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Autore: Dea Elisa    26/01/2011    1 recensioni
“Non c’è logica nell’amore.” Una frase. Incisiva. Esattamente quello che ci voleva per farla zittire e meravigliare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cristiana Gandini, Riccardo Malosti, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Decima parte.

Test di gravidanza. Positivo.

E Riccardo era ancora tutto sottosopra. Come i fogli delle analisi che aveva sparpagliato per il tavolo. Fece un giro per la stanza, cercando di tornare in se stesso. Raggruppò i fogli e richiuse la cartellina. L’obiettivo era quello di riportare tutto com’era e dov’era prima. Sempre che quei due non avessero già finito di operare. Controllò l’orologio, e si rese conto di come fosse impossibile la sua missione: era rimasto in quella sala per un’ora e mezza e buona. Però ci doveva almeno provare. Prese sottobraccio i documenti e si avviò.

 

Arrivarono di corsa al box, prima ancora che gli infermieri avessero riportato la paziente dopo l’operazione. Si guardarono entrambi in giro, ma l’unica cosa che vedevano era un letto fatto e un comodino. Vuoto.

“Dove le avevi lasciate?” chiese lei.

“Sul comodino, sono sicurissimo.” Lo indicò. “Dove possono essere finite?”

Aprirono tutti i cassetti e gli armadietti possibili. Come se non bastasse, controllarono anche sotto il letto.

“Sono sparite” constatò Sergio, le mani sui fianchi, agitato per aver tradito in parte la fiducia di una collega.

Nessuno dei due si era però voltato dalla parte opposta.

 

Malosti, fermo in mezzo al corridoio in una posizione giusto giusto adatta a vedere e a non essere visto. Con le analisi in mano. E l’ansia di chi non vuole essere scoperto con l’arma del delitto ancora fumante o sanguinante. Si sentiva un ladro, o peggio ancora, un assassino. Le facce sui volti dei colleghi non erano proprio… allegre, anzi, oltre ad essere preoccupate forse erano anche arrabbiate.

 

“Ma chi sarà stato?” continuava a tormentarsi Cristiana.

“Al massimo le facciamo rifare.”

“Sì, ma ti assicuro che non è proprio una bella sensazione quella di sapere che in giro per l’ospedale stanno viaggiando le mie analisi.”

“Immagino. Dai, andiamo, e non ci pensare, vedrai che prima o poi salteranno fuori.”

Stavano per uscire. E Riccardo fece dietrofront, il più rapidamente possibile.

 

Giunse con il fiatone in sala medici, dove aprì con poca usta il suo armadietto personale, all’interno del quale finì il fascicolo celeste. Prova nascosta. E adesso bastava solo che le indagini non iniziassero dalle… persone più vicine.

“Dottor Malosti, è successo qualcosa?” Ettore, con l’espressione di chi aveva appena visto una cosa ma avrebbe voluto essere da tutt’altra parte.

“Tu” iniziò Riccardo, puntandogli un dito addosso, “non hai visto niente.”

“No, no, ovvio che no.” “Forse è meglio che mi tolga dai piedi.”

“Bravo, Ettore, bravo, forse ti ho sottovalutato.” Ma non rispose, uscì e lo lasciò da solo in mezzo alla stanza. Con l’aria sconvolta.

 

“Potresti andare a controllare in sala medici, no? Magari le hanno trovate e le hanno lasciate sul tavolo, pensando che quello fosse il primo posto in cui si viene a cercare ciò che si è perduto.”

“Vado subito.” “Sergio?” Si guardarono. “Grazie di tutto.”

“Ma se è stata tutta colpa mia!”

“Non dirlo nemmeno per scherzo.”

 

Allora era così che ci si sentiva da colpevoli? Combattuti tra il confessare e tenere tutto per sé, con i battiti del cuore mai alla giusta velocità. E raccontare bugie a tutti, minacciare uno specializzando per non farne parola con nessuno.

“Ma che cazzo sto facendo?” appoggiò le mani sul tavolo e si piegò, lasciandosi appoggiare su di esse. La testa bassa, gli occhi chiusi, i pensieri che vagavano tra Cristiana e quelle analisi. E Sergio. Quel primario sempre in mezzo. Perché ha chiesto a lui di farle le analisi? “Perché non è venuta da me?” Stava ormai parlando da solo. Con gli occhi prossimi alle lacrime. Era troppo duro anche formulare una domanda del genere e rendersi conto che Cristiana non si fidava di lui, oppure si limitava a farlo per certe faccende. E quando si era trattato di lei… era corsa da Danieli, Invece di parlare con Riccardo.

Ma chissà come mi sarei comportato io. Magari avrei iniziato a tremare dall’emozione al punto tale di non riuscire nemmeno a prelevarle il sangue. Però le sarei stata vicino. Avremmo riso insieme. Avremmo aperto insieme quelle maledettissime analisi.

E invece in quel momento erano là dentro, chiuse in un armadietto a chiave. Ed Ettore poteva testimoniare. Ma, nonostante questo, era sicuro almeno di una cosa: lì non avrebbero frugato.

 

Lo scatto della maniglia della porta lo fece sobbalzare. Tornò in fretta in posizione eretta, per affrontare il primo interrogatorio del caso. Era Cristiana, che lo guardava come se fosse un alieno.

“Riccardo, ma…” Gli si avvicinò lentamente, per poi arrestarsi a una decina di centimetri da lui, a guardarlo. “Hai pianto.” Ecco quello che odiava delle donne. Sapevano riconoscere con una sola occhiata ciò che avevi fatto fino a quel momento. E si vergognò. Nessuno l’aveva mai visto piangere da quando non era più un bambino. Nessuno. A parte lei, che ora faceva parte della sua vita, che in quel momento sapeva di lui più di quanto lui stesso era a conoscenza. Capiva i suoi gesti, le sue parole, le sue allusioni. I suoi sguardi. E aveva visto che erano lacrime quelle che in parte avevano percorso le sue guance.

Lui immobile, davanti a lei. Gliele asciugò con il morbido contatto dei suoi polpastrelli, e poi gli si gettò al collo.

“Ti amo, Riccardo, ti amo.”

Ti amo anche io, avrebbe voluto risponderle. Ma l’unica cosa che fece fu quella di strizzare gli occhi affinché altre due lacrime fuoriuscissero all’unisono. E caddero insieme sulla spalla di Cristiana.

 

“Perché non ci hai raggiunti in sala operatoria?” il suo respiro gli solleticò il padiglione dell’orecchio, e nel contempo sentì il suo corpo volersi staccare. Glielo impedì, intrecciando le braccia dietro la sua schiena. Per averla ancora più vicino. Per non guardarla in faccia mentre mentiva.

“Era arrivata l’ambulanza con un ferito grave. E non c’era nessuno disponibile.” Quanto era difficile inventare qualcosa con a disposizione meno di due secondi. Però ci riuscì, mentre le accarezzava i capelli lisci. “Mi dispiace.” Di averla lasciata sola. Di aver mentito. Di aver commesso un errore di cui si era già pentito. Di tutte le volte che l’aveva trattata male. Di non averle ancora detto che l’amava.

 

“Teresa, senti, dove le tieni le analisi che arrivano?”

“Ancora? L’ho già detto a tutti i medici, e dico tutti; sarà l’unico a non saperlo!” Era proprio una giornataccia.

“E allora illuminami, no?”

Gliele indicò. “E non azzardatevi a chiedermelo ancora.”

Percorse il desk ovalizzato sino all’angolo, dove tre o quattro fascicoli come quello che aveva sottobraccio giacevano sul piano. Alzò gli occhi verso di lei: era al telefono, e gli occhi erano rivolti allo schermo del pc. Rocco non era nei paraggi. E dietro di lui c’erano solo alcuni pazienti in attesa di una chiamata. Infilò la sua cartellina in mezzo alle altre e fece finta di cercarne un’altra.

“Niente, Teresa, non sono ancora arrivate!”

“Come se fosse colpa mia.”

Bene, anche questa era fatta. Ora bastava solamente che o a Danieli o a Cristiana venisse in mente la possibilità che le analisi fossero tornate a casa.






   
 
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