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Autore: Sumiya Sakamoto    25/01/2011    7 recensioni
“Tourkίa!”
La pronuncia del suo nome fece subito capire al più grande a chi apparteneva la voce che lo stava chiamando. Sospirò, seccato, gridando a sua volta, sentiva la voce del piccolo Grecia piuttosto lontana. “Che vuoi? Perché non vieni qui invece di gridare?”
“Non posso! Vieni!”
“Assolutamente no! O vieni tu o rimani lì!”
“Sadiq, per favore!” gridò disperato il piccino.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Grecia/Heracles Karpusi, Turchia/Sadiq Adnan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so come mi è venuta in mente, volevo solo scrivere una fluff su Grecia da piccolo ed ecco qui. Il fiore dello zafferano è molto diffuso e coltivato in Grecia, fiorisce da marzo a maggio e da giugno a settembre di solito. Non ditemi che Turchia è OOC perché è impossibile non sciogliersi davanti al piccolo Grecia *o* Spero vi piaccia. Buona lettura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Espirò, lasciando uscire il fumo denso e odoroso. Fumare il narghilè lo rilassava. Osservò il cielo azzurro e limpido, illuminato dal sole cocente di quella splendente giornata primaverile. Si portò il beccuccio del narghilè di nuovo alla bocca, posandoci le labbra e inspirò di nuovo. Sentì il fumo caldo passare per la gola, accarezzandone le pareti senza graffiarle. Chiuse gli occhi, perdendosi nell’aroma della mela, il gusto del carboncino che stava utilizzando per fumare. Si sistemo l’ustluk*, per distendersi con un cuscino sotto il capo. Si adagiò sopra il morbido tappeto che lo separava dalla calura del pavimento e si ritrovò a fissare il groviglio di rami che una grossa pianta rampicante aveva creato, formando così il “soffitto” della veranda aperta fuori da casa sua. I rami erano talmente vicini fra loro che la luce del sole penetrava appena, salvandolo dal caldo e dalla luce, anche se all’ombra la temperatura era pressoché la stessa che sotto il sole. Aspirò di nuovo il fumo e lo lasciò andare dalla bocca, osservandolo disperdersi verso l’alto, mentre il suo naso si abituava all’insolito odore di mela mischiato a quello della primavera, che poi non era mite come sembrava.
Era intento a godersi la pace, l’ombra, il fumo, il silenzio, quando un gridolino strozzato interruppe il filo dei suoi pigri pensieri. Socchiuse gli occhi lentamente, chiedendosi cosa potesse essere stato. Non voltò il capo, non ne aveva voglia. Per un attimo gli sembrò di essere una lucertola immobile sotto il sole, anche se lui sotto il sole non era.
“Chi è?” si limitò a chiedere con un tono burbero ma molto poco convinto. Non ebbe nessuna risposta. Problemi loro. pensò, richiudendo gli occhi. Qualche secondo dopo un altro gemito spezzò il silenzio. Ma che diavolo… pensò il turco, mettendosi a sedere e sputando con irritazione il fumo contemporaneamente. Ci fu qualche secondo di silenzio, quindi una vocina spazientita risuonò nell’aria “Tourkίa!”
La pronuncia del suo nome fece subito capire al più grande a chi apparteneva la voce che lo stava chiamando. Sospirò, seccato, gridando a sua volta, sentiva la voce del piccolo Grecia piuttosto lontana. “Che vuoi? Perché non vieni qui invece di gridare?”
“Non posso! Vieni!”
“Assolutamente no! O vieni tu o rimani lì!”
“Sadiq, per favore!” gridò disperato il piccino. L’uomo sbuffò, posando il beccuccio del narghilè e si alzò in piedi, riuscendo a vedere poco più lontano il bambino seduto sulla terra polverosa. Il turco allargò le braccia e le lasciò cadere lungo i fianchi in un gesto di stizza. Si diresse svogliato verso il più piccolo, con l’ustluk che svolazzava dietro di lui. “Mi spieghi perché devi sempre rovinarmi anche pomeriggi perfetti con i tuoi…” smise di parlare quando vide che il piccolo, scalzo, aveva un taglio ad un piedino e una sbucciatura al ginocchio. Guardò il bimbo in faccia, che aveva gli occhi lucidi ma si mordeva il labbro per non piangere. La sua corta tunica bianca era sporca di terra. Sadiq fece schioccare la lingua sul palato, infastidito. “Dannazione, ma perché devi sempre sporcarti e ferirti in qualche modo? Possibile che tu non stia mai fermo e che non presti attenzione a dove metti i piedi?” per tutta risposta il più piccolo allungò le braccia verso di lui, un chiaro invito a essere preso in braccio. Il turco alzò gli occhi al cielo, quindi si chinò sul bambino e gli passò un braccio dietro le spalle e uno dietro le ginocchia per sollevarlo e portarselo al petto. Si diresse verso la veranda coperta, inondata dal dolce odore di mela verde. Depositò Grecia sul tappeto rosso, accanto ai vari cuscini, spense il narghilè, ormai rassegnato a non fumare ancora e rientrò in casa a procurarsi il necessario per medicare le ferite di Heracles. Tornato fuori, inginocchiandosi cominciò a curare il taglio sul piede del bambino. “Perché non stai attento quando vai in giro? Maledizione, sei abbastanza grande per guardare a terra e camminare contemporaneamente!”
“Non camminavo, correvo…”
“Ancora peggio! Devo forse insegnarti come correre?”
“No, è che…”
“Che cosa? Una delle tue solite scuse per non sentire i miei rimproveri?”
“No, volevo solo…”
“Volevi solo cosa?”
“Arrivare prima.”
“Dove?”
“Da te!” Sadiq rimase interdetto, poi chiese “E da quando hai fretta di venire da me?”
Il bimbo serrò le labbra e abbassò lo sguardo. Osservandolo, il turco vide che gli occhi gli si erano fatti di nuovo lucidi. “Allora?” insisté. Il piccolo greco tirò fuori dalla sua tunica un fiorellino. Era abbastanza piccolo, i petali colorati di un bel viola chiaro erano spiegazzati e invece di stare diritti verso l’alto, alcuni pendevano verso il basso e i pistilli rossi erano piegati o spezzati, ma Sadiq lo riconobbe come il fiore dello zafferano, dai cui pistilli appunto si ricavava la spezia che il turco amava tanto. Guardò il fiore, poi Heracles e si turbò nel vedere una lacrima sfuggire da uno degli occhi del bambino. Mordicchiandosi il labbro inferiore, il greco spiegò “In questo periodo stanno fiorendo i fiori di zafferano, ma non se ne trovano molti in giro, così quando l’ho trovato l’ho raccolto e volevo…” la voce gli si incrinò ed Heracles si bloccò per un attimo, per poi riprendere “…volevo mostrartelo. Così per fare prima ho corso ma sono inciampato e il… il fiore si è…” gli tremò il mento, alzò una mano per asciugarsi con il dorso di essa gli occhi. Turchia rimase fermo ad osservarlo. Il bambino aveva pensato a lui, si era ricordato che quel fiore gli piaceva. L’irritazione di poco prima si attenuò. Trattenne un sospiro e allungò la mano, prendendo il fiore dalle piccole dita del greco, che aprì gli occhi bagnati di lacrime. Sadiq finse di osservare interessato il fiore spiegazzato, poi disse calmo “È molto bello, Heracles.” e dopo un attimo di esitazione aggiunse con un sussurro “Grazie.” Bastò questo per illuminare un poco il viso del bimbo che sorrise fra le lacrime “Ti… ti piace lo stesso?”
“Sì, molto.”
“Ne sono felice.” mormorò piano il più piccolo, tirando su col naso. Si alzò, ignorando la fasciatura al piedino che il turco gli aveva fatto e prese l’uomo per mano “Andiamo a cercarne altri?” Sadiq trattenne una smorfia, ma sotto lo sguardo lucido e speranzoso di Heracles, cedette. Lo prese in braccio, per paura che la ferita al piede del bambino si infettasse a contatto con la terra e rispose “Va bene, andiamo.”
 
 
 
 
 
 
*Ustluk: lunga giacca usata dai turchi anticamente, che arrivava fino a metà polpaccio. Di solito aveva le maniche lunghe. 

  
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