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Autore: _rainbow_    28/01/2011    17 recensioni
Edward Cullen è il tutore legale di Isabella Swan da quando lei aveva l'età di undici anni.
Il loro rapporto è sempre stato molto rigido e formale.
Ma adesso che gli studi di Isabella sono terminati, e lei sta per compiere la maggiore età, Edward si presenta con un programma del tutto inaspettato: una lunga vacanza in giro per il mondo, in barca a vela, solo loro due.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Eccovi il primo capitolo.
Una domanda: avrei deciso di scrivere capitoli più corti, per postare più spesso. Che cosa ne pensate?
Un chiarimento: all’inizio del capitolo, cioè tutta la parte in corsivo, il punto di vista di chi narra è quello di Edward. Ho pensato che potesse essere un buon modo per introdurre a grandi linee (perché poi ci sarà modo di approfondire meglio il passato di entrambi) come è accaduto che lui sia diventato il tutore di Bella e perché il suo rapporto con lei sia sempre stato così difficile. 
Una precisazione: dopo aver letto del passato di Edward, potrà sembrarvi un pò inverosimile la sua figura "manageriale" rispetto alla sua età. Tenete però presente che ho forzato un pò la cosa, perchè non volevo che la sua età si discostasse troppo da quella di Bella. Già ritengo che dodici anni di differenza non siano pochi, oltre non volevo decisamente andare. Quindi prendete il tutto per quello che è: una storia romantica di pura fantasia. XD 
Concludo dicendo che mi piacerebbe davvero trovare, anche breve, una vostra recensione.
A presto.
R.


 

 

 

 

All'età di sedici anni avevo perso mia madre. Il vuoto che aveva lasciato nella mia vita e in quella di mio padre, ci aveva allontanato ancora di più. Senza di lei, le nostre incomprensioni si erano fatte sempre più aspre ed insanabili.
I nostri rapporti, da quel momento, erano stati un crescendo di silenzi sempre più lunghi, sguardi sempre più schivi, gesti sempre più distaccati.
Ogni giorno sentivo qualcosa dentro di me spegnersi, come un fuoco caldo e vivo, che in mancanza di qualcuno capace di alimentarlo, non potesse fare altro che lasciarsi morire.
Avevo appena compiuto vent'anni, quando avevo trovato mio padre, privo di vita, nel suo ufficio. Un infarto lo aveva stroncato dopo solo quattro anni dalla morte di mia madre.
Tutti, dai veri ai falsi amici "di famiglia", si erano stretti intorno a me, immaginando che dietro la mia apparente forza d'animo, si celasse un grande dolore per essere rimasto orfano di entrambi i genitori a così breve distanza.
Nessuno poteva immaginare, ovviamente, quanto la morte di mio padre mi avesse fatto capire, invece, che il vuoto dentro di me era diventato totale.
Non avevo provato la stessa disperazione che mi aveva indotto a passare giornate intere seduto accanto alla tomba di mia madre, piangendo la sua assenza.
Davanti alla tomba di mio padre, il giorno del suo funerale, avevo solo pensato che l'indomani, l'unica differenza, sarebbe stata che la responsabilità di mandare avanti gli affari di famiglia sarebbe stato un compito solo mio.
Alla fine, il vecchio, era riuscito laddove aveva voluto: rendermi altrettanto duro ed insensibile come lui, ma in grado di sopportare il peso del cognome che portavo.
Le imprese dei Cullen erano colonne portanti dell'economia nazionale, e come unico erede, tutti si auguravano che io ne diventassi un altrettanto capace amministratore.
Non avevo deluso nessuno, dall'ultimo dei dipendenti al più importante dei nostri soci, tutti avevano avuto parole di apprezzamento per come il giovane Edward, nel giro di qualche anno, fosse diventato il degno, ed altrettanto infaticabile, successore del padre.
Avevo smesso del tutto di avere una vita mia, se mai ne avessi potuta avere una, e mi ero dedicato solo al lavoro.
Questo si aspettavano da me, questo era quello che avevo fatto da quel momento in poi.
C'era stata un'unica eccezione, una sola piccola, inconsapevole, fiammella che non aveva mai permesso che quel fuoco dentro di me si spegnesse del tutto: Isabella Swan.
Era stato l'anno prima che morisse mia madre, in un pomeriggio estivo, che una bambina paffutella e sorridente si era affacciata nella mia vita.
In compagnia dei suoi genitori, Reneè e Charlie Swan, era stata ospite per qualche giorno a casa nostra. Il tempo necessario perchè suo padre decidesse di entrare in affari con il mio.
Mentre loro due passavano il tempo rinchiusi nello studio a parlare di clausole contrattuali e dividendi, in giardino le loro mogli erano già intente a gettare le basi di quella che sarebbe diventata una sincera, solida, seppur breve, amicizia tra loro.
Si erano ritrovate a ridere divertite davanti ai loro figli che cercavano di fare esattamente l'opposto: Isabella insisteva perchè giocassi con lei e la sua bambola, tanto quanto io cercavo di svignarmela.
Quella bambina, con quegli occhi nocciola già così espressivi, aveva trascorso tutto il tempo cercando di diventare la mia ombra.
Poi erano ripartiti: gli uomini con la certezza che affari solidi li avrebbero legati da quel momento in poi; le donne con la certezza di aver trovato un'amica su cui poter contare in ogni frangente; io con l'idea che finalmente non avrei avuto più quella bambina tra i piedi; Isabella probabilmente delusa perchè alla fine non aveva giocato con lei nemmeno per un minuto.
Dopo quell’occasione, avevo rivisto Reneè e Charlie solo il giorno del funerale di mia madre. Isabella, che aveva solo quattro anni, ovviamente non era stata presente.
In seguito avevo rivisto qualche volta solo Charlie, e ne avevo sempre ammirato i modi pacati e cordiali, oltre che la grande capacità di saper sempre sorridere.
Reneè, forse tenendo fede a qualche promessa fatta a mia madre, mi era sempre stata vicina per quanto gliel'avevo permesso.
Spesso mi aveva telefonato, o scritto, cercando di farmi sentire quell'affetto materno che avevo perso. Ma io ero ormai lanciato verso quel percorso distruttivo che era culminato con la morte di mio padre.
Anche in quell'occasione gli Swan mi avevano fatto sentire la loro presenza affettuosa. Isabella l'avevo vista attraverso le foto che mi avevano mostrato, e nel suo viso già più di bambina, avevo ritrovato quegli occhi così caldi, sereni, sorridenti. Con i suoi otto anni, esprimeva tutta la sua gioia di vivere e l'innocenza con cui ancora vedeva il mondo.
Davanti a quella foto, avevo pensato che se mai avessi potuto, avrei fatto di tutto perchè quello sguardo non dovesse mai cambiare. Perchè non dovesse mai diventare come il mio, già così disilluso ed amaro, nonostante i miei vent’anni.
Ma allora non potevo immaginare che di lì a due anni, il destino mi avrebbe messo alla prova.
Mio padre era morto da quasi un anno, quando Charlie e Reneè Swan avevano ricevuto le prime minacce di morte. Se all'inizio non gli avevano dato peso, con il passare dei mesi, e dell'aggravarsi delle minacce stesse, il loro primo pensiero era stato per Isabella.
Se fosse capitato loro qualcosa, lei sarebbe rimasta completamente sola.
Era stata Reneè a convincere il marito che io sarei potuto essere quel fratello maggiore di cui Isabella avrebbe avuto bisogno se loro fossero improvvisamente mancati..
Mi aveva visto crescere, mi aveva visto diventare una persona affidabile, matura, responsabile. Una persona che sicuramente avrebbe saputo garantire alla sua bambina un futuro altrettanto solido e sereno.
Alla fine, mi avevano strappato la promessa che mi sarei occupato di Isabella se quelle minacce fossero diventate una realtà.
Non avevo creduto che sarebbe mai accaduto, così avevo acconsentito solo per tranquillizzarli in un momento dove erano già fortemente sotto pressione.
Ma il destino, a quanto pare, continuava a volermi mettere alla prova: i genitori di Isabella erano morti in quella che si era rivelata a tutti gli effetti una disgrazia.
Erano usciti una sera per recarsi ad un'asta di beneficenza e Charlie aveva perso il controllo della macchina a causa della strada resa scivolosa dalla neve che aveva iniziato a cadere, precipitando in una scarpata. C'erano stati dei testimoni a smentire qualsiasi ipotesi che quelle minacce ricevute fossero state messe in atto, oltre che ai controlli della polizia sul buon funzionamento dell’auto.
Quando ne ero stato informato, solo due giorni dopo, mi ero immediatamente recato a casa loro. Avevo trovato Isabella ancora incapace di credere che i suoi genitori fossero davvero morti, lasciandola di fatto sola al mondo..
In quei due giorni, era rimasta in compagnia della tata che si occupava di lei quando i suoi genitori si dovevano assentare. Una donna dall'espressione dolce, che l'aveva tenuta stretta a sè per tutto il tempo.
Mi ero ritrovato totalmente impreparato davanti a quegli occhi pieni di un dolore che io avevo conosciuto così bene quando mia madre era morta.
Il pensiero subito successivo era stato che non sarei mai stato in grado di mantenere quella promessa fatta a me stesso: non avrei mai saputo riportare gioia e serenità in quello sguardo,  non io, non l’Edward che ero diventato.
Avevo immediatamente avvertito l'esigenza di allontanarla da me, di non affrontare quei fantasmi che mi avrebbero probabilmente trascinato ancora più a fondo.
Le avevo rivolto la parola lo stretto indispensabile, lasciando che fosse la sua tata ad occuparsi di lei per tutto il tempo che mi era occorso a decidere come garantirle quel futuro solido che avevo promesso ai suoi genitori.
Quando, alla fine, avevo trovato nel St. Marie la soluzione migliore, ero stato io stesso a comunicarglielo.
Per la prima volta soli, nello studio di suo padre, mi ero ritrovato faccia a faccia con quella bambina che da quel momento avrebbe avuto solo me come unico riferimento familiare.
Avevo provato un grande senso di inadeguatezza, di incapacità a rapportarmi con il suo bisogno di ricevere conforto.
Ero stato il più possibile chiaro e rapido nell'esporle quanto avevo deciso per lei. Avevo cercato di farle capire che sarebbe stata la soluzione migliore per lei, perchè potesse continuare ad avere una vita normale, e non gravata dai miei continui viaggi di lavoro. Avrebbe ricevuto un'istruzione più che adeguata, così, insieme alla possibilità di vivere con ragazze della sua stessa età e con cui stringere amicizia. Avevo cercato, insomma, di farle credere che sarebbe stata molto più felice che non se fosse rimasta accanto a me.
Ne ero convinto, di agire per il meglio, e per il meglio di entrambi.
Ma ancora una volta, non avevo fatto i conti con la vita stessa.
Tanto più avevo cercato di allontanarla, tanto più lei era stata capace di rimanermi dentro.
La bambina paffuta che mi inseguiva con la sua bambola, la bambina che mi fissava sorridente da una foto, la ragazzina che mi accoglieva quando andavo a trovarla speranzosa che fosse la volta in cui mi sarei dimostrato più affettuoso con lei, e poi ancora la ragazza che mi teneva testa ogni volta di più nel corso degli anni, erano state capaci di legarmi a lei come non avrei mai voluto che accadesse.
Isabella era diventata molto importante per me, ed ora che non avrei più potuto tenerla lontana, mi ero ritrovato costretto ad affrontare quei fantasmi che avevo respinto per così tanto tempo: la paura di non sapere più amare, e di conseguenza la paura di vederla uscire definitivamente dalla mia vita.
Non sapevo come sarebbe andata a finire, sapevo solo che non avrei rinunciato a tentare di costruire con lei quel rapporto affettuoso che mi ero sempre negato.
Avrei portato Isabella con me, nell'unico posto dove mi sarei davvero sentito libero: sulla mia barca a vela, tra le onde del mare.

 

 

 

 

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L'aereo su cui si erano imbarcati, dopo aver lasciato il St. Marie, era sembrato familiare a Bella. Una volta a bordo aveva capito il perchè: una elegante e discreta C faceva capolino sul tessuto raffinato dei comodi sedili.
Ovviamente, non avevano potuto che prendere un volo della compagnia aerea Cullen. Una delle tante attività che contribuivano a renderlo uno degli uomini più facoltosi d’America.
Sicuramente era anche quello il motivo per cui loro due erano gli unici occupanti di tutta la lussuosa business class.
A conferma delle sue giuste supposizioni, era apparsa quasi subito una hostess che aveva rivolto ad Edward un'occhiata cordiale e rispettosa.
- Sig. Cullen, l'equipaggio voleva farle sapere che è un vero piacere averla a bordo. Il Capitano la informa anche che, dopo il decollo, vorrebbe avere la possibilità di ospitarla in cabina, per un suo personale saluto di benvenuto.
Edward aveva gratificato la donna di un sorriso altrettanto cordiale.
- Ringrazi l'intero equipaggio per questo caloroso benvenuto. Ed informi pure il Capitano che sarà un piacere anche per me ricambiare il suo saluto.
Poi aveva rivolto lo sguardo verso di lei.
- Che ne dici, Isabella, può interessarti visitare la cabina di pilotaggio di un Boeing 787?
L'aveva assolutamente presa in contropiede con quella domanda, ma davanti al sorriso amichevole che le aveva rivolto l'hostess, si era sentita in dovere di dare un'unica risposta.
- Certo, più che volentieri.
Era tornato a guardare la donna.
- Bene, credo farà ancora più piacere sapere al Capitano che la mia gradita ospite è curiosa di conoscere tutti i segreti di un buon pilota.
La donna aveva mostrato chiaramente di gradire molto i modi affabili e cordiali del suo diretto superiore. In effetti, Edward era stato più che perfetto nel dare la giusta importanza all'intero equipaggio.
Non aveva potuto fare a meno di domandarsi dove fosse nascosta tutta quella capacità quando era con lei che si rapportava.
Poi aveva cercato di scacciare quel tipo di pensiero, certa che non l'avrebbe aiutata ad affrontare la situazione in cui si trovava con il suo tutore.
"Santo Cielo, davvero ha intenzione di portarmi in vacanza con lui? E noi due soli? E dove poi?"
Domande simili, e tante soprattutto, continuavano a ronzarle in testa, senza avere il coraggio però di porle al diretto interessato.
- Benissimo, Sig. Cullen informerò subito il Capitano. Adesso, però, devo chiedervi di allacciare le cinture, tra qualche minuto saremo pronti per il decollo.
Le tremavano talmente le mani all'idea che stava lasciando dietro di sè tutte le certezze su cui si era basata sino adesso la sua vita, che Bella aveva avuto difficoltà ad eseguire quella semplice richiesta.
Erano state le mani più sicure, e decisamente più ferme, di Edward a compiere quell’operazione al posto suo. Ottenendo che per un attimo le loro mani si erano sfiorate.
Se lui non aveva dato segno di averlo notato, per Bella era stata come essere colpita da una scossa elettrica. Non perchè non era mai stata sfiorata da nessuno, ma perchè era con lui che non aveva mai avuto nessun tipo di contatto.
Era diventata improvvisamente conscia che quello era stato il gesto più intimo che avessero mai condiviso in tutti quegli anni. Non c’era mai stato un abbraccio, o una carezza affettuosa, nemmeno nei momenti più duri che aveva passato subito dopo la morte dei suoi genitori.
Tutto questo le aveva fatto capire quanto davvero fossero distanti, sconosciuti. E soprattutto quanto lei fosse imbarazzata dalla sua presenza.
"Come può pensare che mi faccia piacere trascorrere del tempo con lui, dopo che ha mostrato tanto disinteresse per me?"
Niente, proprio non le riusciva di concentrarsi su qualcosa che l'aiutasse a calmarsi un pò.
- Hai paura di volare?
Era involontariamente sobbalzata, ancora incapace di credere che avrebbe sentito quella voce parlarle costantemente, rivolgendole altre mille domande ancora, forse, per conoscerla davvero meglio.
- No... no.
- Ma sei comunque nervosa, giusto?
- Forse è più giusto scombussolata.
- Giusto. Hai ragione. In fondo ho rovinato i tuoi piani.
Bella aveva immediatamente cercato il suo sguardo, per capire se la frase fosse stata volutamente polemica.
- I miei piani? Fino a prova contraria, mi pare sia stato tu a dirmi che non potevi essere presente alla cerimonia per il diploma, che non saresti potuto arrivare nemmeno oggi, e che i tuoi impegni ti avrebbero permesso di arrivare al St. Marie solo nel pomeriggio di domani.
Lo aveva guardato con più acredine, ora.
- E che quindi, solo domani saremmo partiti. Io non ho fatto proprio nessun piano. Io sono rimasta a disposizione delle tue esigenze, come sempre è stato del resto, mi pare!
Aveva sentito vagamente un rumore farsi più forte, probabilmente i motori dell'aereo entrati in funzione.
Non aveva paura di volare, ma di partire per quel viaggio sì. Dove l'avrebbe portata?
Bella era sempre più convinta di dover trovare il modo di evitare la compagnia di Edward, dato che non avrebbe portato a nulla di buono.
In fondo, avrebbe dovuto pazientare ancora poco più di un mese, e poi non avrebbe più dovuto rendergli conto delle sua azioni.
Sarebbe stata libera di mandarlo al diavolo, lui e tutto quello che le aveva sempre fatto passare con il suo modo di comportarsi.
- Però festeggiare rientrava nelle tue esigenze. Quindi mostrarti dispiaciuta che io abbia anteposto i miei impegni a te, in questo caso appare un pò fasullo, non credi?
I loro occhi si stavano misurando ancora più che le loro parole.
Non riusciva a capire dove volesse andare a finire con quella conversazione, ma di certo Bella sapeva che in ogni caso non sarebbe finita bene.
- Ti rendi conto che stiamo parlando di una semplice festa? Organizzata dal St. Marie stesso per giunta!
- Le feste, specie quelle tra studenti di istituti così rigidi, non sono mai qualcosa di semplice, Isabella. E parlo per esperienza personale, credimi.
Stava davvero esagerando, ora. Forse si stava dimenticando che proprio per colpa sua, lei quell’esperienza non aveva potuto farla!
- Forse, se mi fosse stata data anche a me la possibilità di sperimentare, ne avrei fatto tesoro e ci sarei arrivata da sola!
Due ironici occhi verdi, avevano accompagnato un altrettanto sorrisetto.
- Come tuo tutore, Isabella, ho sempre cercato di mettere la mia esperienza al tuo servizio. Perché lasciarti correre rischi inutili, quando potevo invece evitarlo?
Bella non riusciva a capacitarsi che stessero parlando davvero di una festa, come di un’occasione in cui chissà cosa le sarebbe potuto succedere.
Ma prima di poter ribattere, l’aereo aveva iniziato a rollare sulla pista, i motori spinti al massimo per effettuare il decollo.
Guardando fuori dal finestrino, aveva visto scorrere sempre più veloce la verde campagna svizzera.
Si stava giusto chiedendo se in futuro sarebbe tornata magari a vivere proprio lì, in Svizzera, visto che era diventato per lei un luogo così familiare, quando le parole di Edward avevano avuto il potere di paralizzare qualsiasi suo pensiero.
- Perché, Isabella, avrei dovuto lasciare che tu soffrissi ancora davanti all’ennesimo rifiuto di Matt Davenport, sapendo benissimo che lui non avrebbe agito diversamente, dal momento che sono stato io stesso ad obbligarlo?

 

 

 

Lo so, lo so adesso vorreste la mia testa perché vi ho lasciato sul più bello! Però mettetela così: almeno sapete già quale sarà la prossima domanda che Bella rivolgerà ad Edward! XD.

  
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