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Autore: divinakanza    26/01/2011    2 recensioni
Sakuragi e Rukawa sono alle prese con i loro sentimenti uguali e contrastanti. Hisashi Mitsui sta vivendo una storia complicata...
Una fanfiction dai toni tristi, ma che cerca di essere il più sdrammatizzata possibile.
{Hana-Ru//Mit-xxx} Il raiting non è definitivo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccola qui! Finalmente con un nuovo aggiornamento. A dire il vero ho scritto questo capitolo un pò di tempo fa, ma avendo trovato un nuovo lavoro, non ho avuto il tempo di postarlo. Spero che vi piaccia. A me piace. Mi sono divertito a scriverlo. A dire il vero non volevo approfondire più di tanto sul servizio fotografico, ma visto che la bichan ci teneva... Colpa tua! XD
Bichan, visto che sono sparita per tanto, ti dedico questo capitolo! *_*

•Capitolo 19

Haruko, seppur sconvolta dal proprio comportamento, era comunque intenzionata a capire.
Non si dava pace, e quel lunedì mattina faticò molto a seguire le lezioni.
Da quando si era liberata del fardello chiamato “Kaede Rukawa”, che pesava sul suo cuore, era come se fosse diventata un’altra persona.
Temeva comunque lo sguardo tenebroso di quel ragazzo, ma in maniera differente.
Se prima le veniva il batticuore solo per un leggero contatto avvenuto per sbaglio, ora doveva cominciare a vederlo come nemico.
Non era sicura della sua intuizione, ma tutto in lei le suggeriva che c’era qualcosa di storto.
Pensava di aver capito bene la situazione, ma non aveva prove certe che confermassero la sua ipotesi.
Non avrebbe voluto essere sua rivale anche perché per quanto non fosse più innamorata, non lo odiava affatto, ma lui non le dava certo altra alternativa se non quella di sfoderare un’aggressività che non le era mai appartenuta.
Lei voleva Hanamichi, e se lo sarebbe preso.
Poche volte in vita sua era stata così motivata e grintosa.
Era come se dopo quello scambio di parole in palestra con Rukawa, fosse rinata a nuova vita.
Finalmente libera da quella schiavitù chiamata amore.
Quello che nessuno sapeva, tranne le sue migliori amiche Fuji e Matsui, era che dopo quell’avvenimento, si fosse diretta in un centro di bellezza.
Dopo interminabili ore di pedicure, manicure e vari trattamenti, si sentì rinvigorita.
Aveva letteralmente affilato gli artigli, e li aveva anche fatti colorare con uno smalto di un magnifico color lillà che ancora persisteva sulle sue unghie,anche se lievemente scalfito dal lasso di tempo passato dall’applicazione.
Camminando da sola per i corridoi della scuola immersa nei suoi pensieri, si imbatté, o meglio, andò a sbattere contro Mitsui, che stava cercando il capitano Miyagi.
Si scusò educatamente, poiché la colpa era sua e della sua disattenzione, e dopo aver salutato il suo sempai tornò a concentrarsi su se stessa.
Nel frattempo Hisashi, era disperato.
Ryochan era scomparso dalla faccia della terra.
Aveva provato in classe, in palestra, nei vari laboratori, il tetto… Ormai rimanevano da perlustrare solo i tre stanzini dove venivano riposte le scope. Luoghi, che per altro, lui conosceva bene.
Niente…
Non sapendo più come fare, cercò Ayako.
Nemmeno lei si trovava.
Un pensiero malizioso, attraversò per un breve istante la sua mente…
Intanto, maledicendosi in varie lingue per non aver avvertito Haruko quando ne aveva avuto l’occasione, decise di andare a cercare Yoshimitsu.
-Sempai Mitsui,un vice capitano non dovrebbe assentarsi dagli allenamenti per motivi personali- Lo rimproverò sbuffando, il primino.
Soffocando a fatica l’impulso di sganciagli un destro proprio al centro di quella faccia saputella, Hisashi si allontanò salutando sgarbatamente il khoai.
Yoshimitsu era intelligente, brillante e di grande talento, ma sapeva essere davvero odioso.
Faceva il saccente e si mostrava insofferente con la maggior parte dei compagni di squadra.
Però, il vice capitano, sapeva perfettamente che non era un cattivo ragazzo. Anche se questo non serviva a bloccare i pensieri violenti.
A volte sembrava un Rukawa con la lingua un po’ più lunga.
Non era l’unico a pensarla così.
Infatti, durante un amichevole con il Kainan, Jin lo identificò ad alta voce, come l’erede di Kaede Rukawa.
Il suo gioco era elegante, preciso e pulito, anche se ancora immaturo. Ma lo stile ricordava quello dell’ex matricola d’oro.
Hisashi poteva trovare Yoshimitsu insopportabile, ma di sicuro lo rispettava molto.
E come lui, tutti gli altri.
Quel ragazzo aveva un modo di muoversi, quasi principesco. E il tono della sua voce era autorevole. Non obbligava mai nessuno a fare quello che voleva, ma tutti seguivano comunque i suoi consigli spinti quasi da una forza sovrannaturale.
Era magnetico, esattamente come un certo numero 11.
Tutti, nel bene o nel male si sentivano attratti da lui. Il fascino che riusciva ad emanare era palpabile anche dai maschietti, che di certo non lo trovavano sessualmente appetibile (tranne Ryojima della 2-E, ma lui era gay più che dichiarato), ma la maggior parte della gente cercava sempre e comunque la sua approvazione, durissima da ottenere.
Mentre la guardia ritornava a passi pesanti, stanco della vana ricerca, verso la sua classe, scorse Minamori-sensei che stava parlando con una studentessa (di cui aveva il numero di telefono, da qualche parte in un cassetto della scrivania).
Il panico lo colse impreparato.
Con il cuore in gola decise di nascondersi dietro un muro.
Fortunatamente per lui la sensei, non lo vide.
Non era pronto ad affrontarla in quel momento.
Chi cavolo era quel tizio? E come si permetteva di chiamarla “Sayachan”, e prendersi talmente tanta confidenza da guardare quelle curve sexy avvolte solamente da un asciugamano?
In ogni caso doveva avere il tempo di pensare, ma soprattutto calmarsi.
Non voleva fare una scenata e passare da ragazzino. Non con lei.
Per arrivare nella sua classe evitando l’insegnante, scese al piano inferiore e percorse tutto il corridoio. Imboccò per la scala antincendio, e con circa 7 minuti di ritardo, giunse finalmente al suo banco.
Grazie al suono della campanella, si riprese da quello stato di coma in cui era piombato grazie all’atona voce della professoressa Shizuki; una robusta donna sulla sessantina con evidente carenza di estrogeni.
Hisashi, non poteva fare a meno di chiedersi, se l’insegnante di storia conoscesse la ceretta.
Ma non voleva essere lui ad informarla dell’esistenza di tale pratica.
Con quelle voluminose e pesanti braccia, quel donnone alto e scuro, probabilmente lo avrebbe fatto a pezzi.
Quando si accorse dell’orario, fece uno sprint per arrivare il più velocemente possibile al cancello.
Yamada era già lì ad aspettarlo, impettito e con quel suo sorrisetto viscido.
Salito sulla Mercedes nera dell’uomo, Hisashi sentì la nausea salire: l’auto doveva essere nuova, considerando il pungente odore di pelle che proveniva dai sedili.
Parlarono un po’ del più e del meno, poi il ragazzo si incuriosì e cominciò ad assillare il suo manager, con domande riguardanti il lavoro.
-Mitsui-san, voglio darti un avvertimento. Non contraddire mai il fotografo. Almeno non questo. Anzi, non rivolgergli proprio la parola- Lo ragguagliò Yamada, ora serio in volto.
Arrivati agli studi, i due si incamminarono per un corridoio bianco ornato di tanto in tanto con piante alte di un verde quasi abbagliante. Il tutto era molto elegante.
I pavimenti erano talmente lucidi e candidi che Hisashi ci si poteva specchiare, cosa che tra l’altro, gradì molto.
Appena entrati in una stanza esageratamente grande, due bellissime ragazze in salopette e magliette smesse dai colori psichedelici, assalirono il ragazzo.
Senza nemmeno presentarsi e mugugnando qualcosa riguardo una tabella di marcia, lo trascinarono con loro in uno stanzino.
-Cominciamo alla grande!- Commentò Hisashi contento.
Senza neanche guardarlo, le due ragazze lo sistemarono su una sedia.
Una cominciò a trafficare tra una montagna di stoffa colorata, mentre l’altra intrugliava qualcosa che poteva sembrare fondotinta.
La truccatrice cominciò a sopraffarlo tamponandolo con della cipria.
Una volta finito il trucco, la costumista, lo prese per un braccio e lo spogliò brutalmente.
Al ragazzo la cosa, poteva fare piacere in un altro momento, ma si sentiva in qualche modo violentato da tutta quella ferocia con cui la ragazza lo manipolava.
Lo faceva sentire una “cosa”.
E quasi senza accorgersene si ritrovò con un paio di boxer leopardati, accompagnati da una canotta semitrasparente della stessa tinta.
Non si sa come, ma riuscì stoicamente a non svenire, guardandosi allo specchio.
-Allora ragazzi, tutti ai vostri posti si comincia. Dov’ è il figaccione da urlo?-
Una voce cinguettante di un uomo, o qualcosa del genere, incitò tutti quanti a cominciare lavoro.
-Muoviti, il fotografo ti chiama- Disse la costumista, spingendo bruscamente il povero Hisashi fuori dallo stanzino, seminudo e confuso.
-Eccolo!- Urlò esaltato il fotografo –Accipicchia, che fusto che sei!- Osservò, squadrando il modello, con aria famelica. – Bene ora vai là dove c’è quella bella signorina!-
Hisashi si incamminò titubante e disorientato, verso la signorina in questione:
una ragazza dall’aria dolce, le treccine nere che ricadevano lente e leggere sulle spalle e gli occhiali spessi ed impercettibilmente storti, che gesticolava affannosamente per richiamare l’attenzione.
-Tu sei nuovo – constatò lei, vedendo l’espressione confusa del ragazzo. – mettiti qui e fai tutto ciò che il signor Tatsuhiro ti chiede. E non ti preoccupare, andrà tutto bene, vedrai.- Lo rassicurò poi sorridendo gentilmente.
Hisashi, prese postazione dove indicato dalla ragazza.
Si sentiva strano ad essere al centro di un set fotografico.
Dal suo posto, lo spettacolo che vedeva faceva davvero paura: tutti quei tecnici che lavoravano per illuminarlo meglio. Ragazze vestite con improbabili tallieur demodè dai colori scuri, che correvano di qua e di là come trottole. Il fotografo che stava dando di matto perché non aveva ancora ricevuto il suo mocaccino…
L’unica cosa rassicurante, era che finalmente Yamada si era tolto dalla faccia quel dannato sorrisetto mellifluo e ora lo stava guardando con espressione tranquilla.
Lo interpretò come il segno che andava tutto bene.
Prese un respiro profondo, e ricercò nella sua mente, la ragione per cui era lì, vestito con un allucinante completo intimo, che era da uomo solo in teoria.
Bene… andava molto meglio.
Dopo essersi ripetuto varie volte nella sua testa:“La famiglia viene prima della mia dignità”, era finalmente pronto e deciso, e riacquistò la sicurezza che lo aveva sempre caratterizzato.
Aveva passato di peggio negli ultimi anni, e poi era un figo: lo dicevano tutte quelle che si portava a letto, e anche quelle che non erano mai state nelle sue mire.
Anche con un tristissimo completino leopardato adatto ad una sposa nella prima notte di luna di miele, sarebbe stato da dio.
A riprova di ciò, c’erano le poco discrete esclamazioni di approvazione che giungevano dal fotografo, ed erano talmente spinte da riuscire ad imbarazzare non poco il numero 14.
Dopo aver cambiato svariati capi, uno più osceno dell’altro (e per fortuna che la marca d’abbigliamento era innovativa…), dopo aver ricevuto l’ordine di mettersi nelle pose più improbabili che andavo dal “più sexy”, sfociando nel “accattivante, ragazzo; sii più accattivante”, raggiungendo addirittura il famigerato “Magnum!” (Zoolander docet), finalmente quella tortura finì.
Era stato utile seguire il consiglio del signor Yamada.
Probabilmente se non avesse pensato ai suoi genitori durante il servizio fotografico, avrebbe pestato di botte quel maniaco del fotografo.
O quanto meno avrebbe detto la sua, in merito alle pesanti avances.
Non aveva idea del lavoro che ci fosse per realizzare un servizio fotografico del genere. Era tutto quanto così caotico e veloce, che più di una volta il ragazzo, aveva temuto di essere lasciato indietro.
Era assurdo, il numero di persone che stavano dentro quella sala. E si davano tutti un gran da fare per farlo risultare il più bello possibile; “come se ce ne fosse bisogno” sorrise compiaciuto Hisashi tra se e se.
-Sei andato bene!- Esordì il signor Yamada, entrando nello stanzino dove Hisashi aveva appena finito di infilarsi l’uniforme scolastica.
-Tatsuhiro-sensei è rimasto soddisfatto di te, ha detto che ti ingaggerà di nuovo- Aggiunse, ma vedendo lo sguardo terrorizzato del ragazzo, dovette fare un ulteriore commento – Tranquillo, abbaia ma non morde- Sorrise gentilmente l’uomo.
Sull’auto, Yamada continuò a parlare
-Mi spiace di non averti spiegato bene tutto, avrei voluto dirti di più, ma prima mi hai tempestato di domande…-
-Mi scusi…-
-Tranquillo, succede sempre ai novellini, di innervosirsi.-
-Ma davvero dovrò lavorare di nuovo con quel tale?- Chiese poi Hisashi, sentendo brividi freddi dietro la schiena nel pensare a quella orribile eventualità.
-Speraci! Tatsuhiro-sensei è il fotografo più importante di questi tempi. Hai avuto un’opportunità più unica che rara oggi. Se il modello ufficiale, e non sto parlando di uno qualsiasi, ma di Toja Tagase, non fosse finito in ospedale, saresti stato ingaggiato al massimo per una scadente pubblicità, pubblicata su un qualche giornaletto anonimo.-
Cavoli! Lui aveva preso il posto di Toja Tagase. Il volto di quello lì era praticamente in tutta la città.
Si sentì rinfrancato da questa scoperta. Significava che avrebbe fatto strada in fretta.
-Tra l’altro, ti ha scelto proprio il sensei- rivelò il manager, frenando lentamente ad un semaforo rosso.
-E come? Non ho un book…Infatti mi è sembrato strano essere scelto così.- Confessò il ragazzo.
-Quando eri fuori dalla sala d’attesa, non hai aspettato tanto perché eravamo indecisi, ma perché quando sei entrato negli studi, lui ti ha adocchiato e ci ha rimbambito al telefono per un’eternità dicendo che ti voleva assolutamente per questo servizio fotografico.-
Hisashi rimuginò un po’ e decise che il fotografo gli stava un po’ meno sulle scatole. Aveva dimostrato molto buon gusto, non poteva essere così tremendo se aveva immediatamente notato il suo estremo fascino.
Salutò il signor Yamada con un elegante inchino e delle parole di ringraziamento, poi Hisashi fece quel metro che lo separava dal cancello della sua casa.
Entrò nella sua abitazione, e si fiondò a tutta velocità nella doccia.
Non si prese nemmeno la briga di controllare che ci fosse qualcuno in casa: i suoi erano in ufficio e la sorella sarebbe rimasta a dormire dalla nonna.
Uscì dal bagno solo in mutande (finalmente normali), e si buttò a peso morto sul letto.
Orai erano più o meno le 9 e qualcosa, di sera.
Un’infermiera sarebbe arrivata a casa sua e gli avrebbe sparato con un fucile, se solo si fosse azzardato a chiamare Hanamichi per aggiornarlo dell’insolita giornata che aveva avuto.
Quindi sprofondò in un sonno profondo, ignaro del fatto, che pure Hanamichi aveva avuto la sua buona dose di emozioni, quel lunedì.

   
 
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