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Autore: kyssy    24/01/2011    1 recensioni
Dopo tutto quello che hanno passato, Bella e Edward si aspettano di vivere felici e contenti per l'eternità, ma non è così. La figlia Nessie rivela di aver ereditato dalla madre, oltre gli occhi, tutta la sua testardaggine. Non solo: un bel lupo di nome Jacob e l'ostilità dei Volturi. Ed entrambi costituiscono un problema per la famiglia Cullen. Da che parte starà Nessie?
Dal prologo:
"Quegli intensi occhi rossi mi fissano minacciosi. Hanno sete, ma non del mio sangue misto ma di quello della persona più importante per me."
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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Chiedo scusa in anticipo per gli errori che di sicuro ci saranno e perchè non è stato scritto bene...grazie a chi leggerà comunque...

Voglia di normalità perte 2

Correvo senza sosta da qualche ora, ma non ero per niente stanca. Questo era uno dei vantaggi nell'essere metà vampira. La fatica, come il tempo, non ti sfiora. Almeno non per una corsa, nel mio caso.
Ero a caccia. Perché è questo ciò che ero una cacciatrice. E in quel momento come ogni predatrice che si rispetti ero a caccia della mia preda.
Poi le avvistai. Erano solo in sette, ma sarebbero bastate. Sette alci stavano mangiando la selva innevata ai loro piedi.
Dalla mia bocca uscì un leggero suono, impercettibile per fortuna alle orecchie di quegli animali. Di nuovo alce. Non è che non mi piacessero, ma era la decima volta in due mesi che mi nutrivo di alce, e il mio stomaco reclamava qualcosa di più succulento ed invitante di un semplice e misero erbivoro. E l'odore che emanava i loro sangue non è che aiutasse. Mio padre aveva ragione: il sangue dei carnivori si avvicinava di più a quello umano, e quindi per noi era più invitante. Ma di certo non potevo mettermi a rifiutare un pasto, anche perché l'alternativa sarebbe stata mangiare cibo umano e l'idea non è che mi andasse molto a genio visto che sarei dovuta andare in qualche ristorante, morendo di fame( o per meglio dire di sete) rischiando di saltare così al collo di qualcuno e compromettendo la copertura della mia famiglia.
Cercai di non pensarci. Anche per stavolta mi sarei dovuta accontentare. Pazienza.
Tentai di avvicinarmi il più possibile alle alci, cercando di non fare rumore, così che non scappassero ancora prima di potermi avventare su una di loro.
La neve favoriva l'acuirsi dei miei passi sul terreno. Una cosa positiva di una cosa che odiavo.
Mi dispiaceva un po per loro. Mi avrebbero vista arrivare ma non avrebbero potuto fare niente contro di me, ma l'alternativa era peggiore, e poi si sa è il cerchi della vita. Anche se probabilmente io non ne avrei mai fatto parte.
Chiusi un attimo gli occhi. Estraniai ogni cosa che mi stava intorno, concentrandomi solo ed esclusivamente sulla mia preda. C'eravamo solo io e lei, il mio pasto.
Respirai profondamente, memorizzando il suo odore. Riaprii gli occhi cercando di calcolare la distanza che mi separava da loro. La più vicina era a soli tre metri di distanza da me e non si era ancora accorta della mia presenza. Povera. Calcolai ogni possibile via di fuga, ma erano pressoché inesistenti, l'unica era una via interrotta da un tronco di pino caduto, e probabilmente sarebbe morta ancora prima di arrivarci. Bene ero pronta. Fissai di nuovo quell'alce tranquilla, e saltai fuori dal mio nascondiglio dietro la fitta boscaglia.
Prima che l'animale se ne accorgesse ero sul suo collo, dissetandomi del suo sangue erbivoro. Gli altri sei erano scappati appena mi ero avventata sul loro compagno. Ma non mi importava. Appena finii con la prima cercai la più vicina. Era poco distante, e faceva troppo rumore perché non mi accorgessi della sua presenza. Era come un invito per me, anche se mi sarebbe piaciuto che resistessero un po di più. Ma che ci potevo fare, in fondo erano delle semplici prede. Mi avventai anche sulla seconda e così sulla terza, prosciugandole interamente del loro sangue. Lasciai i loro corpi privi di vita a marcire sul terreno ricoperto di neve, che probabilmente ne avrebbe solo rallentato la decomposizione, se qualche altro predatore non li avesse trovati.
Sentii dei passi leggeri dietro di me. Avanzavano lentamente verso la mia posizione. Una ventata di vento mi mandò il profumi di chi appartenevano quei passi. Lo riconobbi immediatamente. Era lo stesso profumo della persona che mi aveva tenuta in braccio e mi aveva insegnato molte delle cose che sapevo. Mi voltai senza timore. “ Avevi molta fame stavolta tesoro”. Una figura alta e dalla voce suadente, quasi musicale parlò. I suoi occhi color oro fuso, che un tempo avevano avuto lo stesso color cioccolato dei miei, mi fissavano incuriositi e allo stesso tempo divertiti. I lunghi capelli castani sembravano quasi neri al contrasto con la pelle bianca e fredda. Le labbra di un rosso intenso mi sorridevano felici. Il corpo della donna che mi stava di fronte era perfetto anche nel più piccolo dettagli, sembrava una statua di marmo raffigurante una dea greca, anzi forse era anche più bella. Ogni parte di lei emanava sensualità e allo stesso tempo pericolo. Ma per me emanava semplicemente amore materno. “Mamma non dovresti comparirmi così alle spalle. Non quando sto cacciando, sai bene che posso diventare pericolosa”. Nonostante glielo avessi ripetuto un'infinità di volte, e lei riuscisse a ricordarsi ogni singolo dettaglio di quando glielo avevo detto, lei continuava sempre imperterrita ad arrivarmi alle spalle quando io stavo cacciando. Ecco perché preferivo andare a caccia senza di lei. Continuava a fare finta di niente, “Anche se mi attaccassi non è che mi faresti poi così male”. Lei sorrise, io sbuffai. “Non mi tentare”. Tanto sapevo che la volta successiva l'avrebbe rifatto. Tanto valeva non sprecare fiato.
Un altro paio di passi si avvicinò a noi. Sapevo già di chi erano. Nella mia visuale entrò una piccola figura che sembrava muoversi a passo di danza, come se si trovasse in una sala da ballo con il parquet per terra e non in un bosco innevato dell'Alaska. Uscì dall'ombra della fitta boscaglia senza emettere alcun suono, come se volasse, era incredibile con quanta naturalezza riuscisse a farlo dopo quasi un secolo di esercizio.
Anche lei sulle labbra rosate un sorrisetto malizioso e divertito. Era incredibile quanto le persone della mia famiglia prendessero alcune cose con molta leggerezza. Forse a loro sembravano futili.
Aveva dei lisci capelli neri che le arrivavano sin sotto le orecchie, dove portava due meravigliosi orecchini a diamante( uno dei tanti regali di mio zio per chissà quale motivo), anche lei aveva gli occhi di oro fuso, contornati da lunghissime ciglia nere. Ad ogni suo passo l'abito di seta nera che indossava si muoveva dolcemente. “Allora Nessie, sei sazia?”. Sbuffai di nuovo. Va bene ero la piccolina della famiglia, ma non gli sembrava di esagerare? Insomma a volte mi sembrava che fossero un tantino troppo, mmm come dire, ossessivi?
“Si zia Alice, ora possiamo andare?” Non chiesi se loro avevano già finito di cacciare, lo potevo vedere tranquillamente dai loro occhi che sino a poche ore prima erano quasi neri. “Va bene, staranno iniziando a preoccuparsi, siamo via da un po”. Disse mia madre con la sua voce musicale. A volte mi domandavo cosa avrebbe fatto la gente rivedendo mia madre dopo sette anni e scoprendo che non era invecchiata di una virgola. Probabilmente se fossimo rimasti in Alaska ancora qualche anno l'avrei scoperto, ma probabilmente alla fine di quell'anno non saremo stati più li. Cambiavamo residenza più o meno ogni anno, all'inizio anche di più perché crescevo troppo velocemente e avevano paura che la gente sospettasse di qualcosa, ma avevo smesso di crescere da un anno, e il problema presto sarebbe stato contrario. Guardai mia madre. Era diventata una vampira otto anni prima, quando io ero nata. Non che non lo volesse diventare, ma quando aveva scoperto di essere incinta aveva preferito aspettare. Eppure sapeva benissimo cosa l'aspettava, o per lo meno i presagi. Dopo solo un mese sembrava che fosse incinta da nove mesi, e ad ogni movimento che facevo le spezzavo qualche costola, alla fine le avevo spezzato anche la spina dorsale, e l'unica cosa che mio padre era riuscito a fare era stata quella di trasformarla in un vampiro. Perché sin dal primo istante io non ero stata normale. Praticamente ero stata la fine della vita umana di mia madre, e l'inizio della sua vita immortale. La cosa straordinaria era che io riuscivo a ricordarmi tutto, ogni istante scorreva nella mia memoria come una cassetta in replay. Però lei sembrava felice così, poteva stare accanto a mia padre per il resto dell'eternità. E io di certo non avevo speranze di non essere più figlia unica o le più piccola, visto che le vampire non potevano avere figli.
Respirai profondamente. Mentre pensavo era passato solo un istante.
L'aria stava iniziando a farsi pesante, e le nubi grige si stavano abbassando. Presto avrebbe nevicato o nel migliore dei casi piovuto.
“Muoviamoci”. Dissi semplicemente.
Iniziai a correre il più veloce possibile, ma sapevo che mia madre e mia zia sarebbero state comunque più veloci di me. Gli alberi scorrevano veloci accanto a me, come tutta la vegetazione che mi circondava, correvo veloce ma non mi sbattevo a niente, i sensi che avevo ereditato da papà erano incredibili, riuscivo a scansare gli ostacoli solo pochi istanti prima di andarci a sbattere. Mi era sempre piaciuta la velocità, mi faceva sentire libera.
Una goccia cadde sul mio viso. Se non ci fossimo sbrigate ci saremo bagnate completamente. Ma proprio mentre ci pensavo, stavo entrando nel vialetto di casa.
Un'enorme villa di legno e pietre si stagliava di fronte a me. Era la casa dove io avevo trascorso solo due anni ma dove i miei nonni c'erano da sette. Era incantevole per qualsiasi occhio e anche confortevole. Aveva persino un camino, peccato che non venisse mai utilizzato. La mia pelle era troppo calda per sentire il freddo e quella dei membri della mia famiglia troppo fredda per sentire il caldo.
Aveva delle enormi vetrate sul davanti coperte da tende rosse molto spessa in modo che da fuori non si potesse vedere cosa accadesse all'interno. Due rampe di scale conducevano alla porta di ingresso, fatta di frassino bianco. Era enorme, ma di certo non indistruttibile.
Una ventata mi portò un profumo familiare. Erano settimane che non lo sentivo, era incredibile quanto mi fosse mancato. Mi portò indietro di anni, alla prima volta che avevo visto la persona a cui apparteneva quel profumo, all'inizio non mi aveva notata, ma quando l'aveva fatto non aveva smesso di proteggermi. Mi ricordava il luogo in cui ero nata e che ora sembrava un luogo molto lontano. Respirai ancora profondamente.
“Che puzza di cane bagnato”. Ecco come l'avevano sempre definito, un cane. Ma di certo per me quella non era puzza.
Non stetti ad ascoltare la voce di mia zia. Sinceramente nemmeno quella di mia madre che stava cercando di dirmi qualcosa. La mia felicità era alle stelle. Era tornato.
Corsi le scale il più velocemente possibile e spalancai la porta di ingresso. Il suo profumo era ovunque, impercettibile a naso umano, ma io di fatto non lo ero. Mi ritrovai a pensare che probabilmente anche per lui non era piacevole l'odore che i miei familiari davano a quell'ambiente. Camminai verso il salotto dove il suo profumo conduceva. Lasciai la porta spalanca sapendo che qualcuno l'avrebbe richiusa al posto mio.
Non controllai il suono dei miei passi, ero troppo impaziente.
Entrai dell'enorme volte che era l'ingresso del soggiorno. E prima ancora di accorgermi dell'espressione divertita di mio padre e quella del resto della mia famiglia, vidi lui. La sua pelle scura tipica degli indiani, i suoi capelli neri corti, perché altrimenti anche il suo pelo sarebbe stato troppo lungo. Era impossibile che lo ignorassi. Era alto e incredibilmente muscoloso. La sua pelle emanava venticinque gradi di calore e lo sentivo nonostante fossi a qualche metro di distanza, i suoi occhi neri mi fissavano come se io fossi il suo sole e io lo fissavo allo stesso modo, perché non potevo ignorare i miliardi di fili indistruttibili che mi legavano indissolubilmente a lui. Era ciò che desideravo di più al mondo, senza cui niente avrebbe avuto più senso. Le sue labbra felici, mi attiravano a lui. “Ciao Nessie”. Il nomignolo che lui stesso mi aveva dato era musica per me e mi attirava come se ora fossi diventata io la preda. “Jacob”. Urlai annullando la distanza che ci separava e gli saltai al collo. Ero completamente bagnata, ma non gli importava, le sue braccia mi stringevano come se non mi volessero più farmi andare via ed io ero felice di questo, perché non l'avrei più voluto lasciare.
Alle mie spalle una finta voce preoccupata stava dicendo. “Jacob, non è che rimetteresti giù Reneesme, per favore, prima che si faccia male?”. Mia madre aveva l'abitudine di chiamarmi con il mio nome completo quando si rivolgeva a Jake, e sopratutto non le piaceva quando gli saltavo addosso così e lui ricambiava. Era stato così dal primo istante e non era mai finito. Aveva pure tentato di staccargli la testa quando l'aveva scoperto, solo per il fatto che io avevo appena tre giorni. Ma in realtà non era nemmeno stata colpa di Jacob, l'imprinting era qualcosa di imprevisto che capitava “ raramente” tra quelli come lui, ma era successo. Nell'istante in cui ci eravamo visti per la prima volta eravamo stati legati da qualcosa che probabilmente non ci avrebbe permesso di separarci, ed io al contrario della mia famiglia era contenta di questo, probabilmente era l'unica cosa di cui fossi del tutto certa. Ma mia madre odiava questa cosa, per lei ero ancora una bambina, e anagraficamente lo ero, ma fisicamente e mentalmente no, ero così e non potevo cambiare. Sapevo che anche lei voleva bene a Jacob, era il suo migliore amico, e quando mio padre l'aveva lasciata era stato lui a salvarla e lei aveva iniziato ad amarlo, ma mio padre era tornato e per lei era ciò che per me ora era Jake, la persona più importante. Alla mia nascita tutto quell'amore era finito per Jacob perché lo possedevo io, ma per lei era rimasto comunque importante, lo definiva il suo testimone di nozze. Sin dall'inizio voleva che ci considerassimo come una famiglia, ma non nel modo che di certo speravo io. E così ogni volta tentava di separarci, sperando invano che qualcosa sarebbe cambiata col tempo.
Jacob mi mise giù svogliatamente. Anche se non potevo leggergli nel pensiero sapevo che non avrebbe voluto lasciarmi, proprio come io non volevo lasciare lui. “Ehi, Bella, non sei cambiata per niente”. Disse scherzosamente rivolgendosi a mia madre. Si si chiamava Bella, per la precisione, Isabella Cullen, ma preferiva che la chiamassero con il suo diminutivo, tranne io. Io la dovevo chiamare solo mamma, ed era anche abbastanza imbarazzante quando eravamo in pubblico visto che dimostravamo la stessa età. Era incredibile quanto potesse essere cocciuta alle volte.
“Nemmeno tu, vedo che continui a trasformarti”. Jacob si poteva trasformare in un lupo, era un muta-forma. Nella sua famiglia tutti avevano quel gene, ma si attivava solo in presenza di vampiri, così quando alcuni anni prima i membri della mia famiglia erano comparsi vicino alla riserva indiana dove abitava, alcuni ragazzi avevano iniziato la loro mutazione, compreso Jake. Non che questo a lui ora desse fastidio, non più ormai. La mutazione gli permetteva di vivere quanto un vampiro e di rimanere sempre giovane, almeno sino a quando non decideva di smettere di trasformarsi per sempre, e riniziare ad invecchiare. Probabilmente lui avrebbe continuato ad avere quell'aspetto per sempre, e mamma lo sapeva bene.
Non lo vedevamo dalle nostre vacanze in sud America, dove era venuto anche lui, ma poi era dovuto ritornare, senza dirmi per quale motivo, e sinceramente avevo paura di saperlo. Non mi piaceva che le cose mi venissero tenute nascoste, ma dalla faccia che faceva alle volte mi passava la voglia di chiederglielo nel timore di sapere qualcosa che lo avrebbe allontanato da me.
Ora ero felice che fosse li e niente avrebbe potuto togliermi quella felicità, almeno così credevo.
“Come mai sei qua? E come hai fatto ad arrivare?”. Gli chiesi curiosa. Era vero non avevo visto la sua moto parcheggiata fuori, ma ancora prima che mi rispondesse sapevo già la risposta. “Ho corso sino a qui, e devo dire che è stato anche abbastanza divertente. E poi non posso venire a visitarti qualche volta?”. Mi fissava come un cieco che vede la luce per la prima volta. Non mi sfiorava ma avrebbe voluto farlo. Lo guardavo con la sua stessa espressione e sapevo che tutti in quella stanza se ne erano accorti. “Certo che puoi”. Il mio tono era dolce. Mi voltai a fissare la mia famiglia, sapevo che non avrebbero osato contraddirmi in quel momento. Poi vidi il volti da diciassettenne di mio padre. I capelli ramati erano in disordine sulla sua testa, gli occhi oro fuso mi guardavano attenti, sembrava un modello uscito da una rivista, ma non ne rimasi scioccata, ero abituata. Il volto da ragazzo era concentrato su qualcosa che nessuno avrebbe mai dovuto vedere o sentire. Una rabbia cieca si impossessò di me. Sapevo cosa stava facendo, e non mi era mai piaciuto, lo sapeva bene. Bloccai i miei pensieri, perché era questo che stava leggendo. Mio padre aveva delle capacità incredibili, come altri membri della mia famiglia compresa me, ma mi innervosiva che qualcuno leggesse i miei pensieri senza il mio consenso. Con il tempo avevo imparato a bloccarli in modo che non riuscisse a sentirli, avevo imparato a deviali in altre direzioni della mia immaginazione, eppure lui continuava ed intrufolarsi in qualcosa che era privato, off limits. Non osare leggermi nel pensiero, non intrufolarti nella mia mente senza il mio permesso, VATTENE. Gli urlai mentalmente. Ora il suo volto era offeso lo vedevo bene, ma io ero furiosa, se l'avesse fatto di nuovo, non mi sarebbe importato se era mio padre o no, avrei messo in pratica ciò che le amazzoni della foresta Amazzonica mi avevano insegnato l'anno precedente, sarei diventata il suo incubo peggiore. La sua espressione cambiò di nuovo, non era impaurita, ma pensierosa, sapeva che l'avrei fatto e non osava, ma probabilmente credeva che poi mi sarei pentita.
Cercai di fermare i miei pensieri su Jacob. Me ne sarei dovuta andare da qualche altra parte se avessi voluto pensarci, e di certo quello non era il momento.
“Per quanto tempo ti fermi?”. La voce di papà era impassibile. Era un ottimo attore,e di sicuro non voleva far sapere a tutti gli altri la minaccia che gli avevo fatto pochi istanti prima. Purtroppo sapeva anche cosa stava pensando Jake e questo non favoriva la situazione. “Ancora non lo so, per ora non ho impegni”. La voce di Jacob era divertita, gli piaceva stuzzicare mio padre, probabilmente stava pensando a qualcosa che non avrebbe dovuto, perché vedevo la faccia di papà cambiare espressione, ed improvvisamente sentii un ringhio salirgli dalla gola. Era un suono orribile e allo stesso tempo divertente, avrei dato qualsiasi cosa per avere il potere di mio padre in quel momento. “Jacob niente e nessuno ti da il permesso di pensare un cosa del genere e ti conviene non innervosirmi, perché anche se non ti posso tenere lontano da lei quanto vorrei, posso sempre buttarti fuori da questa casa, quindi non scherzare con il fuoco o te ne pentirai”. La voce di mio padre era minacciosa, pericolosamente minacciosa,ma il volto di Jake non era per niente impaurito. Certo lo ero io per tutte e due, sapevo che le minacce di mio padre erano reali quanto le mie, e un brivido freddo mi percorse la schiena facendomi tremare. “Stai bene?”. Mi chiese dolcemente la voce apprensiva di Jacob. Lo guardai. Era preoccupato per me. “Si, si stai tranquillo”. Gli risposi a voce bassa, anche se sapevo che tutti in quella stanza mi avrebbero potuta sentire.
Mi posò la sua mano calda sulla schiena come per tranquillizzarmi, ignorando il fatto che mia madre lo guardasse come se gli volesse staccare quella mano. Mi dovetti spostare di malavoglia prima di riniziare a tremare, stavolta non per la paura, ma per il piacere. Tentai di non pensarci. Avrei voluto rimanere da sola con lui, senza che nessuno potesse guardarci e pensare che non andava bene, o leggerci nel pensiero e minacciarci se facevamo qualche pensiero sconveniente. In quel momento avrei dato di tutto per essere normale, perché tutti fossimo normali, ma sfortunatamente non era così, e nessuno di certo ci avrebbe mai lasciati soli.
Gli sorrisi dolcemente. “Allora che vuoi fare?”.

Non so ancora quando riuscirò ad aggiornare perchè in questa settimana probabilmente non farò altro che studiare...cercherò comunque di fare il prima possibile

  
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