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Autore: ChiaraPs    22/01/2011    0 recensioni
Quella bambina con la sua sola presenza aveva risvegliato una parte di me che era assopita da lungo tempo, era la parte umana di me, di quello che ero stato.
Avevo dovuta nasconderla, confinarla, rigettarla, perché sentirsi un mostro mi dilaniava, e spingersi a riflessioni su una morale che avevo stracciato e calpestato, a favore della sete, mi avrebbe fatto impazzire.
Fatto sta che quella sera non trovai un posto adatto a Lily e decisi che per solo per quella sera mi sarei preso io cura di lei, per quanto ciò avesse dell’assurdo, glielo dovevo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3:

Vagavo in cerca di una casa per la seconda volta, ma per la seconda volta, non trovando il coraggio di lasciarla andare, non riuscivo ad essere soddisfatto di nessuno dei luoghi che visitavo, sentivo il suo corpicino pesarmi tra le braccia, il suo respiro leggero accarezzarmi una guancia e la  volontà di affidarla a qualche sconosciuto diminuiva inesorabile, come se ad ogni suo respiro la mia intenzione venisse annientata.

Confinato il mostro potevo tornare ad illudermi che non l’avrei uccisa, che non sarebbe diventata un’altra delle mie vittime. Trovavo mille giustificazioni, alcune davvero poco convincenti, ma cercare un appiglio per stare con lei mi riusciva fin troppo facile.

Ovviamente erano solo scuse, chiunque sarebbe stato meglio di me, chiunque che non fosse stato un mostro, come lo ero io.

Per quanto mi sentissi diverso, da quando stavo con lei, il mio autocontrollo era stato facilmente  annientato da un pianto più insistente del solito, era bastato pochissimo e la belva era affiorata, pronta a portarle la morte, ad aggredirla, la mia bocca era bramosa del suo sangue.

Ferirla era stato semplice, inevitabile, lei era delicata e fragile, io ero un demone invincibile, potevo vedere due grandi lividi neri formarsi sulle sue braccia nude, lì dove l’avevo strattonata per sollevarla, furente.

Mi rendevo conto che per quanto in quel momento non mi sovrastasse, la sete mi stava ancora bruciando la gola, percepivo nettamente il gusto delizioso che mi solleticava, che mi invitava.

Eppure ero lì e la tenevo tra le braccia sicuro, deciso, non volevo farle del male, volevo proteggerla da me stesso più di quanto volessi ucciderla.

Stavo continuando a vagare per la città, immerso nei miei pensieri contrastanti, quando una risata leggera proveniente dall’interno di una casa, attirò la mia attenzione, mi affacciai alla finestra da cui proveniva quel suono gaio, e osservai ciò che stava accadendo.

C’era una bella donna, china su un piccolo letto da cui spuntava una testa rossa, riccia, la donna stava posando un bacio sulla fronte del suo bambino, sorridendo.

Si alzò e posò un libro di fiabe sul comodino affianco al letto, prima di spegnere la luce e allontanarsi dalla mia vista.

Ebbi un fremito, il destino mi stava offrendo una possibilità, mi mostrava la vita che avrei potuto concedere alla bambina. Forse se avessi lasciato Lily davanti a quella casa, quella donna si sarebbe presa cura di lei, l’avrebbe allevata insieme al bambino dai capelli rossi.

Forse sarebbe stata amata, e sarebbe cresciuta nella convinzione di avere una famiglia.

Un moto nuovo di speranza mi sfiorò appena prima di lasciare posto alla tristezza.

Non avevo più scuse, avevo trovato una casa per Lily, una famiglia, l’avrei lasciata lì e le avrei concesso una vita migliore, sarei andato via e non avrei più interferito con la sua esistenza.

Mi convinsi che era la cosa giusta da fare, e capii per la prima volta il sentimento che prova chi è combattuto tra il desiderio e il dovere, tra chi desidera ciò che non è giusto fare.

Lasciai la bambina sul ciglio della porta posandola delicatamente, con la sua coperta, sul terriccio freddo, le girai le spalle e feci un passo soltanto, prima di girarmi di nuovo verso di lei, sembrava che le mie gambe avessero vita propria, non volevano andarsene.

Notai che Lily si era svegliata forse disturbata dai miei movimenti indecisi,

mi guardava, la guardavo.

Dilaniato da una decisione che non sapevo prendere, le sorrisi triste

“Lily vuoi restare con me?” chiesi tormentato, più a me stesso che a lei.

Chiusi gli occhi sconfortato, il peso di quella decisione era troppo grande,

“Dam-mia-gn” Lily pronunciò quella parola, sorridendo e allungando le manine verso di me, aveva pronunciato il mio nome: Damian, era la sua prima parola.

Avevo ripetuto il mio nome tante volte, parlandole, perché imparasse a dirlo, ma non avevo mai ottenuto risultati, non aveva mai parlato prima.

Proprio in quel momento, invece, quasi a voler rispondere alla mia domanda, quasi a volermi alleggerire di un peso altrimenti insostenibile emise quel suono tanto melodioso per le mie orecchie.

Non potevo interpretarlo come un segno del destino, perché già l’avevo tirato in causa quando avevo visto la donna nella casa, non potevo aggrapparmi a niente, però mi resi conto che ormai facevo parte della sua vita, che la decisione l’avevo già presa tanto tempo prima, quando non l’avevo abbandonata a una fine certa; in quel preciso istante avevo legato le nostre vite irrimediabilmente, e che fosse giusto o no la decisione era già stata presa.

“Lily” sussurrai, ancora confuso, ma più deciso “resterai con Damian, anche se un giorno mi odierai per questo”.

Le sorrisi, e lei fece altrettanto mentre la sollevavo per accoglierla tra le mie braccia gelide, voltai le spalle alla casa, che le avrebbe potuto garantire una vita vera e mi inoltrai nella foresta.

Appena arrivato nella nostra piccola dimora, la adagiai sul letto, e  le raccontai una favola, così come avevo visto fare alla donna, poco prima.

Non sapevo per quale assurdo motivo conoscessi quel racconto, sapevo solo che le parole fluivano sicure, come se quella favola l’avessi raccontata altre mille volte, come se già la conoscessi.

Non mi soffermai a pensare a niente, le raccontavo quella storia, guardandola adorante e lei, silenziosa, non sembrava desiderare altro.

  
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