionata. “Kyon, chiudi la comunicazione”. E prima che Carmen potesse rispondere, il suo viso sparì dallo schermo, che tornò a riempirsi dell’immagine dell’astronave alla deriva.

“Avrebbe potuto anche essere un po’ più civile con quella donna, capitano Suzumiya”, disse Severus in tono freddo. “Sono pur sempre mercenari”.

Haruhi gli rivolse un ghigno. “Oh, da che pulpito, professore. E comunque non ci posso fare nulla, situazioni come questa tirano fuori il peggio di me”. La ragazza batté un altro paio di volte un piede a terra, probabilmente per tentare di scacciare la tensione accumulata. “In ogni caso proprio perché sono mercenari posso trattarli come mi pare, tanto tutto quello che vogliono è essere pagati”.

“E quindi?”, domandò Russia, che stava lucidando il rubinetto che si portava dietro ovunque. “Ora che facciamo?”.

Haruhi si voltò verso il visore esterno. “Tutto quello che possiamo fare al momento”, rispose. “Aspettare”.

 

 

“Possiamo uscire, ora?”. Riccardo era andato avanti e indietro davanti alla porta della stiva così tante volte che c’era da stupirsi che non avesse ancora scavato un solco nel pavimento. Il Pikmin sulla sua spalla gli premeva una manina sulla guancia, come per tentare di calmarlo in qualche modo.

“Ovviamente no”, rispose Yoichi. Anche se la donna continuava a mantenere un atteggiamento calmo e compassato, era evidente che il passare dei minuti iniziava ad avere effetti anche su di lei: una ciocca di capelli era fuoriuscita dalla severa coda di cavallo e le si annodava scomposta nei pressi dell’orecchio destro, mentre la fronte le si imperlava per l’occasionale goccia di sudore. “Hai dimenticato quello che ho detto riguardo ai soccorsi?”.

Riccardo si voltò verso di lei con uno scatto rabbioso, rischiando di far capitombolare a terra il Pikmin. “Oh, falla finita!”, ringhiò. “Per prima cosa, che ti rende così sicura del fatto che arriverà qualcuno?”.

Stranamente l’arciera abbassò lo sguardo sulla propria arma. “Il capitano Suzumiya non è il tipo da lasciare indietro qualcuno”, mormorò, quasi sulla difensiva. “Questa, almeno, è l’impressione che ho di lei”.

La destra di Riccardo si strinse sull’elsa della spada. “D’accordo”, rispose, ma il tono della sua voce era teso e affilato come il filo della sua arma. “D’accordo, mettiamo che sia così. Mettiamo che Haruhi riesca a trovare qualcuno disposto a venire qui a farsi ammazzare per salvarci. Perché noi allora dobbiamo stare qui barricati in ‘sto cazzo di buco, eh? Quante possibilità ci sono che ci trovino, se ce ne stiamo rintanati come vermi?”. Il ragazzo non attese una risposta. “Io esco da qui. Voi fate come vi pare”.

Yoichi, con uno scatto felino, si alzò in piedi e si parò davanti alla porta. “Mi spiace”, disse. I suoi occhi neri erano tornati ad essere acuti e minacciosi. “Urla pure contro di me e insultami, se la cosa ti fa piacere. Ma rimango comunque la tua caposquadra, e se ho deciso che non uscirai da qui, tu. Non. Uscirai. Intesi?”.

Riccardo era a un passo dall’estrarre l’arma dal fodero. “Cos’è, vuoi provare a vedere chi vincerebbe fra un arco e una spada? Perché mi sa che sei in leggero svantaggio”.

Yoichi si lasciò sfuggire un sorrisetto. “Sembri sicuro, per uno che tiene in mano un’arma da meno di due mesi”, rispose. “Prima di decidere chi è in svantaggio dovresti sincerarti di essere in grado di colpirmi”.

L’espressione sul viso di Riccardo iniziava ad assomigliare pericolosamente a quella di Zaraki; lo scontro verbale con la donna, però, sembrava stare distogliendolo da quello fisico. “Non preoccuparti per questo, ho un ottimo maestro”.

“Di questo non dubito. Resta da vedere se tu sei un ottimo allievo”.

Un leggero ma chiaramente indispettito schiarirsi di gola fece voltare i due, interrompendo un conflitto ormai degenerato in un battibecco: Pietro, che in tutto il casino era rimasto tranquillo e in silenzio, ora se ne stava seduto in uno degli angoli della piccola stiva, le lunghe gambe ossute ripiegate in una parvenza di postura yoga e le mani stese davanti a sé. Sotto le palpebre abbassate i suoi occhi si muovevano in una corsa frenetica.

“Grazie”, disse, dopo che il silenzio perdurò per qualche secondo. “Sapete, è difficile concentrarsi quando la gente intorno a te continua ad urlare senza motivo”.

“Concentrarsi per cosa?”, domandò Riccardo.

Pietro non rispose per qualche secondo, prendendo un paio di lenti e profondi respiri. “Anche io voglio trovare un modo per uscire da qui, sapete; ma non credo che litigando andremo da qualche parte… Voglio dire, non possiamo nemmeno sperare che ci sentano se gridiamo abbastanza forte, visto che le pareti sono insonorizzate. Quindi ho deciso di improvvisare qualcosa”.

“Aspetta… stai usando la magia?”.

“Di certo non sto in questa posizione perché sono comodo!”.

“Mica farai esplodere qualcosa?”.

Pietro fece schioccare la lingua sui denti. “Non sto usando la bacchetta appunto per questo. Anche perché non mi servirebbe a niente, per un incantesimo del genere”.

“E che effetto dovrebbe avere, questo incantesimo?”, si informò Yoichi, allontanandosi dal presidio della porta e gettando un’occhiata penetrante a Pietro.

Il ragazzo sospirò. “Ancora un paio di minuti e lo vedrete da voi… Sempre che tutto vada come spero”.

Sui tre calò il silenzio. Poco più di un minuto dopo, Riccardo iniziò a borbottare qualcosa di incomprensibile. “Ehm… Yoichi…”, disse, quando ebbe alzato la voce di un paio di decibel. “Ecco… scusa per prima. Per essermi incazzato con te, dico. Insomma, non è che fosse colpa tua o che”.

La donna sorrise. “Figurati. E poi stavo iniziando a perdere le speranze; il tuo scatto è servito a scuotermi, quindi credo che dovrei ringraziarti, più che accettare le tue scuse”.

Il ragazzo sobbalzò nell’udire quelle parole. “Ah, n-no… Ma che ringaziarmi, ma figurati…”. In cerca di un modo per cambiare argomento, il suo sguardo saettò per la stanza fino a fermarsi nuovamente su Pietro. “Quanto ti manca?”, domandò, in un tono più brusco di quanto avrebbe voluto.

L’altro aprì gli occhi. “Dovrei avere finito giusto ora”, disse. Diede una scossa alle mani tese, e da esse cadde una pioggia di scintille colorate. “Ecco, ora fate le brave…”, mormorò Pietro; le lucine parvero recepire il messaggio, perché iniziarono a disporsi davanti a lui in un’area larga un metro circa.

“Ehm… e esattamente che cosa sarebbe, questo?”, chiese Riccardo, indicando il risultato dell’incantesimo di Pietro.

Il mago scrutò il pavimento con aria critica e fronte aggrottata. “In effetti sarebbe più utile avere una piantina dell’astronave a disposizione. Ma temo che ci si debba accontentare così”.

“E quindi queste luci sarebbero le forme di vita presenti a bordo?”, domandò Yoichi, indicando le scintille: e in effetti parecchie di loro si stavano lentamente muovendo su e giù per il pavimento.

Pietro annuì. “Noi dovremmo essere questi qui”, e con un dito indicò tre luci (una delle quali aveva una gobbetta sul fianco, a indicare il Pikmin), che si trovavano a brevissima distanza da un ammasso luminoso di proporzioni considerevoli. “E, uhm… credo che possiate capire da voi che cosa sono questi altri, invece”.

“E dove sono Zaraki e gli altri?”, domandò Riccardo. “Non potevi metterci delle legende, a ‘sti cosi?”.

Pietro gli lanciò un’occhiata storta. “Pretendi troppo. Comunque, giudicando dalla distanza che dovrebbero avere percorso, potrebbero essere questi qui”, accennò a cinque puntini che si stavano spostando verso la sua destra, in direzione di quello che doveva essere il fondo della nave. “Anche se i conti non tornano, dato che c’è una persona di troppo. Certo, potrebbero sempre aver salvato qualcuno, anche se considerata la condizione attuale della nave mi pare alquanto improbabile…”.

“Comunque è davvero un ottimo lavoro”, disse Yoichi in tono ammirato. “Ed è incredibile come tu sia riuscito a farlo senza usare qualche oggetto per aiutarti… Insomma, per quel poco che ne so di magia”.

Pietro cercò di non arrossire troppo. “Nah, non è davvero niente di che… E comunque dovevo arrangiarmi in qualche modo, di certo non potevo usare la bacchetta. Alla fine lamentarsi non serve, non volevo stare qui con le mani in mano, quindi ho messo su la prima cosa che mi è venuta in mente”.

“Beh, dai, per questa volta hai fatto un bel lavoro”, lo rassicurò Riccardo.

Per questa volta?”.

“Uh, guarda, e questi invece che sono?”, chiese l’altro, del tutto ignaro dell’interruzione; stava indicando un piccolo gruppo di scintille che si era materializzato a mezz’aria e stava calando dall’alto con una certa velocità.

Pietro fece tanto d’occhi. “E’ incredibile, ho creato un incantesimo in 3-D!”.

“Sì, questo lo vedo, ma chi sarebbero?”.

“E secondo te come faccio a saperlo? L’unica cosa che mi pare di capire è che stanno arrivando dall’esterno dell’astronave”.

“Quindi potrebbero essere dei soccorsi?”, domandò Yoichi, osservando il gruppo di luci posarsi sul pavimento della stiva. Un paio di secondi dopo, lo scafo fu scosso da una leggera vibrazione.

Pietro ebbe un brivido. “Potrebbero, sì. O potrebbe essere qualcosa di molto peggio”.

 

 

“Ripetetemi un attimo perché stiamo correndo dietro a quel pazzo omicida invece di filarcela dalla parte opposta e lasciare quest’astronave degli orrori il prima possibile”, disse Shin, che stava occhieggiando con disgusto una pozzanghera rappresa di sangue Zerg.

“Rispondigli tu, sennò io giuro che lo prendo a pugni”, sibilò Elena nell’orecchio di Marco. “Davvero, com’è che ci è venuto fuori un deficiente del genere?”.

Me lo sto chiedendo anche io…, pensò il ragazzo. “Perché non ce ne andremo da qui finché non saremo certi di essere tutti in salvo”, rispose poi. “Inoltre abbiamo una sola navicella, quindi non potremmo comunque andarcene senza aver aspettato i nostri amici che sono andati verso la prua. E… nessuno di noi qui presenti sa pilotare la suddetta navicella. Soddisfatto?”.

Shin rispose con un borbottio indecifrabile.

“Marco ha ragione!”, intervenne Miyu con piglio deciso. “Se tu fossi perso da qualche parte io verrei a cercarti, e sono sicura che tu faresti lo stesso per me!”.

Stavolta il mugolare di Shin fu sospettosamente simile a un: non esserne così sicura, ma Miyu non sembrò farci caso.

“Comunque è ovvio che appena avremo recuperato Zaraki e Yachiru torneremo verso la navetta”, si affrettò a chiarire Marco. “Non voglio stare qui dentro un minuto più del necessario, esattamente come non lo volete voi”.

Elena, intanto, si era avvicinata a Senkou, che apriva la fila. “Ricordi per caso come siete finiti in quella situazione?”.

L’uomo spostò i grandi e benevoli occhi d’oro sulla ragazza; sembrava che la domanda lo turbasse. “Ecco… non lo so”, ammise. “In effetti, ad essere sincero, non ho alcun ricordo preciso di ciò che ho fatto prima di risvegliarmi nella capsula. O meglio, so che conosco Shin e Miyu da anni, ma se mi chiedi che cosa abbiamo fatto insieme, ecco… Questo non te lo saprei proprio dire”. Senkou scosse la testa, come per scacciare la confusione dai propri ricordi. “Non so se anche per Shin e Miyu valga lo stesso”.

“Capisco. Beh, ha senso”, rispose Elena, che si rese conto del significato delle proprie parole solo dopo averle dette. “Cioè, volevo dire…”.

“Senti, Elena”, la interruppe l’uomo. “E’ ovvio che tu e Marco sappiate molte cose su di noi, forse più di quante ne sappiamo noi stessi. Ora, non mi interessa che tu mi racconti tutto ora, abbiamo cose ben più importanti a cui pensare; ma quando saremo al sicuro sulla vostra nave, vorrei che non ci nascondessi nulla, d’accordo? Per quanto scioccante ciò che dovrai dirci ti possa sembrare, intendo”.

Elena abbassò gli occhi per un istante. “D’accordo”, capitolo. “Era quello che avevo intenzione di fare fin dall’inizio, in ogni caso”. La ragazza sospirò. “Certo che la tua gentilezza è davvero disarmante, lo sai?”.

Senkou ridacchiò. “Non sei la prima persona che me lo dice, in effetti”. Riportò lo sguardo davanti a sé, e i suoi occhi si indurirono di colpo. “Temo che abbiamo un problema”.

Il corridoio davanti al gruppo si apriva su uno slargo, le cui pareti e pavimento erano imbrattati di resti di Zerg in rapido disfacimento e in fondo al quale tre porte assolutamente identiche sembravano fissare i cinque con aria di sfida.

“E ora, dietro a quale porta si sarà infilato, quello?”, disse Shin. “E che nessuno provi anche solo a suggerire di dividersi”.

“Non mi era nemmeno passato per la testa, a dire il vero”, rispose Elena in tono secco. “Forza, quale prendiamo? Credo che una valga l’altra, almeno finché non vediamo che cosa c’è dall’altra parte”.

“Conoscendo Zaraki avrà tirato dritto senza neanche pensare a dove andava”, disse Marco. “Quindi, insomma, io sono per la porta di mezzo”.

“Già”, intervenne Miyu. “In effetti il vostro amico non mi pare uno che va per il sottile”.

“Per la ventesima volta, non è un nostro amico. Credo che l’unico motivo per il quale non ha ancora provato ad ucciderci è perché siamo troppo scarsi per potergli tenere testa per più di quattro decimi di secondo”. Marco si voltò verso gli altri. “Allora, tutti d’accordo?”.

Shin fece spallucce. “D’altronde, non vedo cosa possa capitare di così tremendo scegliendone una piuttosto che un’altra”, e detto ciò si avvicinò alla porta, che scivolò obbediente sui suoi cardini.

Il rettangolo della porta delineava un breve corridoio che conduceva ad una paratia identica alla prima. “Uhm, che facciamo?”, domandò Marco aggrottando la fronte. “Non vedo segni di massacro Zerg”.

“Magari semplicemente qui non ce n’era nemmeno uno”, osservò Senkou. “Dovremmo almeno vedere cosa c’è dietro quella porta, prima di provare con un’altra direzione”.

E dietro la porta c’era indubbiamente qualcosa: per la precisione, una lunga e ampia stanza completamente vuota, con un’unica entrata a circa trenta metri sulla parete opposta; sembrava un incrocio fra una stiva di carico e una sala da ballo.

“Wow, ci si potrebbe fare una festa qui dentro”, esclamò non a caso Miyu dopo essere entrata nella stanza.

“Una festa è proprio l’ultima cosa di cui sento il bisogno al momento, sai?”, la rimbeccò Shin, che era tornato a chiudere la fila. Non appena il ragazzo ebbe varcato la soglia, però, la porta scivolò di nuovo al suo posto. “Ehi! Ma…”. Shin si girò e dopo un paio di secondi la colpì con un pugno. Nessuna reazione. “Perfetto, ora siamo pure bloccati qui dentro”, borbottò.

“A dire il vero c’è una porta dall’altro lato”, lo corresse Senkou. “E… oh, cavolo”.

Gli altri quattro membri del gruppo spostarono lo sguardo sulla porta in questione, e poterono notare due cose: si era aperta, e da essa stavano entrando degli Zerg.

“Magari se stiamo immobili non ci noteranno”, bisbigliò Elena mentre sei zergling e una coppia di idralische facevano il loro ingresso nella sala.

“Hai visto troppe volte Jurassic Park, per caso?”, ribatté Shin; e in effetti uno degli zergling li stava fissando; subito dopo, le indralische iniziarono a emettere un suono a metà fra un rutto e un trapano da dentista. “Merda, stanno chiamando degli amichetti”, continuò il ragazzo. “A quanto pare ci sarà davvero una festa, ma noi saremo la portata principale del buffet”.

“E’ per quello che non ci attaccano? Aspettano di essere in superiorità di forze?”, domandò Elena.

Senkou annuì. “E dobbiamo approfittare della cosa per riuscire a chiudere la porta”.

“E come facciamo, scusa?”, mormorò Miyu.

“Basta raggiungere il pannello lì accanto, no?”.

“Appunto, siamo a trenta metri da lì e in mezzo ci sono degli Zerg molto poco amichevoli… Come credi di fare?”.

Marco cercò di ignorare la spiacevole sensazione di pressione alla bocca dello stomaco; riuscì a reprimerla per qualche secondo,poi sospirò, estrasse un pugnale dalla cintura e si fece avanti. “Io… penso di poterci riuscire”.

Miyu guardò prima lui, poi il coltello, poi di nuovo lui. “Azzardato”, borbottò, mentre il viso le si illuminava. “Mi piace!”.

“In effetti, mi sembra anche troppo azzardato”. Shin, ovviamente.

“Se hai un’alternativa migliore, sarei lieto di sentirla”, lo zittì Marco, che senza aspettare risposta sollevò leggermente il braccio sinistro e si preparò a lanciare. Ok, ce la puoi fare, cercò di convincersi mentalmente. Dimentica di essere il Marco che non riusciva neppure a fare centro con una pallina di carta in un cestino della spazzatura da un metro di distanza, quella persona non esiste più…, nah, forse così è un po’ troppo melodrammatico.

Si dice che nel momento in cui un individuo è sospeso fra la vita e la morte possa vedere tutta la vita scivolargli davanti come un film avanti veloce; Marco, che ancora non era in una situazione così tragica, rivisse soltanto una scena.

Sfortunatamente, era proprio ciò che non avrebbe voluto vedere in nessun caso.

 

 

“Ci saranno sangue e dolore. E non soltanto tuoi”. Le due frasi, durante le loro “lezioni private”, sembravano essere il mantra di Bielorussia.

“Ho capito, ho capito…”, borbottò Marco a denti stretti.

La ragazza lo squadrò con i suoi glaciali occhi blu scuro. “Non abbastanza, evidentemente. O non avresti sbagliato mira di nuovo”. E con un gesto vago accennò al bersaglio rotondo appeso al muro della stiva. Un bersaglio minuscolo, per essere precisi.

“Non… non è colpa mia, sai?”, tentò di ribattere lui fra una fitta di dolore e l’altra, ma la voce che gli uscì dalle labbra era molto più patetica di ciò che sperava. Per un attimo abbassò lo sguardo sul braccio destro, ma lo distolse subito quando sentì un conato di vomito farglisi strada lungo la gola. Tutto quel sangue… “Sono i tuoi ‘metodi di insegnamento’”.

“Se non vuoi che ti faccia un altro taglio, puoi sempre provare a colpire il bersaglio”, rispose lei, per nulla impressionata.

“Ma il dolore delle ferite mi imp-pedisce di concentrarmi!”, si lamentò Marco.

L’espressione sul volto di Bielorussia rimase indecifrabile. “Pensi che se dovrai combattere davvero, potrai dire al tuo avversario: ‘Per favore, non farmi del male, poi non riuscirò a concentrarmi!’?”.

“No, ma…”.

“No, appunto. Comunque curati, se ti dà così fastidio”.

Marco estrasse di tasca la bacchetta e la agitò con dita tremanti, evitando accuratamente di guardare dove la puntava. “Brachium emendo”, borbottò, sentendo la pelle prudere dove le ferite si rimarginavano e il dolore scomparire. Rimaneva il sangue, ma quello si poteva togliere con una doccia. “Posso andare, ora?”, domandò con un certo sollievo.

“No, ovvio”.

“Ma mi hai detto…”.

“Ho detto che potevi guarirti il braccio”.

“Già…”, mormorò lui sconfitto, raccogliendo uno dei coltelli sparsi sul pavimento della stiva e lanciandolo contro il bersaglio. Lo mancò ancora una volta, ma veramente di poco. Con un sospiro, tese il braccio incrostato di sangue e spostò gli occhi su Bielorussia, in attesa che lei procedesse come suo solito. “Pare che il dolore non c’entrasse, in fondo”, si sforzò di escalamare, ma il tono era debole e spento.

“Pare”, rispose lei. Poi, in perfetto silenzio, sfilò un pugnale dalla tasca del vestito e lo calò sul palmo aperto della propria mano sinistra, trafiggendola fino all’elsa.

Marco si lasciò sfuggire un urlo. “Ma che fai, sei impazzita?”. Impugnò di nuovo la bacchetta. “Forza, fammi vedere la mano, così cerco di sistemartela”.

Lei, però, mosse il braccio fuori dalla portata dell’allievo. Il sangue che sgorgava dalla ferita tracciò un arco irregolare sul pavimento, imbrattando le lame di diversi coltelli e facendo assomigliare sempre più la stiva al luogo di una strage. Il suo volto, però, rimaneva severo e immobile. “Te l’ho detto”, disse, nel solito tono neutro. “Ci saranno sangue e dolore, e non soltanto tuoi. Sbaglia la mira in battaglia, e puoi rimanere ferito o ucciso, ma non è detto che debba capitare a te. A morire può essere chi ti sta accanto. Perciò, perché non succeda, hai una sola possibilità: non sbagliare mai la mira”.

Gli occhi di Marco erano ancora fissi sull’arma piantata nella mano della ragazza. “Non… non avresti dovuto farlo”, mormorò. “Non dovevi farti del male solo per insegnarmi qualcosa”.

Lei gli destinò uno sguardo più intenso rispetto al solito. “Forse allora inizi a capire”, disse. “Se vuoi proteggere chi ti sta intorno, basta solo che tu sia abbastanza forte per farlo. Ma se non lo sei, allora sarà soltanto colpa tua”.La ragazza estrasse di tasca un altro coltello con la mano sana e lo tese all’allievo. “Ora riprova. E se dovessi fallire ancora… Ci saranno conseguenze che non ti piaceranno”.

 

 

“Marco, non per metterti fretta… anzi, no, è proprio per metterti fretta, eccome”. Il tono nervoso di Elena riportò il giovane alla realtà. “Ma quei cosi si stanno moltiplicando”.

Marco si riscosse: dalla porta erano appena strisciate altre tre idralische, accompagnate da una coppia di zergling. “Oh. Scusate”, borbottò lui, portando il braccio all’indietro e poi facendolo scattare in avanti mentre lasciava la presa sul coltello. Diciotto paia di occhi seguirono l’arco tracciato dall’arma, che volò dritta verso il pannello… per poi cozzare alla sua destra e cadere a terra con un’acuta nota metallica che rimbombò per tutta la stanza. Gli sguardi di tutti gli Zerg si focalizzarono su Marco nel medesimo istante, le aliene iridi giallastre da rettile animate da un chiaro istinto omicida.

“Aah, ‘fanculo!”, gridò il ragazzo con stizza, mentre sfilava il secondo coltello dalla cintura e lo scagliava con tutta la rapidità di cui fu capace.

Il manico del pugnale, stavolta, colpì il pannello quasi perfettamente al centro e la porta scivolò al suo posto, proprio mentre un altro gruppetto di Zerg si stava preparando ad entrare nella sala.

“Al secondo tentativo, eh?”, fece Shin. “Pensavo te la saresti cavata peggio, in effetti”.

“Avevo solo due coltelli, sai com’è…”, rispose l’altro con un sogghigno.

“Uhm, ragazzi? Credo sia il caso di decidere cosa fare con quelli”, intervenne Miyu. Gli zergling presenti stavano iniziando a farsi avanti, con un’andatura circospetta e un ruggito distorto in fondo alla gola squamosa.

“Devono essere ancora terrorizzati da quello che Zaraki ha fatto ai loro fratellini”, osservò Marco. “Di solito si lanciano all’attacco fregandosene di tutto”.

Shin e Senkou si scambiarono un’occhiata. “Direi che adesso tocca a noi, eh?”, disse l’uomo.

“Sai, mi scoccia ammetterlo, ma Miyu per una volta ha ragione”, rispose l’altro. “Un bel combattimento non mi spiace affatto”.

 

 

 

 

[1] Letteralmente “garofano”, ma può anche essere un nome di donna. Il nome della nave spaziale Nadesico viene dal medesimo fiore.

 

 

 

 

SHIN: Devo farlo per forza?

SENKOU: Parli del combattimento?

MIYU: Non avrai mica già cambiato idea!

SHIN: No, parlo di ‘ste cacchio di anticipazioni! Sono stupide, ecco!

MIYU: Devi farle sì, è nel contratto.

SHIN: E va bene… Il sedicesimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle” si intitola “La luna è severa maestra, parte seconda”. Ma non vi aspettate che vi dica cosa succede.

SENKOU: Tranquillo, tanto non lo dice mai nessuno…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uh, eccoci di nuovo qui! Ho dovuto dividere questo capitolo perché era veramente un po’ troppo lungo! Non credevo che avrei avuto così tante cose da scrivere riguardo alla “missione di pulizia” della nave misteriosa.XD

Finalmente anche il gruppetto di mercenari è entrato in scena… Ormai la maggior parte dei personaggi principali della storia è apparsa, ancora qualche capitolo e questa prima parte (che temo sia stata fin troppo introduttiva e sospetto pallosetta per chi legge! Chiedo perdono) sarà conclusa.

Chiedo perdono anche per Deadpool… So che è difficile seguire quello che dice e quello che dicono le due vocine nella sua testa. Mi sono scelto una bella gatta da pelare inserendolo nella storia.XD

 

E proprio per la seconda parte avevo in mente un’iniziativa… “interattiva”, per così dire! Ho pensato che insomma, questo è un cross-over in cui ho messo dentro veramente di tutto… Quindi perché non inserire anche dei personaggi propostimi direttamente dai lettori? E non dico personaggi già esistenti, intendo proprio vostre creazioni. Tengo a precisare che chiunque può fare proposte, anche se non ha mai recensito prima un capitolo; quindi se fino ad ora avete soltanto letto senza farvi vedere non fatevi problemi, a me farebbe comunque estremamente piacere!^^

Se siete interessati alla cosa, usate il form “Contatta” del sito e mandatemi la vostra idea per il personaggio… Una cosa breve, se non avete voglia di scrivere chissà cosa non c’è problema, giusto due parole sull’aspetto fisico, sul carattere e sulle capacità (qui non metto grossi limiti, tanto l’ambientazione come avete visto permette l’inserimento praticamente di qualunque razza e potere… Basta che non mi proponiate delle Mary Sue, per il resto sono aperto a quasi tutto), poi nel caso se ne discute e troviamo la sua collocazione all’interno delle vicende!

Spero che l’iniziativa vi possa interessare… A me, come ho detto, farebbe piacere!^^

 

Bene, ora passo alle consuete risposte ai miei “fedelissimi”!

 

Per Morens: Sì, ho letto “Animorphs”! Bei tempi, quelli… Sono ancora incazzato a morte con la Mondadori per non avere pubblicato gli ultimi due volumi (ne hai fatti cinquantadue, cosa ti costa arrivare a cinquantaquattro? Bah, mai capito). Fra… quattro capitoli, se non mi si sballano un’altra volta i piani, farà la sua comparsa anche un personaggio dalla serie in questione!

 

Per Anonimo: Contento del fatto che Shin faccia qualcosa?XD Nel prossimo vedrai anche che fanno lui, Miyu e “quello grosso”. E, beh… Zaraki d’altronde è bravo a combattere, ma per il resto non è che sia una cima! C’è anche da considerare che fra lui e Yachiru hanno un senso dell’orientamento che farebbe invidia a quello di Ryoga Hibiki!XD

 

 

Bene, e per stavolta è veramente tutto. Alla prossima!^^

Davide

 

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Dk86