Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Blackvirgo    20/01/2011    1 recensioni
Toki e i suoi fratelli: il destino li ha portati a crescere insieme, a separarsi e a combattere l'uno contro l'altro. Ecco i loro ricordi e i loro combattimenti, attraverso le riflessioni di uomo giovane dal viso troppo vecchio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kenshiro, Raul, Toki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le lacrime di Raoul


Nella vita di ognuno ci sono episodi che sono come fratture: per quanto si possa gettare un ponte tra le due estremità, la crepa rimane, insanata e insanabile, a ricordare, in ogni momento, che c’è stato un prima e un dopo.
Quando Toki si guardava indietro, vedeva la sua vita come una strada collegata da una lunga fila di ponti. Nei rari momenti in cui era il pessimismo o la tristezza o la stanchezza a dominarlo vedeva un paesaggio solcato da innumerevoli fenditure.
La prima di queste fratture risaliva alla sua infanzia, quando Toki e Raoul si erano ritrovati a osservare le lapidi dei loro genitori e della loro infanzia. Abbandonati, ma non soli: in quel momento erano due bambini che, uniti, credevano di avere la forza di non lasciarsi sopraffare dal mondo. Fu allora che comparve un uomo dagli occhi freddi che, lungi dal lasciarsi impietosire dalla loro condizione di orfani, li aveva messi alla prova, li avevi messi contro. O almeno ci aveva provato. E, fosse dipeso solo da Toki, ci sarebbe anche riuscito: piccolo e disperato, vedeva nel mondo un mostro in grado di divorarlo in ogni momento e si vedeva impotente davanti a tanta crudeltà e sfortuna. Ma non era dipeso solo da Toki: Ryuken avrebbe dovuto fare i conti con l’amore e la determinazione di due bambini che avevano solo il loro legame a difenderli dal mondo.  Caro, caro Raoul: forte e volitivo, non avrebbe mai permesso a nessuno di fare del male al suo fratellino e, piuttosto che abbandonarlo, aveva preferito rischiare di precipitare assieme a lui da quella maledetta scarpata, ma abbandonarlo mai. Avevano giurato di restare insieme e i giuramenti vanno rispettati, soprattutto se sono giuramenti di sangue.
“Quando due fratelli aspirano allo stesso destino, prima o poi dovranno affrontarsi,” aveva profetizzato il maestro Ryuken, rivedendo se stesso e un altro ragazzino di tanti anni prima nei due fratelli che lo fronteggiavano. Occhi scuri e così risoluti da apparire cattivi sul volto dell’uno, occhi chiari, pieni di speranza e terrore sul volto dell’altro. Alla fine aveva accettato di accogliere entrambi sotto il suo tetto e le circostanze lo portarono ad allenare entrambi per un titolo che solo uno avrebbe ereditato.
Tuttavia Ryuken non aveva capito che condividere lo stesso destino non sarebbe bastato a mettere due fratelli l’uno contro l’altro: per quello ci voleva la stessa ambizione, lo stesso cieco e ottuso orgoglio. Ma aveva sbagliato: lui, Toki, non aveva mai desiderato quel destino, né tantomeno avrebbe mai voluto scontrarsi con Raoul per un titolo a cui non aspirava.
Un titolo che sembrava importante solo per Raoul e per Jagger. Non per lui né per Kenshiro che alla fine aveva battuto tutti. Ken, il bambino dallo sguardo triste e sincero. Cosa avevano già visto i tuoi occhi, Ken?
“Sei stato un ottimo allievo e diventeresti un grande maestro, Toki,” gli aveva detto Ryuken, un giorno, “ma non hai l’anima del guerriero.”
Era per questo che non era stato scelto per diventare il successore della Sacra Scuola di Hokuto: l’eredità – il futuro – era di Kenshiro.
L’anima del guerriero: ci avrebbe messo molto tempo a comprendere cosa intendesse il Maestro Ryuken con quelle quattro parole.
Ora, Toki ci era riuscito: per l’ennesima volta, il maestro Ryuken aveva dimostrato di non aver mai compreso fino in fondo i suoi allievi. Per Ryuken l’anima del guerriero era l’anima del combattente. Per Ryuken – che aveva combattuto anche contro il proprio fratello, che l’avrebbe ucciso se questi non si fosse arreso – il più grande onore era diventare l’erede di Hokuto.
Il mite, saggio Toki, il cui sogno era di applicare alla medicina le arti della scuola di Hokuto, non poteva apparire un guerriero agli occhi miopi di Ryuken, agli occhi di un uomo per il quale le uniche, reali guerre erano quelle in cui si abbattevano nemici e fratelli con colpi mortali, tramandati da millenni in un monastero sconosciuto ai comuni mortali.
Fato volle che sia Ryuken che il fratello battuto cadessero proprio sotto quei colpi mortali, portati con forza e maestria da uno degli allievi che Ryuken stesso aveva rigettato e, alla fin fine, messo contro ai propri fratelli.
Il destino ha modi bizzarri di manifestarsi. A volte è discreto e bussa alle porte, altre volte è così irruente da scardinarle. Il destino è spesso crudele: non lo si può piegare e nemmeno guarire.
Il destino è una stella, una maledizione, una strada già tracciata. Per Raoul il destino era un’opera da costruire con il proprio pugno, a costo di cancellare quello che molte altre mani avevano costruito. Raoul non aveva mai accettato che qualcuno potesse decidere per lui se non lui stesso: così come, da bambino, non aveva accettato di separarsi da suo fratello, ora, da uomo fatto e finito, non avrebbe accettato nessuna interferenza nel suo progetto di diventare Imperatore del Mondo.
Un giorno, tanto tempo prima, Toki aveva fatto un giuramento Raoul. E i giuramenti vanno mantenuti, e soprattutto quelli di sangue.
Glielo aveva chiesto Raoul stesso – caro, caro, Raoul! – in quel giorno in cui si vide privato della sua eredità. Erano insieme, nella sala principale del tempio, quando Jagger era entrato trafelato e arrabbiato. “Ha scelto Kenshiro,” aveva detto. “Il maestro Ryuken ha scelto Kenshiro! Non avete intenzione di fare nulla voi due?”
Il silenzio era stato l’unica risposta che avevano concesso a Jagger. Silenzio e disprezzo.
Poi Raoul si era alzato in piedi: “Dovrai fermarmi se mai farò qualcosa di stupido. Sei l’unico a poterlo a fare.” E se n’era andato. Toki lo aveva guardato allontanarsi senza dire nulla, con il cuore pesante e una sensazione – dentro – di vuoto crescente. Una crepa nel cuore. Toki aveva pensato, molte volte, che non avrebbe mai dovuto lasciar partire Raoul: quella sì che era stata una mossa veramente stupida. Allora – prima della fine del mondo – avrebbe potuto fermarlo. Avrebbe potuto ricordargli un altro giuramento di tanti anni prima in cui – bambini in un mondo feroce – avevano deciso di affrontare la vita insieme. Di difendersi l’un l’altro. Ma il destino è un serpente che si morde la coda e lo fa con denti avvelenati.
Caro, caro fratello.
Toki e Raoul erano uno di fronte all’altro, occhi neri e tanto determinati da apparire cattivi, occhi azzurri pieni di speranza e di tristezza. Si erano ritrovati nel luogo di quel primo fatidico giorno, ad osservarli da lontano vi erano le tombe in cui avevano sepolto i loro genitori assieme alla loro infanzia e Kenshiro, l’uomo dalle sette stelle. Il futuro e il passato.  
Sembrava che la profezia del Maestro Ryuken si fosse finalmente avverata: Toki e Raoul avrebbero dovuto combattere. Per davvero. Solo che non lo facevano perché ambivano alla stessa posizione, ma perché il giuramento tradito di tanti anni prima esigeva un tributo fatto di sangue e di parole, di ricordi e colpi micidiali, di sorrisi e di lacrime.
Ripercorsero assieme la loro vita – insieme, bambini, allievi di Ryuken, maestri degli altri fratelli, e poi adulti a percorrere insieme strade tanto diverse quanto solitarie –  e fu come conoscersi di nuovo.
Raoul conobbe in Toki il guerriero che non aveva mai visto, capace di parare e sferrare colpi letali con il sorriso sulle labbra e la serenità nel cuore, come il mare calmo che accoglie il fiume impetuoso e che, a sua volta, può scatenare tempeste furibonde.
Toki vide affiorare in Raoul la pietà che mai aveva mostrato: vide lacrime rigargli le guance, mentre ricordava e combatteva, caricando ogni pugno con tutta la sua forza, con tutta la sua determinazione e con tutta la sua rabbia. Era uragano e fulmine e terremoto.
Quando caddero a terra, Toki, ormai stremato, si arrese. Incapace di rialzarsi, attese. Aveva fatto ciò che doveva: sapeva che non avrebbe potuto fermare Raoul nelle sue condizioni, ma finalmente aveva ritrovato suo fratello. Aveva ritrovato l’uomo che se n’era andato da Hokuto senza voltarsi indietro e aveva ritrovato il bambino che non lo aveva abbandonato. E anche Raoul lo aveva ritrovato mentre piangeva, inginocchiato accanto al corpo troppo provato, troppo invecchiato e troppo fragile di Toki. “Mio saggio e gentile e fratello,” mormorava, colmo di rabbia, tristezza e frustrazione. Alzò il pugno per calare l’ultimo colpo, ma si sa che le lacrime appannano il cuore ancora più degli occhi.
Il suo pugno fece tremare la terra: i pochi spettatori pensarono che per Toki fosse giunta la fine. Solo per un attimo.
“Questo era per il tuo destino avverso,” commentò Raoul rialzandosi, lasciando Toki fra polvere e lacrime, mentre il suo sguardo – nero e determinato, ma troppo triste per essere cattivo – puntava all’orizzonte.
Toki chiuse gli occhi e sorrise. La Stella della Morte brillava sul suo viso pallido e sereno. Aveva mantenuto il suo ultimo giuramento, gettato l’ultimo ponte. Peccato non avere abbastanza vita per mantenere anche il primo.
Caro, caro Raoul.       
   
 
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