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Autore: Lord Revan    23/01/2011    1 recensioni
Quand'è che un androide può essere considerato un essere umano?
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fantascienza 1     Il dottore uscì dalla stanza dove suo marito era ricoverato, con un'espressione scura e sconsolata. Evidentemente non portava buone notizie.
        "Sono desolato, Signora Walsh, ma temo che per suo marito non ci sia più nulla da fare. Ha riportato un trauma cranico, la rottura di otto costole, il perforamento di entrambi i polmoni e lo spappolamento di fegato e milza, senza contare i danni agli arti."
    Il freddo modo di elencare i danni riportati da Wilbur Walsh in seguito all'incidente stradale di cui era stato vittima neanche mezz'ora prima da parte del primario dell'ospedale gettò ancora più nella disperazione Sandra Walsh, le cui lacrime avevano ora iniziato a sgorgare copiose nonostante il suo encomiabile sforzo di trattenerle. Abbassò lo sguardo senza dire una parola, ascoltò il consiglio del dottore di andare nella cappella dell'ospedale a pregare per l'anima dell'ormai prossimo defunto marito e lo seguì.
    La Signora Walsh era da sola nella piccola cappella, dove tante altre mogli, tanti altri mariti, tanti figli, madri, padri, fratelli, sorelle avevano pregato chi per la salvezza fisica, chi per quella spirituale dei propri cari in condizioni disperate. E fu proprio ciò che Sandra fece: si inginocchiò e pregò. Ma, in un modo del tutto irrazionale, iniziò a pregare per la salvezza fisica e terrena di Wilbur. Nonostante le condizioni disperate del consorte, la giovane donna non si era ancora rassegnata ad accettare la sua prematura dipartita. Era talmente assorta nella preghiera, che non sentì nemmeno la porta aprirsi e poi chiudersi, e i passi dei due individui che andavano a sedersi nella panca alle spalle di quella alla quale lei era prostrata.
        "La Sig.ra Walsh?" chiese uno dei due, esibendo un tono professionale e distaccato. Sandra si girò, il volto rigato dalle lacrime.
        "S-sì. Voi chi siete?" disse l'ormai prossima vedova, la voce rotta dal dolore, mentre scrutava i due individui con occhi scarlatti: l'uomo che le aveva rivolto la parola vantava un aspetto più maturo del suo partner, mentre entrambi potevano esibire un portamento elegante sottolineato dai completi italiani che vestivano.
        "Mi chiamo Arthur Dick, faccio parte della Società Wilmott. Ho un'offerta che lei potrebbe ritenere... opportuna." il tono di voce dell'uomo non tradiva alcuna emozione.
        "C-che tipo di offerta?" chiese Sandra, che ora si era girata verso di loro, e che guardava l'uomo finora silenzioso.
        "Un'offerta che potrebbe salvare la vita di suo marito." la donna rivolse la sua attenzione su Dick e su ciò che aveva da dire, tramite uno sguardo quasi di supplica. "Non posso rivelarle ciò di cui si tratta, perchè è un processo ancora sperimentale ma le garantisco che, se ci sbrighiamo, suo marito tornerà come nuovo."
    A Sandra l'offerta sembrava troppo bella per essere vera. "Che t-tipo di pagamento volete?"
        "Nessuno. Considereremo il suo caso come un test per questo nuovo trattamento che la nostra Società offre. In cambio del nostro aiuto, lei deve soltanto firmare alcuni documenti." tirò fuori alcuni fogli dalla valigetta posata sulla panca che Sandra, fino a quel momento, non aveva ancora notato. "In questi documenti lei ci solleva dall'obbligo di rivelarle il metodo che seguiremo nel curare suo marito."
    La donna afferrò i fogli con avidità, li lesse tutto d'un fiato, poi afferrò la penna che gli veniva porta dal socio di Dick, - ecco a cosa serviva - firmò e poi restituì i fogli all'uomo seduto alle sue spalle. "Tornerà come nuovo?"
        "Sarà come se non avesse mai avuto alcun incidente, glielo garantisco. La avverto però di un effetto collaterale del nostro trattamento."
        "Quale?"
        "Dopo l'intervento, suo marito sarà sterile." gli occhi della donna si spalancarono. "E' il prezzo da pagare per avere di nuovo il Sig. Walsh a casa sano e salvo."
        "Io... va bene."
        "Perfetto. Ecco i moduli da firmare." l'uomo estrasse dalla valigetta altri documenti, che porse alla giovane donna e che lei firmò senza neanche leggere.
        "Quanto ci metterete a guarirlo?"
        "I nostri uomini lo stanno già prelevando dalla sua stanza e portando nel nostro centro specializzato. Non si preoccupi, signora, suo marito è in buone mani."
    Detto questo, i due uomini uscirono dalla piccola cappella lasciando Sandra Walsh da sola, in preda ad un misto fra dolore e speranza. Una speranza folle, pensò fra sè e sè, "Fegato, milza, polmoni, trauma cranico, come possono fare a rimetterlo in sesto?" alla luce di queste considerazioni, Sandra Walsh proruppe in un altro pianto disperato, certa che, nonostante le promesse e i moduli firmati, non ci fosse più nulla da fare. Stava quasi per alzarsi, andare dai due uomini e dire loro di considerare ogni accordo preso nullo, ma non lo fece. Si rivolse invece di nuovo verso l'altare e si rimise a pregare. In fondo, "Mezzo miracolo si è già avverato, ora preghiamo per fare in modo che si avveri anche l'altro mezzo."


    Quando Wilbur Walsh si risvegliò, vide una donna. Una bella donna vestita di un camice celeste, con un berrettino bianco. Un'infermiera. Stava in piedi a lato del letto in cui lui era sdraiato, e lo stava osservando. Appena si avvide che i suoi occhi erano aperti, si voltò e il paziente si accorse della presenza di altre cinque persone all'interno della sua stanza.
        "Ben svegliato, Sig. Walsh." gli disse un uomo in camice bianco. "Non si preoccupi, presto potrà tornare a parlare. Si riposi adesso, risponderò a tutte le sue domande una volta che si sarà rimesso appieno." Wilbur in effetti non riusciva a parlare, non riusciva proprio ricordare come si facesse. La tranquillità del dottore di fronte a lui lo contagiò, così non si fece prendere dal panico e seguì il suo consiglio. Chiuse gli occhi e si addormentò.


    Due settimane dopo, i coniugi Walsh erano nell'ufficio di quello che Sandra aveva conosciuto come Arthur Dick, il Dott. Arthur Dick, che suo marito non aveva più visto dal giorno in cui per la prima volta si era risvegliato dopo l'intervento. L'uomo era completamente rimesso a nuovo, come se non avesse mai avuto alcun incidente.
        "Come si sente, Wilbur?" chiese il medico.
        "Perfettamente, dottore."
        "Qual è l'ultima cosa che ricorda prima del suo risveglio qui?"
        "Vediamo... ricordo un camion... che mi investì mentre attraversavo la strada."
        "Perfetto. Ecco, ora dovrebbe firmare questi documenti che ci autorizzano a dimetterla." gli pose dei fogli che il Sig. Walsh firmò immediatamente. "Devo però chiedervi di mantenere il più stretto riserbo su ciò che avete visto qui." aggiunse il dottore.
        "Certo, anche se di fatto noi non abbiamo visto nulla. Non avete voluto rivelare il vostro trattamento, quindi non capisco cosa potremmo rivelare..." disse la Sig.ra Walsh.
        "Ha ragione, Signora, però vi prego di minimizzare ciò che è accaduto a suo marito. Dite che la prima diagnosi del primario dell'ospedale era fin troppo catastrofista, e che è servito il ricovero in una clinica specializzata per rimetterlo in piedi. Vedete, questo è un trattamento ancora sperimentale, sul quale manterremo il silenzio più totale fino a che non decideremo di renderlo pubblico." spiegò lo scienziato.
        "Non si preoccupi, dottore, non diremo nulla. Ora mi scusi, ma ho una voglia matta di tornare a casa." rispose Wilbur, entusiasta all'idea.
        "Mi fa piacere sentirlo!" Dick sottolineò la sua approvazione con un sorriso infinito.
    I Walsh salutarono il Dott. Dick ed uscirono dall'edificio. Una volta fuori, Wilbur abbracciò sua moglie e la baciò. "Andiamo a casa" disse "Andiamo a fare l'amore." E fu proprio quello che fecero.


    Un mese dopo, la vita per i Walsh era tornata alla più assoluta normalità, se si eccettua un'improvviso ritorno sfrenato di passione di Wilbur verso sua moglie e viceversa. La sola idea di essere vivo, di poterla abbracciare, baciare, toccare ancora, lo riempiva di gioia ed eccitazione. E la stessa cosa accadeva a lei. L'essere passata dal dolore per una dipartita ormai certa alla gioia per una salvezza insperata fino all'ultimo scatenava in lei dosi di adrenalina difficili da controllare. Sandra Walsh era un'insegnante delle elementari, mentre Wilbur era un impiegato di banca.
    Fu una mattina al lavoro che l'uomo ebbe i primi problemi: ad un certo punto, senza alcun preavviso, iniziò a sudare freddo e dovette andare in bagno per vomitare. Vi passò una buona mezz'ora, ma il malessere non passò. Così andò dal suo capo.
        "Robert, è un problema se me ne vado a casa? Non sto per niente bene."
        "Figurati, Will, vai pure... vedi di rimetterti per bene, hai subìto un'operazione importante." si premurò l'amico.
        "Grazie, Rob. Comunque credo che domani starò meglio, ora vado a casa e mi rintano nel letto."
        "D'accordo. Ah, devi chiedere a Gina di farti uscire. Abbiamo installato oggi il nuovo sistema di sicurezza, e per ora è lei che ha il controllo di tutti gli accessi della banca."
        "Un vero mastino da guardia. Ci vediamo, Rob." disse Walsh, che poi uscì dall'edificio.
    Una volta fuori dalla banca, l'impiegato si sentì immediatamente meglio. "Forse è l'aria, o il calore." pensava, mentre si dirigeva verso casa con la propria auto. Nonostante il malore fosse scomparso, voleva comunque andare a casa a riposarsi per evitare di sentirsi allo stesso modo nei giorni successivi. Arrivato a destinazione si infilò sotto le coperte e si mise a dormire, ma c'era qualcosa che lo disturbava. Dapprima un ronzìo, poi un rumore sempre più definito, che alla fine divenne un suono inconfondibile: voci. Voci provenienti dalla TV. Scocciato per questo inconveniente che non lo lasciava riposare, il Sig. Walsh girò per casa alla ricerca del televisore acceso, ma non lo trovò. Anzi, più si muoveva più si rendeva conto che il tono e la direzione delle voci non cambiava. Erano dentro la sua testa. Si rimise a letto, provò a ignorarle, ma finì con l'alzarsi più sudato e agitato di quando era al lavoro.
    Dopo quasi due ore di supplizio, Wilbur uscì di testa: iniziò a gridare  e a prendersi a pugni. Questo ebbe un effetto, perchè ogni colpo in testa che si auto infliggeva desintonizzava per un attimo il canale della TV. Ad un certo punto notò qualcosa in bocca. Usò la lingua per portarselo alle labbra e poi lo prese con le dita: un piccolissimo circuito, di un tipo che non aveva mai visto. Spaventato, Wilbur prese il telefono.
    Due ore dopo era nell'ufficio di Arthur Dick. "Cosa mi avete fatto?" chiese, alterato dalle ore di tortura dovute alle voci.
        "Sig. Walsh, sua moglie ha firmato un contratto..."
        "Non me ne frega un cazzo di cosa ha firmato mia moglie! Stamattina sono stato male a lavoro, poi sono andato a casa ed ho iniziato a sentire la TV dentro la mia testa. Infine mi sono ritrovato questo in bocca!" disse, mettendo sul tavolo il piccolo microchip.
        "Venga con me." disse il Dott. Dick, che si alzò ed uscì dal proprio ufficio. Will lo seguì fin dentro un ascensore, che iniziò a scendere.
        "Come le ho già detto, Sig. Walsh, il nostro trattamento è ancora sperimentale, e quindi ci possono essere alcuni effetti collaterali ulteriori."
        "Oltre all'impotenza?" chiese Wilbur, decisamente seccato per tutta quella situazione.
        "Sì, oltre all'impotenza. Lei è stato male questa mattina in banca. Mi dica, c'è stato qualche cambiamento recente da voi? Qualche apparecchiatura nuova o roba simile?"
        "Hanno installato il nuovo sistema di sicurezza stamattina."
        "E' collegato con la centrale di polizia?"
        "Sì... sì, perchè?" Will non capiva cosa potesse avere a che fare questo con le sue condizioni.
        "Lo vedrà." disse Dick. Dopo qualche minuto l'ascensore arrivò al piano designato. Le porte si aprirono e i due uscirono su un corridoio. Il dottore precedeva Walsh di qualche passo, ed insieme entrarono in una stanza che Wilbur riconobbe subito per quella che era: una camera mortuaria.
        "Che significa?" chiese l'uomo, mentre il dottore si diresse verso uno dei cassettoni metallici, che riportava la scritta "W.W." in un angolo in alto a destra dell'anta di chiusura. Dick la aprì e tirò fuori ciò che conteneva: un cadavere. Un cadavere in tutto e per tutto identico all'uomo che aveva di fronte, solo molto più malconcio.
        "Lei non è Wilbur Walsh. Wilbur Walsh è deceduto in seguito alle ferite riportate dopo l'investimento da parte di un camion." disse freddamente lo scienziato.
        "N-non è possibile..." Will non aveva parole, non riusciva ad elaborare la cosa. "Allora io cosa sono?"
        "Lei è un androide. Badi, non un cyborg, perchè non ha nulla di umano, detto nel senso classico del termine. Noi abbiamo registrato il cervello di Walsh - non solo i suoi ricordi, ma anche la sua personalità, il suo carattere, il suo subconscio, le sue emozioni, i suoi affetti - e li abbiamo inseriti nel suo cervello positronico. Lei, di fatto, è Wilbur. Ma, fisicamente, non lo è. Non ha nulla di lui, se non il suo aspetto. Capisce cosa le sto dicendo?"
        "C-credo di sì... ma io ho i ricordi di un'intera vita, ho le cose che so fare, ho..." provò a obiettare l'"uomo".
        "Nessuno di loro è artificiale, ma le sono stati impiantati. E' più o meno come una clonazione, ma solo a livello cerebrale. Se lui fosse ancora vivo, entrambi avreste la coscienza di essere Walsh, ma quello vero sarebbe lui, perchè lei è una macchina."
        "Ma se sono un androide... come pensavate di tenerlo nascosto? Una macchina non invecchia, ad esempio..."
        "Lei è il frutto delle più avanzate ricerche nel campo della cibernetica e della biomedicina. I suoi tessuti, i suoi organi, tutto il suo essere simula alla perfezione il corpo umano. I suoi tessuti invecchiano esattamente come quelli di chiunque altro, si alimenta come un qualsiasi essere umano, ha ormoni, sangue, saliva, sistema nervoso. Nessun test sarebbe in grado di dire che lei non è umano. Non è fatto di metallo, e le radiografie mostrerebbero una situazione identica alla mia, ad esempio. Anche in caso di ferimento o frattura, le conseguenze sarebbero le stesse, anche la morte. Che un giorno arriverà, compatibilmente con i tempi di vita umani. Lei è esattamente come un essere umano. Tranne che per una cosa."
        "Lo sperma." disse l'androide "Non mi posso riprodurre."
        "Esatto."
    La rivelazione aveva sconvolto "Wilbur". Lui aveva vissuto la sua vita normalmente, fino all'incidente. Poi era stato curato ed era tornato tutto alla normalità, e adesso questo. Lui non era più lui.
        "Ce ne sono altri come me?" chiese infine.
        "Lei è il dodicesimo. Siete tutti prototipi, utili per scoprire eventuali problemi o falle nel sistema. Come quella che l'ha fatta stare male stamattina."
    L'androide iniziò a razionalizzare la cosa, come il vero Walsh avrebbe fatto. "Io sono Wilbur Walsh. Però non lo sono. Sono umano, però non lo sono. Voi avete fatto credere a Sandra che io sono ancora vivo mentre in realtà..." il panico aveva iniziato a prendere il sopravvento, così fece un respiro profondo. "L'avete convinta che io sia suo marito, mentre in realtà suo marito è morto. E' qui, di fronte a me, però io in un certo senso sono lui." iniziava a fargli male la testa "Cosa devo fare ora?" chiese infine.
        "Può scegliere: può essere distrutto qui, nei nostri laboratori. Non sentirà dolore e simuleremo la sua morte. Ci occuperemo noi di tutto. Può tornare a casa e raccontare tutto a Sandra, distruggendo così la sua vita. Oppure può abituarsi all'idea, ignorarla e vivere la sua vita come Wilbur Walsh. Non le manca nulla per farlo. Ora come ora, lei è lui." rispose il dottore.
    Will sapeva che Dick aveva ragione. Non poteva dire a sua moglie la verità: tuo marito è morto ed è stato sostituito da un robot. Sarebbe impazzita. Oppure non le avrebbe creduto e lui non avrebbe potuto dimostrarlo. L'avrebbero preso per pazzo. L'androide uscì dall'edificio e prese la macchina. Tremava. La sua mente razionale aveva pienamente compreso il senso di tale rivelazione, e ne era rimasta sconvolta. "Io sono o non sono?" era questa la domanda che lo assillava. Come poteva asserire di essere una persona con la quale non aveva nulla di fisico in comune? Wilbur Walsh, da ragazzino, andava tutte le estati in vacanza ad Aspen con la famiglia. Ma era Wilbur Walsh, un essere umano. Non un androide, non lui. Fisicamente, nulla dell'individuo che stava guidando la macchina in quel momento era mai andata ad Aspen da bambino con la famiglia. Però i suoi ricordi non sono altro che ciò che il vero sè stesso ha fatto fino al momento in cui non glieli hanno estrapolati, poco prima che morisse. Fino a che punto, quindi, poteva dire di essere Wilbur? "La mia mente è stata fotocopiata, clonata, e poi è stata inserita nel cervello positronico di un... un... surrogato umano." nelle sue riflessioni appariva tutto l'astio verso gli scienziati che lo avevano "salvato" e verso ciò che era. La coscienza gli diceva che ciò che stava facendo a sua moglie - Dio, non è stato lui a sposarla! - era mostruoso. Gli tornò il dubbio: "Che fare? Dirle la verità o dirle che è stata solo una giornata pesante a lavoro?"
    Parcheggiò nel vialetto, come sempre. Dopodichè scese dalla macchina e si diresse verso la porta d'ingresso. Quando l'aprì e vide il viso sorridente di Sandra che gli corse incontro ad abbracciarlo, il suo cuore saltò un battito. Si abbracciarono, si baciarono.
        "Tesoro, che hai?" chiese la donna. Wilbur Walsh, anzi il surrogato che ne aveva preso il posto, prese una decisione. La guardò negli occhi e iniziò a parlare.
  
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