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Autore: unknown_girl    01/02/2011    1 recensioni
[...] Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.
http://ificanstop.wordpress.com
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehilà Arthur!

Come va la vita? Qui comincia a fare un certo freddo sai? Ahahah, certo che lo sai!

Ehi, volevo dirti che quest’anno non posso venire da te durante le vacanze di Natale. Io e mio fratello abbiamo deciso di andarcene a sciare nell’Ontario. Pensa che forza! Mi ci vedi sullo skateboard?

Verrò a trovarti verso marzo, va bene? Non ti arrabbiare!

Ciao.

P.S. E non studiare troppo, che fa male alla salute!!!

Restò con lo sguardo fisso ancora qualche secondo sul foglio di carta che aveva ritirato fuori dalla busta gettata il giorno prima. Accovacciato all’ingresso, davanti al cestino delle cartacce, rileggendo per l’ennesima volta una lettera dalla quale non riusciva a staccarsi, faceva davvero pena.

Ne era consapevole, e tuttavia non riusciva proprio a comportarsi altrimenti: potevano sembrare solo poche righe, banali, scritte da un amico lontano, ma rappresentavano per lui una conseguenza ben precisa che avrebbe dovuto inevitabilmente affrontare: la solitudine.

Non che fosse una condizione nuova nella sua vita, al contrario..però erano anni che era abituato a passare quella ventina di giorni del periodo delle vacanze di Natale con Alfred. In fondo, era come un fratello per lui: erano cresciuti insieme, e anzi si sarebbe potuto dire che era stato proprio lui a crescere l’amico americano quando non era ancora in grado di badare a se stesso. Probabilmente era anche dovuto al fatto che era stato abituato, per forza di cose, a crescere molto più in fretta degli altri bambini, e a non fare affidamento sugli altri ma solo su se stesso. Da un lato questo gli aveva dato la forza e le capacità per stare accanto ad Alfred nella sua infanzia in parte sfortunata. Non era necessario ricordare quante ne avessero passate insieme, o quanto fosse stretto il loro rapporto al di là dei legami di sangue per sostenere che tenessero molto l’uno all’altro.

Eppure, nei momenti in cui Alfred gli riservava sorprese come quell’ultima lettera, persino lui veniva colto da amari dubbi. L’americano era perfettamente consapevole della sua condizione familiare, sapeva che il Natale, così come tutte le altre feste, per lui non significavano grandi rimpatriate in famiglia, piacevoli pranzi e risate coi parenti e amici. Da quando aveva iniziato l’università, a diciotto anni, e si era trasferito in quell’appartamento, aveva appositamente organizzato la sua vita in modo da non incontrare più alcuni elementi della sua famiglia. Da qui l’abitudine di dividersi tra lui e i suoi fratelli i genitori a Natale: ognuno tornava a casa quando era sicuro di non incontrare l’altro. In questo modo si riuscivano ad evitare spiacevoli tensioni, sfuriate inesorabili e gelide atmosfere. Solitamente, lui riusciva sempre ad avere posto a casa per il 24 o il 25, qualche volta condividendo la visita con il secondo dei suoi fratelli maggiori, che viveva e studiava a Cardiff. Almeno lui era quello con cui litigava meno spesso.

Si alzò da terra e ripiegò il foglio nella busta. Gli diede un’ultima occhiata prima di rigettarla nel cestino, lì da dove l’aveva tirata fuori. Si incamminò verso la cucina e poggiandosi sul tavolo con una mano si versò in un bicchiere un po’ del tè del pomeriggio precedente che era rimasto. Lo sorseggiò lentamente, mentre allungava lo sguardo sul giardino che si mostrava dalla finestra. “Non ti arrabbiare!”, era soprattutto quella la frase che riecheggiava nella sua testa. Che razza di richiesta era? Interrompere un’abitudine che si ripeteva ogni anno, consapevole che l’avrebbe lasciato solo per tutta la durata delle vacanze, per andarsi a prendere un po’ di neve in Canada? L’indifferenza implicita dell’americano gli bruciava dentro; aveva rinunciato a fargli visita così facilmente? La loro amicizia valeva dunque quanto una settimana bianca? Poggiò il tè sul tavolo, abbassando lo sguardo vitreo sul pavimento.

Perché? Perché era così dannatamente stupido e infantile?

La sua rabbia crebbe ancora di più. Era frustrante: dover ammettere di aver bisogno di una persona molto più di quanto quel qualcuno avesse bisogno di te. Odiava riconoscere di dover dipendere dagli altri, soprattutto da un punto di vista emotivo, ma Alfred era il suo amico più caro. Anzi, forse era il suo unico amico. Possibile che non capisse che una cosa del genere poteva distruggerlo? Possibile che non capisse che era solo, completamente solo, nonostante fosse chiaro come il sole?

- Non m’importa.. – Ripeteva ad alta voce, come un mantra, cercando di convincere se stesso che fosse davvero così.

Questa non te la perdono Alfred. Se ti senti davvero libero di dimenticarti di me, allora anch’io mi dimenticherò di te. E con quel pensiero in mente salì in camera sua, deciso a distrarsi con un po’ di studio, prima di lasciare l’appartamento per recarsi all’università.

- Sul serio? – Esclamò con stupore Francis. – Caspita, devi avere talento da vendere tu! –

- M-ma no! È solo, come dire, passione.. – Rispose leggermente imbarazzato Kiku.

- A dir la verità – Intervenne Roderich sistemandosi gli occhiali sul viso – Kiku è senza dubbio uno dei migliori studenti di quest’università. Se calcoliamo anche il fatto che è straniero, trovo sia sorprendente. Non è così? – Domandò retorico, cercando il consenso di Feliks al suo fianco.

- Scherzi? Cioè Kiku, sei tipo..fantastico! Io non ci sarei mai riuscito. – Rispose con sincero entusiasmo il polacco.

I quattro giovani si trovavano in un’aula vuota, aspettando la lezione di “Storia Inglese” che avrebbero avuto in comune. Dalle finestre della stanza penetrava della fievole luce solare, la quale era riuscita a farsi strada tra le nuvole scure. Erano da poco passate le due e a breve li avrebbero raggiunti anche gli altri ragazzi del corso.

- V-vi prego! Non dite così, è..imbarazzante – Disse il giapponese, arrossendo.

- Quindi sei venuto qui da Tōkyō quattro anni fa per studiare letteratura inglese? – Continuò il francese. – E’ stata dura all’inizio? – Domandò incuriosito.

Il giapponese si schiarì la voce – Beh, devo ammettere che i primi tempi è stato un po’ complicato. Conoscevo la lingua, ma giungere in un paese del tutto nuovo senza avere dei punti di riferimento può essere difficile. – fece una breve pausa, mentre tutti erano intenti ad ascoltarlo. – Però devo dire che oggi invece mi trovo davvero bene qui. Mi sono ben ambientato, e adoro il corso al quale mi sono iscritto. Ho ricevuto anche l’aiuto di molti ragazzi, soprattutto di Arthur all’inizio. –

- Ah sì? – Domandò sorpreso il francese.

- Oh, altroché. I primi giorni ero terrorizzato: sempre nascosto in fondo alle aule sia durante le pause che durante le lezioni; in una settimana non avevo fatto alcuna nuova amicizia. Devo aver suscitato una certa pena in lui, penso, vedendomi ad ogni lezione in quelle condizioni incresciose. –

- Ah, ma povero Kiku! – Esclamò il polacco.

Il giapponese strappò una leggera risata. – Purtroppo all’inizio è stato così. Però, ad una lezione, Arthur si è seduto accanto a me e ha cominciato a parlare…mi coinvolgeva nelle sue discussioni e mi faceva domande. Ricordo ancora con piacere la nostra prima chiacchierata. – Poi si voltò verso Roderich e Feliks e li indicò col dito, sorridendo. – E pochi giorni dopo mi ha presentato ai suoi amici. –

Francis ascoltava con grande attenzione le parole di Kiku. Erano così sincere.

La sua concentrazione fu tuttavia interrotta da una mano che gli si poggiò sulla spalla con grande energia.

- Ehilà! – esclamò con entusiasmo Gilbert, affiancato dall’italiano.

- Ahah, ehilà a voi! – Rispose scherzosamente Francis – Siete arrivati. –

Anche gli altri ragazzi salutarono i due che si erano uniti al gruppo.

- Nell’aula di “Storia Inglese” ci sono Arthur, Natalia ed Elizabeta. Li raggiungiamo? Tanto tra poco inizia la lezione. – Propose l’italiano.

- Certo. – Annuì l’austriaco.

Il gruppo lasciò silenziosamente l’aula libera e si diresse in quella dove avrebbero seguito la lezione imminente. La stanza, piena per più della metà, era spaziosa e luminosa e, nonostante i numerosi studenti, non fu difficile individuare i loro compagni. I giovani si salutarono tra loro e Kiku fu particolarmente sbrigativo nel raggiungere il suo amico inglese, seduto a sistemare i suoi appunti.

- Come va oggi? – Domandò piuttosto diretto.

L’inglese, alzando lo sguardo verso di lui, rispose sereno – Bene. Tu? –

- Sei sicuro? – Domandò nuovamente l’altro, quasi non avesse fatto caso alla risposta. Il giapponese gli si avvicinò maggiormente, bisbigliando – So che non eri in forma ieri…non ti chiederei mai il perché a meno che non sia tu a volerne parlare, però.. – Esitò per un istante – Stai bene davvero? – Gli domandò con tono apprensivo.

Nonostante l’espressione contrita dell’amico, Arthur provò un certo conforto nel vederlo preoccupato per lui. Per lo meno questo diminuiva il suo senso di scoramento. Gli poggiò delicatamente una mano sulla schiena, persuaso del fatto che cercare di nascondere il suo vero umore probabilmente avrebbe finito solo col peggiorare le cose. – Sto meglio adesso. Grazie per essertene preoccupato. – Rispose concedendogli un piccolo sorriso. Il giapponese sembrò sollevato.

Dopo che ebbe concluso di parlare con Kiku, l’inglese rivolse lo sguardo anche agli altri ragazzi che occupavano la fila, per salutali. Incrociato lo sguardo col francese ricevette un cenno amichevole con la mano, che ricambiò. Proprio in quel momento fece il suo ingresso in aula il professore. Tutti, da quel momento in poi, furono impegnati ad ascoltare la spiegazione e a prendere appunti.

 

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- Arthur…sei davvero sicuro? –

Sua madre era appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate e un’espressione apprensiva.

- Non sei obbligato a farlo.. – Fece qualche passo dentro la stanza del figlio. – Possiamo provare a trovare un’altra soluzione. –

Il ragazzo era seduto sul bordo del letto, con una grande valigia aperta ai suoi piedi che si impegnava a riempire. Senza fermarsi o girarsi a guardarla rispose inflessibile. – Mi dispiace mamma. Ormai ho deciso. In fondo sai anche tu che è la cosa migliore. –

La giovane madre si portò una mano sul petto, quasi a cercare di trattenere un tuffo al cuore. Anche il più piccolo dei suoi figli avrebbe lasciato casa, la loro casa. Il senso di colpa l’aveva consumata: non era proprio riuscita a far sì che i suoi figli potessero convivere sotto lo stesso tetto, condividendo il calore e la complicità di una vera famiglia. Questo la feriva e la rendeva un fallimento come madre, ne era certa.

Calò un lunghissimo silenzio nella stanza, quasi spettrale. Arthur interruppe la sistemazione della valigia e poggiò le mani sulle ginocchia, volgendosi verso sua madre. Sembrava così affranta, e la sua figura esile amplificava l’idea di fragilità che le aveva sempre attribuito. Sapeva di infliggerle un grande dolore, ma non poteva fare altrimenti: si trattava della sua vita.

- Non è colpa tua mamma. – Disse guardandola intensamente. La sua voce era spezzata. Un nodo alla gola gli impedì di aggiungere altro. Abbassò lo sguardo vergognandosi tutt’a un tratto di incrociare i suoi occhi, mentre le mani cominciavano a tremargli.

Sentì improvvisamente una calda stretta avvolgerlo con forza e riconobbe sua madre, seduta sul letto accanto a lui, che lo stringeva a sé, scossa dai singhiozzi che cercava di soffocare. Avvolse a sua volta il corpo della donna tra le braccia. Col viso nascosto sul suo seno non riuscì a trattenere le lacrime che caddero copiose sul suo viso.

- Mi dispiace…mi dispiace.. – Ripeteva con voce insicura. – ..non piangere. –

La madre gli accarezzò i capelli con dolcezza, nel tentativo di confortarlo. Era ancora così vulnerabile. In fondo, era poco più di un bambino. Lo strinse più forte quando la assalì un cieco terrore all’idea di lasciarlo andare, di permettere che gli scivolasse dalle mani come era successo con i suoi figli maggiori.

- Ti voglio bene Arthur. – Riuscì a sussurrargli tra i singhiozzi.

Il ragazzo rimase rannicchiato tra le sue braccia, respirando il suo buon profumo e osservando le sottili ciocche che sporgevano dall’acconciatura che le raggruppava i capelli sulla nuca.

Si sentiva miserabile.

La sua vita lo era. Allontanarsi da quella casa e dalla sua vita vissuta fino a quel momento rappresentavano l’unica soluzione per tentare di dare una svolta alla sua esistenza. L’università era l’occasione perfetta: gli offriva il pretesto per vivere lontano da lì, e lo studio, inoltre, sarebbe stato una perfetta distrazione. Per qualche istante nella sua mente gli sembrò che quella potesse essere la felicità. La condizione più agognata, che tutti rincorrono senza sosta, probabilmente la maggiore aspirazione di una vita intera. Tutto gli sembrò così vicino e raggiungibile.

L’unica amarezza che restava era quella di lasciare i suoi genitori, gli unici di quella famiglia che davvero amasse, e gli unici che l’avessero mai amato. In realtà, aveva sempre voluto bene anche a tutti i suoi fratelli: ai gemelli⁽¹⁾, a William⁽²⁾ e Barclay⁽³⁾. Sfortunatamente loro si erano sempre dimostrati piuttosto freddi nei suoi confronti, se non addirittura ostili. All’inizio se ne rammaricava profondamente, dandosi sempre la colpa, pensando che fosse lui ad irritarli e a sbagliare nel modo di porsi. Crescendo però aveva capito che non poteva dipendere tutto da lui: la responsabilità dei loro pessimi rapporti era anche, o meglio in gran parte, loro. Perciò aveva cominciato a curarsi meno dei loro apprezzamenti e commenti, delle loro azioni e infine anche della loro presenza. Fin quando smise di curarsene del tutto.

A uno a uno finirono col lasciare casa: dapprima Barclay, il maggiore dei cinque, si trasferì a Glasgow e poco dopo trovò un lavoro a Edimburgo, intraprendendo la vita del pendolare. Un anno dopo toccò a William che andò a studiare a Cardiff. Quando fu lui a completare il liceo e a prepararsi per l’università decise che non avrebbe voluto rimanere oltre in quella casa. Lui e i gemelli erano gli ultimi rimasti a vivere assieme ai genitori.

Quel fluire di pensieri fu interrotto dalla calde mani della madre che gli sollevarono amorevolmente il viso. Lo fissò con gli occhi lucidi e gli disse con un filo di voce: – Va’ da tuo padre. –

E subito dopo si avvicinò al figlio per baciarlo sulla guancia, stringendolo ancora a lungo.

 

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- Chi vuole una birra? – Domandò a gran voce Feliks, trotterellando fuori dall’aula.

Il resto del gruppo reagì con entusiasmo. – Io volentieri! Ho proprio voglia di bere qualcosa! – Rispose Elizabeta afferrando l’amica Natalia per un braccio. – Ah, ok. – La bielorussa fu più lapidaria, come suo solito. Kiku si voltò con uno sguardo che non ammetteva repliche verso l’inglese. – Tu verrai. –

L’altro non declinò l’offerta e annuì con il capo.

In pochi minuti si ritrovarono tutti in gruppo a lasciare l’università dirigendosi verso il locale più vicino per un aperitivo tra amici. Il locale al quale giunsero era a fianco all’università ed era particolarmente frequentato dagli studenti. Si sedettero ad un largo tavolo circondato da alcuni divanetti e un ragazzo venne subito per prendere le ordinazioni: birre, qualche coca-cola, stuzzichini da bar…l’atmosfera era perfetta per concludere la giornata allegramente.

Fu Feliks a proporre per primo un argomento sul quale confrontarsi, spinto da una forte curiosità:

-Ehi, Francis! Perché non ci parli un po’ della Francia? Come si vive lì da voi? E Parigi? È davvero la città degli innamorati? – Chiese senza neanche riprende fiato il polacco, tamburellando le dita sul tavolo.

Il francese rise divertito – Ahah, ma certo! Adoro il mio paese e trovo ci si viva splendidamente; e Parigi, beh, penso sia senza ombra di dubbio una delle città più belle al mondo – Si sfilò dal polso un elastico e cominciò a legarsi i capelli – E, ovviamente, è la città di tutti gli innamorati. Se hai una fidanzata o qualcuno a cui tieni dovresti assolutamente portarlo almeno un weekend a Parigi. È pieno di posti dove…coronare il proprio sogno d’amore – Rispose alzando leggermente un sopracciglio, malizioso.

Gli altri ragazzi sembravano divertiti dai discorsi del francese. Roderich invece rimase indifferente, mentre all’inglese venne voglia di tirargli il portacenere in mezzo agli occhi. Che bisogno c’era di sghignazzare a quel modo? E soprattutto, chi aveva deciso che Parigi fosse la città degli innamorati? Da come l’aveva introdotta sembrava semplicemente una città piena di volgari bordelli. Sospirò profondamente, senza nascondere il suo disappunto; aveva ragione a confermare la propria opinione sui francesi: solo gente egocentrica, con una scarsa attitudine al pudore e all’igiene, pronta ad accoppiarsi col primo individuo che avessero ritenuto interessante.

- Che schifo.. – Non riuscì a trattenere un commento.

- Mh? Cosa? – Si voltò Kiku verso di lui. Scosse il capo, non volendo dare spiegazioni che magari avrebbero potuto rovinare quell’atmosfera piacevole e rilassata. Il giovane di prima arrivò con le ordinazioni e i ragazzi cominciarono a consumare le loro bevande. Il francese tuttavia aveva sentito il commento dell’inglese e non riuscì a resistere alla tentazione di stuzzicarlo. Dopo aver sorseggiato un po’ della sua birra riprese il suo discorso. – E voi invece? Che attrazioni avete per gli innamorati? – Domandò in tono vago, rivolgendosi ai ragazzi che abitavano a Londra. Feliks inclinò la testa da un lato. – Mah, niente di particolare..è pieno di posti qualunque come sale da ballo, ristoranti chic dove festeggiare un anniversario e banalità di quel genere. Raccontami di qualche luogo per innamorati particolare! – Lo esortò il polacco, incuriosito.

- Oh, oui⁽⁴⁾. Ne abbiamo moltissimi, sai? – Sorrise soddisfatto. – “Le Square du Vert Galant”⁽⁵⁾, l’avete mai sentito? È uno dei miei preferiti, si trova a l’Île de la Cité⁽⁶⁾. Ma non è il solo luogo romantico, posso consigliarvi una marea di vicoletti dove appartarvi, come ad esempio “Le passage des soupirs”⁽⁷⁾.. –

- Wow, sembra davvero poetico. – Sospirò Elizabeta, catturata da quei discorsi.

- Mia cara.. – Gli si rivolse Francis. – Puoi venire a farmi visita quando vuoi. Sarò felice di farti da guida e cavaliere. – Rispose con un occhiolino ammiccante e una voce sensuale.

- A descriverla così sembrerebbe tutta rosa e fiori la tua Parigi.. – Intervenne improvvisamente Arthur, mentre si portava alla bocca la sua birra, con tono di sfida.

Un ghigno comparve sul volto del francese. – Ogni città ha i suoi difetti, credo…bisogna solo capire se sono peggiori rispetto, non so, ad altre città.. – E gli lanciò uno sguardo sprezzante. L’inglese si sentì provocare da quegli occhi e da quel tono e rispose riponendo con energia la birra sul tavolo.

- E’ un elemento di orgoglio avere tanti posti che ti ostini a chiamare “romantici” quando poi servono solo a pomiciare volgarmente per strada? Porcate simili dovrebbero suscitare attrattiva? – Domandò con un certo impeto. I presenti si voltarono turbati verso l’inglese.

- Arthur, stiamo solo chiacchierando. – Cercò di calmarlo Kiku.

- Anch’io. – Affermò deciso senza distogliere lo sguardo dal francese. – Sto solo dicendo quello che penso. Se ha la lingua può sempre ribattere. –

Roderich si schiarì la voce, cercando di convincere l’inglese a tornare in uno stato di quiete. L’italiano d’altro canto, trovandosi a fianco di Francis, gli si avvicinò per cercare di dissuaderlo a lasciar perdere, ma prima che potesse sussurrargli qualcosa il giovane biondo riprese la parola. – Mh, direi di sì. Visto che la tua Londra è stata classificata l’anno scorso come la città più sporca d’Europa penso di poter considerare a prescindere la mia Parigi decisamente più “romantica” della capitale del roast-beef⁽⁸⁾. – Rispose sicuro il francese, provocando la risata soddisfatta di Gilbert, il quale sembrava essere l’unico a godersi lo spettacolo.

Arthur si sentì ribollire.

- Non è così sporca! – Disse alzando la voce. – Hai mai visto New York, eh?!

Kiku poggiò una mano sulla spalla dell’amico per cercare di calmarlo, ma non ebbe grande effetto.

- Mah, può darsi. Eppure il sondaggio classificava Londra non solo come la città più sporca, ma anche come quella più cara, con il cibo peggiore e che ospita le persone peggio vestite..⁽⁹⁾ –

- Queste sono offese gratuite razza di rospo⁽¹⁰⁾ mangia-lumache! – Inveì, tentando addirittura di alzarsi per mettergli le mani al collo. Il giapponese lo trattenne prontamente.

- Ehi, insomma! Ma che fate, tutti e due? Stavamo solo chiacchierando, non c’è bisogno di arrabbiarsi! –

- Sono d’accordo. Perché scadere nell’offesa incivile? – Aggiunse Roderich allungando una mano verso la spalla di Arthur per impedirgli gesti avventati.

- Ma che meraviglia…due teste calde che esplodono.. – Commentò indifferente Natalia osservando la scena.

Feliciano si avvicinò al francese – Francis! Perché ti comporti così? Non è carino quello che hai detto. – Lo rimproverò l’italiano.

L’atmosfera rimase per qualche minuto tesa: Arthur lanciava occhiate cariche di sprezzo al francese, il quale tuttavia si limitava ad osservarlo divertito, sicuro della sua superiorità. Quell’atteggiamento lo faceva infuriare, e confermava tra l’altro le sue convinzioni su quel maledetto popolo: tutti con la puzza sotto al naso, innamorati del loro ego, arroganti e superbi. Altro che luoghi comuni! Anche quel francese alla fine si era dimostrato uno stronzo come quelli che aveva incontrato in passato. Probabilmente anche l’altro pensava lo stesso di lui, ma non gli importava minimamente.

Dopo aver smorzato la tensione alcuni ripresero a chiacchierare per cercar di far distogliere l’attenzione dallo spiacevole accaduto. Paradossalmente, l’unico che sembrava del tutto a suo agio era proprio Francis: continuava a mostrare il suo sorriso affascinante come se non fosse successo nulla, perfettamente rilassato. In realtà aveva stuzzicato di proposito l’inglese, e gli era piaciuto. Osservare il suo viso accigliato e il suo orgoglio britannico ferito era uno spettacolo appagante. Non che lo facesse con cattiveria. Semplicemente, lo divertiva.

- Insomma, ma che hai? – Gli sussurrò all’orecchio Kiku.

L’inglese non rispose subito. Continuò per qualche secondo a guardare la birra di fronte a sé che aveva finito di bere, poi scrollò le spalle. – Scusa…è che in questi giorni sono suscettibile. – Fece attenzione a non farsi sentire dal francese. – Forse dovresti riposare un po’. Approfitta del weekend per staccare la spina..o se preferisci invece potremmo uscire, andare a fare un giro da qualche parte.. – Il giapponese cercava in tutti i modi di venire incontro all’amico. La disponibilità era una delle caratteristiche che più ammirava di Kiku. – Ti ringrazio, ma penso che mi aiuterebbe di più riposare..stare un po’ in pace. –

L’altro annuì. – Capisco. Se ti servisse qualcosa o cambiassi idea, sai che puoi chiamarmi. – Rispose appoggiandogli una mano sulla nuca, in un gesto affettuoso.

È una persecuzione. Una fottuta persecuzione. Già mi bastava quell’idiota di Alfred, adesso devo esasperarmi anche con infido cazzone francese. Pensava tra sé mentre rimaneva in silenzio, avendo perso la voglia di unirsi alle conversazioni degli altri. Rimase lì seduto a giocherellare col cellulare che aveva tirato fuori dalla tasca della giacca, con un certo cipiglio stampato sul viso.

- A lunedì allora! – Salutò il polacco, agitando la mano mentre si allontanava con Roderich, Arthur e Kiku. Il giapponese si inchinò gentilmente nel salutare il resto del gruppo, e l’austriaco fece altrettanto. L’unico che non degnò gli altri ragazzi neanche di uno sguardo fu l’inglese: si era posto alla testa del gruppo che si incamminava verso casa, con le mani in tasca, ancora risentito dal diverbio col francese.

Elizabeta e Natalia si incamminarono verso la stazione, mentre Feliciano, Francis e Gilbert restarono in gruppo, condividendo un pezzo di strada assieme.

- Beh, almeno qui la birra è buona eheheh – Ridacchiò allegro il tedesco.

- Mmh, sì..non male.. – Rispose distrattamente il francese.

- Francis.. – Lo chiamò l’italiano. – Non devi litigare con gli altri ragazzi del corso. –

- Ahahah! Figurati, questo con gli inglesi c’attacca troppo briga! – Continuava a ridacchiare Gilbert.

– Dovresti arrenderti al fatto che passerai qui un anno intero, sai? Armati di sopportazione! –

- Non è quello. Non avevo intenzione di litigare. – Si giustificò Francis.

L’italiano si aggrappò al braccio del biondo, stringendolo. – Francis non è cattivo, quindi non deve litigare con nessuno, va bene? – Disse bonario. – Aah, ma come sei carino Feli! – Rispose l’altro avvicinandosi a l’italiano per lasciargli un piccolo bacio sulla testa.

Il tedesco dovette sentirsi messo da parte visto che afferrò con gran forza l’altro braccio del francese, stringendolo a sé. – E’ che ti piace far casino, vero Francis? – Domandò retorico.

- Parbleu!⁽¹¹⁾ No, no, no. – Rispose stupito dal commento dell’amico. – Non mi piace litigare, a meno che la disputa non porti a qualche sviluppo interessante – Fece una pausa. – Sapete qual è il modo per litigare meno tra due amanti? – Domandò baldanzoso.

- Ma che c’entra adesso, Francis? – Chiese l’italiano, confuso.

Il francese non si preoccupò di dare spiegazioni e cominciò con un altro dei suoi discorsi “amorosi”.

- Sesso. – Disse scandendo lentamente le sillabe. – Sapete che in una coppia più sesso si fa più si rafforza il legame tra i due? È provato da un punto di vista chimico. –

L’italiano sorrise, mentre il tedesco rimase con un’espressione amara sul viso. – Stronzate. Non può essere vero in assoluto. – Ribatté.

– Ma sì ti dico. È come entrare in confidenza con una persona: è normale che più la frequenti più ti troverai a tuo agio con lei, finché magari non arriverai a considerarla un’amicizia importante. Così è anche col sesso in una coppia: più si fa sesso, più si entra in confidenza, e diminuiscono quindi le possibilità di scontro o di separazione. –

- Ma è una cazzata! – Si lamentò Gilbert, per niente persuaso dai ragionamenti del francese.

- Vuoi provare? – Domandò allusivo Francis, piegando il labbro in un sorriso malizioso.

- Ahah, no grazie. So che saresti disponibile ma declino l’offerta. – Rispose ironicamente l’altro. Il francese rispose con un’espressione inappagata sul viso. – Peccato – Sospirò. – Avremmo potuto approfondire il nostro rapporto e..godere di innumerevoli notti di piacere. –

- Francis.. – Lo richiamò l’italiano cercando di farlo desistere da quei discorsi imbarazzanti.

- Ahaha ok, ok ragazzi. – Allargò le braccia intorno ai due compagni ai lati, stringendoli a sé in un abbraccio, mentre continuavano a camminare. – Sapete che ancora non ho battezzato il mio arrivo in questa città? – Domandò alzando lo sguardo al cielo scuro.

- Ah sì? Io mi aspettavo che ti accoppiassi subito con la signora del dormitorio! – Rispose Gilbert scoppiando in una risata, seguito a ruota anche dall’italiano.

- Ma no, non sono così indecente. – Commentò il francese con un filo di autoironia. – In questo weekend mi darò da fare..vorrei trovare almeno un ragazzo e una ragazza con cui passare qualche ora. – Riportò lo sguardo verso i suoi amici. – Che dite? Due in un weekend ce la posso fare? –

Il tedesco gli diede una pacca amichevole sulla schiena, quasi fosse un incoraggiamento. – Ma sì. Uno affascinante come te ce la può fare. –

- Aaah che gentile sei, merci⁽¹²⁾. – Disse regalando anche a lui un bacio di ringraziamento che gli stampò su una guancia. I tre continuarono a scherzare tra loro, camminando lungo la strada. Poco dopo Gilbert li lasciò per proseguire in un’altra direzione che l’avrebbe portato in periferia, dove abitava col suo amico. Francis e Feliciano rientrarono invece nella città universitaria, dirigendosi verso il dormitorio. Passarono un’allegra serata insieme, giocando a carte e guardando stupidi programmi alla tv.

Quando Feliciano lasciò la camera, il francese decise di mettersi a riposare: si infilò sotto le coperte pensando, tutto eccitato, che lo avrebbe atteso un weekend intenso e impegnativo, che gli avrebbe sicuramente regalato molte soddisfazioni.

 

 

⁽¹⁾ I gemelli sono Irlanda e Irlanda del Nord.

⁽²⁾ Sarebbe Galles. Il nome William l’ho scelto io in base al fatto che è uno dei più popolari nel Galles (http://www.nomix.it/top100uk2007.php ).

⁽³⁾ Sarebbe Scozia. Come personaggio, Scozia è stato ideato dalle fan su Pixiv così come il suo nome, Barclay.

(http://www.pixiv.net/search.php?word=%E3%81%AD%E3%81%A4%E9%80%A0%E7%B4%B3%E5%A3%AB&s_mode=s_tag

http://www.pixiv.net/tags.php?tag=%E3%82%B9%E3%82%B3%E5%85%84

http://www.pixiv.net/tags.php?tag=%E3%82%AB%E3%83%BC%E3%82%AF%E3%83%A9%E3%83%B3%E3%83%89%E4%B8%80%E6%97%8F )

⁽⁴⁾ “Sì”, in francese.

⁽⁵⁾ Uno dei più gettonati luoghi romantici parigini (http://www.jeanmauro.com/guida-parigi/?p=79 )

⁽⁶⁾ E’ una delle due isole fluviali della Senna.

⁽⁷⁾ Una famosa strada pedonale parigina dall’atmosfera romantica (http://www.jeanmauro.com/guida-parigi/?p=79 )

⁽⁸⁾ I francesi sono soliti riferirsi agli inglesi col termine roast-beef (“les rosbifs”) in senso ironico o talvolta dispregiativo.

⁽⁹⁾ Non l’ho inventato: http://www.wuz.it/news/83066/turismo-londra-sporca.html

http://mytech.it/flash/2009/05/04/parigi-sopravvalutata-e-londra-sporca-dice-sondagg/

⁽¹⁰⁾ Così come i francesi chiamano gli inglesi “les rosbifs”, gli inglesi chiamano i francesi “frog” in base al fatto che le zampe di rospo sono un piatto francese.

http://wiki.answers.com/Q/Why_are_french_people_called_frogs

http://news.bbc.co.uk/2/hi/2913151.stm

⁽¹¹⁾ Esclamazione che indica stupore. “Perbacco!”/”Oddio!”, in francese.

⁽¹²⁾ “Grazie”, in francese.

   
 
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