Chiedo scusa in anticipo per gli errori che di sicuro ci saranno e perchè non è stato scritto bene...grazie a chi leggerà comunque...
Voglia di normalità perte 2
Correvo senza
sosta da
qualche ora, ma non ero per niente stanca. Questo era uno dei
vantaggi nell'essere metà vampira. La fatica, come il tempo,
non ti
sfiora. Almeno non per una corsa, nel mio caso.
Ero a caccia. Perché è
questo ciò che ero una cacciatrice. E in quel momento come
ogni
predatrice che si rispetti ero a caccia della mia preda.
Poi le avvistai. Erano
solo in sette, ma sarebbero bastate. Sette alci stavano mangiando la
selva innevata ai loro piedi.
Dalla mia bocca uscì un
leggero suono, impercettibile per fortuna alle orecchie di quegli
animali. Di nuovo alce. Non è che non mi piacessero, ma era
la
decima volta in due mesi che mi nutrivo di alce, e il mio stomaco
reclamava qualcosa di più succulento ed invitante di un
semplice e
misero erbivoro. E l'odore che emanava i loro sangue non è
che
aiutasse. Mio padre aveva ragione: il sangue dei carnivori si
avvicinava di più a quello umano, e quindi per noi era
più
invitante. Ma di certo non potevo mettermi a rifiutare un pasto,
anche perché l'alternativa sarebbe stata mangiare cibo umano
e
l'idea non è che mi andasse molto a genio visto che sarei
dovuta
andare in qualche ristorante, morendo di fame( o per meglio dire di
sete) rischiando di saltare così al collo di qualcuno e
compromettendo la copertura della mia famiglia.
Cercai di non pensarci.
Anche per stavolta mi sarei dovuta accontentare. Pazienza.
Tentai di avvicinarmi il
più possibile alle alci, cercando di non fare rumore,
così che non
scappassero ancora prima di potermi avventare su una di loro.
La neve favoriva
l'acuirsi dei miei passi sul terreno. Una cosa positiva di una cosa
che odiavo.
Mi dispiaceva un po per
loro. Mi avrebbero vista arrivare ma non avrebbero potuto fare niente
contro di me, ma l'alternativa era peggiore, e poi si sa è
il cerchi
della vita. Anche se probabilmente io non ne avrei mai fatto parte.
Chiusi un attimo gli
occhi. Estraniai ogni cosa che mi stava intorno, concentrandomi solo
ed esclusivamente sulla mia preda. C'eravamo solo io e lei, il mio
pasto.
Respirai profondamente,
memorizzando il suo odore. Riaprii gli occhi cercando di calcolare la
distanza che mi separava da loro. La più vicina era a soli
tre metri
di distanza da me e non si era ancora accorta della mia presenza.
Povera. Calcolai ogni possibile via di fuga, ma erano
pressoché
inesistenti, l'unica era una via interrotta da un tronco di pino
caduto, e probabilmente sarebbe morta ancora prima di arrivarci. Bene
ero pronta. Fissai di nuovo quell'alce tranquilla, e saltai fuori dal
mio nascondiglio dietro la fitta boscaglia.
Prima che l'animale se ne
accorgesse ero sul suo collo, dissetandomi del suo sangue erbivoro.
Gli altri sei erano scappati appena mi ero avventata sul loro
compagno. Ma non mi importava. Appena finii con la prima cercai la
più vicina. Era poco distante, e faceva troppo rumore
perché non mi
accorgessi della sua presenza. Era come un invito per me, anche se mi
sarebbe piaciuto che resistessero un po di più. Ma che ci
potevo
fare, in fondo erano delle semplici prede. Mi avventai anche sulla
seconda e così sulla terza, prosciugandole interamente del
loro
sangue. Lasciai i loro corpi privi di vita a marcire sul terreno
ricoperto di neve, che probabilmente ne avrebbe solo rallentato la
decomposizione, se qualche altro predatore non li avesse trovati.
Sentii dei passi leggeri
dietro di me. Avanzavano lentamente verso la mia posizione. Una
ventata di vento mi mandò il profumi di chi appartenevano
quei
passi. Lo riconobbi immediatamente. Era lo stesso profumo della
persona che mi aveva tenuta in braccio e mi aveva insegnato molte
delle cose che sapevo. Mi voltai senza timore. “ Avevi molta
fame
stavolta tesoro”. Una figura alta e dalla voce suadente,
quasi
musicale parlò. I suoi occhi color oro fuso, che un tempo
avevano
avuto lo stesso color cioccolato dei miei, mi fissavano incuriositi e
allo stesso tempo divertiti. I lunghi capelli castani sembravano
quasi neri al contrasto con la pelle bianca e fredda. Le labbra di un
rosso intenso mi sorridevano felici. Il corpo della donna che mi
stava di fronte era perfetto anche nel più piccolo dettagli,
sembrava una statua di marmo raffigurante una dea greca, anzi forse
era anche più bella. Ogni parte di lei emanava
sensualità e allo
stesso tempo pericolo. Ma per me emanava semplicemente amore materno.
“Mamma non dovresti comparirmi così alle spalle.
Non quando sto
cacciando, sai bene che posso diventare pericolosa”.
Nonostante
glielo avessi ripetuto un'infinità di volte, e lei riuscisse
a
ricordarsi ogni singolo dettaglio di quando glielo avevo detto, lei
continuava sempre imperterrita ad arrivarmi alle spalle quando io
stavo cacciando. Ecco perché preferivo andare a caccia senza
di lei.
Continuava a fare finta di niente, “Anche se mi attaccassi
non è
che mi faresti poi così male”. Lei sorrise, io
sbuffai. “Non mi
tentare”. Tanto sapevo che la volta successiva l'avrebbe
rifatto.
Tanto valeva non sprecare fiato.
Un altro paio di passi si
avvicinò a noi. Sapevo già di chi erano. Nella
mia visuale entrò
una piccola figura che sembrava muoversi a passo di danza, come se si
trovasse in una sala da ballo con il parquet per terra e non in un
bosco innevato dell'Alaska. Uscì dall'ombra della fitta
boscaglia
senza emettere alcun suono, come se volasse, era incredibile con
quanta naturalezza riuscisse a farlo dopo quasi un secolo di
esercizio.
Anche lei sulle labbra
rosate un sorrisetto malizioso e divertito. Era incredibile quanto le
persone della mia famiglia prendessero alcune cose con molta
leggerezza. Forse a loro sembravano futili.
Aveva dei lisci capelli
neri che le arrivavano sin sotto le orecchie, dove portava due
meravigliosi orecchini a diamante( uno dei tanti regali di mio zio
per chissà quale motivo), anche lei aveva gli occhi di oro
fuso,
contornati da lunghissime ciglia nere. Ad ogni suo passo l'abito di
seta nera che indossava si muoveva dolcemente. “Allora
Nessie, sei
sazia?”. Sbuffai di nuovo. Va bene ero la piccolina della
famiglia,
ma non gli sembrava di esagerare? Insomma a volte mi sembrava che
fossero un tantino troppo, mmm come dire, ossessivi?
“Si zia Alice, ora
possiamo andare?” Non chiesi se loro avevano già
finito di
cacciare, lo potevo vedere tranquillamente dai loro occhi che sino a
poche ore prima erano quasi neri. “Va bene, staranno
iniziando a
preoccuparsi, siamo via da un po”. Disse mia madre con la sua
voce
musicale. A volte mi domandavo cosa avrebbe fatto la gente rivedendo
mia madre dopo sette anni e scoprendo che non era invecchiata di una
virgola. Probabilmente se fossimo rimasti in Alaska ancora qualche
anno l'avrei scoperto, ma probabilmente alla fine di quell'anno non
saremo stati più li. Cambiavamo residenza più o
meno ogni anno,
all'inizio anche di più perché crescevo troppo
velocemente e
avevano paura che la gente sospettasse di qualcosa, ma avevo smesso
di crescere da un anno, e il problema presto sarebbe stato contrario.
Guardai mia madre. Era diventata una vampira otto anni prima, quando
io ero nata. Non che non lo volesse diventare, ma quando aveva
scoperto di essere incinta aveva preferito aspettare. Eppure sapeva
benissimo cosa l'aspettava, o per lo meno i presagi. Dopo solo un
mese sembrava che fosse incinta da nove mesi, e ad ogni movimento che
facevo le spezzavo qualche costola, alla fine le avevo spezzato anche
la spina dorsale, e l'unica cosa che mio padre era riuscito a fare
era stata quella di trasformarla in un vampiro. Perché sin
dal primo
istante io non ero stata normale. Praticamente ero stata la fine
della vita umana di mia madre, e l'inizio della sua vita immortale.
La cosa straordinaria era che io riuscivo a ricordarmi tutto, ogni
istante scorreva nella mia memoria come una cassetta in replay.
Però
lei sembrava felice così, poteva stare accanto a mia padre
per il
resto dell'eternità. E io di certo non avevo speranze di non
essere
più figlia unica o le più piccola, visto che le
vampire non
potevano avere figli.
Respirai profondamente.
Mentre pensavo era passato solo un istante.
L'aria stava iniziando a
farsi pesante, e le nubi grige si stavano abbassando. Presto avrebbe
nevicato o nel migliore dei casi piovuto.
“Muoviamoci”. Dissi
semplicemente.
Iniziai a correre il più
veloce possibile, ma sapevo che mia madre e mia zia sarebbero state
comunque più veloci di me. Gli alberi scorrevano veloci
accanto a
me, come tutta la vegetazione che mi circondava, correvo veloce ma
non mi sbattevo a niente, i sensi che avevo ereditato da
papà erano
incredibili, riuscivo a scansare gli ostacoli solo pochi istanti
prima di andarci a sbattere. Mi era sempre piaciuta la
velocità, mi
faceva sentire libera.
Una goccia cadde sul mio
viso. Se non ci fossimo sbrigate ci saremo bagnate completamente. Ma
proprio mentre ci pensavo, stavo entrando nel vialetto di casa.
Un'enorme villa di legno
e pietre si stagliava di fronte a me. Era la casa dove io avevo
trascorso solo due anni ma dove i miei nonni c'erano da sette. Era
incantevole per qualsiasi occhio e anche confortevole. Aveva persino
un camino, peccato che non venisse mai utilizzato. La mia pelle era
troppo calda per sentire il freddo e quella dei membri della mia
famiglia troppo fredda per sentire il caldo.
Aveva delle enormi
vetrate sul davanti coperte da tende rosse molto spessa in modo che
da fuori non si potesse vedere cosa accadesse all'interno. Due rampe
di scale conducevano alla porta di ingresso, fatta di frassino
bianco. Era enorme, ma di certo non indistruttibile.
Una ventata mi portò un
profumo familiare. Erano settimane che non lo sentivo, era
incredibile quanto mi fosse mancato. Mi portò indietro di
anni, alla
prima volta che avevo visto la persona a cui apparteneva quel
profumo, all'inizio non mi aveva notata, ma quando l'aveva fatto non
aveva smesso di proteggermi. Mi ricordava il luogo in cui ero nata e
che ora sembrava un luogo molto lontano. Respirai ancora
profondamente.
“Che puzza di cane
bagnato”. Ecco come l'avevano sempre definito, un cane. Ma di
certo
per me quella non era puzza.
Non stetti ad ascoltare
la voce di mia zia. Sinceramente nemmeno quella di mia madre che
stava cercando di dirmi qualcosa. La mia felicità era alle
stelle.
Era tornato.
Corsi le scale il più
velocemente possibile e spalancai la porta di ingresso. Il suo
profumo era ovunque, impercettibile a naso umano, ma io di fatto non
lo ero. Mi ritrovai a pensare che probabilmente anche per lui non era
piacevole l'odore che i miei familiari davano a quell'ambiente.
Camminai verso il salotto dove il suo profumo conduceva. Lasciai la
porta spalanca sapendo che qualcuno l'avrebbe richiusa al posto mio.
Non controllai il suono
dei miei passi, ero troppo impaziente.
Entrai dell'enorme volte
che era l'ingresso del soggiorno. E prima ancora di accorgermi
dell'espressione divertita di mio padre e quella del resto della mia
famiglia, vidi lui. La sua pelle scura tipica degli indiani, i suoi
capelli neri corti, perché altrimenti anche il suo pelo
sarebbe
stato troppo lungo. Era impossibile che lo ignorassi. Era alto e
incredibilmente muscoloso. La sua pelle emanava venticinque gradi di
calore e lo sentivo nonostante fossi a qualche metro di distanza, i
suoi occhi neri mi fissavano come se io fossi il suo sole e io lo
fissavo allo stesso modo, perché non potevo ignorare i
miliardi di
fili indistruttibili che mi legavano indissolubilmente a lui. Era
ciò
che desideravo di più al mondo, senza cui niente avrebbe
avuto più
senso. Le sue labbra felici, mi attiravano a lui. “Ciao
Nessie”.
Il nomignolo che lui stesso mi aveva dato era musica per me e mi
attirava come se ora fossi diventata io la preda.
“Jacob”. Urlai
annullando la distanza che ci separava e gli saltai al collo. Ero
completamente bagnata, ma non gli importava, le sue braccia mi
stringevano come se non mi volessero più farmi andare via ed
io ero
felice di questo, perché non l'avrei più voluto
lasciare.
Alle mie spalle una finta
voce preoccupata stava dicendo. “Jacob, non è che
rimetteresti giù
Reneesme, per favore, prima che si faccia male?”. Mia madre
aveva
l'abitudine di chiamarmi con il mio nome completo quando si rivolgeva
a Jake, e sopratutto non le piaceva quando gli saltavo addosso
così
e lui ricambiava. Era stato così dal primo istante e non era
mai
finito. Aveva pure tentato di staccargli la testa quando l'aveva
scoperto, solo per il fatto che io avevo appena tre giorni. Ma in
realtà non era nemmeno stata colpa di Jacob, l'imprinting
era
qualcosa di imprevisto che capitava “ raramente”
tra quelli come
lui, ma era successo. Nell'istante in cui ci eravamo visti per la
prima volta eravamo stati legati da qualcosa che probabilmente non ci
avrebbe permesso di separarci, ed io al contrario della mia famiglia
era contenta di questo, probabilmente era l'unica cosa di cui fossi
del tutto certa. Ma mia madre odiava questa cosa, per lei ero ancora
una bambina, e anagraficamente lo ero, ma fisicamente e mentalmente
no, ero così e non potevo cambiare. Sapevo che anche lei
voleva bene
a Jacob, era il suo migliore amico, e quando mio padre l'aveva
lasciata era stato lui a salvarla e lei aveva iniziato ad amarlo, ma
mio padre era tornato e per lei era ciò che per me ora era
Jake, la
persona più importante. Alla mia nascita tutto quell'amore
era
finito per Jacob perché lo possedevo io, ma per lei era
rimasto
comunque importante, lo definiva il suo testimone di nozze. Sin
dall'inizio voleva che ci considerassimo come una famiglia, ma non
nel modo che di certo speravo io. E così ogni volta tentava
di
separarci, sperando invano che qualcosa sarebbe cambiata col tempo.
Jacob mi mise giù
svogliatamente. Anche se non potevo leggergli nel pensiero sapevo che
non avrebbe voluto lasciarmi, proprio come io non volevo lasciare
lui. “Ehi, Bella, non sei cambiata per niente”.
Disse
scherzosamente rivolgendosi a mia madre. Si si chiamava Bella, per la
precisione, Isabella Cullen, ma preferiva che la chiamassero con il
suo diminutivo, tranne io. Io la dovevo chiamare solo mamma, ed era
anche abbastanza imbarazzante quando eravamo in pubblico visto che
dimostravamo la stessa età. Era incredibile quanto potesse
essere
cocciuta alle volte.
“Nemmeno tu, vedo che
continui a trasformarti”. Jacob si poteva trasformare in un
lupo,
era un muta-forma. Nella sua famiglia tutti avevano quel gene, ma si
attivava solo in presenza di vampiri, così quando alcuni
anni prima
i membri della mia famiglia erano comparsi vicino alla riserva
indiana dove abitava, alcuni ragazzi avevano iniziato la loro
mutazione, compreso Jake. Non che questo a lui ora desse fastidio,
non più ormai. La mutazione gli permetteva di vivere quanto
un
vampiro e di rimanere sempre giovane, almeno sino a quando non
decideva di smettere di trasformarsi per sempre, e riniziare ad
invecchiare. Probabilmente lui avrebbe continuato ad avere
quell'aspetto per sempre, e mamma lo sapeva bene.
Non lo vedevamo dalle
nostre vacanze in sud America, dove era venuto anche lui, ma poi era
dovuto ritornare, senza dirmi per quale motivo, e sinceramente avevo
paura di saperlo. Non mi piaceva che le cose mi venissero tenute
nascoste, ma dalla faccia che faceva alle volte mi passava la voglia
di chiederglielo nel timore di sapere qualcosa che lo avrebbe
allontanato da me.
Ora ero felice che fosse
li e niente avrebbe potuto togliermi quella felicità, almeno
così
credevo.
“Come mai sei qua? E
come hai fatto ad arrivare?”. Gli chiesi curiosa. Era vero
non
avevo visto la sua moto parcheggiata fuori, ma ancora prima che mi
rispondesse sapevo già la risposta. “Ho corso sino
a qui, e devo
dire che è stato anche abbastanza divertente. E poi non
posso venire
a visitarti qualche volta?”. Mi fissava come un cieco che
vede la
luce per la prima volta. Non mi sfiorava ma avrebbe voluto farlo. Lo
guardavo con la sua stessa espressione e sapevo che tutti in quella
stanza se ne erano accorti. “Certo che puoi”. Il
mio tono era
dolce. Mi voltai a fissare la mia famiglia, sapevo che non avrebbero
osato contraddirmi in quel momento. Poi vidi il volti da
diciassettenne di mio padre. I capelli ramati erano in disordine
sulla sua testa, gli occhi oro fuso mi guardavano attenti, sembrava
un modello uscito da una rivista, ma non ne rimasi scioccata, ero
abituata. Il volto da ragazzo era concentrato su qualcosa che nessuno
avrebbe mai dovuto vedere o sentire. Una rabbia cieca si
impossessò
di me. Sapevo cosa stava facendo, e non mi era mai piaciuto, lo
sapeva bene. Bloccai i miei pensieri, perché era questo che
stava
leggendo. Mio padre aveva delle capacità incredibili, come
altri
membri della mia famiglia compresa me, ma mi innervosiva che qualcuno
leggesse i miei pensieri senza il mio consenso. Con il tempo avevo
imparato a bloccarli in modo che non riuscisse a sentirli, avevo
imparato a deviali in altre direzioni della mia immaginazione, eppure
lui continuava ed intrufolarsi in qualcosa che era privato, off
limits. Non osare leggermi nel pensiero, non intrufolarti
nella
mia mente senza il mio permesso, VATTENE.
Gli urlai mentalmente. Ora il suo volto era offeso lo vedevo bene, ma
io ero furiosa, se l'avesse fatto di nuovo, non mi sarebbe importato
se era mio padre o no, avrei messo in pratica ciò che le
amazzoni
della foresta Amazzonica mi avevano insegnato l'anno precedente,
sarei diventata il suo incubo peggiore. La sua espressione
cambiò di
nuovo, non era impaurita, ma pensierosa, sapeva che l'avrei fatto e
non osava, ma probabilmente credeva che poi mi sarei pentita.
Cercai
di fermare i miei pensieri su Jacob. Me ne sarei dovuta andare da
qualche altra parte se avessi voluto pensarci, e di certo quello non
era il momento.
“Per
quanto tempo ti fermi?”. La voce di papà era
impassibile. Era un
ottimo attore,e di sicuro non voleva far sapere a tutti gli altri la
minaccia che gli avevo fatto pochi istanti prima. Purtroppo sapeva
anche cosa stava pensando Jake e questo non favoriva la situazione.
“Ancora non lo so, per ora non ho impegni”. La voce
di Jacob era
divertita, gli piaceva stuzzicare mio padre, probabilmente stava
pensando a qualcosa che non avrebbe dovuto, perché vedevo la
faccia
di papà cambiare espressione, ed improvvisamente sentii un
ringhio
salirgli dalla gola. Era un suono orribile e allo stesso tempo
divertente, avrei dato qualsiasi cosa per avere il potere di mio
padre in quel momento. “Jacob niente e nessuno ti da il
permesso di
pensare un cosa del genere e ti conviene non innervosirmi,
perché
anche se non ti posso tenere lontano da lei quanto vorrei, posso
sempre buttarti fuori da questa casa, quindi non scherzare con il
fuoco o te ne pentirai”. La voce di mio padre era minacciosa,
pericolosamente minacciosa,ma il volto di Jake non era per niente
impaurito. Certo lo ero io per tutte e due, sapevo che le minacce di
mio padre erano reali quanto le mie, e un brivido freddo mi percorse
la schiena facendomi tremare. “Stai bene?”. Mi
chiese dolcemente
la voce apprensiva di Jacob. Lo guardai. Era preoccupato per me.
“Si,
si stai tranquillo”. Gli risposi a voce bassa, anche se
sapevo che
tutti in quella stanza mi avrebbero potuta sentire.
Mi posò la sua mano
calda sulla schiena come per tranquillizzarmi, ignorando il fatto che
mia madre lo guardasse come se gli volesse staccare quella mano. Mi
dovetti spostare di malavoglia prima di riniziare a tremare, stavolta
non per la paura, ma per il piacere. Tentai di non pensarci. Avrei
voluto rimanere da sola con lui, senza che nessuno potesse guardarci
e pensare che non andava bene, o leggerci nel pensiero e minacciarci
se facevamo qualche pensiero sconveniente. In quel momento avrei dato
di tutto per essere normale, perché tutti fossimo normali,
ma
sfortunatamente non era così, e nessuno di certo ci avrebbe
mai
lasciati soli.
Gli sorrisi dolcemente.
“Allora che vuoi fare?”.
Non so ancora quando riuscirò ad aggiornare perchè in questa settimana probabilmente non farò altro che studiare...cercherò comunque di fare il prima possibile