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Autore: AbdullallaH    02/02/2011    1 recensioni
♪♫ Ogni rosa ha le sue spine, proprio come ogni notte ha la sua alba, proprio come ogni cowboy canta la sua triste, triste canzone... ♫♪
Katherine, detta Kate. Sedici anni, un'adolescente come tante. Chiacchiera, sorride, si innamora, studia, diventa triste. Così triste che a volte, l'unica cosa che la fa stare bene non è la cioccolata, bensì una lametta...
-E' la storia di un periodo della mia vita, iperbolicamente riportata su un foglio di Word-
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Every rose has its thorn
4.



«Tesoro… Devi svegliarti, su».
Sua madre la chiamava da ormai cinque minuti abbondanti, ma Kate continuava a rifiutarsi di ascoltare. Era ancora profondamente addormentata, con un’espressione serena sul volto.
«Kate, c’è Sebastian di là e il furgone di suo padre parcheggiato fuori!», esclamò sua madre, mentre le toglieva di dosso la coperta. La ragazza sussultò e si alzò su all’improvviso.
«Merda! Mi sono dimenticata!», gridò, infilandosi in fretta le scarpe e pettinandosi i capelli in meno di dieci secondi «Eccomi Sebi!», annunciò, arrivata in cucina. C’era anche Andrew. «Oh», si stupì lei «ciao Andrew». Lui le sorrise senza dire una parola.
«Mamma, vado con i ragazzi alla gara di Seb, ricordi che te lo avevo accennato?»
«E poi cena da me», aggiunse il biondo, prendendo anche Kate alla sprovvista. «Stasera facciamo un po’ di festa a casa mia», continuò, strizzando l’occhio alla ragazza.
«Ok, tesoro, allora ci vediamo domani mattina. Ho un’altro turno di notte». La donna baciò Kate, l’abbracciò a lungo e la salutò ancora una volta, prima di lasciarla andare. «Mi raccomando eh, non fare troppo tardi e chiudi tutto».
«Non preoccuparti mamma. Buonanotte!». Kate le lanciò un grande sorriso, poi si chiuse la porta alle spalle e corse verso il furgone dove i due ragazzi erano appena saliti.
 
Sebastian si accomodò all’interno del suo kart. Aveva controllato tutto almeno dieci volte nei minimi dettagli, aveva lucidato il veicolo per l’ultima volta, si era infilato il casco in testa e ora era pronto, gli occhi chiusi nel tentativo di accumulare tutta la concentrazione necessaria.
«Questa è una gara importante, Seb», si sussurrava da solo «Ce la devi fare, ok? Devi lottare con tutte le tue forze, devi spingere su quell’acceleratore e non commettere neanche un errore. Sei pronto, sei sempre stato pronto per questa gara. Ora dipende tutto da te!».
Sebastian era un ragazzo terribilmente sicuro di sé. Sapeva di essersi preparato perfettamente per quella gara. Si era allenato duramente, girando spesso in bici per tutta la pista, così da cercare anche una strategia da adottare e trovare i punti migliori per qualche possibile sorpasso. Lì aveva passeggiato con Kate almeno quattro o cinque volte. La pista lo faceva sentire al sicuro: le aveva confidato un sacco di cose che non gli sarebbe mai saltato in testa di raccontare a nessuno. E ogni volta che usciva dal circuito, si sentiva meglio, più sollevato.
 
E mentre Sebastian era intento a parlare alla sua macchina, Giulietta, incitandola a dare il meglio di sé in quella gara così importante (in realtà cercava di farsi coraggio parlando ad alta voce), Kate e Andrew presero posto sulle tribune, aspettando che le macchine entrassero in pista per il solito giro di riscaldamento gomme.
«Hai studiato per italiano?», chiese Kate, imbarazzata di trovarsi di fianco al moro senza sapere cosa dirgli e come comportarsi dopo ciò che era successo in classe.
«No», rispose lui secco, senza nemmeno degnarla di uno sguardo, tenendo gli occhi fissi sull’asfalto della pista.
La ragazza non sapeva cos’altro fare. La gara sarebbe durata parecchio e non poteva certo starsene zitta per tutto il tempo, muta come un pesce e immobile come una statua, solo per paura di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. No. Andrew avrebbe almeno dovuto dirle qualcosa, Kate voleva che le dicesse qualcosa.
«Dai, dimmi. Chiedi. Urla, grida. Prendimi a schiaffi se vuoi», gli urlò lei, obbligandolo a guardarla.
«Non picchio una donna. E comunque, non ho nulla da dirti». Bonk restò in silenzio per un paio di interminabili minuti, prima di gettarle tutto addosso: «Ti credevo più matura, Kate. Insomma, sei una ragazza intelligente, no? Non pensavo che potessi farti una cosa del genere. Perché, mi chiedo. Perché farsi una cosa del genere? Perché farsi del male? Se stai male perché qualcosa nella tua vita non va, perché aggiungere altro dolore anziché alzare il culo e fare qualcosa per risolvere quei problemi? Non lo capisco, non capisco perché tu ti comporti da stupida».
Kate, presa alla sprovvista dalle dure parole del ragazzo, lo guardò con gli occhi spalancati, impaurita dal suo atteggiamento. Sussurrò «Ci sono dei problemi che non si possono risolvere», convinta che non l’avrebbe sentita.
«Ah no? Il tuo problema è irrisolvibile? Scommetto che ti tagli per qualche stronzata».
«Non sono stronzate! Non mi taglio per stronzate, ok? E poi… Sto smettendo».
«Non ti credo, ho visto quei due tagli freschi, sembrano fatti ieri. Dimostrami che non ti stai tagliando per qualche cazzata, allora».
«Non sono cazzi tuoi, Bonk. Ti sopporto solo perché tengo a Sebi che per qualche cazzo di motivo tiene a te, ma non verrò a raccontarti ogni aspetto della mia vita solo perché ti incuriosisce. È un problema mio, lasciami in pace». Prese dalla tasca il suo lettore mp3 e infilò le cuffiette nelle orecchie, decisa a non ascoltare altre parole che sarebbero uscite dalla bocca del ragazzo.
 
Sebastian era seduto nell’abitacolo del suo kart, al secondo posto sulla griglia di partenza. Altri tredici motori rombavano intorno a lui. Quel rumore lo faceva sentire bene e gli permetteva di concentrarsi sulla gara al cento per cento. Sulla pista dimenticava ogni cosa: l’interrogazione di italiano del giorno dopo, il compito di matematica fatto qualche giorno prima e andato malissimo, Angie e le altre ragazze a cui aveva ingiustamente spezzato il cuore, i nuovi tagli di Kate… In quel momento c’erano lui, la sua Giulietta e l’adrenalina che gli scorreva nelle vene, come se avesse quasi totalmente preso il posto del sangue.
Sistemò a dovere i guanti, abbassò la visiera e si preparò a partire, immediatamente dopo il giro di riscaldamento gomme. Non poteva sbagliare, non poteva assolutamente sbagliare la partenza. Avrebbe dovuto cercare a tutti i costi di superare il primo e tenere tutti e gli altri tredici veicoli dietro di sé.
I semafori si accesero, tutti di colore rosso fuoco. Uno a uno diventarono verdi. Sebastian strinse le mani attorno al volante e continuò a fissare quelle luci. Mancavano due semafori e sarebbe partita la gara. Due soli semafori lo separavano dalla vittoria o dal fallimento.
L’ultimo semaforo divenne verde e Sebastian immediatamente spinse sull’acceleratore. Il primo in griglia di partenza tardò di mezzo secondo, quel poco che bastò al biondo per superarlo senza fatica alla prima curva. Ringraziò mentalmente qualcuno non ben definito per la piccola indecisione del suo avversario e continuò a concentrarsi sugli altri venticinque giri che mancavano alla fine.
 
Sugli spalti, intanto, Kate e Andrew continuavano ad urlare e a incitare l’amico, felici per il sorpasso liscio come l’olio, compiaciuti per la bravura del biondino.
«Mi dispiace», disse il moro dopo qualche giro in cui Sebastian continuò a guadagnare terreno rispetto agli altri. «Mi dispiace che tu non abbia voglia di ascoltarmi, potrei aiutarti. Anzi, sto già cercando di aiutarti. Se mi dicessi perché lo fai, cosa ti spinge a farlo… Non volevo essere così duro in realtà».
Katherine non sapeva cosa rispondere. Probabilmente perché non riusciva a comprendere del tutto il suo strano comportamento. L’aveva attaccata, l’aveva ferita duramente con le parole che aveva pronunciato poco prima e ora stava cercando di salvarla, di medicarla e guarirla? Non doveva funzionare così in realtà. In realtà, avrebbe dovuto semplicemente decidere da che parte stare. Doveva decidere se continuare a pugnalarla o aiutarla a salvarsi.
«Andrew…», tentò di dire lei «io…emh… non so».
«Non sai cosa?»
«Posso fidarmi di te?»
Il ragazzo ridacchiò. «Sta a te».
La mora continuò a guardare la gara, decisa a non incrociare, per il momento, lo sguardo con quello di lui. Ogni volta che la Giulietta blu di Sebastian passava per il traguardo, il cuore cominciava a batterle a mille e iniziava ad urlare, sapendo benissimo che comunque il biondo non poteva sentirla.
 
“Posso o non posso fidarmi di lui? Mi sembra un ragazzo così intelligente, ma… Non voglio rimanere delusa un’altra volta. Non sono sicura di potergli dire tutto quanto, a malapena riesco a raccontarlo a Sebastian che è fantastico, figuriamoci ad Andrew con cui non ho confidenza…”
Tutta questa poca  fiducia nel prossimo, era frutto della sua relazione inesistente con suo padre. Un padre dovrebbe essere sempre presente, dovrebbe accompagnare la figlia alla corsa di kart del suo migliore amico e urlare insieme a lei, dovrebbe chiederle com’era stata la sua giornata scolastica e ridere ogni volta vedendo la sua espressione distrutta. Un padre dovrebbe svegliare sua figlia dolcemente al mattino e renderle meno amara la pillola della sveglia alle sei e mezza del mattino.
Ma suo padre non faceva nulla di tutto ciò e lei non riusciva a farne a meno. Avrebbe voluto una figura paterna più di ogni altra cosa al mondo.
Da piccola, quando ancora ci credeva, scriveva sempre una lettera a Babbo Natale in cui chiedeva se era stata abbastanza buona per meritare di ricevere un padre. “Altrimenti, caro Babbo, puoi semplicemente portarmi quella bella bambola che avevo visto con la mamma al supermercato”. Quando sua madre la leggeva, puntualmente scoppiava in lacrime e la teneva stretta stretta, lasciandole appoggiare la testa sul suo cuore, così che il battito la rilassasse, fino a fare addormentare la piccola. Ogni anno Kate sperava di essersi comportata abbastanza bene da ricevere ciò che aveva chiesto e quando la mattina di Natale non c’era nessuna figura paterna a svegliarla, rimaneva delusa. Rimaneva delusa, fino a che sua madre non le portava un piatto di biscotti al cioccolato, ancora caldi, e il suo nuovo giocattolo non iniziasse a tenerla occupata.
 
«Andrew, mi dispiace. Non sono ancora sicura di potermi fidare. Io non vorrei pentirmene, mi capisci? Conosciamoci meglio. Abbiamo tutto il tempo del mondo, vero?». Gli sorrise, sperando che non se la prendesse troppo.
«Certo, ti capisco. Anzi, sarebbe suonato strano il contrario, credimi. Allora, Sebi è veramente un mago in pista, eh?»
Kate sorrise ancora, ma il suo sorriso era mille volte più grande. «Diventerà un grande campione».
In quel momento i due giovani avevano fatto il primo passo verso l’Amicizia.
 
 
Lo so, non è un capitolo molto avvincente, ma è "di passaggio" >< Mi scuso!!
  
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