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Autore: Many8    20/01/2011    6 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Il mio uomo ideale... mhm... deve essere protettivo, ma non geloso e possessivo, maturo, non infantile, responsabile. Tre aggettivi, semplici, ma trovalo un "uomo" così... :\

Scusate per i ritardi, chi studia in questo periodo capirà cosa si passa a fine quadrimestre, voglio che finisca, help me, d'altronde ho tantissima voglia di scrivere, ho tantissime idee, una storia ben definita, ma devo fermarmi, e mi costa tanto.

Ultimo capitolo dal punto di vista di Bella, prima di uno pov Edward.

Buona lettura.

Ero entrata, ero in biblioteca.
Perchè lo stavo facendo? Perchè stavo ricordando ciò che volevo dimenticare? Perchè continuavo a pensare a colui che avevo lasciato alle mie spalle?
La struttura era spaziosissima, c'erano due grandi file di scaffali ai lati, e nel bel mezzo tavoli disposti uno dietro l'altro, di legno scuro, con tanto di sedie dell stesso colore. Il silenzio era tombale, ogni tanto si sentiva qualcuno che spostava una sedia, oppure qualche libro che cascava a terra, erano tonfi rumorosissimi che rompevano il silenzio.
Alla mia destra, c'era una grossa scrivania, di legno scuro, anch'essa, grossa ed imponente, dietro quest'ultima due ragazze.
Mi diressi cautamente alla scrivania, avevo paura che con i miei rumorosi passi potessi distrarre ed infastidire qualche individuo. Mi avvicinai ad una delle ragazze, chiedendo informazioni, davanti a me c'era un ragazza bionda, alta, snella, e con occhi azzurro cielo, indossava una camicetta bianca, ed intravidi una gonna blu, come tutte le altre addette in quel posto.
Mi saluto con un sussurro professionale: " Buongiorno signorina, posso esserle d'aiuto?"
Annuì, "Sì, grazie," Mi guardai intorno, per controllare che nessuno si fosse voltato nella mia direzione, disturbato. "Vorrei sapere se questa biblioteca ha un secondo piano o meno..."
"Sì, siamo forniti di vari piani, nel secondo può trovare altri libri, tra cui: psicologia, politica, cucina e sociologia, invece al terzo piano è il salone dell'astronomia, dove può assistere a lezioni di quest'ultima disciplina, pagando un biglietto di quindici dollari, al quarto c'è la sala della medicina, libri e corsi, al quinto, invece, potrà trovare la mensa, e distributori, a così via, ci sono indicazioni accanto alle scale." disse, con la sua voce cristallina.
"Ho capito, dove posso trovare le scale?" chiesi.
" Tra una quindicina di metri sia sulla sinistra che sulla destra."
"Grazie mille," dissi, voltandole le spalle, ed incamminandomi tra gli scaffali, forse erano molto di più di quindici metri, gli individui, lì presenti, non alzavano gli occhi dai libri davanti a loro, erano concetratissimi, pensai che sarebbe stato una fortuna se fossi inciampata, nessuno si sarebbe accorto di nulla.
Il ginocchio continuava, sporadicamente, molto sporadicamente, a tornare a dolere, in quei momenti mi sedevo sul divano se era in casa, altrimenti su una panchina stendendo la gamba destra, aspettando che il dolore passasse. Per la maggior parte delle volte non c'erano problemi, quando successivamente, mi alzavo riprendendo la mia passeggiata.
Due giorni prima avevo tolto i punti, dalla ferita alla testa, come aveva detto uno dei dottori in ospedale, stavo benissimo. Fu difficile costatare davvero, che per la prima volta a toccarmi la ferita era qualcun'altro, non Edward.
Un grande cartellone davanti a me, mi avvisava di stare in silenzio, sotto quest'ultimo ce n'era uno più piccolo che indicava che sia a sinistra che a destra c'erano delle scale, ed infatti girando a destra le trovai. Accanto ad essa c'era anche un ascensore, optai per le scale, salendo lentamente.
Dovetti salire cinque piani prima di arrivare all'ultimo. Non ero mai stata in quella biblioteca, e non erano tutte dicerie quelle che dicevano che questa biblioteca era una delle più grandi strutture di tutto il mondo (come biblioteca.).
Mi guardai intorno, era la mensa. C'erano tanti senzatetto, da quello che potevo capire dai loro indumenti, e dalla sporcizia che aveva sul volto. Salì ancora un piano, l'ultimo per i visitatori.
Era un grosso corridoio, con varie porte, su ognuna un cartellone con l'indicazione del corso che si tratteneva lì. Percorsi tutto il corridoio, arrivando ad una parta, grossa e di legno scuro (come tutto il resto), anche su questa c'era un cartello, rosso con una grossa scritta "Stop, riservato agli addetti", non mi feci scrupolo delle parole, in carattere fin troppo grande, misi una mano sulla maniglia, quando una persona indietro a me, mi fermò, mettendo la sua mano sulla mia spalla.
Sussultai a quel tocco, girandomi e guardando l'individuo di fronte a me, era un ragazzo, con una camicia, e dei pantaloni scuri, un addetto.
"Mi scusi signorina, non volevo spaventarla, ma qui non può entrare, c'è il deposito." mi informò, con tono dolce.
"Oh, mi scusi," mentì, "mi sono persa e non sapevo dove andare, ho provato con la prima porta per chiedere aiuto, se ci fosse stato qualcuno..."
"Sì, questo reparto è sempre molto solitario, non c'è mai nessuno, comunque per ritornare al primo piano, e all'uscita deve seguire le indicazioni, in fondo al corridoio ci sono
le scale, o l'ascensore può scendere tranquillamente lì."
"Oh, grazie." dissi, facendo la finta grata.
Il mio scopo era un altro, quello di vedere il terrazzo in cui Edward, da piccolo, passava le serate, sarebbe stato bello perdersi nel panorama che un giorno aveva aiutato lui.
"Arrivederci, e grazie per l'aiuto."
Abbassò il capo, e prima che me ne andassi mi fermò.
"Potrei sapere il tuo nome?" chiese balbettando.
"Mhm..." tentennai. " Il mio nome è Bella."
"Io sono Paul. Piacere di conoscerti, " Allungò la sua mano, in cerca di un contatto con la mia.
Gliela porsi. "Piacere, Paul."
"Sei nuova?" domandò, "Intendo, è la prima volta che vieni qui?"
"Sì, " sussurrai, ma già conosco il posto attraverso i ricordi di qualcun'altro, e mi sembra di conoscere ogni singolo metro quadrato, anche se quella persona me ne ha parlato davvero poco. "Sì, è la prima volta che vengo qui, adesso devo andare, ma prima..." dissi quando mi accorsi che i suoi occhi si erano rattristiti alle mie parole. Potevo estorcere qualche informazione in più.
" Vorrei sapere se si può accedere al terrazzo... "
"No, non si potrebbe... Ma se ci tieni... " disse scrollando le spalle, chiaramente confuso.
"Sì, ci terrei davvero molto." continuai, trovando in me forse troppa estrovesia.
"Posso portarti io, ma solo di sera, adesso non si può, si accorgerebbero subito di te..."
"Ho capito, grazie mille Paul, sei gentilissimo, se qualche sera torno, mi puoi far accedere al terrazzo?"
"Sì, ti aspetto."
Gli sorrisi, anche se una nota di dispiacere prese spazio in me, non volevo dargli false illusioni, ma volevo e sarei salita fino al terrazzo.
Mi incamminai dalla parte opposta, sentì una porta sbattere, quando mi volta verso di lui, non c'era più.
Potevo ritenermi soddisfatta della mia "missione", non sapevo perchè mi ero intestardita così tanto, da dare false speranze ad un ragazzino, solo per salire su un terrazzo e vedere il panorama.
La spiegazione che arrivò un pò più tardi era quella che volevo capire cosa fosse scattato nella mente di un bambino quando aveva visto quel posto, tanto da farlo ritornare quasi tutte le sere, per pensare su un attico di una biblioteca.

"Ti piacciono i fiori?" mi domandò, Jacob,la sera stessa, al suo rientro dal lavoro.
"Sì, mi piacciono, perchè questa domanda?" chiesi, forse un pò troppo scettica.
"Ed, invece, ti piace scrivere?"
"Jacob, perchè tutte queste domande?"
"Mi hanno offerto un lavoro per te, non serve una laura nè altro, vogliono qualcuno che sia bravo a scrivere, che se la cavi, insomma, a cui piacciono i fiori, per scrivere articoli su un giornale." spiegò.
"Hanno chiesto, questo, "dissi gesticolando, sorpresa. " Alla sottoscritta?"
Ero meravigliata. L'idea mi piaceva molto, avrei avuto delle righe dove poter esprimere ciò che volevo sui fiori, su magnifiche piante, colorate.
Anche se il mio desiderio era un altro, volevo continuare magistratura, anche se mi sarebbe piaciuto iniziare una nuova carriera come scrittrice di articoli. Mi ero informata sui corsi del college di magistratura presente a Chicago, erano accettabili, ed anche le rette, in due anni mi sarei potuta laureare, e con un pò di fortuna avrei potuto iniziare anche a lavorare, come mi sarebbe piaciuto. Però rifiutare un'occasione del genere mi sembrava da emeriti stupidi, non era una cosa che capitava ogni giorno, senza laurea.
"Che giornale è?" chiesi, la mano destra torturava quella sinistra.
"Chicago Sun-Times, è una buona occasione,"
"Sì, lo so, ma devo pensarci, io vorrei continuare il college, la laurea non è così lontana d'altronde, e rimandare mi sembra stupido, vorrei avere un posto fisso, qui non so il contratto quanto durerà, e voglio avere un lavoro, uno vero e proprio, e che mi piaccia."
"Bé, a te piacciono i fiori, no?! Quindi, saresti disposta a farlo... "
"E' vero anche questo, " ammisi, "Devo pensarci Jacob, è difficile e sai come sono fatta. Devo pensarci bene, prima." ripetei.
"Come vuoi, ma fammelo sapere prima che puoi, sarebbe importante che lo dica presto alla direzione del giornale, non è un posto che rimarrà in eterno vuoto." disse, scrollando le spalle. "E con questo non voglio metterti fretta, che sia chiaro." aggiunse, sorridendo.
"Lo so, stupido," dissi scompigliandogli i capelli, si sedette sul bracciolo del divano verde, continuando a sorridere, e passando una mano tra i capelli, per sistemarli.
Improvvisamente, mi buttai tra le sue braccia, stringendolo a me, cademmo insieme all'indietro, finendo sul divano, Jacob era sotto di me, io su di lui.
Alzò la testa fino ad avvicinare le sue labbra alle mie, e sfiorandole delicatamente, prima di dare inizio ad un bacio.
Delicatezza, dolcezza e amore, questi erano gli aggettivi che mi vennero in mente, quando le nostre labbra si toccarono, ma non era riferito a quel bacio, momentaneo, ma agli altri, non quelli di Jacob, ma di Edward.
Era strano come volessi scacciare quei pensieri dalla mia testa, e quanto più lo facessi, più tonassero insistenti a stuzzicarmi, e quanto inconsciamente speravo che quei ricordi, pensieri non mi abbandonassero mai, così da non poterlo dimenticare.

Pensai tutta la notte, girandomi e rigirandomi nel letto, alla proposto di Jake, era semplice, sì o no.
Affermazione o negazione, accettare o rifiutare.
Ma lo stesso non fui in grado di decidere in fretta, alla fine decisi di catapultarmi in quel nuovo mondo, e chissà forse mi sarebbe anche piaciuto.
Quella notte presi dei tranquillanti per permettermi di dormire più facilemente, fecero subito effetto, conducendomi tra le braccia di Morfeo.
La mattina stessa lo riferì a Jacob, che mi guardò sorridente ed entusiasto, come se fosse stato lui ad accettare un nuovo lavoro.
Restai in casa tutta la mattinata, navigai in internet, trovando ricette gustose, così da prepararle quel giorno stesso, per cena, per me e Jacob.
Trovai una ricetta non nuova, non che l'avessi cucinata io, ma l'avevo mangiata.
Tagliatelle alla crema di funghi.
La trascrissi su un foglio, cercando di ingoiare l'acquolina che mi si era formata in bocca, l'idea di quel piatto così invitante, così profumato e buono, e soprattutto come lo
aveva fatto la madre di Edward, sublime.

Ricacciai giù l'acquolina, e il ricordo, iniziando a rovistare nella dispensa gli ingredienti necessari per un semplice sugo di pomodori, il foglietto con la ricetta, strappato in mille pezzi, nella pattumiera.

Iniziai a lavorare quasi una settimana dopo, la mattina ero ansiosa, e agitata, avrei incontrato i miei diregenti e colleghi, avrei incominciato un nuovo lavoro, fuori dai miei schemi, e forse anche fuori dalle mie capacità.

Calma, Bella. Pensai, fuori dall'imponente edificio grigio, con il cuore che batteva a mille. Indossavo una giacca blu notte, una camicia a mezze maniche bianca, e dei pantaloni dello stesso colore della prima, sperai di essere presentabile. Avevo deciso con cura cosa mettere il primo giorno del nuovo lavoro, non volevo sembrare troppo professionale, ma neanche il contrario, dopo aver fatto impazzire Jake con tutti i vestiti che provai, decisi di andare sul classico, non sarebbe mai risultato banale.
Il sole era fortissimo, la base della nuca era quasi bagnata, l'asciugai con una mano. Mi incamminai verso la grande porta, con sopra una scritta, bella evidente, "Chicago Sun-Times" in blu. Almeno il mio completo non stonava.
Le porte si aprirono automaticamente, aria fredda mi investì in pieno viso, quella dei condizionatori.
Chiesi informazioni ad una ragazza dietro ad una scrivania, mi disse che dovevo salire al piano superiore.
Presi l'ascensore, ero sola, pigiai sul tasto 1 , e la scatoletta metallica partì, con un sonoro dlin, si fermò aprendo le porte. La stanza davanti a me era abbastanza grande, c'erano tantissime scrivanie, e ad ogni postazione c'era una persona, che lavorava con davanti mille scartoffie.
Mi avvicinai ad una ragazza dai capelli scuri.
"Ciao, io sono nuova, dovrei incontrare la direttrice, sapresti dirmi dove è?"
" Io sono Leah, mia madre è la direttrice, ti accompagno da lei... tu sei?" chiese infine.
"Isabella Swan, ma chiamami Bella."
"Vieni Bella, seguimi."
Si alzò dalla sedia, iniziando a camminare davanti a me, feci come mi aveva detto, la seguii.
Arrivammo ad uno studio con le pareti in vetro e tante tendine a donare un pò di privacy, Leah bussò, aprendo la porta.
"Mamma, lei è Bella, è lei che si occuperà degli articoli sui fiori, giusto?" domandò alla madre, una signora di carnagione scura, assomigliante molto alla figlia, o dovrei dire il contrario, la figlia era identica alla madre.
"Oh, ciao, Bella. Ti aspettavo, siediti pure, ti spiegherò cosa fare..."
Leah ci salutò, scusandomi e dicendo che aveva molto da fare.
Mi sedetti su una delle sedie in pelle, davanti alla scrivania.
"Allora," disse alzando gli occhi da alcuni articoli del suo giornale. "Il tuo contratto, sarà a tempo determinato, purtroppo, una ragazza è andata in maternità, e quindi ci serve
una sostituta, e credo che tu sia quella giusta, ma questo si vedrà." disse con una voce dolce e gentile.

"Grazie, " bisbigliai.
Sorrise compiaciuta prima di ricominciare a parlare. "Dovrai scrivere due articoli alla settimana, il lunedì e il giovedì, ma dovrai stare qui ogni giorno, dalle ore nove del mattino alle quindici del pomeriggio, avrai una tua casella di posta per eventuali messaggi di fan, oppure curiosi, dovrai essere pronta a rispondere dolcemente e dando una risposta completa ed esaudendo tutte le richieste del lettore, anche quando, molto probabilmente, saranno in molti, questo lavoro richiede abbastanza tempo... "
Annuì.
"Dovrai avere ogni settimana delle idee nuove, dovrebbero essere più o meno settecento parole, per ogni articolo. Dovrai essere lineare ma riassuntiva, dovrai trasmettere la tua passione ad altre persone, e aumentare quella di chi già l'ha, ti potrai aiutare con internet, ogni postazione ha il suo computer e collegamento ad internet, quindi non ci sono problemi. Devo chiederti di essere sempre puntuale, tutti gli articoli passano prima nelle mani di correttori, e poi nelle mie, che darò la risposta, se è soddisfacente potrà essere pubblicato sul giornale, se il contrario ci sono varie persone pronte a fare un altro articolo, infatti il migliore articolo tra i vostri, siete tre persone che si occupano della stessa cosa, sarà pubblicato." continuò.
Riuscì a capire e assimilai ogni parola, come se fosse oro.
"Di tanto in tanto darò io delle indicazioni su cosa scrivere, su un fiore, o una pianta, magari collegato ad un altro articolo del nostro giornale." incrociò le mani davanti a sé. "Questi sono," disse prendendo dei fogli da un cassetto, "sono delle istruzioni per fare un buon lavoro, consigli che possono rivelarsi utili, e poi invece questo," ne indicò uno in particolare."è quello su ciò che dovrai scrivere questa settimana, sei stata fortunata non devi pensare a ciò che devi scrivere."
Un sorriso smagliante sulle sue labbra.
Presi i fogli dalle sue mani, portandoli al petto.
"Un'ultima cosa, potrai firmarti come vuoi tu, e come preferisci, Bella, Isabella Swan, Isabella... Non importa, anche con un soprannome. Sono sicura, Bella, che farai un ottimo lavoro, adesso vai, la tua postazione è la numero tredici, se hai bisogno di chiedermi qualcosa chiamami dal telefono della tua postazione cliccando il tasto uno, è tutto, benvenuta e buon lavoro."
"Grazie mille, farò del mio meglio," dissi, alzandomi e porgendole una mano, che strinse delicatamente.
" Buon lavoro." ripetè, prima che varcassi la porta.
La postazione numero tredici era quella più ordinata di tutta la stanza, si trovava vicino alla vetrata che dava sulla strada. Posai i fogli che mi avava dato, sedendomi sulla sedia, comodissima e accendendo il pc.
Presi i fogli che mi aveva dato, e iniziai a leggere le prime note.
Una diceva "essere sempre puntuali nelle consegne",un'altra invece "essere sicuri del proprio scritto", e così via. Sì, erano consigli, ma anche molto scontati.
Guardai l'altro foglio, leggendo il cuore mi si strinse.
Il primo articolo doveva essere scritto sull'Iris. Un fiore bello quanto significativo. Dicevano le note della direttrice.
Dovevo scrivere un articolo sull'Iris, il fiore che aveva unito me ed Edward. Forse non ero così masochista, erano anche gli altri ad essere crudeli.
Aprì la cartella di Word, un foglio bianco mi si parò davanti, la tastiera davanti a me urlava.
Le mani mi tremavano, gli occhi a stento riuscivano a trattenere le lacrime, non era così difficile, ripetei a me stessa per più di qualche volta.
Dovevo solo cacciare indietro i ricordi, ma fu impossibile.
Chiusi gli occhi per impedire alle lacrime di sgorgare fuori, ma mi rividi seduta su una coperta in una radura, con Edward al mio fianco.
" Che fiore è?"
" Iris, si chiama Iris. E' il mio fiore preferito, da circa tre anni, da quando ho scoperto questo posto, non ne conoscevo neanche io l'esistenza, e credo siano i fiori migliori ed i più belli tra tutti."
Rividi i suoi occhi verdi, profondi, i suoi capelli rossicci, la sua bocca, e il suo viso perfetti.
Rividi le nostre mani che si univano sul fiore, rividi il fiore cadere nell'erba, le nostre mani intrecciarsi, come i nostri occhi.
Rividi nuovamente il nostro bacio.
Sentì le sue labbra sulle mie, e fu istintivo portare la mano sulla bocca, per costatare se veramente fosse lui.
Ma non c'era, lui era a Seattle, con Tanya. Io stavo lavorando e non potevo permettermi di piangere.
Riaprì gli occhi, asciugandomi con le mani la gote, soffocando di tanto in tanto dei singhiozzi.

Finì l'articolo quel pomeriggio stesso, era soddisfacente, ero stata abbastanza brava a filtrare le mie emozioni, non avevo fatto trasparire nulla di troppo personale.

Mi firmai con il nome di Bella, portando l'articolo (dopo averlo stampato,) agli appositi correttori e revisionatori.
Salutai Leah, e scesi velocemente le scale, arrivando all'atrio, dove con un gesto della mano salutai anche la direttrice.
Cercai di camminare più velocemente possibile tra la folla, che lentamente defluiva, feci gli slalom tra una persona e l'altra, sospirai contenta, quando vidi in lontananza il palazzo in cui abitavamo.
M' accasciai sul divano, appena entrata nell'appartamento, era impossibile quanta gente potesse esserci per strada alle quattro del pomeriggio.
Mi alzai, portandomi nella camera da letto, mi sedetti sul letto, pigiai il tasto della segreteria telefonica e ascoltai i messaggi.
Ce n'era uno solo, ed era di Jake.
"Bella, sono Jacob, questa sera non tornerò a cena, ho una rinione importante e molto probabilmente faremo un aperitivo qui, non preoccuparti, quindi, spero
che la tua giornata sia andata bene, poi mi racconti tutto, un bacio, amore."

Sospirai nuovamente, dirigendomi in cucina, dove preparai un tramezzino. Non avevo pranzato, per la tensione e l'ansia del primo giorno di lavoro. Presi due fette di pane, mettendo dei pomodori e dell'insalata tra le due, le guastai lentamente, guardando la tv.
Pian piano i crampi allo stomaco si attenuarono, la noia in me aumentò.
Spensi la televisione, presi la mia giacca, e chiudendomi la porta alle spalle uscii dall'edificio.
"Salve," sussurrai al custode.
"Buonasera signorina Swan." ricambiò.
Uscì dal palazzo, incamminandomi verso la biblioteca.
Era sera, come aveva detto Paul, poteva farmi salire sul terrazzo, non c'era nulla di male, no?
Era passata più di una settimana dalla mia visita alla biblioteca, non avevo avuto il tempo per dirigermi di sera, lì, soprattutto perchè c'era Jake, cosa gli avrei detto? Come avrei giustificato la mia assenza?
Quella era un'ottima occasione, non sapevo cosa cercare, mi stavo attaccando disperatamente ai ricordi di qualcun'altro, alle esperienze di qualcun'altro. In quel momento sembrava la cosa più ovvia e facile da fare. Vivere nei ricordi di Edward, nelle sue esperienze, per capirlo, dimenticando la mia vita.
Stavo vivendo per metà. La mente nella realtà, a Chicago,con Jake.
Il cuore, spezzato, a Seattle, con Edward.
Facevo del male a me stessa, ma non riuscivo a rendermene conto, stavo contraddicendo me stessa.
Volevo dimenticare Edward, ma non potevo far a meno di pensarlo, era lui che ogni mattina mi dava la carica per portare avanti la mia vita. Ero stata stupida ed egoista. Un'emerita imbecille, sovrastata dall'orgoglio, che comandava (o almeno aveva comandato) su tutto.

"Ciao, Paul, " salutai il ragazzo davanti a me, all'ultimo piano della biblioteca, l'ultimo accessibile dai visitatori.
"Oh, ciao Bella." i suoi occhi si sgranarono prima di sorridermi.
"Come va?"
"Bene, grazie, a te invece?" mi chiese.
" Tutto bene, grazie." un minuto di silenzio, un mio respiro profondo ed infine le parole che volevo uscissero dalla mia bocca, vennero pronunciate."L'altro giorno mi hai accennato che di sera mi avresti potuta farmi salire sulla terrazza..." lasciai intendere la fine.
"Ah, sì certo, " disse, grattandosi la nuca. " Certo, se vuoi seguirmi, in silenzio, però."
Sorrisi compiaciuta, dentro di me cantavo l'inno nazionale americano.
Mi portò alla porta dove c'eravamo conosciuti, aprendola con il suo pass, mi fece entrare per prima, dicendomi di salire le scale davanti a noi. Era tutto ben illuminato.
Salimmo due piani, uno dove c'erano sale di conferenza e gli spogliatoi degli addetti, ed un altro che era il deposito.
Finalmente, arrivammo agli ultimi gradini, una grossa porta di metallo ostacola il passaggio.
L'aprì facendo meno rumore possibile. Lasciandomi uscire fuori sul terrazzo.
La vista era spettacolare. La notte era ormai scesa, i palazzi, le strade erano tutte ben illuminate, creavano un paesaggio da togliere il fiato.
"Io devo andare, quando devi scendere basta che apri questa porta e rifai lo stesso percorso cercando di farti vedere il meno possibile.Ciao, Bella." disse, prima di correre in fretta per le scale, chissà cosa pensava di me quel ragazzo.
Agli occhi degli altri, dovevo sembrare una pazza, una ragazza che vuole salire sul terrazzo di una biblioteca, solo per vedere il panorama non era molto abituale.
Chissenefrega, sussurrai fra me.
Mi avvicinai al muretto che faceva da ringhiera, poggiando il bacino lì.
Il muretto era largo circa cinquanta centimetri, prima della fine c'era una balaustra doppia almeno venti centimetri, che si alzava per almeno altri cinquanta centimetri, il tutto era quasi più altro di me.
Aveva ragione Edward, era ben protetto lì.
Mi sedetti sul muretto, e guardando la favolosa città davanti e sotto di me, capì ciò che provò Edward.
In quel posto ti sentivi protetta quanto esposta.
Guardavi il panorama, l'infinito, davanti a te. Riuscivi a far vagare la mente, come non riuscivi in nessun posto, i pensieri volavano, la fantasia creava, le paure sparivano, gli spiacevoli ricordi non c'erano più.
C'eri solo tu, e il presente.
Il passato, il futuro, una sottigliezza, un elemento così insignificante e superfluo.
Potevi pensare a ciò che volevi, l'aria fresca che ti scompigliava i capelli, i rumori della strada addolciti dall'altezza.
Per la millesima volta aveva ragione Edward, quello era un posto magnifico e bellissimo.
E per la millesima volta lacrime di dolore uscirono dai miei occhi, il dolore di un cuore spezzato.
Dovevo smetterla di piangere, era stata una mia scelta, una scelta avventata.

La mia visione su ciò che vede Bella:   Clicca qui.

.
E voi, qual è il vostro fiore preferito?

Al prossimo aggiornamento, Many. 

   
 
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