~Sometimes
you have to be apart from people you love,
but
that doesn't
mean you love them any less.
Sometimes
it makes
you love them even more.~
When
my world is
falling apart,
when
there is no
light to break up the dark
that's
when I look
at you.
When
the waves are
flooding the shore and I
can't
find my way
home anymore
that's
when I look
at you.
Capitolo
quindici.
Lilian.
Scesi
dall’auto e lasciai che la pioggia mi bagnasse la felpa, i
capelli chiari ed il
viso accaldato. Mi diressi verso la veranda, salendo le scale
velocemente,
quasi saltellando.
Mi morsi il labbro inferiore, nervosa, mentre cercavo le chiavi nello
zaino.
Ero nervosa, molto nervosa. La conversazione avuta con David non aveva
fatto
altro che indispettirmi, perché, forse… aveva
ragione. Per alcuni istanti mi
ero sentita nuda, disarmata dinanzi ai suoi occhi e alle sue parole.
Avevo
mollato la presa, creando un varco in quelle mura costruitami
tutt’intorno per
evitare che gli altri capissero. Gli avevo permesso di leggere la mute
parole
che il mi cuore gridava invano da tempo, le urla che squarciavano
l’aria piatta
della mia camera, quel vano grido d’aiuto che desideravo
nessuno cogliesse.
Mi madre era morta ed io non potevo essere felice.
Aprii la porta di casa e la sbattei con violenza, poggiandomi poi al
vecchio
legno e lasciandomi cadere lungo esso, fino a sedermi. Mi portai le
ginocchia
al petto, poggiandoci poi la fronte.
Un respiro. Due respiri. Tre respiri. Quattro respiri. Cinque, sei,
sette…
Lentamente alzai il capo e fissai la scala dinanzi a me. Poggiai la
testa alla
porta e chiusi gli occhi.
Vorrei averti qui, mamma.
«Un
giorno, piccola, capirai cosa vuol dire amare.»
mormorò Amanda carezzandole i
lunghi capelli chiari.
«Ma, mamma, io voglio capirlo adesso.» disse mentre
si alzava per sfilare una VHS
dal videoregistratore.
La madre rise. «Devi privarlo per capire.»
«Come farò a capirlo?» chiese Lily
sedendosi sul divano accanto a lei.
Amanda l’abbracciò, la strinse a sé,
baciandole e carezzandole il capo. «Perché
vedrai con l’anima, piccola mia.»
Scossi il capo
cercando di
scacciare via i ricordi. Irritata da me stessa, dalla mia
incapacità di
controllarmi, mi alzai e portandomi lo zaino in spalla mi diressi in
cucina,
dove trovai la nonna intenta a preparare una crostata di mirtilli.
«Ciao.» dissi avvicinandomi al frigorifero. La
nonna si voltò e mi sorrise con
dolcezza.
«Ciao, Lily.» disse.
«Com’è andata a scuola?»
«Bene.» risposi atona. Aprii il frigo e afferrai il
cartone di latte, ne versai
poi il contenuto in un bicchiere molto capiente. Mi voltai per
dirigermi in camera,
ma in quel momento mi accorsi che la nonna mi fissava, sospettosa.
«Cosa c’è?» chiesi guardandomi
intorno.
«Come fai a non essere bagnata?» chiese.
«Ombrello?» tentai di mentire.
«No, impossibile. Sono nel portaombrelli, tutti. Ho
controllato.» rispose
accarezzandosi il mento fra indice e pollice.
«Okay.» sbuffai. «Mi ha accompagnata
David.» roteai gli occhi e mi diressi
verso le scale.
«Lo sapevo!» esclamò seguendomi e
puntandomi un dito contro, sorridente.
Sgranai gli occhi, scoccata. «Nonna?»
«E’ così un bravo ragazzo,
tesoro.»
«Nonna!» l’ammoni.
«E siete così giovani…»
sospirò con occhi scintillanti.
Stupita, incapace di ridere, o di arrabbiarmi, la fissai sconvolta.
«Siamo… amici,
nonna.» risposi. La parola amici
stonava… e molto.
«Oh, amici…» sospirò lei
unendo le mani, come per una preghiera, e
svolazzando in cucina.
«Tu sei matta, nonna Marie!» le urlai cominciando a
salire le scale e scuotendo
il capo.
«Amici!» urlò di rimando lei.
Sbuffai e mi passai una mano fra i capelli. «Ma dove sono
finita?» sussurrai a
me stessa.
A follilandia, tesoro.
Nelle
due ore successive finì il mio saggio di letteratura
inglese, mi feci una
doccia ed ascoltai un vecchio cd degli Smiths mentre mi asciugavo i
capelli,
che lasciai sciolti in lunghe onde. Indossai una maglietta a manica
lunga e
pantaloni scuri, la felpa e, afferrando la borsa, scesi le scale.
«Esci?» chiese la nonna alzando gli occhi dal libro
che teneva sulle gambe. Il
nonno, che guardava la tv sul divano, voltò il capo.
«Ciao tesoro.» disse sorridendo.
«Ciao, nonno.» risposi alzando una mano,
mostrandone il palmo e rimanendo sulla
soglia. «Esco. Vado da Diane.» aggiunsi voltandomi
e dirigendomi in cucina.
«La figlia di Cathy?» chiese curiosa. «La
sorella di David?»
Poggiai le mani sul bancone della cucina ed inspirai, chiudendo gli
occhi. «Sì,
nonna.» dissi in uno sbuffo.
Quando alzai il capo, per guardare oltre la finestra sul lavabo, con la
coda
dell’occhio la vidi poggiata allo stipite della porta e
sobbalzai. «Nonna!»
esclamai portandomi una mano al petto.
«Scusa, non volevo spaventarti.» disse con fare
dolce. «Ti va della crostata di
mirtilli?»
M’inumidì le labbra prima di parlare.
«Sì.»
Lei annuì, mostrandomi un largo sorriso. La sua crostata di
mirtilli era a dir
poco meravigliosa. Poggiai la borsa su una sedia e mi riempii un
bicchiere di
latte. Mi sedetti al tavolo e cominciai a mangiare la fetta di
crostata.
Osservai la nonna trafficare con la carta d’alluminio.
«Cosa stai facendo?» chiesi poggiano la forchetta
sul piatto e portandomi il bicchiere
alle labbra.
«Qualche fetta da portare a Cathy.» rispose come
fosse la cosa più ovvia del
mondo. Sorrisi; la nonna non sarebbe mai cambiata. La mamma aveva preso
da lei
quell’infinita gentilezza, dolcezza e tenerezza che avevano
la capacità stringermi
il cuore e farmi sciogliere come neve al sole.
Ed io? Chi ero?
Loro erano pure, genuine, semplici come il pane appena
sfornato al mattino.
Lo ero anch’io?
Loro era divertenti, erano belle, erano solari.
Lo ero anch’io?
In quel momento mi resi conto di non sapere chi fossi, chi volevo
essere nella
vita e cosa ne avrei dovuto fare. Mi sentii persa, un barca alla
deriva,
sballottata dalla tempesta. Senza il mio porto sicuro, di cui avevo
tremendamente bisogno.
Mamma… dove sei…
Deglutii a fatica, passandomi una mano fra i capelli; mi alzai e
poggiai il
piatto ed il bicchiere nel lavello. La nonna mi porse il contenitore
con la
crostata, sorridendo.
«Salutala da parte mia.»
Annuii piano col capo, afferrandolo. Presi la borsa e uscii di casa,
non prima
di aver salutato il nonno.
L’aria fresca mi carezzò il viso in una folata di
vento, facendomi oscillare
delicatamente i capelli e facendomeli finire davanti agli occhi. Me li
scostai
dal viso, fermandoli dietro un orecchio.
Sperai di non trovare David. Dopo la conversazione avuta nel
pomeriggio,
nell’abitacolo della sua auto, non avevo nessuna voglia di
incontrarlo, o
parlare ancora con lui. Che sciocca, fui. Cercai, con tutta me stessa,
di non
ammettere che, in realtà, desideravo immergermi nel cielo
notturno dei suoi
occhi. Irritata dai miei stessi pensieri, da quel lampo di follia che
mi scosse
per un attimo, presi a mordermi l’interno della guancia, con
una smorfia
dipinta sul viso.
Quando arrivai davanti a quella semplice villetta bianca, rimasi ferma,
all’inizio
del vialetto. Osservai le persiane azzurre, la veranda, il verde prato,
i
fiori. Il vento continuava a scostarmi il capelli, soffiandomeli sul
viso.
Dovevo entrare. Non volevo. Volevo.
Scossi il capo. Oh, piantala, Lily,
mi ammonii. Percorsi i vialetto, salii le scale scricchiolanti e bussai
alla
porta. Forse David…
La porta si aprii ed un paio di occhi color della notte mi scrutarono,
maliziosi. «Ciao, Lily.» disse cortese.
Mi mossi sul posto, nervosa; lo stomaco annodato. «Ciao,
David.» risposi secca.
Per alcuni istanti i suoi occhi indugiarono ne miei, mettendomi a
disagio.
Stava ancora tentando di leggermi dentro?
Lui sorrise e si spostò di lato per farmi entrare. Grugnendo
varcai la soglia
della porta che lui richiuse alle mie spalle. Osservai per un attimo la
casa.
Era un bell’ambiente. Accogliente e quasi famigliare. Il
pavimento era in legno
chiaro e porte ed infissi di un tranquillo color panna. Sulla destra vi
era la
cucina, sulla sinistra il soggiorno e dinanzi a me la scala che portava
al
primo piano.
«Diane, Cassie è arrivata Lily!»
esclamò lui poggiandosi alla ringhiera in
legno e guardando su per le scale. Pochi istanti sentirono si risate e
schiamazzi.
Non mi voltai a guardarlo; i suoi occhi erano puntati sul mio viso, lo
vidi con
la coda dell’occhio.
«Lily!» disse in un gridolino Diane saltellando
giù dalle scale, seguita da
Cassie.
«Ciao!» esclamai io abbassandomi. Le bambine si
fermarono di fronte a me e
sorrisero. Cassie si portò un dito sul labbro inferiore.
«Come state?» chiesi sorridendo con fare dolce.
«Bene! Sei venuta!» disse Diane battendo le mani.
Risi. «L’avevo promesso!»
Così, mi alzai per sfilarmi la felpa e con la coda
dell’occhio osservai David
al mio fianco.
«Dai a me.» mormorò con tono
indecifrabile. Mi voltai, guardandolo in volto,
guardando gli occhi scuri, e gli porsi la felpa. L’appese
prima che Diane e
Cassie mi trascinassero in cucina. Mi guardai un attimo intorno,
osservando la
cucina ben ordinata e pulita, il legno chiaro, il barattolo dei
biscotti sul
tavolo, l’orologio con alcune rose dipinte, i fiori nel vaso
sul davanzale
della grande finestra, l’odore di cannella che aleggiava
nell’aria.
«Dove sono le conchiglie?» chiesi sedendomi su una
sedia.
«Lì!» esclamò Diane indicando
una mensola delle cucina. Alzai lo sguardo e feci
una smorfia di disapprovazione. La mensola era troppo alta per me.
Sospirando mi alzai sulle punte e cercai di afferrare il barattolo, ma
una voce
irruppe nel silenzio. «Ti aiuto.» disse, calda ed
armoniosa. Persi
l’equilibrio, quasi fosse stata capace di spintonarmi via con
dolcezza; pensai
che mi sarei ritrovata sul pavimento, che mi sarei fratturata
ironicamente il
coccige, ma ciò non accadde. Una mano, delicata si
posò sulla mia schiena,
impedendomi di cadere sul suolo. Deglutii rumorosamente quando mi
voltai a
guardarlo e, per qualche inspiegabile ragione, tremai. Sentii il viso
avvamparmi di rossore a quell’improvvisa vicinanza,
quell’improvvisa invasione
del mio spazio vitale. Il suo petto, a poche spanne dal mio viso si
muoveva ritmicamente.
Il suo profumo mi inondò i polmoni. David alzò un
braccio, guardandomi con la
coda dell’occhio, ed afferrò il barattolo con le
conchiglie, poi incrociò il
mio sguardo e fissai i suoi occhi scuri, profondi e scuri come pozzi.
«Grazie.» mormorai. Lui sorrise. «Non
c’è di che.»
«Questa è da parte della nonna. Crostata di
mirtilli.»
Afferrò il contenitore. «Oh, grazie! E’
un angelo.» rispose prima di
allontanarsi ed aprire il frigo.
«Già…» mormorai
più a me stessa che a lui.
«Vuoi qualcosa da bere?» chiese mentre stringevo
allo stomaco il barattolo e mi
accomodavo su una sedia, Diane e Cassie invece mangiucchiavano un
biscotto.
«Sì, grazie.» risposi con un filo di
voce.
Lui, chino sul frigo, voltò il capo, inclinandolo.
«Tutto okay?» chiese
corrugando la fronte.
Annuii col capo.
Sorrise. «Ho del thè freddo e del succo di frutta
alla mela.»
«Thè.» risposi senza esitazioni. Lui
afferrò una brocca ed una contenitore di
cartone. Riempii due bicchieri di thè e due di succo di
frutta (per Diane e
Cassie), prima di riporre tutto al proprio posto.
Ci porse i bicchieri, prima di riporre brocca e cartone in frigo.
Mentre mi
portavo il bicchiere alle labbra, l’osservai di sottecchi,
notai i muscoli
affusolati della schiena e dei fianchi. Poi si avvicinò al
tavolo,
accomodandosi ad una sedia.
«Posso aiutarvi?» chiese rivolgendosi alle bambine
e poi guardando me, quasi a
cercare il mio permesso.
Le bambine esultarono, io mi limitai ad annuire piano col capo.
«Bene. Spago, nastri e corallini?» chiese poggiando
il bicchiere sul tavolo ed
alzandosi in piedi.
«Sì. E un paio d’aghi e un
accendino.» aggiunsi mentre usciva dalla cucina.
«Vuoi un biscotto, Lily?» chiese Cassie
porgendomene uno.
«Sono con pezzi di ciliegie.» aggiunse sorridente
Diane.
Gli angoli delle mie labbra si sollevarono verso l’alto.
«Certo!» esclamai
afferrandolo. Dire che era buono sarebbe un eufemismo.
In quel momento mi accorsi che il mio viso andava in fiamme. I tastai
la pelle
con il dorso della mano, trovandola tremendamente accaldata. Sbattei le
palpebre più volte, confusa da ciò che negli
istanti prima era accaduto… e mi
rimproverai. Rimproverai quella reazione sciocca e spropositata,
così fuori
luogo. Ma, per quanto mi sforzassi di cancellare dalla mente il ricordo
sei
suoi occhi scuri e magnetici, non potei chiedermi se qualcosa non
stesse
cambiando. La risposta era chiara, eppure io non la vidi.
*
Ed eccomi
qui… ancora. Questa volta ho impiegato meno tempo.
Beeeeene, anche se ho
risposto alle recensioni del capitolo precedente, ci
tenevo a ringraziare ancore gli angeli che hanno recensito: Londoner, Nessie93 ed Elly4ever.
Grazie, grazie di
cuore.
A presto, Panda.