Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: __Di    24/01/2011    6 recensioni
COSA?! Vale a dire che devo stare qui QUATTRO ORE?! «Ah. Bene!». Kurogane stava cominciando a rimpiangere di essersi alzato quella mattina.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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BEFORE THE WORST— CAPITOLO1

Bad Morning

 

 

 

 

 

La giornata di Kurogane era iniziata decisamente male, tanto male che ora scarabocchiava borbottando la data di quel giorno su tutta la pagina dell’agenda, con tanto di sopracciglioni aggrottati e smorfia di sufficienza in allegato.
Ma no, non era la vita in ufficio ad averlo reso decisamente più scorbutico del solito, anche se effettivamente voleva proprio smetterla col doversi continuamente limitare in una routine noiosa e grigia, ma ormai si era abituato anche a questo, pertanto non si sentiva nemmeno tanto oppresso ormai.
Più che altro era l'ingiunzione di sfratto che gli aveva notificato quella mattina la nuova moglie del proprietario dell'appartamento ad avergli abbuiato di più il suo umore già normalmente nero.
E ora scriveva la data del venti dicembre ovunque sulla sua agenda, come se non fosse già presente.
E quindi qualunque cosa, anche la più infinitesimale gli dava fastidio. Dal fatto che quel dannato stagista della scrivania accanto —del quale non gli fregava nemmeno di sapere il nome— tamburellava nervosamente sulla tastiera del pc con troppa insistenza, arrivando anche a quel verme viscido di Fuuma, che sedeva alla scrivania di fronte che aveva già venduto più di sedici assicurazioni inconcludenti a chissà quale assonnato e rincoglionito vecchietto nel giro di una mattinata, e ora stava tranquillo con i piedi sul tavolo e la tastiera sulle ginocchia, mentre ciarlava con un’altra vecchia sui vantaggi, inesistenti, di adottare un’altra opzione assicurativa.
Anche la sola esistenza di quell’essere lì davanti gli urtava il sistema nervoso e più di ogni altra cosa gli faceva impazzire il sangue al cervello e tanto per cambiare gli veniva voglia di menare le mani.
«Kurogane?» il suo capo, una donna piuttosto risoluta e dispotica, che comunque continuava ad essere molto cordiale quando si ricordava di farlo, lo scosse da quel flusso di pensieri che a lungo andare gli avrebbe intimato di colpire in viso quell'idiota che picchiava sulla tastiera.
«Mh?» trasalì alzando la testa dalla sua agenda.
«Senti Kurogane, io ho una riunione con quelli del personale stasera, dovresti accompagnare mia sorella e i suoi amici a una galleria d'arte.» sorrise.
«Mi prendi in giro?» brontolò il moro senza nemmeno rispettare lontanamente le gerarchie. «Amaterasu! Io odio andare in giro coi mocciosi amici di tua sorella!» borbottò. «Inoltre quella Sakura o come si chiama lei non ha un fratello più grande?» aggiunse brontolando ancora.
«Su, Kurogane! Prometto di lasciarti il weekend libero!» sussurrò lei giungendo le mani come in preghiera.
Kurogane strinse le labbra e affilò lo sguardo. «Devo ricordarti l'ultima volta che io sono stato costretto a uscire con quei mocciosi? Ho dovuto accompagnarli per vedere quel maledetto film stucchevole!».
«Beh loro volevano andarsi a vedere i Transformers, peccato che la sala era piena e siete dovuti andare per forza a vedere Ghost!l» replicò lei.
«Su, non vorrai mica che faccia vedere le foto dello scorso carnevale ai tuoi colleghi?» sogghignò lei.
Una vena sulla fronte del moro si gonfiò all'improvviso. «Non vale se minacci, però!» sibilò.
«Dai vacci, per favore! Fallo per Tomoyo!» ripeté.
«Dannata strega!» bofonchiò appena, avrebbe fatto qualunque cosa per quella mocciosa. «Ngh! D'accordo!» cedette infine.
«Dai che esci anche in anticipo, oggi! Se fossi sposato, tua moglie sarebbe contenta!» sorrise lei con un ammiccamento decisamente agghiacciante.
«Devo passare a prendere i mocciosi a scuola o il fratello di Sakura si degna almeno di accompagnarli?» borbottò ancora alzandosi e recuperando la giacca. Era abbastanza innaturale portarsi tre mocciosi su una moto. «Nemmeno avessi un sidecar io!».
«Sarà ora che ti compri una macchina, Kurogane?» replicò lei.
«Vorrei vedere te attraversare la città per venire a lavorare! Io devo star qui di mattina presto! Tu puoi fare con calma! Io devo per forza avere una moto!» continuò a dire inalberandosi procedendo verso il corridoio.
«Esiste la metro...» gli fece notare lei sogghignando ancora mentre elegantemente ancheggiava verso il suo ufficio. «Sai? Siamo in Giappone, Kurogane, esistono dei mezzi pubblici incredibilmente efficienti!».
«Guarda quante storie fai! Bada che non accompagno tua sorella a quella stramaledetta mostra!» grugnì fermandosi proprio davanti alla porta che recava il nome della donna in chiare lettere laccate su una .
Lei non sembrò tanto toccata da quella specie di minaccia e tornò sull‘argomento. «Comunque sì, alla galleria li accompagna Touya!».
«Mh e cos'avrà di tanto interessante da fare da non poter restare lui coi tre mocciosi?» brontolò ancora.
«Secondo te?» gli rivolse un‘occhiatina strana d‘intesa. «Dovrà uscire con Yukito, che vuoi che ne sappia io?» mugugnò lei tirando fuori un depliant dalla tasca del tailleur bordeaux. «Comunque la galleria è questa, ci sono tutte le informazioni che ti servono e ti ho anche scritto a che ora devi incontrarti con loro».
«Mh. Fantastico!» bofonchiò sarcastico mentre notava con un certo dispiacere che si trattava di una mostra d'arte contemporanea di un artista noto in tutto il mondo dal nome impronunciabile! Per giunta cadeva proprio quel giorno l'apertura ufficiale! E per non finire, visto che ci mancava giusto quello, aveva appena un'ora di tempo per raggiungere quel posto e quindi gli toccava pure andarci col completo grigio smorto che doveva necessariamente usare per il lavoro, non avendone altri!
Lei ridacchiò. «Dai, che magari ti diverti!».
«Kendappa io giuro che me la pagherai!» ringhiò minaccioso, anche se lei, non curante, gli chiuse la porta a un millimetro dal naso.
Kendappa, per tutti i suoi dipendenti signorina Amaterasu, aveva ereditato l'azienda di famiglia —una specie di società medico-politico-qualcosa che Kurogane non aveva mai capito a che servisse, ma probabilmente anche gli altri se lo domandavano— era una giovane e bella donna, malgrado l'aspetto altezzoso e vagamente spocchioso. Kurogane la conosceva dalla notte dei tempi, tant'è che era stata lei ad assumerlo appena era diventata il capo, probabilmente solo per il gusto sadico di torturarlo psicologicamente. Non che la loro amicizia avesse facilitato le cose. La routine era sempre assopente, lo stipendio orribilmente da fame, ma almeno aveva finito di pagare la moto.
La casa di campagna della famiglia Amaterasu era adiacente ai possedimenti della sua famiglia, ricordò Kurogane mentre si avvolgeva la sciarpa attorno al collo.
Si infilò la giubbotto di pelle, col rischio di sgualcire ulteriormente la giacca del completo e montò in sella.
La galleria d’arte Mitaka, si trovava nella zona della Stazione di Mitaka, che congiungeva una delle tante città conurbate alla metropoli di Tokyo, alla capitale. Oltre all’originalità del nome che lasciava molto a desiderare, era decisamente troppo lontano da Nihonbashi, il quartiere finanziario dove si trovava a lavorare, ci avrebbe messo sì e no quaranta minuti, calcolando il traffico, ad arrivare lì. Avrebbe dovuto attraversare ben tre dei ventitrè municipi per arrivare a quella stramaledetta galleria d’arte e questo lo faceva imbestialire più dell’esistenza di Fuuma. In effetti Amaterasu approfittava un po' troppo del fatto che Kurogane aveva un ottimo rapporto con sua sorella più piccola Tomoyo, la mocciosetta che a breve ormai sarebbe andata alle superiori, ed evidentemente si divertiva fin troppo a metterlo in situazioni del genere, non era mica la prima volta che si trovava a uscire dall’ufficio in anticipo per andare a fare il fratello maggiore.

Quando scese dalla moto, la macchina del fratello di Sakura era parcheggiata dall'altra parte della strada.
Quello lì se la rideva con quello che continuava a spacciare come amico —come se il resto del mondo non sapesse che c'era del tenero!—, seduti sui gradoni di un grosso ed elegante palazzo e i due mocciosi erano alla mercè della telecamera di Tomoyo.
L'ultima volta che era stato costretto ad accompagnare quei tre rompiscatole gli avevano fatto vedere un film idiota, banale e decisamente inutile all'economia del mondo, in realtà aveva rivisto Tomoyo anche ultimamente, ma non si aspettava mica fossero così cresciuti tutti e tre, pure quel cinese dal nome cretino!
La moretta lasciò per un momento in pace gli altri due mocciosi e raggiunse Kurogane minacciando di abbracciarlo a breve.
«Sei arrivato!» gli sorrise.
«Tsk, di' la verità, Kendappa non aveva affatto una riunione!» grugnì lui.
«Sì, invece!» cinguettò lei. «Ma sapevo da parecchio che aveva questa riunione, per questo ho preso i biglietti proprio per oggi!».
Queste parole erano decisamente le stesse di quando l'avevano fregato ehm... convinto ad andare a vedere al cinema Ghost! Maledizione! Quella mocciosa era davvero troppo sveglia, oppure come al solito Kendappa si faceva facilmente raggirare. «Dovevo aspettarmelo!».
«Sei più scontroso del solito!» notò lei sorridendo. «Mia sorella è la solita despota?».
«Mh... Tra una settimana devo lasciare l'appartamento in cui abito ora.» borbottò.
«Uh! Potresti venire a stare da noi! Un uomo in casa non ci farebbe mica schifo!» replicò lei.
«E vedere quella rompiscatole di tua sorella ventiquattro ore al giorno? Ma meglio andare sotto un ponte!» ringhiò incrociando le braccia.
Intanto, in mezzo a tutto questo sbraitare, Sakura, il cinese dal nome stupido e quei due che continuavano a definirsi amici, raggiunsero Tomoyo e il suo gioco preferito.
«Kurogane,» fece Touya porgendogli la mano «ti affido mia sorella e il poppante».
«Mh.» mugugnò ricambiando il saluto.
«Passeremo a prenderli verso le nove.» aggiunse Yukito salutandoli.
COSA?! Vale a dire che devo stare qui QUATTRO ORE?! «Ah. Bene!». Kurogane stava cominciando a rimpiangere di essersi alzato quella mattina.
«Grazie, Kurogane, sei sempre molto gentile!» gli sorrise Sakura.
«Mh, sì.» annuì mentre amaramente notava che al Giappone intero a quanto pareva l'arte di quel tizio piaceva davvero parecchio a giudicare dalla fila che girava tutt'intorno alla galleria. «Ma se tipo vi aspettassi qui fuori mentre voi vi guardate i quadri?».
«Guarda che noi i biglietti ce li abbiamo già, dobbiamo solo entrare!» sogghignò Tomoyo.
Come minimo questa, quella strega di Amaterasu me la deve pagare con tremila yen! «Ah».


Anche la giornata di Fay non era cominciata sotto i migliori auspici.
Appena sveglio, vale a dire intorno alle due del pomeriggio, aveva avuto la brillante idea di aprire le tende e aveva trovato il giardino invaso da fotografi e giornalisti.
Si era trascinato giù per le scale, badando bene a stare il più lontano possibile dalle finestre, soprattutto perché non era affatto presentabile, il senso di nausea che lo accompagnava da un paio di giorni non aveva ancora intenzione di abbandonarlo, e l’aveva fatto dormire solo un paio d’ore quella notte.
Per non passare davanti alla porta d’ingresso dovette passare per la sala da pranzo, e filò fiaccamente in cucina.
Ancora particolarmente assonnato, cercò qualcosa di commestibile da mangiare, e solo allora si ricordò con orrore che non aveva fatto la spesa, e quello che c'era in dispensa non avrebbe fatto altro che incrementare il senso di nausea, in effetti il preparato per la pappa d'avena non aveva questo aspetto appetitoso nella magnificenza del suo colorito marrone sbiadito.
Un quadro che lui aveva reputato orribile, proprio perché ispirato alla pappa d'avena aveva riscosso un successo tanto grande da imbarazzarlo, e ne aveva venduto una copia a un prezzo talmente alto che con quei soldi aveva comprato la casa dove viveva ora e un magazzino, per non parlare della macchina che aveva fatto sì e no dieci miglia e ora giaceva coperta da un panno pesante in garage.
Versò due cucchiai di farina d’avena in una scodella celeste con gli orsetti bianchi e la bagnò con due dita di latte tiepido e ingurgitò in fretta il tutto, senza badare neanche tanto a quel colorito marroncino che macchiava il cucchiaio.
Prima di riuscire a carburare l’idea di andare a farsi una doccia, la più allettante smania di guardarsi un filmaccio di bassa lega di quelli strappalacrime solo perché la recitazione era decisamente da cani, si fece strada nella sua mente bacata. Ma bastò guardare con desolazione l'enorme soggiorno della sua decisamente troppo grande casa occupato quasi esclusivamente da un divano gigantesco ancora coperto dalla pellicola, a fargli passare la voglia, inoltre non era mica la prima volta che si ritrovava a pensare che nemmeno raggomitolato avrebbe mai occupato uno di quei cuscini bianco fluorescente.
Pazientemente filò a farsi una doccia nel bagno che dava sulla sua stanza da letto.
Ovviamente proprio perché la giornata era cominciata non poi così bene, non sperò nemmeno che uscisse l'acqua calda, doveva lamentarsi con chi aveva risistemato i tubi di quella casa, ma non era un tipo litigioso e conosceva ancora poche imprecazioni in giapponese, malgrado fosse cresciuto lì.
Quando uscì dalla doccia, plausibilmente infreddolito, con un capogiro si ricordò che —dannazione— quel giorno cadeva la data d'apertura della mostra nella Mitaka City Gallery of Art.
Lui odiava profondamente questo genere di autocelebrazioni in abito-lungo-prego, preferiva di gran lunga una piccola galleria a ingresso libero dove poter servire pasticcini stracarichi di zucchero e cioccolata calda al posto di tartine al caviale e champagne —anche perché quale persona sana di mente vuole mangiare sperma di storione?!—, ma non c'era modo. In effetti aveva provato a parlarne con quella dispotica della sua agente, ma lei non ne aveva voluto sapere, e a nulla erano valse le centinaia di "Ti preeego Yuuuuko-sama!" o le minacce del tipo "Guarda che mi ammazzo", alle prime lei rispondeva con un "No, fila a dipingere" alle altre invece aggiungeva un ghigno e bofonchiava un  "Meglio! I tuoi quadri acquisiranno un valore aggiunto!".
Non c'era scampo, tanto valeva assecondarla e ordire dei piani audaci per rivoltarla sul palmo della mano nel frattempo.
Con un sospiro si infilò un dolcevita nero e un paio di pantaloni grigi. Sicuramente Yūko avrebbe avuto a che ridire, anche perché aveva scelto per lui uno smoking con la giacca verde, ma era decisamente inappropriato, e per dirlo lui che era quello che portava dei boxer con gli orsetti di un celebre cartone animato, era davvero brutto, così le avrebbe detto che sfortunatamente s'era spiegazzato e non aveva ancora tolto dall'imballaggio degli scatoloni del trasloco il ferro da stiro, cosa peraltro vera.

Proprio mentre usciva sull'ingresso della villetta, lo squillo del suo cellulare gli titillò i timpani.
«Hyuuu~ Yuuuko-saaamaaa! Sono pronto e sto per uscire.» pigolò prima ancora che lei potesse redarguirlo. «Ci sono diecimila giornalisti qui fuori!».
«Lasciati intervistare.» gli rispose lei lapidaria.
«Che cattiveria, Yūko-sama!» sbuffò Fay, mentre sceglieva in tutta calma una sciarpa dal colore allucinante che si abbinasse bene coll'imbarazzante cappello di lana col pon-pon giallo canarino.
«Sii presentabile, tu sei il mio fiore all'occhiello, devi essere come minimo perfetto!» continuò lei. «Ci vediamo lì».
A malincuore si sfilò il cappello e lo lasciò lì, dove l’aveva trovato, recuperò il trench grigio e pregiato che sicuramente in quella ressa lì fuori si sarebbe sgualcito e aprì la porta fiaccamente.
Appena l’uscio si fu richiuso, ma probabilmente anche prima, si ritrovò letteralmente sommerso da microfoni e telecamere.
Ma non si scoraggiò più di tanto, in fondo ormai c'era abituato, chiuse in tutta calma la porta, sistemò attorno al collo la sciarpa e si voltò verso quella mandria di giornalisti.
«Fay! Fay! Dicci qualcosa della mostra!» urlava qualcuno alla sua destra.
«Se venite alla galleria sarò più che contento di rispondere con calma a tutte le vostre domande.» sorrise lui. «Ma ho tempo per qualcuna di esse già ora, prego».
Qualcuno alzò una penna laccata in rosso, che attirò la sua attenzione in quel fiume di penne nere e anonime.
«Come si trova qui in Giappone?» gli chiese una voce femminile.
«Come vi trovate tutti voi, è bello tornare a casa.» sfoderò un sorriso sfavillante.
«Pensa di restare qui?» fece qualcun altro.
«Sì, mi ispira molto il vostro paese. Come ho detto è come essere a casa, anche perché effettivamente io sono cresciuto qui...» sorrise.
«Però poi è andato in Europa e quindi in America...» gli fece notare un uomo.
«Sì, è vero. Ho visto opere di grandi maestri, dagli affreschi di Michelangelo alle tavole di Goya, dagli studi di Andy Whorol alle forme di Renoir. Ne sono rimasto affascinato, ma anche qui c'è qualcosa di unico: la magia dei paesaggi, la poesia dell'antico impero... Per non parlare dei samurai e dei ninja...» enumerò, come a memoria, quasi gli avessero scritto un discorso simile. «Ora perdonatemi, sarò molto lieto di rispondere ad ulteriori domande, durante la conferenza stampa che precederà la mostra, devo proprio andare.» annuì appena, cominciando a farsi strada tra tutta quella gente.

Pur avendo una costosissima e pressoché nuova automobile in garage, Fay preferiva di gran lunga sfruttare i mezzi pubblici, fondamentalmente era per questo che aveva preso quella casa a Shibuya, a pochi isolati della stazione, proprio quella dove c‘era la statua intitolata a quel cane. Si fidava ciecamente del ministero dei trasporti Giapponese, non era mai capitato, da che si ricordava, che un treno fosse arrivato in ritardo.
Per cui si avviò alla stazione con calma, passando del tutto inosservato anche se un biondo naturale in Giappone è raro più del Santo Graal, fermandosi di tanto in tanto a parlare coi gattini che incontrava per strada o salutando qualche passante che aveva già visto in quella zona.
In meno di un quarto d’ora sarebbe arrivato alla stazione di Mitaka.

















Volevo dire solo due o tre cose,
  1. Sì, mi sono fermato prima del dovuto, semplicemente per pura smania di proporvi l'ennesima schifezza v__v
  2. Volevo dedicare questa storia a due persone molto molto pazienti con me, tale MaleficaGgggì e tale yua, v__v sì ci ho messo un pochettino, ma boh? Auguri xD!
    In realtà vi ringrazio di ascoltare a oltranza le mie pare mentali e i miei cambiamenti di idea repentini v__v per cui grazie mille! So che potrei sdebitarmi in un modo migliore, ma questo è il più immediato che conosca!
  3. Mh la storia è un AU, come avrete notato, e spero di migliorarla con l'andare del tempo, non vi aspettate grandi cose xD!
  4. Per ora il genere è impostato su Generale, mi premurerò di cambiarlo in futuro, quando la storia prenderà una piega decente v__v

Direi che ho finito, vi ringrazio se avete letto e non vi ha fatto tanto schifo, vi ringrazio se commenterete v__v Bonne nuit.


D.
   
 
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