BEFORE THE WORST— CAPITOLO1
Bad Morning
La giornata di Kurogane era iniziata decisamente male, tanto male che ora
scarabocchiava borbottando la data di quel giorno su tutta la pagina
dell’agenda, con tanto di sopracciglioni aggrottati e smorfia di sufficienza in
allegato.
Ma no, non era la vita in ufficio ad averlo reso decisamente più
scorbutico del solito, anche se effettivamente voleva proprio smetterla col
doversi continuamente limitare in una routine noiosa e grigia, ma ormai si era
abituato anche a questo, pertanto non si sentiva nemmeno tanto oppresso
ormai.
Più che altro era l'ingiunzione di sfratto che gli aveva notificato
quella mattina la nuova moglie del proprietario dell'appartamento ad avergli
abbuiato di più il suo umore già normalmente nero.
E ora scriveva la data del
venti dicembre ovunque sulla sua agenda, come se non fosse già presente.
E
quindi qualunque cosa, anche la più infinitesimale gli dava fastidio. Dal fatto
che quel dannato stagista della scrivania accanto —del quale non gli fregava
nemmeno di sapere il nome— tamburellava nervosamente sulla tastiera del pc con
troppa insistenza, arrivando anche a quel verme viscido di Fuuma, che sedeva
alla scrivania di fronte che aveva già venduto più di sedici assicurazioni
inconcludenti a chissà quale assonnato e rincoglionito vecchietto nel giro di
una mattinata, e ora stava tranquillo con i piedi sul tavolo e la tastiera sulle
ginocchia, mentre ciarlava con un’altra vecchia sui vantaggi, inesistenti, di
adottare un’altra opzione assicurativa.
Anche la sola esistenza di
quell’essere lì davanti gli urtava il sistema nervoso e più di ogni altra cosa
gli faceva impazzire il sangue al cervello e tanto per cambiare gli veniva
voglia di menare le mani.
«Kurogane?» il suo capo, una donna piuttosto
risoluta e dispotica, che comunque continuava ad essere molto cordiale quando si
ricordava di farlo, lo scosse da quel flusso di pensieri che a lungo andare gli
avrebbe intimato di colpire in viso quell'idiota che picchiava sulla
tastiera.
«Mh?» trasalì alzando la testa dalla sua agenda.
«Senti
Kurogane, io ho una riunione con quelli del personale stasera, dovresti
accompagnare mia sorella e i suoi amici a una galleria d'arte.» sorrise.
«Mi
prendi in giro?» brontolò il moro senza nemmeno rispettare lontanamente le
gerarchie. «Amaterasu! Io odio andare in giro coi mocciosi amici di tua
sorella!» borbottò. «Inoltre quella Sakura o come si chiama lei non ha un
fratello più grande?» aggiunse brontolando ancora.
«Su, Kurogane! Prometto di
lasciarti il weekend libero!» sussurrò lei giungendo le mani come in
preghiera.
Kurogane strinse le labbra e affilò lo sguardo. «Devo ricordarti
l'ultima volta che io sono stato costretto a uscire con quei mocciosi? Ho dovuto
accompagnarli per vedere quel maledetto film stucchevole!».
«Beh loro
volevano andarsi a vedere i Transformers, peccato che la sala era piena e siete
dovuti andare per forza a vedere Ghost!l» replicò lei.
«Su, non vorrai mica
che faccia vedere le foto dello scorso carnevale ai tuoi colleghi?» sogghignò
lei.
Una vena sulla fronte del moro si gonfiò all'improvviso. «Non vale se
minacci, però!» sibilò.
«Dai vacci, per favore! Fallo per Tomoyo!»
ripeté.
«Dannata strega!» bofonchiò appena, avrebbe fatto qualunque cosa per
quella mocciosa. «Ngh! D'accordo!» cedette infine.
«Dai che esci anche in
anticipo, oggi! Se fossi sposato, tua moglie sarebbe contenta!» sorrise lei con
un ammiccamento decisamente agghiacciante.
«Devo passare a prendere i
mocciosi a scuola o il fratello di Sakura si degna almeno di accompagnarli?»
borbottò ancora alzandosi e recuperando la giacca. Era abbastanza innaturale
portarsi tre mocciosi su una moto. «Nemmeno avessi un sidecar io!».
«Sarà ora
che ti compri una macchina, Kurogane?» replicò lei.
«Vorrei vedere te
attraversare la città per venire a lavorare! Io devo star qui di mattina presto!
Tu puoi fare con calma! Io devo per forza avere una moto!» continuò a dire
inalberandosi procedendo verso il corridoio.
«Esiste la metro...» gli fece
notare lei sogghignando ancora mentre elegantemente ancheggiava verso il suo
ufficio. «Sai? Siamo in Giappone, Kurogane, esistono dei mezzi pubblici
incredibilmente efficienti!».
«Guarda quante storie fai! Bada che non
accompagno tua sorella a quella stramaledetta mostra!» grugnì fermandosi proprio
davanti alla porta che recava il nome della donna in chiare lettere laccate su
una .
Lei non sembrò tanto toccata da quella specie di minaccia e tornò
sull‘argomento. «Comunque sì, alla galleria li accompagna Touya!».
«Mh e
cos'avrà di tanto interessante da fare da non poter restare lui coi tre
mocciosi?» brontolò ancora.
«Secondo te?» gli rivolse un‘occhiatina strana
d‘intesa. «Dovrà uscire con Yukito, che vuoi che ne sappia io?» mugugnò lei
tirando fuori un depliant dalla tasca del tailleur bordeaux. «Comunque la
galleria è questa, ci sono tutte le informazioni che ti servono e ti ho anche
scritto a che ora devi incontrarti con loro».
«Mh. Fantastico!» bofonchiò
sarcastico mentre notava con un certo dispiacere che si trattava di una mostra
d'arte contemporanea di un artista noto in tutto il mondo dal nome
impronunciabile! Per giunta cadeva proprio quel giorno l'apertura ufficiale! E
per non finire, visto che ci mancava giusto quello, aveva appena un'ora di tempo
per raggiungere quel posto e quindi gli toccava pure andarci col completo grigio
smorto che doveva necessariamente usare per il lavoro, non avendone
altri!
Lei ridacchiò. «Dai, che magari ti diverti!».
«Kendappa io giuro
che me la pagherai!» ringhiò minaccioso, anche se lei, non curante, gli chiuse
la porta a un millimetro dal naso.
Kendappa, per tutti i suoi dipendenti
signorina Amaterasu, aveva ereditato l'azienda di famiglia —una specie di
società medico-politico-qualcosa che Kurogane non aveva mai capito a che
servisse, ma probabilmente anche gli altri se lo domandavano— era una giovane e
bella donna, malgrado l'aspetto altezzoso e vagamente spocchioso. Kurogane la
conosceva dalla notte dei tempi, tant'è che era stata lei ad assumerlo appena
era diventata il capo, probabilmente solo per il gusto sadico di torturarlo
psicologicamente. Non che la loro amicizia avesse facilitato le cose. La routine
era sempre assopente, lo stipendio orribilmente da fame, ma almeno aveva finito
di pagare la moto.
La casa di campagna della famiglia Amaterasu era adiacente
ai possedimenti della sua famiglia, ricordò Kurogane mentre si avvolgeva la
sciarpa attorno al collo.
Si infilò la giubbotto di pelle, col rischio di
sgualcire ulteriormente la giacca del completo e montò in sella.
La galleria
d’arte Mitaka, si trovava nella zona della Stazione di Mitaka, che congiungeva
una delle tante città conurbate alla metropoli di Tokyo, alla capitale. Oltre
all’originalità del nome che lasciava molto a desiderare, era decisamente troppo
lontano da Nihonbashi, il quartiere finanziario dove si trovava a lavorare, ci
avrebbe messo sì e no quaranta minuti, calcolando il traffico, ad arrivare lì.
Avrebbe dovuto attraversare ben tre dei ventitrè municipi per arrivare a quella
stramaledetta galleria d’arte e questo lo faceva imbestialire più dell’esistenza
di Fuuma. In effetti Amaterasu approfittava un po' troppo del fatto che Kurogane
aveva un ottimo rapporto con sua sorella più piccola Tomoyo, la mocciosetta che
a breve ormai sarebbe andata alle superiori, ed evidentemente si divertiva fin
troppo a metterlo in situazioni del genere, non era mica la prima volta che si
trovava a uscire dall’ufficio in anticipo per andare a fare il fratello
maggiore.
Quando scese dalla moto, la macchina del fratello di Sakura era parcheggiata
dall'altra parte della strada.
Quello lì se la rideva con quello che
continuava a spacciare come amico —come se il resto del mondo non sapesse che
c'era del tenero!—, seduti sui gradoni di un grosso ed elegante palazzo e i due
mocciosi erano alla mercè della telecamera di Tomoyo.
L'ultima volta che era
stato costretto ad accompagnare quei tre rompiscatole gli avevano fatto vedere
un film idiota, banale e decisamente inutile all'economia del mondo, in realtà
aveva rivisto Tomoyo anche ultimamente, ma non si aspettava mica fossero così
cresciuti tutti e tre, pure quel cinese dal nome cretino!
La moretta lasciò
per un momento in pace gli altri due mocciosi e raggiunse Kurogane minacciando
di abbracciarlo a breve.
«Sei arrivato!» gli sorrise.
«Tsk, di' la verità,
Kendappa non aveva affatto una riunione!» grugnì lui.
«Sì, invece!» cinguettò
lei. «Ma sapevo da parecchio che aveva questa riunione, per questo ho preso
i biglietti proprio per oggi!».
Queste parole erano decisamente le stesse di
quando l'avevano fregato ehm... convinto ad andare a vedere al cinema
Ghost! Maledizione! Quella mocciosa era davvero troppo sveglia, oppure come al
solito Kendappa si faceva facilmente raggirare. «Dovevo aspettarmelo!».
«Sei
più scontroso del solito!» notò lei sorridendo. «Mia sorella è la solita
despota?».
«Mh... Tra una settimana devo lasciare l'appartamento in cui abito
ora.» borbottò.
«Uh! Potresti venire a stare da noi! Un uomo in casa non ci
farebbe mica schifo!» replicò lei.
«E vedere quella rompiscatole di tua
sorella ventiquattro ore al giorno? Ma meglio andare sotto un ponte!» ringhiò
incrociando le braccia.
Intanto, in mezzo a tutto questo sbraitare, Sakura,
il cinese dal nome stupido e quei due che continuavano a definirsi amici,
raggiunsero Tomoyo e il suo gioco preferito.
«Kurogane,» fece Touya
porgendogli la mano «ti affido mia sorella e il poppante».
«Mh.» mugugnò
ricambiando il saluto.
«Passeremo a prenderli verso le nove.» aggiunse
Yukito salutandoli.
COSA?! Vale a dire che devo stare qui QUATTRO
ORE?! «Ah. Bene!». Kurogane stava cominciando a rimpiangere di essersi
alzato quella mattina.
«Grazie, Kurogane, sei sempre molto gentile!» gli
sorrise Sakura.
«Mh, sì.» annuì mentre amaramente notava che al Giappone
intero a quanto pareva l'arte di quel tizio piaceva davvero parecchio a
giudicare dalla fila che girava tutt'intorno alla galleria. «Ma se tipo vi
aspettassi qui fuori mentre voi vi guardate i quadri?».
«Guarda che noi i
biglietti ce li abbiamo già, dobbiamo solo entrare!» sogghignò Tomoyo.
Come
minimo questa, quella strega di Amaterasu me la deve pagare con tremila yen!
«Ah».
Anche la giornata di Fay non era cominciata sotto i migliori
auspici.
Appena sveglio, vale a dire intorno alle due del pomeriggio, aveva
avuto la brillante idea di aprire le tende e aveva trovato il giardino invaso da
fotografi e giornalisti.
Si era trascinato giù per le scale, badando bene a
stare il più lontano possibile dalle finestre, soprattutto perché non era
affatto presentabile, il senso di nausea che lo accompagnava da un paio di
giorni non aveva ancora intenzione di abbandonarlo, e l’aveva fatto dormire solo
un paio d’ore quella notte.
Per non passare davanti alla porta d’ingresso
dovette passare per la sala da pranzo, e filò fiaccamente in cucina.
Ancora
particolarmente assonnato, cercò qualcosa di commestibile da mangiare, e solo
allora si ricordò con orrore che non aveva fatto la spesa, e quello che c'era in
dispensa non avrebbe fatto altro che incrementare il senso di nausea, in effetti
il preparato per la pappa d'avena non aveva questo aspetto appetitoso nella
magnificenza del suo colorito marrone sbiadito.
Un quadro che lui aveva
reputato orribile, proprio perché ispirato alla pappa d'avena
aveva riscosso un successo tanto grande da imbarazzarlo, e ne aveva venduto una
copia a un prezzo talmente alto che con quei soldi aveva comprato la casa dove
viveva ora e un magazzino, per non parlare della macchina che aveva fatto sì e
no dieci miglia e ora giaceva coperta da un panno pesante in garage.
Versò
due cucchiai di farina d’avena in una scodella celeste con gli orsetti bianchi e
la bagnò con due dita di latte tiepido e ingurgitò in fretta il tutto, senza
badare neanche tanto a quel colorito marroncino che macchiava il
cucchiaio.
Prima di riuscire a carburare l’idea di andare a farsi una doccia,
la più allettante smania di guardarsi un filmaccio di bassa lega di quelli
strappalacrime solo perché la recitazione era decisamente da cani, si fece
strada nella sua mente bacata. Ma bastò guardare con desolazione l'enorme
soggiorno della sua decisamente troppo grande casa occupato quasi esclusivamente
da un divano gigantesco ancora coperto dalla pellicola, a fargli passare la
voglia, inoltre non era mica la prima volta che si ritrovava a pensare che
nemmeno raggomitolato avrebbe mai occupato uno di quei cuscini bianco
fluorescente.
Pazientemente filò a farsi una doccia nel bagno che dava sulla
sua stanza da letto.
Ovviamente proprio perché la giornata era cominciata non
poi così bene, non sperò nemmeno che uscisse l'acqua calda, doveva lamentarsi
con chi aveva risistemato i tubi di quella casa, ma non era un tipo litigioso e
conosceva ancora poche imprecazioni in giapponese, malgrado fosse cresciuto
lì.
Quando uscì dalla doccia, plausibilmente infreddolito, con un capogiro si
ricordò che —dannazione— quel giorno cadeva la data d'apertura della
mostra nella Mitaka City Gallery of Art.
Lui odiava profondamente questo
genere di autocelebrazioni in abito-lungo-prego, preferiva di gran
lunga una piccola galleria a ingresso libero dove poter servire pasticcini
stracarichi di zucchero e cioccolata calda al posto di tartine al caviale e
champagne —anche perché quale persona sana di mente vuole mangiare
sperma di storione?!—, ma non c'era modo. In effetti aveva provato a
parlarne con quella dispotica della sua agente, ma lei non ne aveva voluto
sapere, e a nulla erano valse le centinaia di "Ti preeego
Yuuuuko-sama!" o le minacce del tipo "Guarda che mi ammazzo", alle
prime lei rispondeva con un "No, fila a dipingere" alle altre invece
aggiungeva un ghigno e bofonchiava un "Meglio! I tuoi quadri
acquisiranno un valore aggiunto!".
Non c'era scampo, tanto valeva
assecondarla e ordire dei piani audaci per rivoltarla sul palmo della mano nel
frattempo.
Con un sospiro si infilò un dolcevita nero e un paio di pantaloni
grigi. Sicuramente Yūko avrebbe avuto a che ridire, anche perché aveva scelto
per lui uno smoking con la giacca verde, ma era decisamente inappropriato, e per
dirlo lui che era quello che portava dei boxer con gli orsetti di un celebre
cartone animato, era davvero brutto, così le avrebbe detto che
sfortunatamente s'era spiegazzato e non aveva ancora tolto
dall'imballaggio degli scatoloni del trasloco il ferro da stiro, cosa peraltro
vera.
Proprio mentre usciva sull'ingresso della villetta, lo squillo del suo
cellulare gli titillò i timpani.
«Hyuuu~ Yuuuko-saaamaaa! Sono pronto e sto
per uscire.» pigolò prima ancora che lei potesse redarguirlo. «Ci sono diecimila
giornalisti qui fuori!».
«Lasciati intervistare.» gli rispose lei
lapidaria.
«Che cattiveria, Yūko-sama!» sbuffò Fay, mentre sceglieva in tutta
calma una sciarpa dal colore allucinante che si abbinasse bene coll'imbarazzante
cappello di lana col pon-pon giallo canarino.
«Sii presentabile, tu sei il
mio fiore all'occhiello, devi essere come minimo perfetto!» continuò lei. «Ci
vediamo lì».
A malincuore si sfilò il cappello e lo lasciò lì, dove l’aveva
trovato, recuperò il trench grigio e pregiato che sicuramente in quella ressa lì
fuori si sarebbe sgualcito e aprì la porta fiaccamente.
Appena l’uscio si fu
richiuso, ma probabilmente anche prima, si ritrovò letteralmente sommerso da
microfoni e telecamere.
Ma non si scoraggiò più di tanto, in fondo ormai
c'era abituato, chiuse in tutta calma la porta, sistemò attorno al collo la
sciarpa e si voltò verso quella mandria di giornalisti.
«Fay! Fay! Dicci
qualcosa della mostra!» urlava qualcuno alla sua destra.
«Se venite alla
galleria sarò più che contento di rispondere con calma a tutte le vostre
domande.» sorrise lui. «Ma ho tempo per qualcuna di esse già ora,
prego».
Qualcuno alzò una penna laccata in rosso, che attirò la sua
attenzione in quel fiume di penne nere e anonime.
«Come si trova qui in
Giappone?» gli chiese una voce femminile.
«Come vi trovate tutti voi, è bello
tornare a casa.» sfoderò un sorriso sfavillante.
«Pensa di restare qui?» fece
qualcun altro.
«Sì, mi ispira molto il vostro paese. Come ho detto è come
essere a casa, anche perché effettivamente io sono cresciuto qui...»
sorrise.
«Però poi è andato in Europa e quindi in America...» gli fece notare
un uomo.
«Sì, è vero. Ho visto opere di grandi maestri, dagli affreschi di
Michelangelo alle tavole di Goya, dagli studi di Andy Whorol alle forme di
Renoir. Ne sono rimasto affascinato, ma anche qui c'è qualcosa di unico: la
magia dei paesaggi, la poesia dell'antico impero... Per non parlare dei samurai
e dei ninja...» enumerò, come a memoria, quasi gli avessero scritto un discorso
simile. «Ora perdonatemi, sarò molto lieto di rispondere ad ulteriori domande,
durante la conferenza stampa che precederà la mostra, devo proprio andare.»
annuì appena, cominciando a farsi strada tra tutta quella gente.
Pur avendo una costosissima e pressoché nuova automobile in garage, Fay
preferiva di gran lunga sfruttare i mezzi pubblici, fondamentalmente era per
questo che aveva preso quella casa a Shibuya, a pochi isolati della stazione,
proprio quella dove c‘era la statua intitolata a quel cane. Si fidava ciecamente
del ministero dei trasporti Giapponese, non era mai capitato, da che si
ricordava, che un treno fosse arrivato in ritardo.
Per cui si avviò alla
stazione con calma, passando del tutto inosservato anche se un biondo naturale
in Giappone è raro più del Santo Graal, fermandosi di tanto in tanto a parlare
coi gattini che incontrava per strada o salutando qualche passante che aveva già
visto in quella zona.
In meno di un quarto d’ora sarebbe arrivato alla
stazione di Mitaka.
Volevo dire solo due o tre cose,
- Sì, mi sono fermato prima del dovuto, semplicemente per pura smania di proporvi l'ennesima schifezza v__v
- Volevo dedicare questa storia a due persone molto molto pazienti con me, tale MaleficaGgggì e tale yua, v__v sì ci ho messo un pochettino, ma boh? Auguri xD!
In realtà vi ringrazio di ascoltare a oltranza le mie pare mentali e i miei cambiamenti di idea repentini v__v per cui grazie mille! So che potrei sdebitarmi in un modo migliore, ma questo è il più immediato che conosca! - Mh la storia è un AU, come avrete notato, e spero di migliorarla con l'andare del tempo, non vi aspettate grandi cose xD!
- Per ora il genere è impostato su Generale, mi premurerò di cambiarlo in futuro, quando la storia prenderà una piega decente v__v
Direi che ho finito, vi ringrazio se avete letto e non vi ha fatto tanto schifo, vi ringrazio se commenterete v__v Bonne nuit.
D.