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Autore: VikyLeah    23/01/2011    2 recensioni
«Lei è destinata a diventare qualcosa di più di una semplice mutaforma. Lo scoprirete presto». Quando oltre al destino, c'è di più.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Ero stanca. Sfinita. Erano giorni che correvo, giorno e notte. Quasi non mangiavo, e bevevo poco. Avevo dovuto lottare contro due orsi e un puma. Avevo percorso più di 5.000 km. Avevo seguito il suo odore. Ero arrivata a Cape Coral, nello stato della Florida. Per quanto veloce ero pur sempre umana, le forze mancavano. Mi fermai in città e con un piccolo furto trovai dei vestiti che mi andavano bene e pure qualche dollaro per mangiare.
Mi sedetti in un caffè e mi rilassai un po'.
Dove cavolo sei, sospirai. In una città con mezzo milione di abitanti, come potevo trovarlo?
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sul tavolo.
«Signorina, sta bene?», una voce maschile.
Mi drizzai e vidi un ragazzo, pure carino.
«Sì. Grazie. Sono giorni che non dormo e non mangio, sono stanca», sorrisi gentile.
Si sedette, «hai bisogno di aiuto?».
Se puoi trovare il mio principe, pensai sarcastica.
«No. Tranquillo. Cerco solo un amico. Ma non so dove stia. Questa città è così… grande e caotica», dissi guardandolo.
«Lo so. Ma io ci sono abituato. Ah! Io sono Mark», mi porse la mano con un gran sorriso.
Non strinsi la sua mano, ero troppo calda rispetto a lui.
«Io sono Viky… Già, io vivo in una città così piccola che non sono convinta che ci sia sulle mappe», scherzai.
Rise, aveva un bel sorriso.
«Se vuoi posso chiedere a mia sorella di prestarti la camera. Così riposi un po’», sorrise gentile e bevve dal suo bicchiere di carta.
Offriva un letto a tutti gli sconosciuti? Lo guardai un po’ stranita.
«Basta che non mi uccidi», ridacchiai. Come se potesse mai farlo.
«Prometto di no», si alzò. «Andiamo, ho la macchina qua fuori».
Lo seguii, i miei sensi erano tutti al massimo. In effetti poteva essere una situazione di pericolo, non credevo fosse tale ma il mio istinto sì.
«Bella macchina», dissi guardando una Mustang Shelby blu.
«Grazie. Regalo di compleanno», alzò le spalle e fece scattare le sicure.
Entrammo e partimmo subito.
«Come si chiama il tuo amico?», domandò guidando veloce nel traffico.
«Oh… ehm… Cristian», mentii.
«Allora in bocca al lupo! Qua ce ne saranno a centinaia», rise svoltando verso destra.
Bella battuta. «Immaginavo», risi.
Percorremmo ancora qualche centinaio di metri e ci fermammo davanti ad una casa su due piani. Parcheggiò sul vialetto.
Scendemmo. «Bella casa», sorrisi gentilmente e lo seguii fino alla porta, poi dentro.
«Mio padre è un rompiscatole. Vuole sempre tutto come piace a lui. Secondo me è troppo grande», sbuffò appena.
«Beh… l’importante è averne una», sorrisi appena. Già mi mancava casa mia e i miei amici.
«Già. Allora, al piano di sopra ci sono le camere da letto e due bagni. La terza a sinistra è quella di mia sorella Gabriella, usala pure. La chiamo e la avviso», sorrise e sparì per un corridoio.
Salii timorosa, ero in una casa sconosciuta di uno sconosciuto. Arrivai davanti ad una porta rosa con una targhetta viola con scritto GABRIELLA.
Oddio, pensai leggermente schifata. Odiavo il rosa. Con poca convinzione aprii la stanza, avevo paura di quello che ci potevo trovare dentro. Guardai e rimasi scioccata.
«Ah no! Mi rifiuto!», dissi e chiusi la porta.
La stanza era tutta rosa, viola e con pizzi ovunque. Non ero una ragazza del genere. Piuttosto avrei dormito per terra.
Scesi e vidi che il ragazzo stava salendo.
«Scusa ma non posso dormire la dentro», indicai il piano superiore.
Rise, «mia sorella è un po’ fissata».
«Fissata è poco», sbuffai. Neanche morta.
«Dai. Solo per stasera», mi guardò con un’aria da cucciolo bastonato quasi.
Sbuffai e incrociai le braccia, «solo per stasera!».
Scesi con lui. Ci sedemmo in salotto. Mi guardavo in giro. La casa era molto bella. E grande. Altro che la mia, una capanna quasi.
«Che piani hai per trovare il tuo amico?», mi guardava.
«Ehm… non lo so a dire il vero. Credo che farò vedere qualche foto in giro», dissi poco sicura. Se era rimasto sotto forma di lupo sarebbe stato impossibile seguirlo di giorno. In quella città sarei potuta trasformarmi solo di notte.
«Foto. Posso vederla?», si sporse verso di me.
Tirai fuori una vecchia foto spiegazzata, gliela porsi. «Questo qua, quello moro coi capelli lunghi», lo indicai visto che quasi tutti erano mori e con i capelli lunghi.
«Siete fratelli?», mi guardò curioso.
«No. Ma ci somigliamo molto. Siamo tutti della stessa città», dissi sorridendo.
Poi vidi che guardò il  tatuaggio sulle braccia dei ragazzi nella foto, e poi il mio.
«Tradizione», dissi salvandomi in fallo.
«Wow… un tatuaggio come tradizione? Il tuo deve essere un popolo antico», sorrise e mi restituì la foto.
La misi via, «sì. Diciamo così», sorrisi mentre la porta si apriva.
«Ciao!», una signora sulla quarantina entrò.
«Ciao mamma. Lei è un’amica. Viky», si alzò.
Mi alzai anch’io e andai a stringerle la mano, «piacere, signora», sorrisi gentile.
«Oh. Piacere mio», sorrise ricambiando la stretta e poi andò in cucina con dei sacchetti.
Io e Mark la seguimmo. Aiutammo entrambe a mettere a posto la spesa.
«Stasera pollo arrosto con pappate al forno, spero vada bene», sorrise.
Arrossii un po’ per la gentilezza. «Perfetto, signora. Grazie».
«Viky, facciamo un giretto nel quartiere?».
«Con piacere», seguii Mark che usciva.
Sembrava un posto tranquillo, c’erano poche macchine in giro e non c’era molta gente per strada.
«Vivo qua da quando sono nato», guardava avanti a se mentre parlava, «mia mamma si è sposata due volte. La mia sorella più grande è figlia del primo. Io e Gabriella del secondo», raccontava e io ascoltavo.
Arrivammo di nuovo a casa, dopo un bel giro lungo. «La mia storia è noiosa», risi ed entrammo.
«Posso farmi una doccia?», domandai.
«Certo. Allora usa il bagno che vuoi. Gli asciugamani sono negli armadi bianchi. Ti preparo qualcosa da mettere sul letto di mia sorella», andò su e lo seguii.
Invece di fermarmi nella camera caramellosa proseguii fino al bagno in fondo al corridoio. Entrai. Era bello grande e tutto bianco. Chiusi a chiave e aprii l’armadio. Presi un asciugamano azzurro e lo posai sul lavandino, mi spogliai e mi feci un bel bagno rilassante.
Lasciai correre i pensieri mentre l’acqua calda rilassava le mie membra stanche.
Probabilmente mi ero addormentata quando bussarono alla porta.
«Viky? Tutto ok?», la voce di Mark preoccupata.
Mi tirai su, «sì. Tranquillo, arrivo», uscii dall’acqua gocciolante.
Sentii che andò via. Mi asciugai e mi avvolsi dentro e andai svelta nella camera della sorella.
Sul letto c’erano un paio di jeans chiari, l’intimo - per fortuna non rosa, e una maglietta gialla e bianca.
Mi asciugai per bene, mi vestii e presi una molla per capelli dal comodino e mi feci una coda alta.
Scesi. «Ci voleva, grazie», sorrisi e mi sedetti accanto a Mark in cucina mentre parlava con sua madre.
Guardai l’orologio appena al muro e mi resi conto solo allora che era tardi. O meglio, erano le 7 di sera e il tempo era letteralmente volato.
«E’ quasi pronto, perché non apparecchiate?», giusto.
Mark prese il tutto, e io apparecchiai la tavola.
«Bel lavoro», ridacchiai.
Quel ragazzo mi stava simpatico, ed era pure gentile. Forse troppo.
Nel frattempo arrivarono anche Gabriella, il padre e l’altra sorella.
A presentazioni fatte, ci sedemmo a mangiare. La madre riempì i piatti di tutti.
La serata trascorse tra chiacchiere varie e un po’ di domande per me. Raccontai la mia storia tralasciando i dettagli.
«Scusate… Io andrei a letto, sono molto stanca e domani devo andare via presto», mi alzai.
«Certo cara, fa pure con comodo. Buona notte», salutò affettuosa.
Salutarono anche gli altri e me ne andai nella stanza color rosa.
Mi tuffai su quel letto enorme e chiusi gli occhi.
Il sole illuminò la stanza e pure il mio viso. Aprii gli occhi mal volentieri. Ero comoda se pur accaldata.
Devo andare per forza, pensai alzandomi e stiracchiandomi.
Non sentivo nessun rumore per casa. Mi vestii in fretta e uscii dalla stanza, scesi piano e sul tavolo - vicino alla colazione - vidi un biglietto.
‹ Siamo tutti usciti, fa con comodo. Mangia quello che vuoi. Buona ricerca. M. ›, sorrisi e riposai il biglietto.
Feci colazione con fette biscottate e aranciata. Poi uscii svelta dalla casa.
«Naso mio entra in funzione», mi dissi e inizia ad annusare in giro.
Avevo sentito la sua scia vicino al bar dove ero stata il giorno prima, quindi mi diressi lì. Mentre attraversavo sentii che la sua scia girava, quindi la seguii. Era debole ormai, ma per i miei sensi acuti andava bene.
Camminai per qualche km, finché uscii dalla città.
«E ora?», mi guardai attorno.
Poco più avanti si intravedeva un bosco, così mi trasformai e corsi via.
Bingo, pensai e inizia ad attraversare il bosco di corsa.
La sua scia era fresca e ben chiara, era passato di lì poche ore prima. Ma da umano, per questo non sentivo i suoi pensieri. Sperai che rimanesse tale così non si sarebbe accorto di me.
Decisi di seguire il suo odore costeggiando il precipizio che dava sul mare. Speravo che non si fosse buttato. Inseguirlo in mare non era molto fattibile.
Percorsi tutta la foresta fino al limitare, dove la roccia diventava a punta, e vidi una figura massiccia seduta.
Tornai umana prima di avvicinarmi del tutto.
Una folata di vento portò il mio odore a lui, che si girò di scatto.
Mi fissò con i suoi occhi scuri, che amavo tanto. Sembrava sorpreso. Forse mi credeva morta, come gli altri.
«Ciao», sussurrai avvicinandomi.
Mi guardava, gli occhi ora lucidi. «Sei viva», sussurrò appena con la voce roca.
Annuii. «E sono venuta fin qua per portarti a casa».
Cadde in ginocchio iniziando a piangere, si coprì il viso con le mani.
Mi accucciai vicino a lui e inizia ad accarezzargli i capelli.
«Va tutto bene, amore», sussurrai vicino al suo viso.
Mi prese tra le sue braccia e mi strinse forte.
   
 
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