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Autore: NeverThink    03/02/2011    5 recensioni
Ferma, lì, persa nei ricordi, guardavo la sedia a dondolo, rovinata dal tempo e dall’umidità. Ferma, immobile, fredda.
L’immagine dai caldi e vividi colori fu rimpiazzata da quella realtà cruda, desolata e piena di struggente dolore e malinconia.
Mi avvicinai alla sedia a dondolo e la sfiorai con i polpastrelli. Sentii le venature del legno sotto la pelle.
Sorrisi, consapevole che non appena mi sarei rifugiata in camera, circondata dalle pareti che un tempo furono la sua dimore segreta, sarei scoppiata a piangere.
«E tu chi sei?»
«Importa?»
«Quello è il mio posto.»
«Oh. Non vedo scritto il tuo nome.»
«E’ il mio posto da sempre. Lo sanno tutti.»
«Ed io ti ripeto che qui sopra non c’è scritto il tuo nome. Finché non trovo scritto il tuo nome io non mi muovo di qui.»
Il sorriso, prima o poi, torna.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~Sometimes you have to be apart from people you love,
but that doesn't mean you love them any less.
Sometimes it makes you love them even more.~
When my world is falling apart, 
when there is no light to break up the dark 
that's when I look at you.
When the waves are flooding the shore and I 
can't find my way home anymore 
that's when I look at you.

 

 

Capitolo quindici.
Lilian.


Scesi dall’auto e lasciai che la pioggia mi bagnasse la felpa, i capelli chiari ed il viso accaldato. Mi diressi verso la veranda, salendo le scale velocemente, quasi saltellando.
Mi morsi il labbro inferiore, nervosa, mentre cercavo le chiavi nello zaino.
Ero nervosa, molto nervosa. La conversazione avuta con David non aveva fatto altro che indispettirmi, perché, forse… aveva ragione. Per alcuni istanti mi ero sentita nuda, disarmata dinanzi ai suoi occhi e alle sue parole. Avevo mollato la presa, creando un varco in quelle mura costruitami tutt’intorno per evitare che gli altri capissero. Gli avevo permesso di leggere la mute parole che il mi cuore gridava invano da tempo, le urla che squarciavano l’aria piatta della mia camera, quel vano grido d’aiuto che desideravo nessuno cogliesse.
Mi madre era morta ed io non potevo essere felice.
Aprii la porta di casa e la sbattei con violenza, poggiandomi poi al vecchio legno e lasciandomi cadere lungo esso, fino a sedermi. Mi portai le ginocchia al petto, poggiandoci poi la fronte.
Un respiro. Due respiri. Tre respiri. Quattro respiri. Cinque, sei, sette…
Lentamente alzai il capo e fissai la scala dinanzi a me. Poggiai la testa alla porta e chiusi gli occhi.
Vorrei averti qui, mamma.

«Un giorno, piccola, capirai cosa vuol dire amare.» mormorò Amanda carezzandole i lunghi capelli chiari.
«Ma, mamma, io voglio capirlo adesso.» disse mentre si alzava per sfilare una VHS dal videoregistratore.
La madre rise. «Devi privarlo per capire.»
«Come farò a capirlo?» chiese Lily sedendosi sul divano accanto a lei.
Amanda l’abbracciò, la strinse a sé, baciandole e carezzandole il capo. «Perché vedrai con l’anima, piccola mia.»

Scossi il capo cercando di scacciare via i ricordi. Irritata da me stessa, dalla mia incapacità di controllarmi, mi alzai e portandomi lo zaino in spalla mi diressi in cucina, dove trovai la nonna intenta a preparare una crostata di mirtilli.
«Ciao.» dissi avvicinandomi al frigorifero. La nonna si voltò e mi sorrise con dolcezza.
«Ciao, Lily.» disse. «Com’è andata a scuola?»
«Bene.» risposi atona. Aprii il frigo e afferrai il cartone di latte, ne versai poi il contenuto in un bicchiere molto capiente. Mi voltai per dirigermi in camera, ma in quel momento mi accorsi che la nonna mi fissava, sospettosa.
«Cosa c’è?» chiesi guardandomi intorno.
«Come fai a non essere bagnata?» chiese.
«Ombrello?» tentai di mentire.
«No, impossibile. Sono nel portaombrelli, tutti. Ho controllato.» rispose accarezzandosi il mento fra indice e pollice.
«Okay.» sbuffai. «Mi ha accompagnata David.» roteai gli occhi e mi diressi verso le scale.
«Lo sapevo!» esclamò seguendomi e puntandomi un dito contro, sorridente.
Sgranai gli occhi, scoccata. «Nonna?»
«E’ così un bravo ragazzo, tesoro.»
«Nonna!» l’ammoni.
«E siete così giovani…» sospirò con occhi scintillanti.
Stupita, incapace di ridere, o di arrabbiarmi, la fissai sconvolta. «Siamo… amici, nonna.» risposi. La parola amici stonava… e molto.
«Oh, amici…» sospirò lei unendo le mani, come per una preghiera, e  svolazzando in cucina.
«Tu sei matta, nonna Marie!» le urlai cominciando a salire le scale e scuotendo il capo.
«Amici!» urlò di rimando lei.
Sbuffai e mi passai una mano fra i capelli. «Ma dove sono finita?» sussurrai a me stessa.
A follilandia, tesoro.

Nelle due ore successive finì il mio saggio di letteratura inglese, mi feci una doccia ed ascoltai un vecchio cd degli Smiths mentre mi asciugavo i capelli, che lasciai sciolti in lunghe onde. Indossai una maglietta a manica lunga e pantaloni scuri, la felpa e, afferrando la borsa, scesi le scale.
«Esci?» chiese la nonna alzando gli occhi dal libro che teneva sulle gambe. Il nonno, che guardava la tv sul divano, voltò il capo.
«Ciao tesoro.» disse sorridendo.
«Ciao, nonno.» risposi alzando una mano, mostrandone il palmo e rimanendo sulla soglia. «Esco. Vado da Diane.» aggiunsi voltandomi e dirigendomi in cucina.
«La figlia di Cathy?» chiese curiosa. «La sorella di David
Poggiai le mani sul bancone della cucina ed inspirai, chiudendo gli occhi. «Sì, nonna.» dissi in uno sbuffo.
Quando alzai il capo, per guardare oltre la finestra sul lavabo, con la coda dell’occhio la vidi poggiata allo stipite della porta e sobbalzai. «Nonna!» esclamai portandomi una mano al petto.
«Scusa, non volevo spaventarti.» disse con fare dolce. «Ti va della crostata di mirtilli?»
M’inumidì le labbra prima di parlare. «Sì.»
Lei annuì, mostrandomi un largo sorriso. La sua crostata di mirtilli era a dir poco meravigliosa. Poggiai la borsa su una sedia e mi riempii un bicchiere di latte. Mi sedetti al tavolo e cominciai a mangiare la fetta di crostata. Osservai la nonna trafficare con la carta d’alluminio.
«Cosa stai facendo?» chiesi poggiano la forchetta sul piatto e portandomi il bicchiere alle labbra.
«Qualche fetta da portare a Cathy.» rispose come fosse la cosa più ovvia del mondo. Sorrisi; la nonna non sarebbe mai cambiata. La mamma aveva preso da lei quell’infinita gentilezza, dolcezza e tenerezza che avevano la capacità stringermi il cuore e farmi sciogliere come neve al sole.
Ed io? Chi ero?
Loro erano pure, genuine, semplici come il pane appena sfornato al mattino.
Lo ero anch’io?
Loro era divertenti, erano belle, erano solari.
Lo ero anch’io?
In quel momento mi resi conto di non sapere chi fossi, chi volevo essere nella vita e cosa ne avrei dovuto fare. Mi sentii persa, un barca alla deriva, sballottata dalla tempesta. Senza il mio porto sicuro, di cui avevo tremendamente bisogno.
Mamma… dove sei…
Deglutii a fatica, passandomi una mano fra i capelli; mi alzai e poggiai il piatto ed il bicchiere nel lavello. La nonna mi porse il contenitore con la crostata, sorridendo.
«Salutala da parte mia.»
Annuii piano col capo, afferrandolo. Presi la borsa e uscii di casa, non prima di aver salutato il nonno.
L’aria fresca mi carezzò il viso in una folata di vento, facendomi oscillare delicatamente i capelli e facendomeli finire davanti agli occhi. Me li scostai dal viso, fermandoli dietro un orecchio.
Sperai di non trovare David. Dopo la conversazione avuta nel pomeriggio, nell’abitacolo della sua auto, non avevo nessuna voglia di incontrarlo, o parlare ancora con lui. Che sciocca, fui. Cercai, con tutta me stessa, di non ammettere che, in realtà, desideravo immergermi nel cielo notturno dei suoi occhi. Irritata dai miei stessi pensieri, da quel lampo di follia che mi scosse per un attimo, presi a mordermi l’interno della guancia, con una smorfia dipinta sul viso.
Quando arrivai davanti a quella semplice villetta bianca, rimasi ferma, all’inizio del vialetto. Osservai le persiane azzurre, la veranda, il verde prato, i fiori. Il vento continuava a scostarmi il capelli, soffiandomeli sul viso.
Dovevo entrare. Non volevo. Volevo.
Scossi il capo. Oh, piantala, Lily, mi ammonii. Percorsi i vialetto, salii le scale scricchiolanti e bussai alla porta. Forse David…
La porta si aprii ed un paio di occhi color della notte mi scrutarono, maliziosi. «Ciao, Lily.» disse cortese.
Mi mossi sul posto, nervosa; lo stomaco annodato. «Ciao, David.» risposi secca.
Per alcuni istanti i suoi occhi indugiarono ne miei, mettendomi a disagio.
Stava ancora tentando di leggermi dentro?
Lui sorrise e si spostò di lato per farmi entrare. Grugnendo varcai la soglia della porta che lui richiuse alle mie spalle. Osservai per un attimo la casa. Era un bell’ambiente. Accogliente e quasi famigliare. Il pavimento era in legno chiaro e porte ed infissi di un tranquillo color panna. Sulla destra vi era la cucina, sulla sinistra il soggiorno e dinanzi a me la scala che portava al primo piano.
«Diane, Cassie è arrivata Lily!» esclamò lui poggiandosi alla ringhiera in legno e guardando su per le scale. Pochi istanti sentirono si risate e schiamazzi.
Non mi voltai a guardarlo; i suoi occhi erano puntati sul mio viso, lo vidi con la coda dell’occhio.
«Lily!» disse in un gridolino Diane saltellando giù dalle scale, seguita da Cassie.
«Ciao!» esclamai io abbassandomi. Le bambine si fermarono di fronte a me e sorrisero. Cassie si portò un dito sul labbro inferiore.
«Come state?» chiesi sorridendo con fare dolce.
«Bene! Sei venuta!» disse Diane battendo le mani.
Risi. «L’avevo promesso!»
Così, mi alzai per sfilarmi la felpa e con la coda dell’occhio osservai David al mio fianco.
«Dai a me.» mormorò con tono indecifrabile. Mi voltai, guardandolo in volto, guardando gli occhi scuri, e gli porsi la felpa. L’appese prima che Diane e Cassie mi trascinassero in cucina. Mi guardai un attimo intorno, osservando la cucina ben ordinata e pulita, il legno chiaro, il barattolo dei biscotti sul tavolo, l’orologio con alcune rose dipinte, i fiori nel vaso sul davanzale della grande finestra, l’odore di cannella che aleggiava nell’aria.
«Dove sono le conchiglie?» chiesi sedendomi su una sedia.
«Lì!» esclamò Diane indicando una mensola delle cucina. Alzai lo sguardo e feci una smorfia di disapprovazione. La mensola era troppo alta per me.
Sospirando mi alzai sulle punte e cercai di afferrare il barattolo, ma una voce irruppe nel silenzio. «Ti aiuto.» disse, calda ed armoniosa. Persi l’equilibrio, quasi fosse stata capace di spintonarmi via con dolcezza; pensai che mi sarei ritrovata sul pavimento, che mi sarei fratturata ironicamente il coccige, ma ciò non accadde. Una mano, delicata si posò sulla mia schiena, impedendomi di cadere sul suolo. Deglutii rumorosamente quando mi voltai a guardarlo e, per qualche inspiegabile ragione, tremai. Sentii il viso avvamparmi di rossore a quell’improvvisa vicinanza, quell’improvvisa invasione del mio spazio vitale. Il suo petto, a poche spanne dal mio viso si muoveva ritmicamente. Il suo profumo mi inondò i polmoni. David alzò un braccio, guardandomi con la coda dell’occhio, ed afferrò il barattolo con le conchiglie, poi incrociò il mio sguardo e fissai i suoi occhi scuri, profondi e scuri come pozzi.
«Grazie.» mormorai. Lui sorrise. «Non c’è di che.»
«Questa è da parte della nonna. Crostata di mirtilli.»
Afferrò il contenitore. «Oh, grazie! E’ un angelo.» rispose prima di allontanarsi ed aprire il frigo.
«Già…» mormorai più a me stessa che a lui.
«Vuoi qualcosa da bere?» chiese mentre stringevo allo stomaco il barattolo e mi accomodavo su una sedia, Diane e Cassie invece mangiucchiavano un biscotto.
«Sì, grazie.» risposi con un filo di voce.
Lui, chino sul frigo, voltò il capo, inclinandolo. «Tutto okay?» chiese corrugando la fronte.
Annuii col capo.
Sorrise. «Ho del thè freddo e del succo di frutta alla mela.»
«Thè.» risposi senza esitazioni. Lui afferrò una brocca ed una contenitore di cartone. Riempii due bicchieri di thè e due di succo di frutta (per Diane e Cassie), prima di riporre tutto al proprio posto.
Ci porse i bicchieri, prima di riporre brocca e cartone in frigo. Mentre mi portavo il bicchiere alle labbra, l’osservai di sottecchi, notai i muscoli affusolati della schiena e dei fianchi. Poi si avvicinò al tavolo, accomodandosi ad una sedia.
«Posso aiutarvi?» chiese rivolgendosi alle bambine e poi guardando me, quasi a cercare il mio permesso.
Le bambine esultarono, io mi limitai ad annuire piano col capo.
«Bene. Spago, nastri e corallini?» chiese poggiando il bicchiere sul tavolo ed alzandosi in piedi.
«Sì. E un paio d’aghi e un accendino.» aggiunsi mentre usciva dalla cucina.
«Vuoi un biscotto, Lily?» chiese Cassie porgendomene uno.
«Sono con pezzi di ciliegie.» aggiunse sorridente Diane.
Gli angoli delle mie labbra si sollevarono verso l’alto. «Certo!» esclamai afferrandolo. Dire che era buono sarebbe un eufemismo.
In quel momento mi accorsi che il mio viso andava in fiamme. I tastai la pelle con il dorso della mano, trovandola tremendamente accaldata. Sbattei le palpebre più volte, confusa da ciò che negli istanti prima era accaduto… e mi rimproverai. Rimproverai quella reazione sciocca e spropositata, così fuori luogo. Ma, per quanto mi sforzassi di cancellare dalla mente il ricordo sei suoi occhi scuri e magnetici, non potei chiedermi se qualcosa non stesse cambiando. La risposta era chiara, eppure io non la vidi.

 

*
Ed eccomi qui… ancora. Questa volta ho impiegato meno tempo.
Beeeeene, anche se ho risposto alle recensioni del capitolo precedente, ci tenevo a ringraziare ancore gli angeli che hanno recensito: Londoner, Nessie93 ed Elly4ever.
Grazie, grazie di cuore.

A presto, Panda.

   
 
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