Terza Parte.
“Caffè?”
“No,
magari acqua, non so se…”
“Va
bene, va bene, te la prendo
subito, ma tu finisci di mangiare quella cioccolata!”
Erano
passati incolumi attraverso
il corridoio, anche se Teresa dall’accettazione non aveva
fatto a meno di
notare lo strano comportamento dei due, ed ora Malosti stava riempiendo
il
tavolino dietro al quale c’era Cristiana di merendine varie
estratte dalle
macchinette.
“Sì,
ma non posso mangiare tutto,
Riccardo, non stai esagerando?” controllò le
etichette delle confezioni. “Non
immagini neanche quante calorie ha ognuna di queste!”
“Non
importa, ti devi riprendere,
no?” Lei annuì, contenta per quella premura che le
stava dimostrando.
“Dottor
Malosti, c’è bisogno di
lei su in reparto, è urgente” la voce di Ettore
risuonò nell’ampio ambiente,
facendo girare entrambi.
Guardò
Cristiana con faccia
scocciata, lei ricambiò sorridendo e partì
seguendo lo specializzando.
“Riguardati!”
le gridò giratosi
indietro dopo qualche passo.
Avrebbe
voluto sotterrarsi. Raccattò
tutte le merendine e le distribuì per le tasche; prese in
mano la bottiglietta
d’acqua e, dopo essersi guardata intorno attentamente,
cercò di raggiungere nel
minor tempo possibile la sala medici, per poter nascondere tutta quella
cioccolata in mezzo agli altri rimasugli del reparto alimentare
dell’ospedale.
Peccato,
però. Quel desiderio di
entrare e non trovare nessuno non si realizzò, e ad
accoglierla con un mezzo
sorriso furono Laura e Danieli, che si stavano concedendo una pausa.
“Professore,
io vado” stava
dicendo la dottoressa Costa. “Ho un sacco di pazienti che mi
aspettano.”
Si
salutarono, Cristiana fece lo
stesso con la collega e si tuffò in una delle sedie che
attorniavano il tavolo.
Estrasse dalle tasche tutte le confezioni e le gettò sul
ripiano accanto, sotto
gli occhi di Sergio, in piedi davanti al frigorifero, alla ricerca di
qualcosa
di più che uno yogurt scaduto.
“E
queste?” chiese, un po’
affamato.
“Te
le cedo volentieri” sospirò
la Gandini con espressione seria.
Danieli
ancora non capiva.
“Malosti…
ha paura che io muoia
di fame” spiegò calma.
Al
primario sfuggì una risata.
“Tu
ridi…”
Le
si avvicinò scartando un
Kinder Cereali. “Vuoi un pezzo?”
“Per
carità! Mi ha già riempita
di cioccolata!” questa volta sembrava aver ripreso un
po’ il buon umore.
“Hai
voglia di raccontarmi quello
di cui mi hai accennato prima?” tentò il medico,
dopo essersi seduto sul tavolo
accanto a lei.
“Non
so se è il caso.”
“È
così grave?”
“No,
appunto per questo. Ci sono
cose ben più importanti a cui pensare ora.”
Terminò il discorso e si alzò in
piedi. “Vado da Teresa, non vorrei mai che avessero bisogno
di me.”
“Vengo
con te.”
Si
alzarono entrambi e uscirono
dalla sala.
Non
riuscirono ad attraversare
nemmeno mezzo corridoio, che Malosti li aveva già trovati.
“Ma
qui non si lavora mai?”
esordì il primario osservando Riccardo con un bicchiere di
plastica in mano.
“Pausa
caffè, altrimenti come
faccio a tenermi sveglio?” si giustificò fissando
la collega.
“Non
credergli” bisbigliò lei a
Sergio. “Questo è il terzo, in una sola
mattinata!”
Il
professore scosse la testa. “Posso
approfittare della tua gentilezza
e
generosità?” Gli sfilò dalle mani il
bicchierino e bevve tutto d’un sorso la
bevanda rimasta, sotto l’espressione incredula del medico.
“Amaro.”
Sottolineò dopo aver
scolato anche l’ultima goccia.
“Come
lui” terminò Cristiana.
Trascorse
un attimo di silenzio,
i due a guardarsi negli occhi e Sergio ad osservare il contenitore di
plastica.
“Bene,
buon lavoro a tutti”
interruppe la dottoressa.
“Sergio,
ho bisogno di parlarti
un attimo” gli riferì Malosti cercando di non
farsi notare dalla donna, che,
come solito accade, non aveva perso un’acca.
Il
primario annuì e la Gandini,
fingendo un totale disinteresse, proseguì per la sua strada.
“Esther,
se non impari a ordinare
i turni, col cavolo che Danieli ti assegna il posto da
caposala!” sbraitava la
donna in mezzo al corridoio con una decina di cartelle sotto braccio.
“Scusami…”
“Eh,
scusami, scusami” ripeté.
“Con tutto il rispetto, ma credevo ci sapessi un minimo
più fare. Qui c’è
bisogno di un corso accelerato, ma se nella tua testa ronza
qualcos’altro, non
possiamo mica star qui a pettinare le bambole!”
“Giulia,
d’accordo, ho capito,
cercherò di dare il mio meglio.” Si
tirò dietro le orecchie i ciuffi color zucca.
In
quel medesimo istante,
all’estremità opposta del corridoio, una certa
pediatra stava passando.
“Appunto”
disse la caposala. “Se
hai altri grilli per il cervello, fai saltare quelli, prima di sognare
il mio
posto e poi lamentarti per il troppo lavoro.”
“Suvvia,
abbassi il tono,
signorina Graziosi, in fondo è la prima volta che assegna
tali mansioni
all’infermiera Bruno, no?” la voce di Danieli
placò immediatamente la
discussione.
“Mi
scusi, professore, volevo
solo…”
“Va
bene così. Esther si
impegnerà, vero?” si rivolse a lei.
“Certo”
rispose con fare incerto.
“Darò tutto il meglio.”
“Vede?
Abbiamo già risolto.” E
appoggiò per un millesimo di secondo una mano sulla spalla a
Giulia.
Malosti,
che era rimasto in
disparte, continuò a seguire Sergio diretto al suo studio.
“Difficile,
da dimenticare, eh?”
chiese.
“Sì,
ma se ti ci metti pure tu…”
“Allora,
cosa mi dovevi dire?”
“Cristiana.”
“Non
mi dire che hai già dei
problemi con lei, eh, perché per questo potresti al massimo
parlarne con
Teresa, non sono il tipo in grado di dare consigli sulle
donne.”
“Se
mi lasciassi parlare…”
“Ti
ascolto.” Si sedette dietro
la sua scrivania, mentre Malosti passeggiava tranquillo avanti e
indietro per
la stanza. Il primario mosse il mouse per liberare il pc dallo
screensaver e aprì
il browser.
“Sì,
ma guardami, per favore, già
non è facile parlarne, mi rendi ancora tutto più
difficile se fai
qualcos’altro!”
“Riccardo.”
Lui si bloccò.
“Siediti qui e prendi fiato.” Il medico
eseguì, appoggiò i gomiti sulla
scrivania e si sporse verso il collega, che attendeva sorridente.
“Cristiana.”
Disse un’altra
volta, come se il suo interlocutore non avesse ancora capito quale
fosse
l’oggetto del discorso. “Stavamo parlando e mi
è svenuta addosso.”