Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Ricorda la storia  |      
Autore: _ether    18/01/2011    14 recensioni
«Come ci riesci?» le aveva chiesto lui tutt'ad un tratto.
«A fare cosa?»
«Ad essere come sei.»
Lei aveva ridacchiato.
«E tu? Come ci riesci?»
«Non sono niente di particolare», aveva sbuffato.
«Tu credi? Lo credi seriamente?» e gli occhi di lei si erano fatti preoccupati. Cercavano in tutti i modi di incontrare quelli del ragazzo per infondergli un po' di sicurezza e fiducia. Ne aveva assoluto bisogno.
«Oh, Jared, devi solo credere in te», aveva soffiato sul suo volto prima di baciargli di nuovo la guancia, nello stesso punto di poco prima, ma Jared non era riuscito a fermarsi; aveva girato il collo e dopo aver preso con una mano il viso di lei l'aveva baciata.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Don't forget
«Don't forgert»
Mary/Jared

Jared sedeva comodamente su un divanetto del tour bus, mentre ascoltava dalle cuffiette del suo ipod una canzone molto, forse troppo, importante per lui.
Appena aveva sentito le prime note aveva guardato il titolo scorrere sullo schermo bianco del suo ipod e un immediato senso di nausea lo aveva invaso, provocandogli persino un capogiro. Come se qualcuno gli avesse stretto forte le budella in una morsa micidiale.
Ora teneva lo sguardo fisso verso il finestrino e mirava il panorama, inutilmente. I suoi occhi non riuscivano a scorgere le colline o l'autostrada che scorrevano sotto di lui. Riusciva a vedere solamente il viso di lei, di Mary. Quel viso ancora bello e così giovane che gli oscurava l'intera visuale.
Aveva i capelli biondi come un campo di grano, si ricordava ancora perfettamente come brillavano sotto i caldi raggi di fine maggio, e due occhi di un verde smeraldino talmente intenso e magnetico da potertici perdere al loro interno. Quante volte gli era successo in passato?
Come quel sorriso aperto che le increspava sempre le sue labbra piene e mostrava dei denti bianchi e perfettamente allineati. Quel sorriso, era impossibile da dimenticare perché era l'unico che riusciva a scacciare tutta la merda che c'era all'interno del suo cervello da adolescente.
Sentì una stretta al cuore e chiuse gli occhi, agonizzando. Faceva ancora male, terribilmente male. Era un male così vero da poter togliere il fiato, anche dopo tutti gli anni che erano passati. Anche dopo più di vent'anni.
Perché quando dai il cuore ad una persona e lei se ne va via con esso è difficile dimenticare tutto, rimarrà sempre un piccolo ricordo al tuo interno.
«Ti piace, Jared?» e la voce cristallina, un poco divertita, di Mary gli arrivò perfettamente all'orecchio, come se si trovasse lì, come se fosse di nuovo in quella scuola, come se il tempo non fosse mai passato.
E allora ritornò proprio a quel momento, dimenticandosi del presente e di tutto ciò che aveva intorno.
Lei stava sistemando l'ultimo particolare del suo modellino per il corso di scienze quando aveva pronunciato quella domanda.
Il ragazzo non sapeva come lei ci fosse riuscita, ma l'aveva visto. Si era accorta di lui seppur nascosto dietro la porta dell'aula. Eppure era rimasto in silenzio, stando attentissimo a non farsi notare, come tutti i giorni. Amava troppo guardarla di nascosto, credendo che Mary non si accorgesse mai dei suoi occhi puntati sul suo corpo, attento ad ogni azione. Ne conosceva ogni movimento a memoria, ormai.
Ma quel giorno era stato scoperto e allora aveva dovuto fare un passo in avanti, entrando definitivamente nella stanza, e lasciare che i raggi del sole, filtrati dalle finestre, lo illuminassero.
L'aveva guardata mettersi diritta e rimanere a fissare il suo modellino dei pianeti, senza degnarlo di uno sguardo, ma con un sorriso soddisfatto sulle labbra piene.
«E' stupendo», aveva sussurrato il ragazzo, anche se riusciva a scorgere solamente la bellezza delicata di quella ragazza. A chi importava del suo modellino? A lui neanche era mai piaciuta scienze. Mentre lei, lei era così.. perfetta.
L'aveva notata per la prima volta sei mesi prima, proprio all'inizio della scuola. Si era trasferito da poco in quella nuova città e la prima persona che gli aveva parlato era stata proprio lei, Mary. Mary che d'altronde era sempre disponibile e socievole con tutti, ma che era rimasta folgorata di fronte al viso pulito e dolce di quel ragazzo nuovo.
Gli occhi erano il particolare che più l'aveva incantata. Anche in mezzo ad un corridoio pieno di ragazzi urlanti ed emozionati per l'inizio di un nuovo anno scolastico, lei aveva notato proprio quegli occhi azzurri come un ghiacciaio in pieno oceano.
Apparivano a tutti tranquilli e rilassati, eppure si notava perfettamente quanto fosse stato a disagio quel giorno, anche con suo fratello maggiore vicino.
«Quale pianeta ti piace di più?» gli aveva chiesto, alzando finalmente il volto per guardarlo.
Aveva gli occhi che le brillavano emozionati e sembrava stesse sognando anche se era sveglia. Mary sognava sempre anche da sveglia. Era continuamente e incondizionatamente nel suo mondo, lontana completamente dalla realtà che la circondava.
A volte Jared aveva il privilegio di essere incluso nel suo mondo fatto di sogni e progetti futuri e lui la rimaneva ad ascoltare incantato, risucchiato interamente dalle sue parole. Ci credeva così tanto, così intensamente che le potevi solo credere. Lei avrebbe realizzato ogni suo singolo sogno.
«Non saprei», aveva farfugliato, ritornando in sé per guardare finalmente il modellino. Non l'aveva degnato di uno sguardo prima.
«Io adoro Marte», aveva esordito e si era avvicinata a quella piccola palla color rosso fuoco, sorretta da un'asta di ferro, per ammirarla meglio.
Jared si era avvicinato dopo aver appoggiato la cartella su di un banco, affiancandola, e si era piegato per guardare anche lui quello che doveva essere il pianeta Marte.
«Come mai proprio lui?»
Lei aveva alzato il capo e aveva sorriso di nuovo, quasi contenta di quella domanda.
«C'è una teoria di un professore di Harvard che spiegherebbe come la terra dista trenta secondi da Marte. Credo sia troppo, ma mi sto informando», aveva spiegato, aggiungendo subito qualcos'altro, e aveva riportato l'attenzione su di esso: «quando diventerò un'astronauta ci metterò sicuramente piede.»
«Mi porterai con te?» le aveva chiesto Jared, sorridendole.
«Ci faremo l'amore su quel pianeta, Jared.»
L'aveva lasciato così, senza parole. Ma non c'era da meravigliarsi, lei ci riusciva sempre. Inspiegabilmente lo spiazzava continuamente e allora non c'era modo di risponderle senza risultare banali o stupidi, così aveva optato per avvicinarsi e baciarla.
Aveva abbassato gli occhi sulla sua bocca carnosa e si era avvicinato lentamente, dandole modo di realizzare il fatto, poi aveva poggiato le sue labbra su quelle della ragazza che non si era spostata di un millimetro.
Era stato un bacio casto e semplice, un incontro delicato di labbra, ma ricco di significato, almeno per lui che non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi così tanto a lei. Eppure non era mai stato un ragazzo timido, riservato forse, ma non timido.
Il giorno dopo era riuscito a prendere coraggio e ad invitarla a casa sua. Mary aveva risposto con il suo solito sorriso sincero e un sì, ricco di entusiasmo. Nessuna esitazione. Era contenta che lui fosse riuscito a fare un passo in avanti, ad abbattere quel muro di preoccupazione e avvicinarsi finalmente. La loro non era mai stata amicizia in fondo, lo sapevano benissimo entrambi.
Così si erano ritrovati stesi sul parquet di casa ad osservare il soffitto bianco: Jared ci vedeva semplicemente un soffitto, magari con qualche crepa ai lati, Mary invece ci vedeva un universo.
«Vedi quella stella?» aveva chiesto lei, puntando il dito in un punto indefinito del soffitto. Il ragazzo non riusciva a scorgere nemmeno un punto che potesse somigliare ad una stella, ma non aveva il coraggio di dirle di no.
«Sì.»
«Le darò il tuo nome», aveva detto semplicemente, già su un altro pianeta. Era sempre così quando si parlava con lei; bastava cinque minuti e già non era più a fianco a te. Se ne era andata con la mente da qualche altra parte.
«Bene; allora vedi quella stella?» e Jared aveva puntato il dito a caso, immaginandosi una galassia di fronte agli occhi.
Lei aveva riso sommessamente prima di parlare. «Non c'è nessuna stella lì, Jared.»
«Oh», aveva detto lui deluso.
Mary allora gli si era avvicinata, appoggiando il bel volto sulla sua spalla, e aveva sussurrato debolmente al suo orecchio: «Grazie dello sforzo.»
Subito dopo gli aveva stampato un tenero bacio sulla guancia; lei sapeva perfettamente che quello che riusciva a mirare poteva vederlo solo lei, ne era consapevole, ma ammirava il fatto che quel ragazzo ce la stesse mettendo tutta per riuscire a renderla felice. Glielo si leggeva dagli occhi quando la guardava; erano pieni di apprensione, così dolci. Si era accorta che guardava in quel modo solamente lei. Nessun'altra ragazza aveva mai avuto quel privilegio.
Aveva cercato la mano di lui e l'aveva stretta forte, desiderava immensamente quel contatto. Sentire il calore di una mano amica sul suo palmo.
«Come ci riesci?» le aveva chiesto lui tutt'ad un tratto.
«A fare cosa?»
«Ad essere come sei.»
Lei aveva ridacchiato.
«E tu? Come ci riesci?»
«Non sono niente di particolare», aveva sbuffato.
«Tu credi? Lo credi seriamente?» e gli occhi di lei si erano fatti preoccupati. Cercavano in tutti i modi di incontrare quelli del ragazzo per infondergli un po' di sicurezza e fiducia. Ne aveva assoluto bisogno.
«Oh, Jared, devi solo credere in te», aveva soffiato sul suo volto prima di baciargli di nuovo la guancia, nello stesso punto di poco prima, ma Jared non era riuscito a fermarsi; aveva girato il collo e dopo aver preso con una mano il viso di lei l'aveva baciata.
Niente a che vedere con il bacio del giorno precedente, non c'era niente di casto.
Lui le aveva infilato la lingua, senza quell'esitazione che aveva ogni volta che le parlava, e lei l'aveva accolta, senza stupirsi. Lo sperava da tanto tempo che andasse a finire in quel modo.
E nella foga del bacio lei gli si era distesa sopra, mettendosi poi a cavalcioni su di lui, mentre le mani si erano insinuate sotto la maglia leggera del giovane ragazzo. Lui invece non riusciva a togliere le mani dal suo volto, quasi non credendo che era realmente lì con lei. Aveva immaginato quel momento così tante volte e mai aveva pensato che sarebbe arrivato così, inaspettatamente.
Le loro labbra si erano distaccate solamente quando lei gli aveva sfilato la maglia, per lanciarla lontano, verso il letto poco più in là, e avevano continuato a baciarsi sempre più desiderosi l'uno dell'altra.
Jared non ci aveva messo molto a toglierle la maglietta bianca, ricamata, per farla rimanere in reggiseno, e con un movimento veloce aveva capovolto la situazione mettendosi ora lui sopra.
Mary aveva intrecciato le mani tra i suoi capelli, mentre lui era sceso a baciarle la mandibola, il collo e infine la spalla, spostandole delicatamente la bretella del reggiseno bianco, ed aveva aperto gli occhi per rimanere un'altra volta folgorata dall'universo ricco di stelle e pianeti sopra di lei. Riusciva a vederli ancora e ciò la mandava completamente in estasi. Si era lasciata totalmente andare, diventando quasi una bambola tra le mani di Jared che poteva farle tutto ciò che voleva, non le importava nulla.
Aveva sentito una sua mano sul bottone dei propri jeans e con un movimento veloce gliel'aveva tolti, prima di ritornare a baciarla ovunque. Il respiro di lei si era fatto più accelerato quando aveva sentito la mano di lui sfiorarle l'interno coscia e in seguito la stoffa delle mutandine.
Ma tutto era finito, così di punto in bianco Jared aveva smesso di toccarla, di baciarla, di pronunciare parole carine al suo orecchio.
«Che sono questi Mary?» le aveva chiesto alzando prepotentemente il tono di voce.
Mary era ritornata in sé e subito l'aveva guardato senza capire cosa stesse dicendo quel ragazzo sopra di lei, che aveva rimesso le distanze giuste, poi aveva capito a cosa mirava quella domanda.
Aveva scosso il viso e si era tirata su, appoggiandosi sui gomiti per guardarlo meglio.
Aveva il volto corrucciato e gli occhi azzurri pieni di spavento e sgomento, la mascella era serrata e la bocca diritta aveva perso il solito sorriso malizioso, che le nascondeva sempre un po' di soggezione.
Il ragazzo vedendo che non parlava, le aveva preso un braccio e gliel'aveva sollevato per farglielo vedere.
«Che è questo?»
E allora lei aveva cambiato immediatamente umore, abbassando lo sguardo per non dover incontrare quello di lui.
Le si erano appannati gli occhi di lacrime, ora colmi di angoscia e inquietudine, e aveva strattonato il braccio per sfuggire dalla presa del ragazzo.
«Niente», aveva pronunciato con un filo di voce.
Jared aveva sentito la rabbia montare dentro di sé; quei lividi non erano niente, qualcuno aveva toccato il suo esile corpo senza nessuna delicatezza o rispetto. Come aveva potuto? Come aveva potuto solamente pensare di fare del male ad una creatura così indifesa come era Mary?
Aveva scosso il volto e si era messo seduto di fianco a lei.
«Mary per favore, parlamene.»
Lei si era morsa il labbro inferiore, cercando di frenare le lacrime che volevano uscire dai suoi occhi, e si era subito girata per andare a prendere la maglia. Voleva coprirsi e far dimenticare a Jared quello che aveva appena visto.
«Non posso.»
«Come non puoi?» aveva sbottato lui, quasi urlando.
Lei era trasalita e una lacrima solitaria le aveva solcato il viso ovale.
«Non.. non ci riesco», aveva balbettato e mai il ragazzo l'aveva vista in quello stato.
«Tu.. devi, Mary! Chi ti ha picchiata? Dimmelo, gli spacco la faccia, Mary, te lo prometto», ed ora le si era avvicinato, calibrando meglio il tono di voce. Era sempre teso e ricco di rabbia, ma più calmo. Non stava più urlando.
Lei aveva iniziato a scuotere la testa convulsamente, ripetendo che non poteva, non poteva parlarne.
Era scoppiata a piangere, nascondendo il volto tra le mani piccole e scheletriche, e si era portata le gambe al petto. Singhiozzava senza potersi fermare e Jared si stava sentendo uno schifo per essere stato lui ad aver causato quel pianto. Non voleva, non era nelle sue intenzioni scaturire quelle lacrime.
«E' un ragazzo della scuola?» le aveva chiesto, scansandole i capelli dal volto e facendolesi vicino.
«No», aveva singhiozzato, poi l'aveva immediatamente abbracciato. Gli aveva portato le braccia al collo e nascosto il volto rigato di lacrime nell'incavo del suo collo.
Jared non se l'era sentita di continuare con le domande, vedendola ancora più indifesa. Aveva stretto a sé quel suo piccolo corpo tremante, rimanendo in silenzio.
Se l'era portata in grembo, come se fosse una bambina di cinque anni e l'aveva lasciata sfogare, fino a che non era stata lei a parlare.
«Non lasciarmi andare a casa, quell'uomo sa levarmi l'appetito», aveva farfugliato tra i singhiozzi, alzando finalmente il capo per guardarlo negli occhi.
Vi si leggeva un misto di sorpresa e collera, perché al suono di quelle parole aveva capito perfettamente quello che le stava accadendo.
«Da quanto va avanti?» le aveva chiesto, incominciando ad accarezzarle i capelli, mentre la cullava tra le sue braccia.
«Un po'», aveva risposto vagamente, chiudendo gli occhi per lasciarsi cullare dal battere veloce del cuore di lui.
I minuti erano passati senza che i due facessero niente; rimanevano così abbracciati ad ascoltare i propri respiri, come se il mondo al di fuori di quella camera non esisteva. Jared pensava solamente che avrebbe spaccato la faccia all'uomo che le procurava tutto quel dolore, proprio all'uomo che le aveva dato la vita, mentre Mary pensava semplicemente di voler rimanere per sempre tra quelle braccia, le uniche che sapevano dargli sicurezza.
«Non mi picchia solamente», aveva poi detto, una volta calmata, e questo aveva attirato nuovamente l'attenzione del ragazzo che era rimasto a fissare il soffitto accarezzandole i capelli, aspettando che la ragazza si calmasse. Non si erano neanche rivestiti.
«Mi violenta. Viene nella mia camera la sera, ubriaco, e mi violenta.»
Jared non ci aveva più visto; al suono di quelle parole era scattato in piedi e si era diretto verso la porta chiusa della sua camera.
«Io lo uccido, io lo vado ad uccidere!» aveva perso il controllo, dirigendosi verso le scale che l'avrebbe condotto al piano inferiore.
«Jared», lo aveva chiamato lei alle spalle, urlando il suo nome, ma lui non si era fermato.
«Jared, dove credi di andare?» l'aveva raggiunto di corsa e l'aveva bloccato, abbracciandolo da dietro.
Lui allora si era immobilizzato e aveva chiuso gli occhi per raccogliere un po' di autocontrollo, inutilmente.
«Come fai a non volere che le cose cambino?» le aveva chiesto, sentendo il volto di lei appoggiato alla sua schiena nuda.
«Chi ti ha detto che non voglia?» e aveva incominciato a piangere di nuovo.
«Allora perché non fai nulla? Aspetti che venga Dio ad aiutarti?»
«Non credo in Dio.»
Jared si era scansato senza difficoltà dalla presa di lei e aveva ripreso a camminare verso le scale.
«E' mio padre!» gli aveva urlato dietro.
«Appunto; è tuo padre, cazzo!» aveva urlato ancora più forte Jared, girandosi per guardarla in volto. Fu l'errore più grande che potesse commettere, perché il suo cuore si era addolcito alla vista di quel viso, che tanto amava, sconvolto e in lacrime.
Lei però era rientrata in camera, aveva preso le sua tracolla, si era infilata la maglia e i pantaloni e poi era uscita, per passargli accanto senza dire niente.
«Dove vai adesso?» gli aveva chiesto lui, ormai sfinito.
«Via.»
«Dove?»
«Via, Jared! Via!» aveva sbottato a metà delle scale, «mi sento oppressa qua dentro», e si era voltata per non tornare più indietro.
Sulla porta si era scontrata con Shannon, che l'aveva guardata in modo interrogativo, ma senza dirle niente.
«Da quando spaventi le ragazze in questo modo?» aveva chiesto al fratello minore una volta che la ragazza se ne era andata.
«Fottiti, Shannon», e si era sbattuto la porta della camera alle spalle, violentemente.
Da quel giorno non si erano più parlati, anche se lui continuava a spiarla dietro le porte delle aule mentre lavorava a qualche suo progetto di scienze. Era innamorata di quella materia; forse era il suo unico amore quello, aveva pensato Jared.
Non sapeva se la ragazza si accorgeva di lui mentre rimaneva a fissarla, ma neanche gli importava. Aveva voglia di andarle a parlare, di chiederle come stava andando tutta la faccenda, se aveva un piano o se era finito tutto, ma il coraggio era quello che mancava. Davanti a quegli occhi trasparenti mancava sempre. Inspiegabilmente non riusciva più a muovere le labbra in modo da formare una frase coerente, eppure le parole da dirle c'erano.
Dopo un mese, ormai quasi al termine della scuola l'aveva trovata da sola in un'aula; gli dava le spalle e guardava il paesaggio fuori dalla finestra, in silenzio.
«Mary», aveva pronunciato il suo nome con naturalezza, come saluto, ma quell'unica parola aveva provocato più male di quanto pensasse.
«Jared», e anche quelle erano state un colpo al cuore, perché si era accorto che stava piangendo silenziosamente. La voce di lei era tremolante, anche se cercava in tutti i modi di non farglielo notare.
«Come stai?» le aveva chiesto, facendo qualche passo in avanti senza però raggiungerla.
«Sto diventando tutto quello che non vorrei essere.»
Altri passi e le era dietro, la ragazza poteva vederlo dal riflesso sul vetro. Aveva gli occhi azzurri, quasi ghiaccio, preoccupati e fermi su di lei.
«Non riesco più a sognare, Jared», e aveva appoggiato la fronte al vetro freddo, mentre una lacrima le era scesa dagli occhi per cadere sul davanzale di marmo.
Lui aveva alzato una mano per posarla sulla sua spalla e stringerla forte. Voleva farle arrivare il suo calore.
«Non riesco più neanche a respirare, questo mondo.. questo mondo mi sta stretto», e si era voltata per finirgli tra le braccia. Il capo sul suo petto, le mani intorno alla sua vita.
Jared non era riuscito a pronunciare niente, nemmeno una parola. L'aveva semplicemente stretta a sé e aveva chiuso gli occhi respirando forte. Gli veniva da piangere, proprio a lui che non aveva mai pianto in vita sua per qualcuna.
Dopo pochi minuti lei aveva stretto la sua maglietta tra le mani e, alzandosi in punta di piedi, gli aveva pronunciato all'orecchio: «Promettimi che non ti dimenticherai mai di me.»
Lui aveva avvicinato il volto al suo collo magro e aveva annusato tutto il suo buon profumo; sapeva di rose e vaniglia.
«Sarebbe impossibile», aveva dichiarato quelle parole tra i suoi capelli.
«Promettimi che difenderai sempre ciò in cui credi.»
«Sempre.»
«Promettimi che volerai lontano, Jared, perché ne sei capace», e senza sentire risposta, si era distaccata per posare le sue labbra su quelle morbide del ragazzo, per un'ultima volta.
Due giorni dopo era morta. Mary si era suicidata.
Jared l'aveva venuto a sapere dai giornali locali; si era tagliata le vene nel bagno di casa e nessuno l'aveva trovata in tempo per salvarla.
Aveva pianto, Jared, aveva pianto lacrime amare, mentre il cuore sanguinava ormai tagliato in mille pezzi. Come poteva ricucirlo insieme?
Eppure lui avrebbe dovuto capirlo che lei voleva farla finita, gliel'aveva detto perfettamente che non riusciva più a respirare. Avrebbe dovuto salvarla, spettava a lui farlo, ma aveva continuato ad essere cieco e non era riuscito a ridarle la vita.
Il senso di colpa ti rimane dentro, sempre, e così successe con lui. Non lo lasciò mai solo, svegliandolo nelle notti più buie.
Solo le promesse fatte riuscirono a fargli vedere uno spiraglio di luce e ce la mise tutta per volare lontano.
Ora si trovava seduto comodamente su un divanetto del tour bus e ne era passato di tempo da quando tutto era accaduto.
Era riuscito a realizzare i suoi sogni ed era convinto che ce l'aveva fatta anche per merito di Mary che ora gli sorrideva contenta dall'altra parte del finestrino.
Le doveva tanto, troppo.
Appoggiò una mano sul finestrino freddo, come per toccarla, toccare quel viso al di là del vetro.
«Ehi, fratello, siamo arrivati», lo riportò alla realtà la voce di Shannon, suo fratello maggiore.
Jared allora spense l'ipod e si tolse le cuffiette dalle orecchie, facendo finta di nulla.
«Okay, arrivo subito», aveva sussurrato con voce roca. Il groppo in gola persisteva ancora.
«Pensavi a lei?» gli chiese l'unica persona che aveva mai capito realmente l'intera faccenda.
Dopo la morte di Mary c'era stato un periodo in cui si era chiuso in sé stesso; non mangiava e aveva perso molto peso, anche se era stato sempre un ragazzo alquanto magro. Poi però sembrava essersi ripreso, o così la pensavano tutti quelli intorno a lui vedendolo darsi da fare per diventare ciò che aveva sempre sognato. Si era buttato a capofitto sui suoi progetti, pensando in continuazione al suo futuro e a ciò che lo rendeva realmente felice.
Solamente Shannon però aveva capito quanto soffriva; era un dolore che non sarebbe mai andato via, che non avrebbe mai lasciato andare Jared.
Lui annuì semplicemente, alzandosi in piedi.
«Ce la fai per questa sera?» e il tono del fratello risuonò un poco preoccupato.
Jared ci mise un po' a rispondere, ma quando lo fece guardò dritto negli occhi, quel giorno più verdi del solito, Shannon.
«Ci faremo l'amore su quel palco.»
Shannon sorrise, nascondendo un velo di malinconia. In fondo aveva imparato a volerle bene anche lui nei vari momenti in cui le aveva parlato.
Gli diede una pacca su una spalla e aspettò che lo sorpassasse.
«Spacceremo, cazzo.»
«Ci puoi scommettere.»
Tomo, che era già sceso dal bus, fissò la coppia di fratelli e si accorse subito che c'era qualcosa che non andava.
«Come mai quelle facce sbattute?»
«Il viaggio.»
«Il jet-leg», risposero in coro.
«Fottetevi», disse Tomo prima di scoppiare a ridere.
Jared lo seguì a ruota e l'unico pensiero che gli vorticava nella mente era che aveva una famiglia veramente eccezionale a sorreggerlo ogni volta nelle sue cadute. E tutto questo grazie a Mary che per prima aveva creduto in lui ed era certo che in qualsiasi luogo ora lei si trovasse stava continuando a farlo.

«I love you, Jared.»
«Fuck off, baby.»

Sembra che non riesca a smetterla di scrivere one-shot su di loro e ultimamente mi è uscita questa. Mi è venuta in mente ascoltando e soprattutto soffermandomi sul testo della canzone "Buddha for Mary". Ho pensato a questa fantomatica Mary e l'ho immaginata così, come l'avete letta. Ho creduto fosse stata una persona importante per qualcuno di loro o che semplicemente stessero raccontando una storia che comunque li riguardano. Non so, magari non è Jared, magari Shannon o Tomo, magari un qualche loro amico, ma a me è venuta fuori questa one-shot che spero vi sia piaciuta. Ho cercato di dare il mio meglio, così tanto da sentire Mary una parte di me. Anzi, sinceramente mi somiglia più di quanto immaginassi mentre scrivevo. Caratterialmente intendo :)
E poi è anche un dono da parte mia, poiché al concerto dell'otto dicembre a Bologna penso abbiamo fatto una figura veramente misera non cantando con lui questa stupenda canzone, dal testo eccezionale (almeno secondo me).
Ah, vi spiego come mai quelle ultime due battute in grassetto; ero stesa ad occhi chiusi sul mio letto, pensavo a questa storia e così, improvvisamente, mi sono sentita queste due voci e davanti i miei occhi ho visto questa ragazza, Mary, e un Jared adolescente che ridevano felici e spensierati.
E con questo vi saluto. A presto, baci.
Ether.
  
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: _ether