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Autore: unknown_girl    01/02/2011    3 recensioni
[...] Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.
http://ificanstop.wordpress.com
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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If I Can Stop - Capitolo 1

– Non m’importa.. –

Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.

Non era riuscito a dormire bene quella notte. Un rancore in particolare lo aveva tenuto sveglio.

Rimase ancora qualche attimo davanti la finestra, con la mano che scansava la tenda da un lato, stringendo saldamente nell’altra la lettera che aveva ricevuto il pomeriggio prima.

Gli piaceva fermarsi ad osservare; a volte la contemplazione di spaccati banali e quotidiani lo rilassava, lasciava scorrere via i suoi pensieri per dar spazio alla sola quiete.

Sfortunatamente, la pratica abitudinaria non aveva avuto gli stessi effetti questa volta.

Strinse con maggiore forza la lettera nella sua mano sinistra, fin quasi ad accartocciarla, e lasciando ricadere la tenda, regalando nuovamente oscurità al piccolo salone, si avviò verso l’ingresso. Gettò con disprezzo l’oggetto di tale frustrazione nel cestino che si trovava vicino la porta d’entrata, rimanendo a fissarla con sguardo severo ancora per diversi attimi.

Stringendo leggermente i pugni trovò la giusta risoluzione per allontanarsi da lì, sperando di aver abbandonato anche il suo attaccamento a quell’oggetto ridicolo. Eppure..

Si abbandonò sul divano, coprendosi gli occhi affaticati dall’insonnia con il dorso della mano. Quella mattina sarebbe dovuto andare all’università. Non che la cosa lo entusiasmasse particolarmente ma… era il giorno in cui gli studenti stranieri dello scambio sarebbero arrivati, e tutti i ragazzi del suo corso con cui era riuscito ad instaurare un buon rapporto gli avevano raccomandato di esserci, di non mancare assolutamente all’accoglienza. Non avrebbe sicuramente fatto una buona impressione quella mattina visto che era di pessimo umore, ma d’altronde non era il tipo da non mantenere la parola data. Kiku, in particolare, si era raccomandato. Nonostante fosse giapponese ed una persona estremamente discreta, era stato molto insistente affinché partecipasse anche lui.

Spostò pigramente la mano dagli occhi, aprendo uno spiraglio verso l’orologio del salotto che segnava le sei e mezzo del mattino. Almeno avrebbe potuto prendersela comoda.

 

 

Sapeva di essere notevolmente in anticipo, ma era così eccitato all’idea di iniziare quella nuova pagina della sua vita che tutto il sonno e la stanchezza del viaggio erano spariti durante la notte. Quello che chiamavano “Erasmus”⁽¹⁾, poteva essere per tanti ragazzi della sua età un’esperienza di studio e di crescita straordinaria, ma a dir la verità le motivazioni che lo avevano spinto a fare quella scelta erano molto meno lusinghiere.

Aveva desiderato più di tutto allontanarsi dalla sua città, e anche dalle sue tante conoscenze. Come se avesse bisogno di cambiare aria per un po’.  Amava Parigi. Tuttavia, la curiosità dell’ignoto e dell’avventura si era impossessata di lui da tempo ormai, e quando per gli studenti del suo corso universitario si era prospettata la possibilità di un anno di studi all’estero gli era sembrato un segno inequivocabile. Doveva partire.

Purtroppo però anche quell’avventura avrebbe avuto i suoi svantaggi: il primo era legato a sua madre. Odiava l’idea di lasciarla sola per tutto quel tempo, ma lei al contrario si era dimostrata entusiasta e aveva insistito fino allo stremo perché presentasse la domanda. Gli ripeteva – Non potrà farti che bene! E’ giusto che tu abbia le tue esperienze senza preoccuparti di quello che farò io.. – insomma, le solite frasi che trovano i genitori per alleviare il senso di colpa di molti dei figli che lasciano casa per lunghi periodi. Le aveva però promesso che sarebbe tornato da lei un weekend al mese e che le avrebbe telefonato tutti i giorni, al che lei gli aveva regalato un sorriso pieno d’affetto ma che lasciava trapelare comunque una certa mestizia. Aveva portato con sé anche una sua foto per sentirla in qualche modo più vicina.

L’altro aspetto negativo era la destinazione: Londra.

Non era mai stato un grande amante di quella terra, tantomeno di quella gente. Forse anche questa era una specie di prova per aiutarlo ad abbattere qualche luogo comune e consentirgli di aprire di più la sua mente. Comunque, l’unica università europea che presentava la possibilità di seguire per un anno il suo corso di studi e la sua tipologia di esami era quella di Londra. Diciamo che avrebbe dovuto accontentarsi. Forse, alla fine, si sarebbe persino abituato a quel luogo, a quella visione del mondo e delle cose squisitamente anglosassone e a quella lingua che parlava e comprendeva perfettamente, ma che in un certo senso considerava aspra ed eccessivamente abusata.

Tirò un profondo sospiro ripensando a tutto quello che l’aveva portato lì, mentre sedeva su una delle panchine del bellissimo e ampio cortile universitario che cominciava a dipingersi dei colori autunnali. Si avvolse la sciarpa intorno al collo un'altra volta. Quella mattina faceva davvero freddo per essere ottobre, ma d’altronde si trovava in uno dei posti più umidi d’Europa, quasi mai baciato dal sole, isolato dalle fredde acque dell’oceano.

Riaprì il libro alla pagina dove aveva lasciato il segno e cominciò a leggere, aspettando con ansia il momento in cui avrebbe conosciuto i suoi nuovi compagni di corso… chissà se fra quelli non ci fossero stati anche qualche ragazza o ragazzo con cui intraprendere una nuova storia a breve termine. Calcolando quante se ne era lasciate alle spalle in appena ventisei anni di vita, in quell’arco di tempo era certo sarebbe riuscito a racimolare qualcosa. D’altronde in quel campo si era sempre considerato un esperto; ed effettivamente lo era davvero. A quel pensiero un sorriso malizioso gli piegò le labbra mentre mormorava fra sé:

– Non c’è fretta.. –

 

 

– Buongiorno Arthur. – Il giapponese si sporse verso l’inglese salutandolo cordialmente.

– Ah, buongiorno Kiku. – Rispose l’altro, non avendolo notato prima.

– Allora, sono arrivati i ragazzi stranieri? –

Il giapponese distese le braccia lungo il corpo, inclinando leggermente la testa da un lato.

– Stanno per arrivare. L’appuntamento con il loro gruppo era alle nove, e mancano pochi minuti ormai. –

L’inglese non rispose. Si limitò a sedersi su una delle tante sedie che occupavano ordinatamente entrambi i lati dell’ampio corridoio, fissando il pavimento.

– Va tutto bene, Arthur? – Domandò il giapponese con apprensione. – Hai l’aria esausta –

– Non è niente. Sto bene. – Sospirò e alzò lo sguardo verso l’altra figura di fronte a sé. – Allora…ripetimi un attimo i dettagli. Sono..quanti, cinque? –

Il giapponese assentì – Sì. Vengono tutti da paesi diversi. Sono sicuro di ricordare ci sia un italiano e una ungherese ma..gli altri non saprei. – Si sedette accanto al compagno di corso. – Visto che l’appuntamento era in cortile, forse dovremmo scendere.. –

L’inglese annuì debolmente, quindi si tirò in piedi. Quella mattina non avrebbe di certo fatto amicizia. Non era solo che non ne avesse voglia, quanto anche il fatto che, di quell’umore, sarebbe stato sicuramente intrattabile e avrebbe finito con l’irritare qualcuno. D’altronde, coi pensieri che si concentravano su tutt’altro, non gliene importava neanche un granché. Il fatto che non fosse mai stato fortunato nelle amicizie e nelle relazioni interpersonali era per lui un dato ormai assodato.

Percorse il corridoio e le scale, raggiungendo infine il cortile interno insieme al giapponese e i due trovarono nel luogo dell’appuntamento anche altri ragazzi del loro corso che, come loro, avrebbero dovuto dare il benvenuto ai nuovi studenti stranieri. La durata dell’Erasmus era fissata generalmente a un anno. Allo scadere di quell’arco di tempo molti ragazzi, tra i quali lui stesso, si sarebbero laureati; mentre gli studenti stranieri sarebbero tornati nel loro paese per presentare la loro tesi e laurearsi a loro volta. Sembrava tutto molto interessante, e per un attimo provò una certa amarezza pensando che il suo potenziale entusiasmo per quell’esperienza non potesse accendersi per via di quella stramaledetta lettera che aveva ricevuto da quell’idiota di Alfred. Non gli andava giù il fatto di considerarlo al punto da fargli distogliere la concentrazione dai suoi impegni quotidiani, ma non riusciva ad impedirlo.

Liberò la mente da quei pensieri nel momento in cui ricevette una leggera gomitata sul braccio da uno dei suoi compagni che cominciò ad indicargli i nuovi studenti stranieri che si avvicinavano attraverso il cortile. Tre ragazzi e due ragazze. Li osservò uno per uno: attirò per primo la sua attenzione il giovane dai capelli chiari, quasi albini, che avanzava con passo sicuro, le mani nelle tasche dei jeans e un ghigno sbarazzino stampato sul volto. La ragazza che gli stava accanto era invece molto più raffinata nei movimenti, con dei lunghi capelli castani e dei lineamenti delicati. L’altra ragazza dava l’impressione di essere meno socievole, soprattutto con quei lunghissimi e liscissimi capelli che le ricadevano quasi davanti al viso; aveva uno sguardo determinato e alquanto fiero. Tutto il contrario sembrava invece il secondo dei due ragazzi, il quale avanzava con un sorriso sincero, quasi saltellando dall’entusiasmo. E infine l’ultimo del gruppo su cui gli cadde lo sguardo: a prima vista sembrava proprio il classico “bel tipo” degli ambienti universitari: alto, sinuoso, biondo e con occhi chiari, un pizzetto ben curato che mostrava con sicurezza.

Quando si unirono al loro gruppo aveva appena finito di osservarli, e ci fu un generale giro di saluti, vaghe strette di mano e sorrisi dalla cui pratica si tenne però distante.

Dopo i primi attimi di confusione cominciarono delle ordinate presentazioni, che partirono da Roderich, Feliks e Kiku per giungere infine a lui. Pronunciò il suo nome debolmente, quasi gli pesasse il doverlo fare, senza neanche aggiungere una qualche frase di circostanza come “Piacere di conoscervi” oppure “Com’è andato il viaggio?”. In realtà si sorprese lui stesso per il grado di apatia con cui si era presentato, forse troppo sgarbato per un primo incontro. Almeno non fu costretto a pensarci troppo su visto che i ragazzi stranieri iniziarono a loro volta a presentarsi senza dare troppo peso al suo disinteresse.

Gilbert, Elizabeta, Natalia, Feliciano e Francis. Questi i nomi dei suoi nuovi compagni di corso.

 

Il gruppo rimase diversi minuti nel cortile a chiacchierare, scherzare, continuare con presentazioni più approfondite…il tempo per svagarsi però era ormai finito in quanto la maggior parte di loro di lì a poco avrebbe iniziato le lezioni della mattina. Kiku propose quindi, a chi fosse interessato o ne avesse la possibilità, di ritrovarsi più tardi, per pranzo. Per quel che lo riguardava già sapeva che avrebbe trascorso il resto del suo tempo dopo le lezioni soprattutto in biblioteca, dove non sarebbe stato disturbato. Un po’ di pace, e in realtà solitudine più di ogni altra cosa, era quello che stava cercando in quel momento.

Mentre il gruppo entrava nell’edificio salendo le scale, Roderich, suo compagno di corso da sempre, stava spiegando ad alcuni come raggiungere le aule dove si sarebbero svolte le loro nuove lezioni.

– Questo posto sembra enorme! – Esclamò l’italiano mentre si guardava intorno entusiasta.

– Oh bé, in realtà, tipo, lo è davvero! Cioè, io mi ci perdevo ancora dopo mesi! – Gli rispose Feliks.

Giunti nel corridoio il gruppo si separò visto che molti dovevano raggiungere luoghi diversi.

– Allora, a voi conviene proseguire qui a sinistra e giungere fino alle scale. Da lì se scendete un piano vi troverete l’aula B esattamente di fronte. – Spiegò Kiku a Gilbert, Elizabeta e Feliciano. Questi ultimi ringraziarono per l’informazione e si recarono nella direzione indicatagli insieme a Roderich e Feliks.

Il giapponese si voltò quindi verso quelli rimasti – Per noi è meglio di qua. – E indicò il lato opposto, verso il quale li invitò ad incamminarsi.

– Che lezione avreste voi adesso? – Domandò disinibito il francese mentre, continuando a camminare, si levava la giacca.

– Io adesso devo frequentare “Anglistica e Americanistica”. Voi? – Chiese Kiku.

– Ah, io avrei…aah, come si chiamava? Qualcosa come “La poetica e la narrativa di Poe nella letteratura successiva”. – Rispose il giovane biondo passandosi una mano tra i capelli.

– Oh, ho capito. Allora quando arriviamo alle scale a voi due conviene salire. – Disse Kiku affacciandosi verso l’amico inglese e Francis – Tu Arthur, hai il corso di epoca vittoriana se non sbaglio, vero? –

La domanda svegliò l’inglese dal suo torpore. Non aveva fatto molto caso a quello che avevano detto fino a quel momento.

– Mh? Ah, sì..certo. Aula venti. – Dopo aver completato la frase notò con la coda dell’occhio che il francese gli aveva lanciato un’occhiata curiosa. La cosa non lo infastidì più di tanto, pensando che un atteggiamento del genere avrebbe impressionato anche lui fosse stato nei suoi panni.

Si limitò ad abbassare lo sguardo, mentre procedevano per i corridoi.

– Comunque, devo farvi i complimenti. Parlate tutti molto bene. – Affermò Kiku sorridendo ai due ragazzi dell’Erasmus, anche se da parte della giovane Natalia si erano percepite appena poche parole durante la presentazione.

– Ahah, davvero? Merci⁽²⁾. – Rispose il francese.

Il gruppo si arrestò nel momento in cui si avvicinarono alle scale. Dovevano prendere direzioni diverse.

– Io devo raggiungere l’aula cinque. – Disse la ragazza, rivolgendosi al giapponese.

– Allora ti accompagno. È qui vicino, su questo piano. – Poi si voltò verso gli altri due – Voi invece salite per di qua, quindi..vi saluto. Se volete ci vediamo a pranzo, va bene? – E li salutò con un cenno della testa mentre si avviava lungo il corridoio con la giovane bielorussa accanto. Il francese ricambiò con un gesto della mano, mentre l’altro lo osservò allontanarsi in silenzio.

Senza neanche aspettare che il francese finisse di congedarsi cominciò a salire le scale.

– Ah, aspetta! – esclamò Francis affrettandosi sulle scale per raggiungerlo. L’inglese voltò leggermente lo sguardo verso di lui.

– Scusa. È che ho lezione. –

– Oh bé, anch’io…e a proposito, non mi ricordo quale fosse l’aula… –

– Hai detto che era il corso di Poe, giusto? – Domandò Arthur mentre iniziavano la seconda parte della rampa di scale che separava il primo dal secondo piano.

– Oui⁽³⁾. – Rispose l’altro con naturalezza mentre l’inglese gli lanciava un’occhiataccia per via del francesismo utilizzato. Non sopportava quella lingua, così come non sopportava i francesi. Ma doveva sforzarsi di mantenere un atteggiamento bendisposto; quel ragazzo era pur sempre un ospite della loro università, e se era lì una borsa di studio l’aveva vinta e pertanto meritava un minimo di rispetto. Persino da parte sua.

– Allora sei al secondo piano. Tra l’altro sono quasi sicuro che l’aula della lezione sia la G. Comunque quando arrivi su chiedi conferma a qualche altro ragazzo. –

Arrivarono a completare le scale proprio quando l’inglese concluse con le spiegazioni. Si arrestò un attimo, voltandosi a guardare il francese, ma prima che potesse dire qualcosa venne preceduto dall’altro.

– Arthur..giusto? – Domandò in tono retorico – Ci sarai anche tu più tardi? –

– Eh? – L’inglese rimase leggermente sorpreso da quell’interrogativo che non aveva niente a che fare con quello di cui avevano parlato fino a quel momento.

– ..no. Direi di no. Ho piuttosto da fare. – Rispose in tono fermo.

– Mh, capisco. – Sembrava quasi deluso dalla risposta ricevuta.

Dopo qualche attimo scrollò le spalle tirando un sospiro – Allora…ci vediamo in giro. Grazie delle dritte. – Disse lasciandolo con un cenno della mano e strizzando un occhio.

L’inglese rimase a fissarlo andare via ancora per qualche secondo, osservando la sua camminata elegante e sicura. Quindi gli voltò anch’egli le spalle e riprese a salire le altre scale che lo attendevano per raggiungere l’ultimo piano dell’edificio, cercando di non sprofondare di nuovo nei suoi pensieri solitari e di non lasciarsi distrarre dal rancore che si trascinava dietro, consumandolo di più ad ogni gradino che saliva.

 

 

Kiku diede uno sguardo al cellulare che estrasse dalla tasca dei pantaloni. Segnava le due passate. Non sarebbe sicuramente arrivato. Sospirò dentro di sé mentre osservava gli altri intorno al tavolo della mensa al quale si erano seduti ridere e scherzare come se si conoscessero da sempre. L’unica cosa spiacevole è che era proprio l’unico ad essere assente, quasi a significare fosse il solo a cui non importasse un granché di accogliere in maniera appropriata i nuovi arrivati. Forse è più impegnato del solito. Anche se..

 

 

Richiuse il libro di fronte a sé, il quale emise un suono tonfo, muovendo una certa quantità d’aria intorno, per via della pesantezza del volume. Si coprì il viso con i palmi delle mani, rilassandosi per qualche secondo. Ormai era da dopo le lezioni della mattina che era lì in biblioteca a studiare e raccogliere materiale. Diede uno sguardo all’orologio da polso: erano le cinque e mezzo. Non pensava di aver fatto così tardi.

Si stiracchiò silenziosamente, per non disturbare gli altri studenti che ancora studiavano, quindi si alzò, portando con sé i libri che aveva utilizzato e raggiunse gli scaffali dove li aveva trovati, riponendoli al loro posto. Poteva udire lo scroscio della pioggia sul tetto della biblioteca e sull’erba del giardino che circondava l’edificio, e rimase in ascolto di quel bel noto sottofondo per qualche secondo.

Sistemò meglio la tracolla sulla spalla e si diresse verso l’uscita mentre estraeva dalla tasca della giacca il cellulare. Era solito tenerlo sempre spento in biblioteca, e perciò lo riaccese per controllare eventuali messaggi o chiamate. Quando superò la porta d’uscita della biblioteca immettendosi nel grande portico gli arrivò un messaggio. Era da parte di Kiku: Francis mi ha detto che eri impegnato. Peccato! Ci vediamo domani.

Già. Il pranzo con gli altri che aveva saltato.

Sospirò internamente riponendo nella tasca il cellulare e aprendo in seguito la borsa per  estrarne l’ombrello. Accidenti, diluvia alla grande…e fa pure freddo. Pensò fra sé lamentandosi. Non riusciva a trovare quel maledetto ombrello nella borsa, quindi provò a cercarlo con maggiore attenzione, sfilandosi la tracolla. Possibile? Non riusciva a crederci neanche lui, aveva proprio lasciato l’ombrello a casa.

Certo, quella mattina, per come aveva la testa e l’umore, sarebbe stato in grado di scordarsi anche qualcosa di più importante, però..adesso si sarebbe davvero inzuppato. Gli venne una gran voglia di prendere a calci qualcosa, ma si trattenne limitandosi a sospirare profondamente con aria di rimpianto. Non che ci fossero molte altre possibilità visto che a casa doveva tornarci per forza. Stava già per levarsi la giacca, per usarla come copertura dalla pioggia, che una voce alle sue spalle gli si rivolse, scherzosa:

– Serve una mano? –

Si voltò lentamente, osservando la figura del giovane francese di quella mattina. Aveva un sorriso affabile sul viso, e anche se ancora non avevano lasciato il portico teneva in mano l’ombrello aperto allungandolo verso la sua testa, quasi a cercare di proteggerlo da tutta la pioggia che altrimenti avrebbe preso. Rispose solo dopo lunghi secondi di attesa e in tono vago.

– ..ah..no..cioè, non fa niente.. –   

L’altro si lasciò andare ad una garbata risatina divertita.

– Ehehe questo sì che è uno spettacolo insolito: un inglese senza ombrello. –

– Sì..immagino tu abbia ragione. – Rispose condividendo l’incredulità del francese davanti a un episodio del genere. Si risistemò la tracolla sulla spalla.

– Dai, ti accompagno io. – Propose l’altro avvicinandosi e concedendo all’inglese metà del suo ombrello.

– No! Voglio dire, non importa. Tu pensa ad andare, io me la caverò lo stesso. Non piove poi…così tanto. – Pronunciò l’ultima frase con un certo sconforto visto che gettando uno sguardo alla pioggia la vedeva cadere sempre più fitta.

– Ma se diluvia! – Rispose l’altro leggermente stupito dai suoi tentennamenti. – Tranquillo, non è un problema. – E così dicendo lo afferrò per un braccio, trascinandolo con sé verso il giardino dal quale avrebbero lasciato il complesso universitario.

– Ehi, a-aspe.. – Non finì neanche di lamentarsi che già si ritrovò a camminare insieme a lui sotto l’ombrello.

Fu colto da un certo senso di colpa. Non era stato esattamente gentile con lui quella mattina, eppure adesso aveva ricevuto un grande favore. In quel momento rimproverò se stesso per essere stato così maldisposto nei suoi confronti.

– …grazie. – Disse timidamente, abbassando lo sguardo.

Il francese per tutta risposta gli rivolse un ampio sorriso. – Figurati. – e continuò dopo una breve pausa:

– Abiti lontano? –

– No. Sto a due isolati dall’università. –

– Oh, perfetto! Allora ti porto fino a casa. –

– Scherzi? Va benissimo anche se mi lasci appena fuori dal complesso, il resto posso farlo da solo. – Rispose cercando di non approfittare ulteriormente della disponibilità del giovane.

Francis scosse la testa con aria disinvolta, rispondendo ironicamente.

– Se ti lascio tornare sotto la pioggia ti prenderai una polmonite. Preferisco portarti fino a casa. –

Arthur si voltò a fissarlo per qualche istante.

– Non mi va di approfittarne e poi essere in debito. –

Il francese a quella affermazione scoppiò in una sincera risata.

– Ahahah non preoccuparti! Se è quello il problema, sappi che non ti chiederò nulla in cambio. – E ammiccando gli fece l’occhiolino. L’inglese non riuscì a replicare con nulla di convincente, e quindi decise di lasciargli vincere la disputa e approfittare completamente della cortesia.

Rimasero diversi secondi, che parvero interminabili, senza parlare, mentre lasciavano ormai il complesso universitario. Fu inaspettatamente Arthur ad intraprendere una conversazione.

– Parli molto bene inglese. Sei bravo. Sono sicuro che non avrai difficoltà con le lezioni e gli esami. –

Il francese gli rivolse uno sguardo meravigliato – Oh, lo pensi davvero? Eheh, grazie mille allora. –

– È la tua prima volta a Londra? – Domandò l’inglese che era insolitamente in vena di chiacchierare.

– A dir la verità no. Mi è già capitato di venire qui…anche se non era per motivi di studio.. – Fece una breve pausa – Dove giriamo, a destra o a sinistra? – Domandò indicando col dito l’incrocio a pochi metri di distanza. – Qui a destra, poi la terza a sinistra e quindi sempre dritto. – Rispose l’altro mettendosi le mani in tasca per il freddo che si faceva più pungente. – D’accord⁽⁴⁾. –

L’inglese evitò commenti sul suo rinnovato francesismo e decise invece di continuare ad interrogare il suo nuovo compagno di corso.

– Tu e gli altri dove alloggiate? –

A quella domanda il francese rivolse lo sguardo verso l’alto, quasi si stesse concentrando per ricordare la risposta esatta. – Bé…in realtà non siamo tutti esattamente vicini..Elizabeta e Natalia condividono un appartamento vicino alla stazione con un’altra studentessa. Gilbert viene ospitato gratuitamente da un suo amico che abita in periferia, mentre io e Feliciano per adesso alloggiamo nel dormitorio universitario. –

L’inglese ascoltò con attenzione; gli appartamentini del dormitorio ai quali faceva riferimento erano probabilmente quelli con tariffe agevolate, o in certi casi addirittura gratuiti, riservati a studenti-lavoratori e borsisti.

– Aspetta, ma allora tu ti stai allungando tantissimo! Ti bastava attraversare la città universitaria ed eri già a casa! – Esclamò realizzando quanto avesse scomodato l’altro giovane.

– Aaah, ma avevo detto che non era un problema, no? Smetti di preoccuparti e fa’ piuttosto attenzione a non bagnarti. – Rispose l’altro tirandolo per un braccio più verso sé, per impedire che la pioggia che gocciava dall’ombrello lo inzuppasse sul lato esterno. – Di qua, no? – Chiese conferma.

– S-sì.. – Rispose incerto, non essendo riuscito a ribattere nulla. Rimase poi in silenzio, aspettando che il semaforo per il passaggio pedonale diventasse verde.

Il suo entusiasmo per la conversazione si era ormai affievolito e si trovava già a corto di argomenti da proporre. Osservò le incessanti gocce di pioggia colpire con violenza l’asfalto a poca distanza dai suoi piedi, per poi disperdersi in un’infinità di goccioline invisibili. Aveva visto abbastanza pioggia nella sua vita per essere quasi certo che non avrebbe smesso fino alla mattina successiva. Almeno avrebbe avuto un sottofondo di compagnia quella notte, nel caso non fosse di nuovo riuscito a dormire...per un attimo l’immagine della lettera che aveva lasciato nel cestino riapparve nella sua testa come un’insegna luminosa. Scacciò quel pensiero stringendo con forza le palpebre sugli occhi, calando per qualche secondo nell’oscurità. Avrebbe fatto i conti con se stesso e il suo risentimento più tardi, adesso voleva solo godersi quegli ultimi momenti di distrazione e vita sociale prima di ritirarsi nuovamente nel suo misero, buio e freddo appartamento. Nel momento in cui tornò con lo sguardo all’esterno il semaforo si fece verde, e i due ripresero a camminare fino a raggiungere l’altro lato del marciapiede e continuare quindi per dritto, nella direzione indicata dall’inglese.

Lungo la via si respirava un’aria balsamica di erba umida, mentre era scomparso il vociare di bambini che di solito giocavano per la strada a quell’ora della sera, e che accompagnava quasi sempre il suo rientro dall’università.

Notò con la coda dell’occhio che il francese si guardava intorno incuriosito. Poi incrociò il suo sguardo quando si voltò verso di lui. – Sembra carino qui. – Disse sorridendo.

L’inglese annuì col capo. – Sì, non è male. Se non altro è molto tranquillo. – Emise un debole sospiro, poi tirò fuori la mano destra dalla tasca dei pantaloni e col dito indicò qualcosa poco distante. – Quella lì è la mia. – Il francese cercò di seguire la traiettoria segnata dall’indicazione dell’altro, ma non riuscì a trattenere una leggera risata.

– Ahah, ho sempre pensato come facciate voi inglesi a mantenere il senso dell’orientamento con queste case assolutamente identiche tutte in fila. Non entrate mai nell’appartamento sbagliato? –

Arthur non rispose all’umorismo del francese con altrettanto spirito e gli lanciò un’altra delle sue occhiatacce. – Ma che dici? Come fai a sbagliarti? Vuoi dirmi che non riconosceresti casa tua? – E sbuffò rumorosamente lasciando intendere il suo disappunto, il quale tuttavia non sembrò intaccare il buon umore dell’altro. – Terraced House⁽⁵⁾ eh?.. – Sembrò canticchiare tra sé il francese, senza preoccuparsi delle critiche del giovane a fianco.

Arrivarono all’altezza della sua abitazione e ne salirono i pochi gradini che li separavano dall’entrata. Il francese approfittò della tettoia della porta per spostare da un lato l’ombrello, chiudendolo per metà. Quindi si voltò verso l’inglese che nel frattempo aveva estratto dalla borsa le chiavi di casa.

– Grazie. Sei stato gentile. –

L’altro sorrise. – Domani hai lezione? – Chiese con aria di aspettativa.

– ..sì. Ho due lezioni da seguire nel pomeriggio. –

– Io ho di nuovo il corso su Poe e “Storia Inglese”. –

– Anch’io ho “Storia Inglese” domani. – Rispose Arthur iniziando a giocherellare con le chiavi.

– Ah, bene. Allora ci vedremo domani insieme agli altri. –

– Suppongo di sì. – C’era stata una leggera indifferenza nel tono con cui si era espresso.

Forse l’altro non ci fece troppo caso visto che dopo un rapido sguardo riaprì completamente l’ombrello e gli diede le spalle, scendendo i gradini fino a raggiungere l’asfalto del marciapiede.

Un nuovo senso di colpa attraversò l’inglese che si era mostrato probabilmente troppo scostante nei suoi confronti, soprattutto dopo aver approfittato tanto della sua disponibilità. Cercò quindi di rimediare come poteva, ringraziandolo a gran voce, nella speranza che le sue parole lo raggiungessero oltre lo scrosciare della pioggia.

– Grazie per avermi accompagnato! Mi dispiace di averti fatto perdere tempo.. – Esitò nell’ultima parte della frase, come se l’avesse lasciata in sospeso.

Il francese si arrestò, voltandosi repentino quando gli giunse il ringraziamento dell’inglese che lo fissava dalla porta di casa. Sollevò una mano in segno di saluto.

– E’ stato divertente. E poi, adesso posso dire di sapere dove abiti. – Rispose ammiccando nuovamente, e senza aspettare una risposta da parte di Arthur, si voltò e ricominciò ad incamminarsi sotto la pioggia che, impietosa, continuava a cadere intensamente.

L’altro lo fissò allontanarsi, rimanendo con la bocca socchiusa, incerto.

Si rivolse infine alla porta di casa, infilando la chiave nella serratura. Spalancò la porta e nell’entrare si sfilò la borsa che buttò pigramente da un lato, mentre con l’altra spingeva la porta dietro di sé, per farla chiudere.

Davvero uno strano tipo…

Avanzò nell’appartamento, evitando intenzionalmente di lasciar cadere lo sguardo sul cestino posto vicino all’ingresso. Deciderò io quando meriterai la mia attenzione.. pensò tra sé, lasciandosi l’uscio di casa alle spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

⁽¹⁾ acronimo di European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, sancisce la possibilità di uno studente universitario europeo di effettuare in una università straniera un periodo di studio legalmente riconosciuto dalla propria università.

⁽²⁾ “Grazie”, in francese.

⁽³⁾ “Sì”, in francese.

⁽⁴⁾ “D’accordo”, in francese.

⁽⁵⁾ “Casa a schiera”, è una tipologia di abitazione caratterizzata dall'accostamento di più unità abitative, una a fianco dell'altra. La singola unità abitativa presenta in genere un fronte stretto per svilupparsi in profondità e in altezza su più piani. Presenta spesso un orto o un cortile retrostante e internamente una scala può portare ai piani superiori. Generalmente è una casa monofamiliare.

   
 
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