Always
And Forever.
Fino a poco tempo fa il nome Debbi
Stuart era anonimo.
Non lo conoscevano neppure i miei compagni di scuola… non
che ci sperassi,
considerando i soggetti che c’erano, ma mi faceva comunque
ridere il vedere
come la situazione fosse cambiata nel giro di soli quattro anni.
Anzi, se dovevo proprio dirla
tutta, dopo che avevo
finalmente terminato la scuola ero riuscita anche a coronare il mio
sogno di
diventare una famosa cantante, che vendeva sempre più cd, e
allargava la sua
fama mondiale di giorno in giorno. A questo, molto probabilmente,
contribuiva
anche il fatto che fossi la ragazza del mitico Nick Morgan, cantante di
fama
internazionale… tutto così perfetto che sembrava
quasi impossibile, o no?
Avevo sempre pensato che nella vita
nulla potesse
essere perfetto. Quando una persona raggiunge la felicità,
c’è sempre qualcosa
che gliela porta via, qualcosa che va storto e che manda tutto a
rotoli.
Pensiero pessimistico? Beh, non ero
mai stata la
persona più ottimista sulla faccia della Terra…
Era
il nostro anniversario. Quattro
anni insieme.
Dovevo
essere felice, al
settimo cielo, entusiasta.
Invece
ero triste, e mi
sentivo terribilmente sola.
Avrebbe
passato tutta la
giornata agli studi di registrazione, insieme a quelle odiose coriste
che se lo
mangiavano con gli occhi. E io invece me ne stavo a casa, con un
raffreddore
potentissimo e un mal di gola assurdo.
Non
pretendevo che passasse
la giornata con me e che lasciasse da parte il suo lavoro,
però che almeno mi
rispondesse al telefono sì.
Dopotutto
ero la sua ragazza!
Ma
stare con un cantante
famoso non era facile. I mille impegni lo allontanavano da me, e
spesso, per
poter passare del tempo con lui, dovevo andare nel suo appartamento la
sera. Se
poi aggiungevamo il fatto che io stavo percorrendo la mia scalata verso
il
successo, con le varie interviste per le riviste, con la registrazione
dei miei
nuovi pezzi e con i servizi fotografici, il tempo diminuiva ancora di
più.
Ma
eravamo innamorati come il
primo giorno. I finesettimana e ogni momento libero lo passavamo
insieme.
Tranne
quel giorno.
Contando
che ero anche mezza
ammalata, non sarei potuta andare a casa sua e, beh, lui non poteva di
certo
venire a trovarmi la sera tardi a casa mia con i miei che dormivano!
“Tesoro,
dovresti mangiare
qualcosa anche se stai male…”, mi disse mamma,
indicando la mia tazza con latte
e cereali.
Storsi
il naso, sentendo il
mio stomaco chiudersi in una morsa.
“Non
ho fame… sai se Nick ha
chiamato a casa, per caso?”, chiesi invece, speranzosa.
Non
sentii subito la
risposta, quindi alzai la testa, in attesa, e allora mi rispose
negativamente
facendomi sprofondare nuovamente nella mia apatia.
Depressione
allo stato puro.
Mi bastava solo sentire la sua voce per sentirmi un po’
meglio, giusto per
sapere che non si era dimenticato di quel giorno. In fondo era Nick, il
dolcissimo
ragazzo che mi amava, era impossibile che si fosse
dimenticato… dunque perché
non mi telefonava?
Andai
in camera e mi sdraiai
sul letto, annoiata.
“Debbi,
stasera andiamo a
mangiare da Viki e John, tu che fai?”, mi chiese mia madre,
interrompendo i
miei pensieri pessimisti.
Viki
e John erano dei loro
amici, clienti abituali del bar.
“Sto
a casa… sono
stanchissima, se esco rischio di prendermi la
febbre…”, risposi stanca.
A
dire il vero speravo di
migliorare ora di stasera anche perché… il mio
cervello non ci mise molto a
fare due più due.
I
miei erano fuori. Casa
libera.
Afferrai
il cellulare
appoggiato sul comodino e composi il numero di Nick, che ormai
conoscevo a
memoria.
Ce
l’aveva spento.
Probabilmente aveva la batteria scarica, fantastico!
Mi
si inumidirono gli occhi…
un po’ perché da ammalata ero più
sensibile, un po’ perché ero troppo emotiva.
Ma era un sogno così irrealizzabile passare un giorno con il
proprio ragazzo
senza troppi casini?
Magari
non come l’anno
precedente che mi aveva portato a cena fuori e poi avevamo fatto una
romantica
passeggiatina in un parco stupendo… ma almeno che riuscissi
a vederlo non mi
sembrava essere una richiesta troppo esagerata!
Sesta
volta che chiamavo.
Ormai mi ero rotta di sentire la segreteria telefonica, davvero
cominciavo a
detestare con tutta me stessa quella voce metallica.
“Pronto?”.
“Nick!”,
esclamai, esultante.
Non mi aspettavo che rispondesse!
“Ehi,
piccola, ciao… buon
anniversario!”, mi disse, facendomi rallegrare.
Allora
non si era dimenticato!
“Anche
a te… stasera ti va di
venire a casa mia così stiamo un po’ insieme? Sono
in condizioni pessime e non
posso uscire, ma ho casa libera…”, gli chiesi.
“Stasera?
Vengo per le nove,
okay?”.
Sospirai,
afflitta.
“Non
resti anche a cenare?”,
domandai.
“Non
ce la faccio… esco dallo
studio per le otto e mezza… vado a casa a farmi una doccia e
poi vengo da te…
mi dispiace…”.
“Va
bene, dai, tranquillo. Ti
preparo un dolce al cioccolato.”, risposi, nascondendo la mia
tristezza.
Era
impegnato, sapevo a cosa
andavo incontro quando avevo scelto di stare con un cantante super
famoso, non
potevo di certo lamentarmi ora.
“Non
vedo l’ora di vederti…
mi manchi tantissimo…”, mi sussurrò
dolcemente.
“Anche
tu…”.
“Devo
andare, scusami… la
pausa è finita…”.
Riattaccò
dopo che ci fummo
salutati, lasciandomi ancora quel senso di vuoto.
Un
po’ invidiavo le ragazze
che avevano un ragazzo normale, con cui uscivano tutti i giorni, e,
soprattutto, che non fosse circondato da ragazze strabelle e sempre
perfette.
Ma
ormai non riuscivo più ad
immaginarmi la mia vita senza di lui, anzi, ero certa che se anche ci
fossimo
lasciati non sarei più riuscita a dimenticarlo.
Avevo
passato tantissimi
momenti con lui, belli o brutti che fossero, e non potevo farlo uscire
dalla
mia vita, perché mi sarei solo distrutta… e io
non ero masochista.
Abbandonai
i miei pensieri
per concentrarmi sulla torta al cioccolato.
Alle
cinque esatte,
esattamente quando spensi il forno e ne tirai fuori la torta, il mio
cellulare
squillò.
“Sono
Tom, ciao…”.
Era
l’agente di Nick, e mi
sorpresi non poco di sentirlo, dato che non mi chiamava quasi mai.
“Ciao…”,
risposi soltanto.
“Mi
dispiace ma stasera Nick
non può venire, ha un’importante cena con T.
J… non so se te ne ha parlato…”.
T.J. era un cantante… stava parlando di lui?
“No,
non mi ha detto nulla…”,
dissi, confusa.
“Stanno
progettando di
scrivere una canzone insieme… proprio non si può
rinviare, spero che tu
capisca…”, mi disse, freddo e professionale come
sempre.
Certo,
dopotutto era solo il
nostro anniversario! E per disdire non mi chiamava neppure
lui… okay tutto, ma
non poteva di certo pretendere che capissi!
“Sì,
grazie.”, mi limitai a
rispondere prima di riattaccare, irritata.
Subito
dopo composi il numero
di Nick, ma aveva il cellulare spento, quel vigliacco.
Era
un cantante, con mille
impegni, ma non poteva farmi una cosa del genere! T.J. era uno
importante, va
bene, ma io ero la sua ragazza! La sua ragazza che era ammalata, che
voleva
vederlo, e che stava mangiando mezza torta al cioccolato per la
depressione!
Alle
cinque e mezza i miei
uscirono, lasciandomi sola in casa, sola con la mia tristezza.
Non
chiesi neanche dove
andassero così presto, non avevo voglia di saperlo.
Loro
sì che erano fortunati:
si erano trovati, si erano sposati, e avevano una bella vita, ancora
innamorati
e sempre uniti.
In
quel momento un futuro del
genere per me, mi sembrava terribilmente lontano e irraggiungibile.
Se
cominciavamo ad
allontanarci quando stavamo solo assieme da quattro anni, tra due e tre
anni come
ci saremmo ridotti?
Con
questi pensieri andai in
bagno, ingoiando l’ultimo pezzo di torta, e presi a
pettinarmi i capelli che
avevo lisciato per rendermi presentabile. Fortunatamente non mi ero
ancora
truccata, altrimenti avrei dovuto sprecare altro tempo per struccarmi.
Certo
era che il giorno dopo
mi avrebbe sentita, oh, eccome se mi avrebbe sentita! Non poteva
comportarsi in
maniera peggiore! Mi aveva delusa in una maniera tale che non poteva
neppure
immaginare. Era come se mi avessero promesso una cosa che sognavo da
tempo, e
poi me la avessero strappata via senza scrupoli.
Sbuffai
quando sentii suonare
il campanello per due volte consecutive.
Mamma
si era dimenticata
qualcosa a casa, potevo scommetterci.
Aprii
la porta,e sgranai gli
occhi.
“Nick!”,
urlai felice,
saltandogli al collo e sbilanciandolo, ignorando i fiori che teneva in
mano.
Erano
le sei… e lui cosa ci
faceva là?
“Che
bella accoglienza, e io
che mi aspettavo urla e schiaffi!”, mi prese in giro,
divertito.
Mi
portò dentro in casa tenendomi
in braccio, poi appoggiò malamente le borse che aveva in
mano per terra e
infine mi abbracciò. Aveva la pelle fredda, ma non mi
importava. Quel che
desideravo di più in quel momento era di stare tra le sue
braccia.
Cercai
le sue labbra e le
trovai ad aspettarmi, amorevoli e in cerca di me. Ci baciammo a lungo,
forse
per minuti, non sapevo dirlo con esattezza. Fatto stava che non
riuscivamo a
separarci, dopo troppo tempo di lontananza.
Solo
quando considerai
abbastanza mi allontanai lentamente da lui, al settimo cielo.
“Che
ci fai qua?”, gli
chiesi, con il fiatone.
“Beh,
è il nostro
anniversario, dove volevi che fossi!”, esclamò,
sorridendo.
“No,
intendo… Tom prima…”,
cercai di spiegargli, ma non mi lasciò terminare.
“Tom
ha deciso senza
interpellarmi. E beh, T. J. sarà un cantante famoso e tutto,
ma non potevo di
certo rinunciare a vedere la mia ragazza per lui, e inoltre non avevo
più
voglia di stare ai suoi ordini, quindi sono uscito prima dagli studi
per venire
da te… tanto non mi può dire nulla dato che
è lui che lavora per me!”.
Si
concentrò sulla zip del suo
giubbetto in pelle, con me ancora
attaccata al suo collo come una sanguisuga.
“Mi
sei mancato…”, sussurrai,
sfiorando la sua guancia con il mio naso.
Era
da tre giorni che non lo
vedevo, e in quei tre giorni ero davvero caduta in una fase depressiva
che
poteva fare concorrenza ai depressi cronici. Non ne sapevo il
motivo… forse un
po’ perché ero malata, un po’
perché lo sentivo distante; e quel giorno l’avevo
passato a non fare niente, mentre i pensieri più negativi
prendevano il
sopravvento.
Invece
ora era tra le mie
braccia, con me aggrappata a lui.
“Anche
tu, Deb, ma pensi che
mi lascerai togliere la giacca e mostrarti le sorprese, oppure vuoi
restare
all’entrata per il resto della sera?”, mi chiese
divertito, cingendomi la vita
con un braccio.
“Non
sei tu la sorpresa?”,
gli chiesi, trovando finalmente la forza per staccarmi. La
curiosità aveva
preso il sopravvento.
“Ovvio
che no... ho pensato
che l’anno scorso abbiamo passato una serata
all’insegna del lusso e
dell’eleganza, ma dato che so quanto ti piaccia la
semplicità e dato che non
puoi uscire…”, disse, e si accucciò
prendendo un sacchetto da terra.
“Messicano!”,
urlai,
saltellando.
Sorrise
alla mia reazione,
poi raccolse anche i fiori e me li porse.
“E’
proprio una fortuna che i
miei se ne siano andati!”, osservai, mentre li prendevo e li
osservavo: rose
rosse, le mie preferite.
“Già,
proprio una
coincidenza…”, mi rispose, con il tono di una che
la sapeva lunga.
Aveva
combinato tutto…
assurdo!
“Sei
una cosa incredibile!
Non voglio neanche sapere come hai fatto a convincerli a lasciarci
soli, voglio
restare con il dubbio… grazie per i fiori comunque, sono
bellissimi!”.
Mi
diressi in cucina, seguita
da lui, e mi accorsi della torta, della quale ormai ne restava solo una
metà.
“Quella
era la torta che
avremmo dovuto mangiare insieme?”,
mi
domandò, incredulo.
“Sì…”,
risposi, insicura. Non
potevo dirgli che ero così depressa da essermela mangiata da
sola, troppo
imbarazzante!
“Però
vedi… quando ho saputo
che non saresti venuto i miei ne hanno assaggiato una fetta…
e dato che non
avevo nulla da fare anche io ne ho mangiata una…”,
mi inventai sul momento,
mentre sistemavo i fiori in un vaso.
“Beh,
ne è rimasta comunque
abbastanza… ora hai abbastanza fame per mangiare
messicano?”. Era dubbioso,
sapeva che, anche se mangiavo spesso, non mangiavo molto.
“Magari
aspettiamo un po’…
andiamo in salotto e ti sdrai un po’ che sembri
stanco…”, dissi,
accarezzandogli il volto. Chiuse gli occhi e sospirò.
“Non
ho intenzione di dormire
sul tuo divano il giorno del nostro
anniversario…”, ribatté, testardo.
“Beh,
dato che dovevamo
trovarci per le nove penso che un’ora tu possa dedicarla al
risposo dopo una
giornata di lavoro…”, continuai, sapendo che
avrebbe ceduto.
Era
stanco, lo potevo vedere
dai suoi occhi.
“Consideriamo
anche il fatto
che è da tre giorni che non ci
vediamo…”, rispose.
Mi
prese per i fianchi e mi
avvicinò a sé, mentre io poggiavo le mie mani sul
suo petto.
“Posso
venire a riposarmi con
te…”, gli proposi.
Le
sue labbra giunsero al mio
collo esperte, e cominciò a lasciarmi dei lievi baci sul
collo.
“Questa
cosa mi sembra
allettante…”, e detto questo mi caricò
in spalla come un sacco di patate, senza
lasciarmi neanche un attimo di preavviso.
“Nick
Morgan mettimi giù se
non vuoi che ti…”, dissi ad alta voce, ma la mia
minaccia fu interrotta quando
mi appoggiò sul divano, con maestria.
“Messa
giù!”, disse soltanto,
per poi prendere posto accanto a me.
Restammo
in silenzio qualche
momento, seduti l’uno accanto all’altra, e in quel
momento mi resi conto che,
nonostante fossimo tanto vicini, lo sentivo troppo distante. Non mi ero
mai
sentita così, neppure dopo le nostre litigate che mi
facevano stare malissimo,
neppure dopo giorni che non lo vedevo.
Perché
quel giorno avevo
finalmente realizzato che ci stavamo perdendo, che stavamo lontani
troppo
tempo, e che la nostra relazione non aveva poi molto futuro in quel modo
Gli
avevo detto che doveva
risposarsi, ma dovevo assolutamente parlargli, perché dopo
l’entusiasmo
iniziale avevo capito che dovevamo affrontare il problema.
“Nick,
senti, noi dovremmo
parlare.”, iniziai, seria. Talmente seria che il suo sorriso
scomparve dal
volto per lasciare posto ad un’espressione preoccupata.
Già sentivo il peso che
gravava sul mio stomaco ingigantirsi, per la paura. Ma era giusto
parlarne.
“Non
può andare avanti così…
non ci vediamo quasi mai…”, sputai le parole dando
voce a quello che da giorni
tentavo di negare: l’evidenza.
“La
sera ci vediamo…”, osservò.
Poteva
bastargli? A lui, sul
serio bastavano poche misere ore insieme?
“No,
Nick, la sera vengo a
casa tua e ci sto un’ora, al massimo un’ora e
mezza! E parliamo sempre
pochissimo! Ormai non so neanche più a che punto sei con il
cd, o se hai
intenzione di fare concerti, o se stai scrivendo nuove
canzoni!”.
Lo
guardai, triste, per poi
sospirare.
“E
che soluzione proponi?”,
mi chiese infine, rendendosi conto che le mie parole erano reali.
Mi
passai una mano tra i
capelli, non sapendo che dire.
“Non
lo so, sinceramente…”,
confessai infine.
Avevo
tirato fuori il
discorso… ma alla fine cosa ne ricavavamo? Nulla.
“Lo
sai, Deb, ce n’è una… un
po’ estrema forse…”.
Lo
guardai terrorizzata.
Non
poteva dire sul serio.
Voleva che ci lasciassimo? Voleva mandare all’aria quattro
anni – i più belli
della mia vita – solo per un ostacolo?
Mi
pentii all’istante di aver
voluto affrontare il problema.
“Volevo
che fosse la sorpresa
finale della serata…”, disse, lasciandomi confusa.
Voleva
lasciarmi alla fine
della serata? Anzi, lasciarmi la definiva una sorpresa? No, qua mi ero
persa
qualcosa…
“Debbi,
mi vuoi sposare?”.
Solo
una domanda. Una
piccola, semplice domanda che mi mozzò il respiro.
Me
l’aveva chiesto come se
anziché dire: “Debbi, mi vuoi sposare”
avesse detto “Debbi, mi passi lo
zucchero”.
Lo
guardai, e deglutii prima
di emettere solo una parola: “Cosa?”.
Allora
tirò l’angolo destro
della bocca a formare quel sorriso che tanto amavo, poi si
inginocchiò di
fronte a me e mi guardò negli occhi. Prese dalla tasca dei
jeans scuri una
scatoletta in velluto e la aprì, ma non guardai neppure
l’anello che brillava.
Solo i suoi occhi color caramello e nient’altro
“Debbi
Elizabeth Stuart, vuoi
passare il resto della tua vita con me?”.
Gli
saltai al collo, gridando
un “Sì” che probabilmente
sentì tutto il vicinato e lo feci cadere per terra,
divertito.
Lo
baciai stringendolo tra le
mie braccia, e lui fece lo stesso. Non mi accorsi neanche delle lacrime
che
scendevano sulle mie guance per la felicità.
C’era
solo lui, e quella
scatoletta che, tenuta tra le sue mani, mi premeva sulla schiena.
Eravamo
giovani, eravamo
cantanti, e molto probabilmente la nostra storia non sarebbe stata
sempre rose
e fiori… ma finchè eravamo insieme, quegli
apparenti problemi diventavano solo
piccoli dettagli.
Me
lo mise al dito, e allora
notai i tre brillantini incastonati sull’anello in oro
bianco. Era semplice,
come piaceva a me.
“Ti
amo…”, dissi infine, e
lui in risposta mi baciò ancora, e ancora, e ancora.
“Sei
fortunato, sai?”,
riuscii a dire tra un bacio e l’altro.
“Per
cosa?”, mi chiese,
staccandosi definitivamente dal mio volto che baciava ovunque.
“Mio
padre non ha pistole in
casa.”.
E
la sua risata riempì la
casa, presto accompagnata dalla mia.
***Angolo Autrice***
Okaaaaayyy probabilmente vi eravate
belli che
dimenticati di Debbi e Nick, o probabilmente avevate perso le speranze
di
leggere la missing moment che avevo promesso… e invece
eccomi qua! In genere
sono una che se dice una cosa la fa, se no sta zitta, quindi potete
stare
tranquilli! ;)
Sinceramente non so come mi sia
uscita questa missing
moment, però mi è stata utile per capire una
cosa… non sono portata per
scrivere one-shot o robe del genere! U.u Non mi convince, mi sembra
troppo
sbrigativa e forse un po’ noiosa, ma spero che vi abbia fatto
piacere leggerla,
anche solo per aver ritrovato i miei due personaggi… :)
Volevo dire che il titolo non si
riferisce alla
canzone di Taylor Swift “Always and forever” anche
se potrebbe sembrare visto
che la cito molto spesso… in realtà mi
è venuta così, una frase romantica per
un finale romantico! ^^
Beh, che altro? Spero che vi sia
piaciuto questo
piccolo momento della storia e spero di averlo descritto
bene… diciamo che l’avrò
riscritto più o meno quaranta volte perché non mi
convinceva!
Ringrazio tutti quelli che hanno
lasciato un commento
nell’ultimo capitolo, sul serio, con le vostre parole mi
avete quasi commossa perché
quando avevo pubblicato “Love
is music. Love is you” mi aspettavo
sì e no un
commento per ogni capitolo (premettendo anche che non sono la ragazza
più
ottimista sulla faccia del pianeta), e invece sono stata proprio
contenta di
tutte le recensioni che ho ricevuto perché sul serio non me
le aspettavo!
Al momento sto scrivendo un’altra storia che spero di riuscire a pubblicare il prima possibile, se la Somma Scuola mi concedesse del tempo -.-’
Bah, che triste... mi mancano Debbi e Nick, anche se sono personaggi inventati (no comment... xD)
Ora vi lascio, spero di tornare il
prima possibile, e
grazie ancora a tutti
Vi saluto
Alessia