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Autore: Morea    26/01/2011    7 recensioni
Credeva di essere Sally Brown, eppure amava scrivere.
Scoprì di essere Lucy Van Pelt, eppure non amava Schroeder.
Forse era semplicemente Amelia, ma ci mise un po' a capirlo: del resto, Lucy non amava ricevere umidi baci da un bracchetto.
...O forse sì?
§Five:
Sapeva benissimo cosa fare anche in quella situazione: l'aveva appena deciso, dopo sette buste gialle e settanta pagine d'agonia.
Avrebbe trovato l'oceano, così come l'oceano aveva trovato lei.
L'aveva sempre saputo, che bisognava dare un nome alle cose per affrontarle e risolverle. E lei avrebbe battezzato quegli abissi, dritta e penetrante come le linee di luce che illuminavano qualche murena uscita dal suo anfratto per cacciar seppie.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amelia'
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Amelia amava i treni

A
melia amava i treni

§One:  Peanuts

* Uno dei miei regali di compleanno in ritardo.
Lo sai che è per te.




Amelia amava i treni.

Li amava di un amore ignorante, viscerale, ingiustificato: quell'amore che ti rende cieco e felice, sordo e sereno, muto e contento.

Amava affacciarsi alla finestra e vederli passare, uno ogni dieci minuti, a volte ogni mezzora, amava quando faceva buio e le luci dei vagoni si accendevano, illuminando volti, evidenziando movimenti, immortalando sospiri.

E lei lo sapeva chi c'era a bordo. C'era la professoressa coi temi da correggere, c'era lo studente con un esame da preparare, c'erano donne spendaccione con borse griffate sui sedili e negli angusti corridoi, mentre tutti gli altri in cerca di un posto imprecavano loro contro scavalcando con difficoltà bauletti, scarpe e accessori chiusi in scatole grandi e piccole; c'erano avvocati che usavano parole misteriose, c'erano turisti a biascicare suoni gutturali tenendo le cartine a rovescio, c'erano cuochi, commesse, impiegate, dottori e poi c'erano i passeggeri silenziosi, dai volti imperscrutabili, quelli su cui potevi inventarti una storia, renderli principi o cavalieri, fate o cortigiane, salvo poi vederli alzarsi in maniera scomposta e disordinata, grugnendo richieste di permesso frettolose e scortesi.

Amelia tutte le volte si immaginava scenari simili, fissando le figurine nere stagliate contro sfondi gialli accesi. Di quell'unica gita a Firenze, ricordava il chiacchiericcio caotico della gente, il fracasso destabilizzante delle gallerie, le orecchie che si riabituavano a qualcosa di vagamente simile al silenzio quando il treno faceva di nuovo capolino tra campi di girasoli opposti a fabbriche fatiscenti: Firenze l'aveva scordata, sepolta tra biglietti e obliteratrici, controllori e capotreni, ma soprattutto sepolta da un peluche nuovo di zecca appoggiato qualche sedile avanti a lei, e dalla piccola mano - poco più grande della sua - che lo custodiva gelosamente.

Tutte le volte che si affacciava alla finestra, immaginava che le sagome meno umane fossero Snoopy giganteschi, abbracciati da una bambina fortunata ed orgogliosa.

Tutte le volte che si affacciava alla finestra, la mamma le chiedeva cosa stesse facendo, e lei rispondeva niente.

La mamma si era arrabbiata quando Amelia aveva dimostrato di non ricordarsi niente di quella gita fuori porta: non ricordava il Duomo, nè Piazza della Signoria, nè il Ponte Vecchio. Ma non era quel ponte a essere vecchio, era la mamma: era troppo vecchia per capire la bellezza di un treno, per capire le storie dei suoi passeggeri, per innamorarsi di uno Snoopy di stoffa, per invidiare quella mano che lo stringeva a sè.

Poi, il treno spariva dentro la galleria ed Amelia tornava sul divano, a disegnare professori, studenti, cuochi, dottori. Non li colorava mai, non le riusciva. E poi, tutto ormai era drappeggiato nella sua mente nei toni del giallo e del nero, e non poteva certo trasformare quelle persone in api.

Quella era una scusa bella e buona, lei odiava colorare. Forse era anche per questo che adorava le strisce dei Peanuts: erano incolori, semplici, lineari; forse era per questo che amava alla follia Snoopy, che restava semplicemente bianco e nero anche nella trasposizione animata.

Amava pensare che pochi tratti potessero lasciare a chi osservava i disegni piena libertà d'interpretazione: quando era costretta a colorare qualcosa per quelle stupide maestre, le matite che impiegava variavano a seconda del suo umore, tanto che quando era triste o arrabbiata trasformava tutti in becchini o Mangiamorte.

Per Amelia, la Pigrizia era un forte incentivo alla Fantasia - ed in questo era Sally Brown.

Nonostante chiamasse fratellone quello strano soggetto sangue del suo sangue, nonostante si fosse presa una cotta di un giorno per un bambino dalla maglia a righe rosse e nere, si rese conto di non assomigliare per niente a Sally quando capì quanto le piacesse scrivere: a lei i temi piacevano, per quanto odiasse doverli comporre per forza. Le piaceva anche la scuola, anche se ogni tanto si ritrovava ad urlarle contro, inascoltata: in realtà lì urlava più o meno contro tutti, tiranneggiando i bambini delle classi inferiori e prendendosi i ruoli migliori in tutti i giochi inscenati durante la ricreazione. Lasciava il ruolo di capo a qualcun altro solo quando si giocava a Sailor Moon. Non sopportava quella piagnucolona di Usagi: si lamentava troppo per i suoi gusti, e quell'amore con Mamoru era così stucchevole... Lei voleva Sailor Jupiter e, regolarmente, la interpretava. Stranamente, era lei a risolvere molti duelli, stravolgendo la trama di cinque stagioni televisive: preferiva le saette al potere dell'amore e blablabla, e provava un certo sadico piacere nel fulminare ogni volta la nemica di turno che, guarda caso, era Sara Banchi, Miss Boccoli d'Oro, a cui i Banchi glieli avrebbe volentieri tirati in testa, dopo che le aveva soffiato di sotto il naso l'onore di tenersi per mano con Andrea per dieci secondi, tutte le ricreazioni.

Il giorno in cui li aveva visti per la prima volta insieme, aveva trascorso tutto il pomeriggio a casa di Frédéric, sedendosi al suo fianco sul panchetto ed imprecando contro il suo stupido pianoforte, che di tanto in tanto martoriava suonando una nota qua e là, con la determinazione di un rullo compressore.

Il suo migliore amico sbuffava, nel veder violentati i pianissimo suggeriti dal suo spartito.

La madre di lui scuoteva la testa sconsolata, mentre dal piano superiore udiva un tale scempio nei confronti del suo Chopin, che guarda caso aveva dato il nome all'estroso figlio.

Invece Amelia parlava. E inveiva, e urlava, e stringeva i pugni, soffocando quella rabbia che neanche un soave valzer poteva rilassare.

Poi, di punto in bianco, tacque.

Frédéric continuò a suonare per altri cinque minuti, perché sapeva che in quei trecento secondi guardare Amelia era off limits, come era off limits fissarla mentre mangiava o beveva, o darle torto in qualsiasi situazione.

Terminato il suo valzer - e sicuro che quelle lacrime di cui Amelia si vergognava così tanto fossero ben nascoste e dimenticate -, la prese per mano. « I treni ci aspettano, Amelia. »

Frédéric era l'unico a sapere di quella passione, forse lo sarebbe sempre stato.

Uscirono e si sedettero sul marciapiede della via tranquilla in cui abitavano, controllando rapidamente gli orologi ai loro polsi fini. « Le cinque e venticinque. »

« Più o meno tra dieci minuti. »

Aspettarono in religioso silenzio, finché le prime finestrelle gialle fecero capolino nel buio di inizio gennaio.

Amelia amava i treni anche perché poteva condividerli con il suo migliore amico.

Frédéric amava i treni perché poteva condividerli con lei, ma non gliel'aveva mai detto.

Del resto, a Schroeder Lucy Van Pelt non era mai piaciuta.







Amo i Peanuts, e ogni bracchetto, Brown o Van Pelt nominato in questa storia non è certo farina del mio sacco.
Tutto il resto sì.
Soprattutto la mia Lucy, Amelia.
Lei è mia in modo particolare.

Il titolo è volutamente all'imperfetto.
Anch'io i treni li amavo.
Volete sapere cosa ne penso ora?
Meglio di no: dovrei alzare il rating per turpiloquio.

Ringrazio Agathe, Chiara e Barbara, che hanno letto in anteprima e mi hanno incoraggiato.
Ringrazio Valaus che ancora non lo sa, ma mi ha dato la spinta fondamentale, una boccata d'ispirazione dopo un mese di silenzio.

E poi ringrazio chi questa storia la ispira da mesi.
« Buon compleanno »







Mi trovate QUI, se volete.
  
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