Capitolo
V
Capitolo V
Breve
nota del autore: Mi piacerebbe davvero che i miei lettori mi lasciassero qualche
commento in più, con le vostre opinioni. Prendetevi 5 minuti per dirmi cosa ne
pensate! ;D
Ringrazio Chibi_; Veralya, Scricciola e PrussiaySpain per le
vostre opinioni! <3 è sempre un piacere sentirvi! <3
Feelings
«
Liza, ti prego dimmi cosa non va», pregò Feliciano, al limite
dell’esasperazione, « sai benissimo che farei qualsiasi cosa per te, per farti
star meglio!», le prese il mento tra le mani e dolcemente le alzò il volto, per
guardarla negli occhi. Aveva quello sguardo da diversi giorni ormai e
l’italiano aveva bisogno di sapere perché.
«
Non è nulla, passerà», rispose con voce spezzata la ragazza, non avrebbe avuto
il cuore di ammettere che la ragione della sua tristezza fosse il dannato
berlinese. Non l’avrebbe mai detto, specialmente a Feliciano. Lei lo amava,
amava quell’italiano, amava il suo sguardo caldo, premuroso, dolce, proprio per questo non
poteva permettersi di cedere, non voleva vedere la tristezza negli occhi di colui
che amava.
«
Non insisto», Feliciano era così, sapeva benissimo quando fermarsi, non era
invadente, non amava torchiare le persone, farle sentire a disagio, come invece
piaceva fare al suo gemello.
«
Vieni, stenditi accanto a me ora, Tesoro»,
l’ultima parola l’aveva detta in italiano, era una lingua tanto dolce e
melodica, pensò Elizaveta mettendosi sotto le coperte, accanto al corpo caldo
del ragazzo. Feliciano le circondò le spalle con il braccio, e lei si accoccolò
sul suo petto. Sprigionava un profumo mascolino e gentile che allo stesso tempo
la attiravano per desiderio e la respingevano per paura.
«
Raccontami cosa hai fatto oggi, non ti ho quasi vista, non dirmi che hai
studiato tutto il tempo?».
«
Sono stata in biblioteca sì, a lungo», cerco di richiamare i ricordi della
giornata, « ho incontrato Fréd e siamo andate a prendere un thè al bar
dell’Università, credo che ci stiamo avvicinando finalmente».
«
Mi fa piacere sentirlo, ricordi quando ti ho presentata a mio fratello?»,
Elizaveta sorrise, prese ad accarezzare il petto di Feliciano con movimenti
lenti e circolari, « Quella volta c’erano anche Fréd e Keith, e non sei
piaciuta a nessuno di loro!».
«
E’ vero, non sapevo cosa dire, stavo semplicemente in piedi davanti a loro,
pietrificata dal terrore», ammise Elizaveta, rossa in volto dall’imbarazzo.
«
Non v’era nulla di cui aver paura, a Lovino sei piaciuta parecchio!».
«
Lovino mi ha benvoluta solamente perché sapeva che ti piacevo, mentre Fréd e
Keith sono stati più sinceri e mi hanno praticamente ignorato», fece una pausa,
« anzi Keith mi ha ignorato, Fréd ha storto la faccia ed ha continuato a
guardarmi con diffidenza, scommetto che pensava qualcosa tipo: “quella non è
abbastanza per Feliciano”».
«
Ma va, conosci Fréd, all’inizio pare sempre contrariata e fredda, si deve
semplicemente imparare a conoscerla!», Feliciano abbracciò la ragazza stretta,
voleva sentirla sul suo corpo, gli era mancata molto durante quella giornata
che non finiva mai. Aveva trascorso la maggior parte del giorno con Lovino e
Vash, che come al solito complottavano qualcosa. Aveva chiaramente sentito
Lovino, appena tornato dalla sua colazione mattutina, ordinare ai suoi di
fermare qualsiasi fuga di notizie riguardo L’F3 ed il loro bacio passionale,
aveva pure dato istruzioni a Vash di portare e consegnare personalmente le foto
scattate a Carriedo. Qualcosa doveva
avergli fatto cambiare idea riguardo il da farsi. Feliciano era curioso, ma non
indagava, aveva capito a proprie spese che era meglio non ficcare il naso negli
affari del fratello, se non si volevano ripicche.
«
Solo il Signore sa quanto sono stata fortunata ad trovarti, Feliciano!».
Feliciano
adagiò il mento tra i capelli vaporosi e soffici della ragazza e le chiese:
«
Ricordi la nostra prima giornata insieme a Venezia?».
Elizaveta
fece segno di sì, come poteva scordarsene?
«
Sai mi ricordo ancora il nomignolo che mi avevi dato», mormorò Feliciano
soffiando tra i capelli dell’ungherese, « mi hai sempre chiamato Helios,
nonostante ti avessi detto che ero Feliciano», Elizaveta sorrise e sospirò.
«
Non mi pare che ti dispiacesse, e comunque da quel giorno tu sei il mio sole,
trovo che Helios ti si addica molto più di Feliciano».
«
Il mio è solo un nome, Amore mio, non
è una gamba, un braccio o il mio cuore, chiamami come vuoi, tanto quando lo
farai io capirò sempre che cerchi me, anche se mi chiamerai con il nome di un
animale», disse Feliciano, « per esempio “Rex”».
Ad
Elizaveta venne in mente il famoso telefilm che guardava da piccola, “il
commissario Rex”, incentrato su un pastore tedesco che risolveva i casi più
difficili insieme al suo fedele compagno
umano.
«
Helios sarà l’unico nome che userò per te», detto questo si sollevò sui gomiti,
si mise sopra di lui, a cavalcioni e cercò le sue labbra, le trovò umide e
calde, schiuse, pronte ad accoglierla con un bacio passionale, di quelli che
solo Feliciano sapeva dare, dolce, ardito e forse anche violento. Le loro
lingue si incontrarono a metà strada, ed insieme danzarono sensualmente.
Feliciano si lasciò scappare un gemito, e subito dopo invertì le posizioni e si
staccò da quel bacio con malavoglia, la guardò dolcemente e lei gli sorrise.
Lui portò una mano sul suo viso e lei chiuse gli occhi per assaporare meglio
quel contatto. Lui sospirò, aveva letto il desiderio negli occhi di lei, si
abbassò per baciarla ed i suoi capelli castani e lisci le solleticarono il
volto, rise nel bacio, adorava il profumo che lui emanava quando era eccitato,
era più che inebriante.
Sentì
qualcosa premerle sul ventre e sorrise all’idea che riuscisse ad accenderlo con
tale rapidità e facilità. Non aveva mai pensato a sé stessa come ad una donna
sensuale ed ambita, ma era così che l’italiano la faceva sentire. Desiderata e
bramata, tutte le notti ed a volte anche di mattino. Perché come era risaputo,
il sesso mattutino era il migliore della giornata.
«
Helios…», gemette lei, quando le mani di lui le accarezzarono le cosce, lui la
guardò e le sorrise.
«
Sai che non mi chiamo così», le sussurrò nell’orecchio. Lei in risposta gli
catturò le labbra ed invertì le posizioni, ora era sopra di lui, a guardarlo
soddisfatta, un’espressione di malizia le colorava il volto di porpora.
***
Era
venerdì e quel giorno il francese più famoso di Oxford doveva ridare un esame
di Inglese, non l’aveva passato la prima volta, si era vergognato come un ladro
quando scoprì che il suo nome non compariva tra quelli che avevano passato
l’esame del mese scorso. Aveva sempre saputo di non essere un asso in inglese,
ma al punto di non passare un esame…
Quella
volta sarebbe stato diverso, Francis entrò nell'aula, fermamente convinto di
prendere almeno un A- in quell'esame.
Il
professore si era rivelato essere un tipo alquanto particolare, lo doveva
ammettere, dopo la conoscenza di quell'insegnante, gli stereotipi che conosceva
sugli americani gli sembravano davvero fondati. Si chiamava Alfred Jones e non
doveva avere più di ventisette anni, aveva i capelli biondi, degli occhiali
quadrati ed un caldo sorriso. Abitualmente indossava felpe, camicie senza
pretese, giacche troppo larghe per lui, l'unica costante erano i suoi jeans,
sempre rigorosamente scuri. A Francis il suo stile faceva rabbrividire,
sospirò, e pensare che era convinto che fossero gli inglesi i più mal vestito
del mondo occidentale. Scosse la testa, quell'americano batteva su tutti i
fronti del mal vestire quell'odioso inglese, che incontrava ogni tanto
all'Università o al River.
L'aula si riempiva man mano che l'ora dell'inizio dell'esame si avvicinava,
quando Francis era arrivato c'erano sì e no cinque ragazze con i libri aperti,
sulle scalinate più in alto. Ora aveva perso il conto della gente che arrivava
e cercava di accaparrarsi un posto da cui poter copiare più facilmente.
Francis aveva studiato, non aveva alcun bisogno di quei stratagemmi per
prendere una misera B, che oltretutto non avrebbe accettato, da quanto
orgoglioso era.
L'unica cosa che gli rodeva era che tra i suoi amici, solo a lui a cui mancava
quell'esame, gli altri due bastardi erano passati al primo colpo,
brillantemente Gilbert, sulla sufficienza Antonio. Lo spagnolo non poteva certo
dirsi un amatore dello studio e non perdeva occasione di dimostrarlo. I suoi
voti erano tutti sulla B, raramente riusciva a prendere un'A, ma la cosa non lo
toccava affatto.
Francis Bonnefoy scelse un posto centrale nella sala
ed attese che il suo curioso professore si decidesse a consegnargli il foglio
d’esame.
Prima finiva, prima se ne andava e prima vedeva Sesel.
L'americano passò freneticamente tra i banchi, mollando fogli volanti a destra
ed a manca.
"Americani", pensò il
francese indispettito da tanta confusione.
Ogni
volta che presenziava a quelle lezioni non poteva fare a meno di pensare come
avesse fatto un'Università come Oxford ad accettare che un professore tanto
confusionario avesse la cattedra di lingua inglese. Gli inglesi erano dei
grandi patrioti ed era risaputo il loro odio per quei chiassosi fratelli
d'oltre Atlantico. Gli Yankee, come
li chiamavano in inglese. Tuttavia, Oxford non era come il resto dell'isola
Bretone. No. Oxford dalla sua nascita non faceva che vantarsi della sua
diversità di nazionalità e di vedute, rispetto alle altre.
Francis sospirò ed afferrò al volo il foglio con le domande buttato dal
professore, che nel frattempo era corso indietro verso la sua cattedra.
- Ok, guys!
-, fece l'americano con un sorriso caldo, - Ora girate i fogli e cominciate!-
Il francese girò il foglio, lesse tute le domande e tirò un sospiro. Le domande
erano venti, delle quali solo a due non sapeva bene cosa rispondere, ma si
sarebbe inventato qualcosa, un giro di parole oppure una risposta parziale.
Francis scrisse ininterrottamente per circa quindici minuti, tutto ciò che si
ricordava riguardo i diversi argomenti trattati.
L'esame durava in tutto un'ora.
Una volta finito Francis lo ricontrollò diverse volte, controllò lo stile, la
grammatica e la pertinenza delle proprie risposte.
Tutto sembrava andare alla perfezione. Mancavano dieci minuti alla fine, lui
non aveva alcuna voglia di consegnare prima, semplicemente posò la penna sul
tavolo ed attese.
Dieci minuti solo con i suoi pensieri.
Cosa avrebbe fatto quella sera?
Semplice: Gilbert l'avrebbe trascinato al River, come era suo solito fare. Non
che gli dispiacesse il locale, solamente che sarebbe stato bello cambiare aria
ogni tanto.
Si tolse la sciarpa, iniziava a far caldo in quell'aula. Che fossero i neuroni
fusi dei poveri studenti che li spremevano come potevano per fare un buon
esame?
D'un tratto scorse una ragazza con le codine bionde, più avanti di lui di tre
file.
Gli venne in mente Sesel. Era davvero curioso di conoscerla più da vicino, di
approfondire quell'amicizia superficiale che si era creata tra di loro. Avrebbe
utilizzato tutto il suo famoso Charme per farla cadere ai suoi piedi.
Non sapeva molto di lei, non era una tipa appariscente, che amava stare al
centro della scena. Già, Sesel era il contrario di quella strana modella
bielorussa che aveva conosciuto all'inizio dell'anno. Si chiamava Natalia
Qualcosa, quella si che era una tipa tosta, mai visto una ragazza tanto
schizofrenica e lunatica. Passava da tremenda ad in personificazione del
Diavolo salito in Terra dall'Inferno. Aveva un carattere discutibile ma un
corpo da sballo. Era la tipica femmina da scopata e via.
Natalia l'avrebbe vista bene con il russo che girava con Sesel, si sarebbero
completati sicuramente, ed oltretutto parlavano la stessa lingua da quel che
gli risultava, avrebbe provato a fare da Cupido per loro, se riusciva.
« Avete altri cinque minuti», disse l'americano sorridendo, « dopodiché
spiccherò la mia corsa per raccogliere i compiti e non darvi il tempo di
terminare le frasi che starete sicuramente cercando di scrivere», le parole del
suo professore fecero sorridere Francis, era un tipo particolare, ma alla fine
era anche piacevole seguirlo.
Il francese si strinse di nuovo la sciarpa al collo, in cinque minuti si
sarebbe ritrovato per le vie fredde di Oxford.
Chissà che aveva da fare Antonio quel fine settimana, quando gli aveva proposto
di fare un viaggetto in Francia era rimasto sul vago ed aveva risposto con
" Non posso, scusa". A volte si comportava davvero in modo strano.
« Ok ragazzi, per favore ora consegnate!», disse l'americano, velocemente
percorse tutte le gradinate e raccolse tutti i compiti.
Francis
una volta consegnato il suo si alzò, si sistemò la sciarpa al collo e prese a
scendere le scalinate diretto verso l’uscita. Diversi ragazzi e soprattutto
ragazze si fermarono a parlare insieme a lui, chiedendogli consigli su locali,
su acconciature e su vestiti. I diversi scambi di opinioni ritardarono di un
quarto d’ora la sua uscita dall’aula.
Appena
uscito un brivido percosse la sua schiena, vide passare davanti a lui un
gemello Vargas. Non sapeva bene chi fosse, non si era mai impegnato a capire le
differenze tra i due, per lui erano semplicemente due carogne, due pezzi di
letame, non gli importava se ad uno piaceva il blu e l’altro aveva paura del
buio. Tutto ciò che il francese doveva sapere sui due, era che i due gemelli
italiani erano pericolosi ed andavano evitati per quanto possibile.
L’italiano
non era solo, oltretutto, era accompagnato dallo svizzero-dal-grilletto-facile.
Stavano
parlando animatamente di un film che avevano visto, o almeno così dedusse
Francis giacché l’argomento toccava una sparatoria a New York. Si allontanarono
insieme, non l’avevano visto, ma comunque, Francis cambiò strada, guardò
l’orologio e si accorse di essere in ritardo per l’appuntamento con Gilbert,
prese a correre a velocità moderata, non poteva permettersi di rovinare la
piega che si era fatto fare dalla sua parrucchiera quella mattina.
***
«
Non sono ancora riuscito a capire come hai fatto a convincermi a venire con te
a fare compere», sbottò Gilbert ficcando le mani nelle tasche della giacca e
finalmente decidendo di sedersi.
«
Ti ho promesso di perdonarti», spiegò Francis sorridendo, guardò il commesso e
fece un gesto con la mano, come per scacciare un insetto, « questa non va bene,
me ne porti un’altra, sul verde smeraldo».
«
Si, signore», rispose il ragazzo e si ritirò. Gilbert sbuffò, era la quarta
cravatta che il francese rifiutava, non che gli mancassero, ma Francis aveva la
strana abitudine di comprare una cravatta nuova ogni settimana. Era un drogato
dello shopping. Non solo, portava sempre con sé qualcuno nella ricerca dei suoi
nuovi capi, aveva bisogno di pareri, sempre e comunque.
Quel
pomeriggio anche Gilbert aveva deciso di vestirsi elegantemente alla sua
maniera. Non era lo stile di Francis, Gilbert aveva un fresco stile universitario,
jeans neri, giacca grigia e camicia sbottonata.
«
Vuoi diventare un Serpeverde?» chiese
Gilbert, mentre Francis sceglieva da le cravatte che gli avevano offerto.
«
La tua allusione ad Harry Potter è fuori luogo», rispose il francese, toccò delicatamente
ogni cravatta, « sai benissimo che non mi piace quel romanzo e che il verde
scuro è comunque il mio colore preferito».
«
Con chi devi uscire?», chiese Gilbert.
«
Con Sesel, e confido che il russo non sia con lei».
«
Hai problemi con Ivan?», Gilbert lo guardò sorpreso, « è un ragazzo
adorabile!».
Un
brivido percosse la schiena del francese.
Aveva
detto adorabile?
Seriamente
Gilbert aveva detto quella parola per descrivere l’omone che era sempre al seguito
della sua Sesel a mo' di guardia del corpo?
«
Gilbert, hai davvero una strana concezione di adorabile » sussurrò Francis.
****
La
domenica prestabilita arrivò prima che Antonio riuscisse a capacitarsene. Era
piuttosto in ritardo, avrebbe dovuto farsi accompagnare dal suo autista
all’aeroporto di Heathrow, l’aeroporto principale di Londra, dove aveva
acquistato un aerodromo per il proprio aeroplano. Da Oxford era circa un’ora di
strada a velocità moderata.
Erano
le nove e mezza ed avrebbe dovuto incontrare il mafioso italiano alle dieci, era nervoso, al primo appuntamento
certamente era scortese arrivare in ritardo.
Granada,
la Spagna, il suo adorato paese, erano almeno cinque anni che non tornava in
quella città, chissà se era cambiata, chissà se in quel periodo era invasa dai
turisti. Era autunno, probabilmente sì, la Spagna era da evitare in estate per
le temperature impossibili che si raggiungevano, quasi quaranta gradi al sole e
circa trentacinque all’ombra.
Guardò
fuori dalla finestra, stava piovigginando ma Antonio sapeva che sopra le nuvole
c’era sempre il sole, quel viaggio, nonostante la compagnia discutibile lo fece
sorridere. Tornava dal sole, al sud dell’Europa, lasciava, finalmente per
almeno un giorno quel paese freddo e
grigio. Potevano dire quel che volevano a proposito la Gran Bretagna, a
proposito Londra, potevano essere cosmopoliti quanto volevano, ma il sud
Europa, la sua Spagna era cento volte meglio, secondo lui.
Il
suo cellulare vibrò, Antonio distolse l’attenzione dal finestrino e lo prese.
Era un messaggio di Gilbert che gli chiedeva dove era sparito, alle prime luci
dell’alba.
Antonio
alzò un sopracciglio, era partito appena un quarto d’ora prima. Gilbert aveva
sempre la testa tra le nuvole.
«
Signore, arriveremo tra mezz’ora»,
disse il suo autista in spagnolo. Antonio gli sorrise, mezz’ora ed avrebbe
ripreso in mano il suo aereo.
Il
tempo passò in fretta, arrivarono in prossimità dell’aeroporto.
Arrivarono
ai cancelli delle piste, Antonio, essendo proprietario di uno degli aerodromi,
aveva diretto di entrare nella zona protetta dell’aeroporto. L’auto parcheggiò
davanti l’entrata della proprietà dello spagnolo. Timidi raggi di sole si
intravedevano tra le nuvole scure. L’autista uscì dalla macchina ed aprì la
porta ad Antonio.
Lo
spagnolo chiuse gli occhi e sospirò. Uscì dalla macchina, guardò in direzione
del suo aerodromo.
Era
in orario.
«
Grazie Alejandro», disse Antonio, entrò nell’aerodromo, a quanto sembrava
l’italiano non era ancora arrivato. Meglio, avrebbe avuto qualche minuto con il
suo aereo, ogni volta prima di un nuovo volo, lo controllava personalmente, le
ali, il motore, il carburante.
Un
addetto alla manutenzione lo accolse con un sorriso:
«
Lord Carriero!», esclamò avvicinandosi, era un uomo sulla quarantina, aveva già
qualche filo grigio tra i capelli castani, « è un piacere averla qui, Signore».
«
Salve Sebastian», rispose Antonio, « come sta il mio gioiello?».
«
Sempre benissimo, Signore, l’ho controllato proprio ieri, è pronto per volare,
il suo team arriverà a momenti», s’interruppe si voltò da una parte, attirato
da un pensiero, « dimenticavo di dirle, il suo ospite è già qui».
Un
brivido di gelo percosse la schiena dello spagnolo, pensava che gli italiani
fossero dei ritardatari, ma a quanto pare era inutile usare gli stereotipi su
Lovino Vargas.
In
quel momento l’ospite uscì allo scoperto, aveva ispezionato attentamente tutto
il velivolo. Notò che il proprietario era arrivato, storse il viso. Indossava
un cappotto nero, il solito, una sciarpa con il disegno tradizionale di
burberry.
«
Sei in ritardo di cinque minuti, spagnolo», disse semplicemente, Antonio gli
andò incontro, si stampò un sorriso sulle labbra, era buon viso a cattivo
gioco.
«
Ti prego di scusarmi, Vargas», Antonio incatenò il suo sguardo a quello
dell’italiano, che lo sosteneva. Avevano
una differenza di altezza di circa dieci centimetri, Lovino era il più basso,
ma il suo sguardo era degno dell’orgoglio di un re. L’italiano non aveva mai
avuto nessun complesso con la sua altezza, era un metro e settantatré, tanto
gli bastava.
«
Confido che non accada più», gli lanciò un sguardo gelido ed assottigliò gli
occhi, « nonostante le maldicenze sul ritardo degli italiani, io sono sempre in
orario e non amo aspettare», gli voltò le spalle e si sistemò i guanti in pelle
neri.
Antonio
abbassò lo sguardo, quel ragazzo era davvero odioso. Ma chissà, forse si
sarebbe divertito comunque, l’importante era tornare anche se per poco nella
sua Spagna.
«
Appena avrò finito di controllare l’aereo partiremo», disse gentilmente, « ti
prego di pazientare ancora un po’».
Lovino
si voltò di nuovo verso lo spagnolo, non gli rivolse altro che un’espressione
scocciata ed un soffio tediato.
«
I miei sottoposti ti faranno accomodare nell’ufficio, potrai prende un caffè
nell’attesa, non ci metterò molto», gli assicurò Antonio sorridendo.
«
Io..», iniziò Lovino ma venne interrotto da una voce femminile che lo chiamava,
una ragazza uscì dall’interno dell’aereo entusiasta.
«
Lovino, questo aereo è la fine del mondo!», la bionda corse verso l’italiano e
lo afferrò per il braccio. Indossava una pelliccia di visone grigia, le
arrivava sopra il ginocchio.
Antonio
resto interdetto, non sapeva cosa fare o cosa dire. Era convinto che l’italiano
sarebbe venuto da solo, invece si era trascinato dietro quella ragazza.
«
Dimenticavo di dirtelo», fece Lovino, « ho portato la mia Fréd», sorrise
dolcemente alla ragazza e la prese per mano, « spero non sia problema,
Carriedo», guardò il volto pietrificato dello spagnolo con un sorriso perfido,
alle sue orecchie erano giunte voci su una possibile cotta da parte di Carriedo
verso la sua Fréderique. A quanto pare il ragazzo aveva davvero un debole per
la sua belga.
«
Non ricordo di essermi mai presentata», parlò Fréderique, porse la mano allo
spagnolo e attese che lui gliela stringesse, « io sono Fréd, piacere di
conoscerti, Antonio, sono sempre stata curiosa di conoscere qualcuno del famoso
F3!», ammise solare.
Antonio
si costrinse all’autocontrollo. Aveva già mostrato troppo all’italiano dei suoi
sentimenti.
«
Incantato, Miss Fréd», le rispose galante, « non è affatto un problema
accogliere un’altra ospite per me, anzi sarà un piacere godere della tua
compagnia, se fossimo andati solamente con Lovino, sicuramente ci saremmo
annoiati», mormorò Antonio, strinse la mano della ragazza.
Il
suo team di volo era arrivato, Antonio fece accomodare i suoi ospiti in ufficio
e sparì per decidere sul da farsi con il capitano dell’aereo ed i suoi aiutanti.
Fréderique
e Lovino si sedettero su un divano di pelle chiara e rimasero soli ad aspettare che lo spagnolo
tornasse.
«
Sembra un tipo simpatico», fece Fréderique, sorseggiando il caffè che le era
stato offerto.
«
Ed interessante», aggiunse Lovino con un sorriso malizioso.
«
Quindi si va a Granada?», chiese Fréderique, si strinse a Lovino e quello le
passò il braccio attorno le spalle.
«
Sì, Tesoro», non vedeva l’ora di
visitare quella città, dai racconti era una delle più belle della Spagna, il
viaggio di nozze i suoi genitori l’avevano passato là. E forse, solo forse,
sarebbe riuscito a scoprire qualcosa sul motivo del loro omicidio. Sapeva
benissimo che suo padre, essendo stato un politico era malvoluto, ma nessuno si
era mai permesso di attaccare una carica pubblica prima di quel fatidico
giorno. Aveva visto Feliciano piangere per la prima volta, e davanti alle
lacrime di suo fratello, aveva giurato di trovare i mafiosi responsabili del
loro dolore.
Lovino
accarezzò la mano delicata di Fréderique, che sorrise. Si guardarono negli
occhi, Lovino lesse lo sguardo innamorato che gli rivolgeva la ragazza e quello
gli scaldò il cuore. Aveva deciso di portarla dietro non solo per dispetto ad
Antonio, ma anche perché sentiva per lei sentimenti forti, passione, dolcezza,
possesso e forse anche amore.
Prese
il viso di lei tra le dita e le sue labbra incontrarono quelle della ragazza.
La
baciò a lungo, assaporò le sue labbra scarlatte, avevano il gusto di fragola,
gliele leccò e poi si insinuò nella sua bocca per cercare le carezze che lei
gli avrebbe regalato con la lingua. Si spostò, per essere più comodo, e la
strinse tra le braccia, le passò una mano sulla schiena e l’altra gliela infilò
tra i capelli, morbidi al tocco. Lovino adorava i capelli delle ragazze, a suo
dire erano la cosa più bella che il genere femminile aveva, dopo gli organi
sessuali.
Il
bacio si fece più intenso, Lovino prese di peso Fréderique e se la posò sulle
cosce, lei gemette.
«
Ragazzi!», Lovino grugnì contrariato quando la belga si girò paonazza in volto
verso il terzo in comodo. Era quel deficiente dello spagnolo che con un sorriso
a trentadue denti era entrato nell’ufficio, disturbandoli.
«
Antonio!», esclamò Fréderique, cercando di rimettersi a sedere sul suo posto.
Non ci riuscì, l’italiano la teneva saldamente tra le sue braccia, non disposto
a lasciarla andare.
«
Che vuoi, Bastardo?»
«
L’aereo è pronto, visto che avete finito i vostri caffè», indicò il tavolino
davanti a loro con le tazze vuote, « Perché non mi seguite?», si spostò a lato
della porta e li attese sorridendo.
Lovino
prese in braccio Fréderique, che si dimenò contrariata, chiedendogli di
metterla giù.
«
Tesoro mio, che ti stanchi di camminare adesso», fece malizioso, ammiccando
alle scarpe con i tacchi alti, che la belga aveva avuto la bella idea di
indossare quel giorno, « come faremo a girare tutto il giorno per Granada?».
Fréderique
lo guardò di traverso ma non rispose, se voleva portarla in braccio, lei non
aveva niente da ridire, quanto più stava vicino a Lovino, tanto più era felice.
Circondò il collo del giovane con le mani. Antonio guardò la scena sorridendo,
ma i suoi occhi dicevano tutt’altro. Un lampo scuro li attraversò diverse
volte, ma non era davvero il caso di aprir bocca.
I
ragazzi uscirono dall’Ufficio ed insieme andarono nell’aereo.
«
Ho deciso che per l’andata non piloterò l’aereo, preferisco tenervi compagnia»,
disse Antonio, precedendoli di qualche passo.
Fantastico,
pensò Lovino, la mezza idea che aveva di una scopata veloce sul velivolo dello
spagnolo era appena stata sfumata dalle parole del Bastardo.
«
Bello!», disse invece Fréderique, ignara dei pensieri sconci del fidanzato, «
così ci racconterai un po’ della città!»
«
Farò di tutto per intrattenervi, Signorina», disse di rimando Antonio,
facendole l’occhiolino.
Lovino
iniziava già a divertirsi, gli avrebbe reso quella giornata un Inferno.