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Autore: Many8    27/01/2011    12 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Il mio fiore preferito, dopo aver scoperto l'Iris, è proprio quest'ultimo. Mi piace il colore, mi piace la forma e le sfumature, è un fiore delicato, soprattutto mi piace per il suo significato.

Questo capitolo è POV Edward, inizierà da quando Bella lo lascia solo in stanza, andrà avanti abbastanza velocemente, fino a... (scopritelo :P)

Buona Lettura.

Edward.
Era andata via. Ero solo.
Il mio cuore aveva smesso di battere, si era spezzato in milioni di pezzetti, che non sarebbe mai stati più rimessi al proprio posto da nessuno, se non dalla persona che aveva abbandonato la stanza, chiudendo la porta con forza, senza degnarmi di un ultimo sguardo, di un ultimo bacio.
Senza darmi la possibilità di parlare, spiegare ciò che era successo. Uno stupido errore da parte mia, che poteva benissimo essere evitato, io non amavo più Tanya, il mio cuore ormai apparteneva a Bella, non era di nessuno, di nessun'altro.
Avevo concesso a Tanya di parlarmi, le dovevo delle spiegazioni, d'altronde, anche se tutto era evidentemente chiaro, non stavamo insieme, e forse non lo eravamo mai stati, più di un'amicizia tra di noi non ci sarebbe mai stato nulla, troppo diversi, troppo distanti l'uno dall'altra.
Mi aveva parlato, mia aveva detto che le mancavo, che voleva che noi tornassimo insieme, come lo eravamo stati mesi e mesi fa. Ero pronto a dirle che era tutto finito, che il suo "voler bene" non era corrisposto, le volevo bene come una sorella, come un'amica, ma non come un ragazzo vuole bene alla sua fidanzata. Ma qualcosa era andato storto, si era avvicinata troppo, non sapevo cosa fare e dire, non riuscivo a muovermi, a scostarmi per impedirle di baciarmi. Ma anche se lo avesse fatto non sarebbe stato ricambiato, avrebbe baciato una statua di ghiaccio, nulla di più.
"Io appartenevo a Bella, e a nessun'altro", avrei voluto dirle, ma poi quel rumore, la corsa alla porta e la vista di Bella camminare con passo affrettato nel corridoio, il sangue gelarmi nelle vene, aveva visto tutto. Aveva visto la cosa sbagliata.
Ero stato un deficiente.
Un deficiente incapace di fermare la propria donna, quella che desiderava, ambiva, e che aveva conquistato con tutta la sua forza di volontà, con grande ardore, e dirle che tutto era uno stupido equivoco.
Un deficiente che in quel momento se ne stato shoccato nel bel mezzo della stanza, con le braccia , inermi, lungo i fianchi, la testa bassa, e le lacrime agli occhi.
Quel deficiente che non aveva mai pianto per una donna, che non piangeva dall'età di dieci anni, le lacrime non andavano spese per sciocchezze, ma in quel momento la cosa più importante della sua vita gli era scappata dalle mani, si era dissolta troppo velocemente, così velocemente che il suo cervello non era ancora riuscito a mettere a fuoco il tutto.
Uscì dalla stanza dopo un pò, camminavo con lo sguardo perso nel vuoto, sentivo una pressione nel petto, come se fosse un nodo, che mi stringeva forte, mi causava dolore.
Era quasi straziante, mi mancava il respiro, non riuscivo a respirare bene, come si deve.
Mi diressi nella sala medici, dove incontrai Emmett.
Mi squadrò, sicuramente non riconosceva il mio comportamento, non ero mai stato così. Mi venne incontro, intanto tirai su col naso, e mi destai dai miei pensieri.
"Edward, tutto bene?"
"Sì," sussurrai, la mia voce era storpiata. Avrei voluto rispondere:"No, non va bene nulla."
"Sai, Bella, ha lasciato l'ospedale più di mezzora fa..." disse, misurando le parole.
"Lo so, lo so." dissi, laconico. Guardai in un'altra direzione, come se la faccenda non mi riguardasse, la verità è che volevo nascondere la mia smorfia di dolere che si era ben
delineata sul mio volto.

Sapevo che fosse andata via, non sarebbe mai rimasta dopo ciò che era successo.
"Sei sicuro di star bene?" chiese nuovamente."Non ti importa nulla?"
"No!" Urlai. "Non mi importa, hai capito?" continuai.
"Non mi importa nulla di nessuno, non mi interessa che Bella sia andata via!" strepitai, forse troppo.
"Ok, scusa, non volevo farti arrabbiare." Emmett corrugò le sopracciglia, assunse un'espressione desolata e confusa allo stesso tempo.
"Scusami tu..." dissi, togliendo il camice e mettendolo nel mio armadietto. Presi la giacca e mentre la indossavo gli risposi.
"Io devo andare, il mio turno è finito, ci vediamo domani, Emmett."
"Arrivederci," fece. "A domani..."Uscì, chiudendo la porta alle mie spalle, lasciando Emmett da solo, nella sala. In fretta mi diressi verso casa, dove, per il resto del giorno, sarei stato da solo. Avrei rifiutato l'invito dei miei genitori a cena, mi sarei scusato che non mi sentivo bene, sarei stato in camera mia, sul letto, con lo sguardo perso nel vuoto, e di tanto in tanto qualche lacrima avrebbe rigato il mio viso.

Il girono dopo mi svegliai prima dell'alba. Non avevo dormito affatto bene, avevo la schiena a pezzi per i continui spostamenti da un lato all'altro durante la notte, ero esausto, fisicamente e moralmente.
Tornai in ospedale, senza fare colazione, nè salutare i miei genitori. Presi una decina di caffè solo nelle prime quattro ore del turno.
Quando si fecero le dieci del mattino, presi tra le mani il mio cellulare, entrai nella rubrica e scendendo tra i vari contatti trovando quello di Renee Swan, pigiai il tasto di chiamata.
Il telefono squillò varie volte, prima che rispondesse.
"Pronto, sono Renee, chi parla?"
"Buongiorno signora Swan, sono il dottor Cullen, mi è stato detto che ieri sua figlia ha lasciato l'ospedale, le vorrei parlare un attimo di una cura, potrebbe passarmela?" chiesi professionalmente.
Sperai con tutto me stesso di poter sentire la sua voce, almeno per un misero secondo.
"Oh, dottor Cullen!" disse, sorpresa." Bella, non c'è, è appena partita, con il suo fidanzato..." parlò esitante.
In quel momento qualcos'altro dentro di me si spezzò; la speranza. L'ultima possibilità che avevo era stata spappolata. Dopo qualche secondo in più del dovuto, risposi alla madre di Bella.
"Ah, ho capito, fa niente, arrivederci, allora signora Swan."
" Vuole dire a me? Potrei dirglielo appena la sento..."
"No, non si preoccupi, non era importante, arrivederci." ripetei, aspettando che staccasse.
Cosa avrei potuto dirle?
Può dire a sua figlia che quello che ha visto è stato uno stupido malinteso? Che le voglio bene smisuratamente? Che non posso vivere senza di lei? E che sto soffrendo più, o almeno quanto lei?
No, non glielo avrei mai potuto dire. Risposi il cellulare nella tasca, pensando a ciò che mi aveva detto Renee.
"E' partita, con il suo fidanzato" aveva detto. Il suo fidanzato era Jacob? Quell'animale che le aveva fatto del male precedentemente?
Come aveva fatto Bella a ritornare con lui, e così, da un giorno all'altro?
Sentivo il nodo in gola stringersi sempre di più, mi mancava il respiro.
Inghiottii più volte, cercando di ricacciare già quella bruttissima sensazione. Quando uscì dalla sala dei medici, mi avviai verso il corridoio, lo stesso che portava alla stanza di Bella.
Incontrai Alice.
"Edward!" Mi disse, trillando al suo solito modo. Mi voltai indietro, guardandola arrivare, di corsa.
"Tutto bene?" chiese, scrutandomi in viso.
"Sì, abbastanza bene, perchè?" chiesi, con tono di chi cade dalle nuvole.
"Nulla, hai un'espressione strana." Anche lei. Trassi le conclusioni che non ero molto bravo a tenermi le mie sensazioni per me, o forse la sofferenza che stavo provando in
quel momento non poteva rimanere in me, troppo grande.

"Sto bene, non preoccuparti, dicevi?" domandai, per sviare il discorso su qualcos'altro che non fossi io.
"Volevo chiederti le dosi dei medicinali della paziente della stanza sette..."
"Mhm.." ci pensai, cercando di ricordare, in quel momento non riuscivo nemmeno a ricordare chi ci fosse in stanza sette. "Non so, Alice, c'è scritto nella cartella del
paziente, vedi lì, appunto sempre tutto, adesso non ricordo."

"Ok, vedrò lì," disse, fermandosi.
Io stavo continuando a camminare che parlò.
"Non vai da Bella?" domandò, sorpresa.
Eravamo arrivati all'"incrocio" tra un corridoio ed un altro. Un portava dritto alla camera di Bella, l'altro invece, portava agli altri reparti.
"No, non ci vado." dissi, vago. Spostando gli occhi a terra.
"Come non ci vai?" chiese, corrugando la fronte.
"Non c'è più, Alice, Bella se n'è andata." la informai.
Corrugò la fronte, guardando prima in direzione della camera di Bella, e poi di nuovo spostando gli occhi su di me.
"Come se n'è andata?" ripetè le mie stesse parole.
"E' andata via." dissi, scrollando le spalle, non avrei voluto spiegare a tutti ciò che era successo.
"E' per questo che stai male?"
"Non sto male!" ripetei, arrabbiandomi. Le voltai le spalle, incamminandomi dalla parte opposta.
Stavo male, era troppo evidente, anche per gli altri.

La stessa giornata dopo aver pranzato in mensa, salì di nuovo in reparto, dove mi accolse nuovamente, Alice.
"Questo è tuo," disse, porgendomi un quaderno giallo.
Lo presi con mani tremanti.
"L'ha lasciato Bella, qui. Nel suo cassetto. L'ho aperto, devo dire la verità e il disegno è bellissimo, sono bellissimi entrambi." annunciò.
Rimasi in silenzio.
"Edward, non so cosa sia successo, e non voglio neanche saperlo, a dirla tutta, ma voglio soltanto dirti che lei è davvero innamorata di te, lo vedevo nel suo sguardo, quando si spostava su di te. Lo vedevo nel modo in cui ti parlava, con ammirazione. Lo vedevo nel modo in cui si muoveva in tua presenza. Si capiva benissimo che lei fosse innamorata di te, parlale. Rintracciala. Anche tu sei molto innamorato di lei, si vede da come ne soffri adesso, non cammineresti nei corridoi come uno zombie. Con lo sguardo basso e perso nel vuoto. Ti ho chiamato in mensa ben due volte. Volevo che stessi con noi, con me, Jasper, Emmett e Rose, ma non mi hai nemmeno sentito, sei restato da solo in quell'angolo della stanza, a fissare una mela, senza toccare cibo." disse.
Ero sorpreso dalle parole che aveva usato Alice, non credevo possibile che potesse essere così sensibile.
"Non ho il suo numero, e sono sicuro che se anche la telefonassi non mi degnerebbe di un "pronto" Appena mi riconoscerà, staccherà il telefono in faccia, ed ha ragione."
conclusi.

Sospirò pesantemente.
"Chiamala, lei lo vorrebbe." sussurrò, infine.
"Grazie per i consigli, Alice,"
"Di nulla, mi sono affezionata ad entrambi." disse, avvicinandosi a me.
L'abbracciai, riuscendo a conquistare grazie a lei un pò di forza.
"Alice Brandon, sei un'amica." sussurai al suo orecchio.
Successivamente mi rintanai in una delle stanze vuote (ringraziai, che non ci fossero tanti pazienti in reparto), e sfogliai il quaderno.
C'erano le parole della nostre prima conversazioni, delle conversazioni con Alice, o almeno credevo dal modo in cui si riferiva a lei. C'erano i disegni, i bellissimi ritratti che aveva fatto Bella. Il mio, tanto simile che sarebbe potuto passare per una foto in bianco e nero modificata al pc, ogni punto era così realistico che con quei disegni si poteva fare un film. E poi c'era il fiore, l'Iris. E le nostre mani, intrecciate tra i petali blu e gialli.
Potevo sentirne la consistenza, potevo sentire la mano di Bella stringere la mia, la sua pelle liscia, perfetta, calda. La sua mano era così accogliente che le avrei intrecciate con le mie per giorni, senza mai staccarmi e stancarmi di lei.
La mia mano si strinse attorno all'immagine che mi si era creata nella mente.
L'unica cosa che afferrò fu solo aria.

1 settimana dopo.
La situazione non era cambiata di molto, sentivo la testa annebbiata come sempre, i pensieri che volavano verso di lei, ogni qual volta potessi farlo. Ogni qual volta il mio pensiero non era indirizzato ai pazienti, a guidare o parlare con qualcuno.
"Edward!" esclamò, Alice, venendomi incontro, con un'espressione entusiasta sul volto. "Ho parlato con Bella," continuò, con il fiatone, era appena arrivata.
Il mio cuore iniziò a battere freneticamente, volevo sapere tutto ciò che si erano dette.
La guardai interrogativa aspettando che continuasse a parlare.
"E' a Chicago." boccheggiò, "Quando mi ha chiamata era a casa sua, io ero al parco, stavo andando al supermercato, anche se non ho il turno adesso sono venuta per avvisarti!"
Riprese fiato.
"Mi ha detto che è lì con il suo fidanzato, Jacob, e che si è rimessa insieme a lui." Tamburellò il piede a terra. "Ho il suo numero, se vuoi." concluse, abbassandosi, e prendendo un foglietto dalla scrivania con una penna. Scrisse con i suoi caratteri grossi e chiari delle cifre; il numero di Bella.
"Tieni," disse, passandomelo. "Ti servirà! Sono sicura che prima o poi tu la chiamerai e per farlo ti servirà" ripetè.
"Grazie mille, Alice, stai facendo più di quanto mi aspettassi da te." osservai le cifre. "E dimmi, come ti è sembrata la voce, sta bene?" chiesi.
"Sembra... come te." disse, scrollando le spalle."E' triste, la sua voce era laconica, spenta. Mi parlava con malinconia, come se gli mancasse la sua vita, come se non potesse reggere la situazione per molto. Gli ho parlato di te, di come te la stai passando, di come sei cambiato in questa settimana, dei tuoi comportamenti strani, le ho detto che nessuno dei due sta bene senza l'altro, che entrambi soffrite, ma poi mi ha fermata, stava per piangere, glielo si sentiva nel tono di voce, era rauco, parlava a stento senza che la sua voce si spezzasse, mi dispiace."
"Tu non hai colpe, la colpa è solo mia." dissi, le mie mani vagavano sul foglietto a quadretti bianco, con le dita seguivo i contorni dei numeri.
Avevo già imparato a memoria tutte le cifre.
"Io devo andare, per qualunque cosa chiamami." disse, " e fanne buon uso." continuò indicando il fogliettino tra le mie mani, e sorridendo bonaria.
Feci un cenno con il capo, dopodiché andò via.
Memorizzai il numero nel cellulare, anche se ormai era ben definito nella mia mente. Non lo avrei dimenticato per nulla al mondo.

"Tutto a posto?"
Quella era diventata una delle domandi più frequenti che sentivo ogni volta che qualcuno mi si avvicinava.
In quel momento era Carlisle, mio padre.
Avevo sempre voluto bene a quell'uomo, anche se non era il mio padre biologico. Era diventato il modello di uomo che avevo deciso di "imitare", avevo compreso e imparato da lui tantissime cose, era lui che mi aveva salvato tantissime volte.
"Sì, va benissimo." sussurrai. Ero seduto in salotto a casa dei miei.
Da quando non c'era più Bella, non avevo visto molto i miei genitori, durante i pasti se non ero a lavoro restavo a casa, loro non sapevano di ciò che era accaduto, come
tutti gli altri, d'altronde.

Si sedette anche lui accanto a me, e alzai lo sguardo su di lui.
"Cosa succede, Edward?" domandò, calmo. Era preoccupato, non mi vedeva così triste da tantissimo tempo. La sua fronte era corrugata, passò una mano nei capelli
biondi, che stavano man mano diventando sempre più bianchi.

"Nulla..." sbiascicai, scrollando le spalle." Niente di che."
Mentire era diventato di routine, niente era ormai diventato tutto.
"Il lavoro?" chiese.
"No, quello va benissimo, non c'è problema lì."
"Donne?" domandò. Sembrava un interrogatorio.
Non avevo mai parlato di donne con loro, con Carlisle ed Esme. Erano sempre restati fuori dalla mia vita amorosa, non mi avevano mai chiesto nulla, anche se qualche dubbio doveva essergli sorto. Non avevo mai fatto conoscere una ragazza, non avevo mai chiesto consigli come cercati. Non volevo deluderli più di quanto non avessi fatto già in passato.
Sospirai e con un cenno della testa affermai.
"Posso darti qualche consiglio?" domandò,"Credo che essendo più vecchio di qualche anno posso esserti utile."
"Non credo, Carlisle. Non ci sono consigli che possano aiutarmi, in questo momento."
"Sai, mi sono sempre chiesto perchè non mi avessi mai chiesto nulla sulle relazioni, hai sempre cercato di cavartela da solo, nella vita. Di questo sono fiero di te, ma allo stesso tempo mi fa sentire inutile, inadatto. Incapace di dare un consiglio al proprio figlio. Ma so che tu non mi reputi inutile, ma preferisci solo contare sulle tue forze..."
"Non credo che tu sia inutile, anzi, ma..." cominciai.
"Edward, chiedere aiuto non cambierà nulla, chiedere aiuto non significa essere deboli, forse capisco il tuo punto di vista, e tenendo conto di ciò che ti è successo da piccolo questo un comportamento normale, non vuoi dipendere dagli altri, non vuoi affezionarti alle persone per paura che possano abbandonarti come hanno già fatto un tempo, ma non è così, hai tanti amici, questo vuol dire voler bene a degli individui, e tu ne vuoi tanto. Non aver paura di aprirti con gli altri, di far vedere i tuoi punti deboli." terminò.
Era vero. Tutto ciò che mi era capitato precedentemente aveva influenzato molto la mia vita e la mia crescita. Avevo il timore che qualcuno, qualunque esso sia, amico, una fidanzata, potessero abbandonarmi, altre persone l'avevano fatto precedentemente.
"Grazie per il consiglio, Carlisle." gli sorrisi, sforzandomi. "mi dispiace tantissimo non avervi mai considerati così tanto nella mia vita, anche se voglio che sappiate che vi voglio un gran bene. Siete i miei genitori non potrei non amarvi. Ho sempre avuto paura di deludervi, nuovamente, facendovi conoscere le mie ragazze, avevo paura che voi non l'avreste approvata, che non fosse come voi avreste desiderato per me. E' una stupida paura, lo so, ma è più forte di me..." dissi, abbassando gli occhi.
"Edward, ciò che fa felice te avrebbe fatto felice anche noi, se una ragazza ti piace e avresti deciso di presentarcela noi l'avremmo accettata solo perchè tu la ritenevi giusta per te." spiegò. "Tu sei nostro figlio, ti abbiamo desiderato tanto, e farti infelice renderebbe anche noi infelici."
"Grazie," dissi, allungandomi verso di lui e abbracciandolo. Mi ritrovai tra le sue braccia, calde accoglienti, mi ritrovai fra le braccia di mio padre, il mio vero papà. Le stesse braccia che mi avevano accolto tanto tempo prima, le stesse che mi abbracciavano nei momenti di sconforto, in quelli in cui non riuscivo a trattenere le mie emozioni, le stesse in cui mi ero ritrovato tantissime volte, le braccia che mi avevano dato forza e coraggio per tutti quegli anni.
"Grazie, papà." sussurrai infine.

Inizio Settembre, 3 mesi dopo.
"Per favore, vi preghiamo di mettere nome e cognome sui fogli e consegnare, grazie." disse, uno dei professori della commissione, che presenziava agli esami.
Feci come mi era stato detto, aggiunsi il mio nome in alto, sul foglio e mi alzai per consegnarlo.
Avevo appena finito con l'esame per diventare primario. Sperai che avessi risposto correttamente a tutti i quesiti, i due mesi di studio precedenti erano serviti molto, decisamente.
Avevo deciso di fare il concorso per diventare primario da un giorno all'altro, anche grazie al sostegno di Jasper ed Emmett, il primo mi aveva detto "E' un'occasione da non perdere, Edward!" invece il secondo scherzosamente mi aveva detto " Un secchione come te che non prova? Sarebbe sprecato! E poi chissà chi ci capita in reparto se non lo fai tu, il corso!", avevano pronunciato testuali parole, dandomi pacche sulla spalla.
Da quando Bella se n'era andata il nostro rapporto non era cambiato di molto, oltre al fatto che stavamo sempre più poco insieme, visto che loro preferivano passare tempo insieme alle proprie fidanzate (come dargli torto), ed io preferivo sempre di più passare del tempo con i miei genitori, o più semplicemente, da solo.
Negli ultimi tre mesi il dolore per l'allontanamento di Bella si era leggermente affievolito, ma faceva bella mostra di sé, ogni qual volta, sfogliassi il suo quaderno, ricordassi le nostre conversazioni, le nostre effusioni, i nostri baci. Il dolore persistente al petto era stato mascherato, ma c'era.
Il numero di telefono era rimasto custodito nel cellulare, nella memoria di quest'ultimo e ancor meglio nella mia. Ma non avevo avuto il coraggio di telefonarle. Una volta due mesi prima ero stato sul punto di chiamarla, ma prima che il primo squillo partisse avevo interrotto la chiamata, non avevo bisogno di nuove delusioni. Preferito soffrire così, sapendo che lei non sapesse la verità e non soffrire il doppio, una volta che l'avessi chiamata e lei mi avesse staccato la conversazione bruscamente. Ero un vigliacco.
Del concorso ne avevo parlato anche a mio padre, a cui gli si erano illuminati gli occhi, aveva subito detto che sarebbe stata un'ottima occasione, e che valeva la pena studiare anche se il tentativo si fosse dimostrato nullo.
Avevamo festeggiato quella sera stessa, tutti e tre insieme; io, Carlisle ed Esme. Come una famiglia perfetta.
Con mio padre avevo parlato anche di Bella, una settimana dopo essere stata dimessa, quando mio padre mi aveva parlato sul divano.
Gli avevo detto che quella ragazza mi aveva stregato, che ero pazzamente innamorata di lei, non gli avevo rivelato del passato di Bella, non l'avrei mai fatto, in fin dei conti glielo avevo promesso, ed anche se non era più vicino a me (sperai solo fisicamente, e con la mente mi pensasse sempre, proprio come facevo io) dovevo mantenere la mia promessa, la mia fedeltà.
Gli avevo detto di ciò che era successo prima che se ne andasse, in quel momento Carlisle corrugò la fronte, dispiaciuto.
"Mi dispiace, Edward, e credo che quest'ultimo avvenimento avresti potuto risparmiartelo." cominciò.
"Lo so, Carlisle, lo so. Non mi ha dato la possibilità di parlarle e di spiegarle tutto." mi ero giustificato. Anche se sapevo che giustificazioni non ne avevo.
Poco dopo la fine della conversazione Carlisle mi fece una domanda:
"Edward, non ho capito una cosa, questa Bella era in un istituto di malattie mentali, non ho capito il perché..."
Avevo tentennato per qualche minuto prima di rispondere."Io lo so, me ne ha parlato, o meglio è riuscita a raccontarmelo, ma non posso dirtelo, scusami."
Mi aveva sorriso, scollando le spalle, come per dire, 'non fa nulla'.
Diedi il mio foglio al professore davanti a me, prendendo la borsa in spalla, mi sorrise e ricambiai anche io. Prima di varcare la soglia per uscire mi raggiunse un medico, più
grande di me di un decennio.

"Hey Benjamin"
"Ciao, Edward." ricambiò.
Ci eravamo conosciuti al concorso, lui era di un altro ospedale di Seattle.
"Come è andata?" mi chiese.
"Abbastanza bene, mi aspettavo di peggio." conclusi con un sorriso.
Era un dottore in gamba, l'individuo davanti a me.
" Credo bene, ma non abbastanza da vincere." fece spallucce."Sarà contento per te se il tuo compito sarà il migliore."
"Grazie," feci un cenno con il capo per ringraziarlo ulteriormente.
"Torni all'ospedale?" chiese.
"Sì, ho il turno, tra pochi minuti, ho mezzora per arrivarci." spiegai.
"Bè anche io, allora a presto, anzi tra una settimana, il venti settembre si hanno i risultati!"
"A presto!" risposi, avviandomi verso la mia macchina.

"Signora," Mi rivolsi ad un'anziana, ricoverata da due settimane per una polmonite."E' quasi passato tutto, presto potrà tornare a casa."
"Grazie dottor Cullen, è davvero bravo! E dire, che non mi fido dei giovani!" disse, alzando la voce, secondo i miei sospetti il suo udito si era affievolito e di molto. Mi strinse una guancia, tra l'indice e il medio, strizzandolo con forza. Quando mi lasciò la mia guancia era andata a fuoco.
L'aiutai ad alzarsi dal lettino sui cui era stesa, e la feci accomodare sulla sedia a rotelle, lasciandola nelle mani di una delle infermiere che l'avrebbero portata in camera sua.
Mi sedetti alla mia scrivania scrivendo gli aggiornamenti degli stati delle pazienti.
Improvvisamente, facendomi sobbalzare, Alice entrò nel mio studio, tra le sue mani un cellulare.
"Ciao, Alice." la salutai, sorpreso.
"E' per te!" disse, passandomi il cellulare.
"Cosa?" risposi, mentre prendevo il cellulare portandolo all'orecchio, una mano era sulla cellula dell'audio, per impedire alla persona dall'altro capo del telefono di ascoltare
la mia conversazione.

"E' per te!" ripetè, era entusiasta. "E' una tua paziente, ti dico solo una cosa prima di andare, ti copriamo noi, quindi fai con calma!"
Ero sempre più confuso.
Uscì velocemente, chiudendo la porta.
Avvicinai il telefono all'orecchio, portando la mano dalla cellula, sulla scrivania, chiudendola a pugno.
"Pronto?" feci.
Un sospiro profondo dall'altra parte del telefono, quasi di sorpresa. Un 'Oh', sussurrato e appena udibile.
"Edward." disse la persona con cui stavo parlando al telefono, non era una domanda, ma un'affermazione, neanche lei sapeva che stesse parlando con me. Eravamo
entrambi spiazzati e sorpresi.

Conoscevo quella voce, dolce e cristallina.
La vidi davanti a me, gracile, dolce, amorevole. Vidi i suoi capelli castano scuro. Vidi i suoi occhi color cioccolato; la prima cosa che mi aveva spiazzato quando l'avevo
vista. Vidi le sue labbra muoversi e sussurrare il mio nome.

La vidi. Era davanti a me.
Era la mia paziente.
Era la mia Bella.


Il vostro ultimo compito/esame come è andato? ^^

* Va ad affogarsi nella cioccolata, alla prossima*

   
 
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