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Autore: Joy Wyatt    04/02/2011    6 recensioni
Gilbert, Antonio e Francis, welcome to Oxford, Bad Friends Trio!
Gioco di passioni e potere, soldi, alcool e vita notturna inglese. Oxford sarà il palcoscenico dell'avventura più grande dei tre ragazzi.
Tra due gemelli italiani sadici e meschini, una Elizaveta alla ricerca della passione e del vero amore, un Antonio sognatore ed un Francis ai limiti dello snob, signore e signori:
Welcome to Oxford!
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V

Capitolo V

 

Breve nota del autore: Mi piacerebbe davvero che i miei lettori mi lasciassero qualche commento in più, con le vostre opinioni. Prendetevi 5 minuti per dirmi cosa ne pensate! ;D

Ringrazio Chibi_; Veralya, Scricciola e PrussiaySpain per le vostre opinioni! <3 è sempre un piacere sentirvi! <3

 

Feelings

« Liza, ti prego dimmi cosa non va», pregò Feliciano, al limite dell’esasperazione, « sai benissimo che farei qualsiasi cosa per te, per farti star meglio!», le prese il mento tra le mani e dolcemente le alzò il volto, per guardarla negli occhi. Aveva quello sguardo da diversi giorni ormai e l’italiano aveva bisogno di sapere perché.

« Non è nulla, passerà», rispose con voce spezzata la ragazza, non avrebbe avuto il cuore di ammettere che la ragione della sua tristezza fosse il dannato berlinese. Non l’avrebbe mai detto, specialmente a Feliciano. Lei lo amava, amava quell’italiano, amava il suo sguardo caldo,  premuroso, dolce, proprio per questo non poteva permettersi di cedere, non voleva vedere la tristezza negli occhi di colui che amava.

« Non insisto», Feliciano era così, sapeva benissimo quando fermarsi, non era invadente, non amava torchiare le persone, farle sentire a disagio, come invece piaceva fare al suo gemello.

« Vieni, stenditi accanto a me ora, Tesoro», l’ultima parola l’aveva detta in italiano, era una lingua tanto dolce e melodica, pensò Elizaveta mettendosi sotto le coperte, accanto al corpo caldo del ragazzo. Feliciano le circondò le spalle con il braccio, e lei si accoccolò sul suo petto. Sprigionava un profumo mascolino e gentile che allo stesso tempo la attiravano per desiderio e la respingevano per paura.

« Raccontami cosa hai fatto oggi, non ti ho quasi vista, non dirmi che hai studiato tutto il tempo?».

« Sono stata in biblioteca sì, a lungo», cerco di richiamare i ricordi della giornata, « ho incontrato Fréd e siamo andate a prendere un thè al bar dell’Università, credo che ci stiamo avvicinando finalmente».

« Mi fa piacere sentirlo, ricordi quando ti ho presentata a mio fratello?», Elizaveta sorrise, prese ad accarezzare il petto di Feliciano con movimenti lenti e circolari, « Quella volta c’erano anche Fréd e Keith, e non sei piaciuta a nessuno di loro!».

« E’ vero, non sapevo cosa dire, stavo semplicemente in piedi davanti a loro, pietrificata dal terrore», ammise Elizaveta, rossa in volto dall’imbarazzo.

« Non v’era nulla di cui aver paura, a Lovino sei piaciuta parecchio!».

« Lovino mi ha benvoluta solamente perché sapeva che ti piacevo, mentre Fréd e Keith sono stati più sinceri e mi hanno praticamente ignorato», fece una pausa, « anzi Keith mi ha ignorato, Fréd ha storto la faccia ed ha continuato a guardarmi con diffidenza, scommetto che pensava qualcosa tipo: “quella non è abbastanza per Feliciano”».

« Ma va, conosci Fréd, all’inizio pare sempre contrariata e fredda, si deve semplicemente imparare a conoscerla!», Feliciano abbracciò la ragazza stretta, voleva sentirla sul suo corpo, gli era mancata molto durante quella giornata che non finiva mai. Aveva trascorso la maggior parte del giorno con Lovino e Vash, che come al solito complottavano qualcosa. Aveva chiaramente sentito Lovino, appena tornato dalla sua colazione mattutina, ordinare ai suoi di fermare qualsiasi fuga di notizie riguardo L’F3 ed il loro bacio passionale, aveva pure dato istruzioni a Vash di portare e consegnare personalmente le foto scattate a Carriedo.  Qualcosa doveva avergli fatto cambiare idea riguardo il da farsi. Feliciano era curioso, ma non indagava, aveva capito a proprie spese che era meglio non ficcare il naso negli affari del fratello, se non si volevano ripicche.

« Solo il Signore sa quanto sono stata fortunata ad trovarti, Feliciano!».

Feliciano adagiò il mento tra i capelli vaporosi e soffici della ragazza e le chiese:

« Ricordi la nostra prima giornata insieme a Venezia?».

Elizaveta fece segno di sì, come poteva scordarsene?

« Sai mi ricordo ancora il nomignolo che mi avevi dato», mormorò Feliciano soffiando tra i capelli dell’ungherese, « mi hai sempre chiamato Helios, nonostante ti avessi detto che ero Feliciano», Elizaveta sorrise e sospirò.

« Non mi pare che ti dispiacesse, e comunque da quel giorno tu sei il mio sole, trovo che Helios ti si addica molto più di Feliciano».

« Il mio è solo un nome, Amore mio, non è una gamba, un braccio o il mio cuore, chiamami come vuoi, tanto quando lo farai io capirò sempre che cerchi me, anche se mi chiamerai con il nome di un animale», disse Feliciano, « per esempio “Rex”».

Ad Elizaveta venne in mente il famoso telefilm che guardava da piccola, “il commissario Rex”, incentrato su un pastore tedesco che risolveva i casi più difficili insieme al suo fedele compagno umano.

« Helios sarà l’unico nome che userò per te», detto questo si sollevò sui gomiti, si mise sopra di lui, a cavalcioni e cercò le sue labbra, le trovò umide e calde, schiuse, pronte ad accoglierla con un bacio passionale, di quelli che solo Feliciano sapeva dare, dolce, ardito e forse anche violento. Le loro lingue si incontrarono a metà strada, ed insieme danzarono sensualmente. Feliciano si lasciò scappare un gemito, e subito dopo invertì le posizioni e si staccò da quel bacio con malavoglia, la guardò dolcemente e lei gli sorrise. Lui portò una mano sul suo viso e lei chiuse gli occhi per assaporare meglio quel contatto. Lui sospirò, aveva letto il desiderio negli occhi di lei, si abbassò per baciarla ed i suoi capelli castani e lisci le solleticarono il volto, rise nel bacio, adorava il profumo che lui emanava quando era eccitato, era più che inebriante.

Sentì qualcosa premerle sul ventre e sorrise all’idea che riuscisse ad accenderlo con tale rapidità e facilità. Non aveva mai pensato a sé stessa come ad una donna sensuale ed ambita, ma era così che l’italiano la faceva sentire. Desiderata e bramata, tutte le notti ed a volte anche di mattino. Perché come era risaputo, il sesso mattutino era il migliore della giornata.

« Helios…», gemette lei, quando le mani di lui le accarezzarono le cosce, lui la guardò e le sorrise.

« Sai che non mi chiamo così», le sussurrò nell’orecchio. Lei in risposta gli catturò le labbra ed invertì le posizioni, ora era sopra di lui, a guardarlo soddisfatta, un’espressione di malizia le colorava il volto di porpora.

 

***

Era venerdì e quel giorno il francese più famoso di Oxford doveva ridare un esame di Inglese, non l’aveva passato la prima volta, si era vergognato come un ladro quando scoprì che il suo nome non compariva tra quelli che avevano passato l’esame del mese scorso. Aveva sempre saputo di non essere un asso in inglese, ma al punto di non passare un esame…

Quella volta sarebbe stato diverso, Francis entrò nell'aula, fermamente convinto di prendere almeno un A- in quell'esame.

Il professore si era rivelato essere un tipo alquanto particolare, lo doveva ammettere, dopo la conoscenza di quell'insegnante, gli stereotipi che conosceva sugli americani gli sembravano davvero fondati. Si chiamava Alfred Jones e non doveva avere più di ventisette anni, aveva i capelli biondi, degli occhiali quadrati ed un caldo sorriso. Abitualmente indossava felpe, camicie senza pretese, giacche troppo larghe per lui, l'unica costante erano i suoi jeans, sempre rigorosamente scuri. A Francis il suo stile faceva rabbrividire, sospirò, e pensare che era convinto che fossero gli inglesi i più mal vestito del mondo occidentale. Scosse la testa, quell'americano batteva su tutti i fronti del mal vestire quell'odioso inglese, che incontrava ogni tanto all'Università o al River.
L'aula si riempiva man mano che l'ora dell'inizio dell'esame si avvicinava, quando Francis era arrivato c'erano sì e no cinque ragazze con i libri aperti, sulle scalinate più in alto. Ora aveva perso il conto della gente che arrivava e cercava di accaparrarsi un posto da cui poter copiare più facilmente.
Francis aveva studiato, non aveva alcun bisogno di quei stratagemmi per prendere una misera B, che oltretutto non avrebbe accettato, da quanto orgoglioso era.
L'unica cosa che gli rodeva era che tra i suoi amici, solo a lui a cui mancava quell'esame, gli altri due bastardi erano passati al primo colpo, brillantemente Gilbert, sulla sufficienza Antonio. Lo spagnolo non poteva certo dirsi un amatore dello studio e non perdeva occasione di dimostrarlo. I suoi voti erano tutti sulla B, raramente riusciva a prendere un'A, ma la cosa non lo toccava affatto.
Francis Bonnefoy scelse un posto centrale nella sala ed attese che il suo curioso professore si decidesse a consegnargli il foglio d’esame.
Prima finiva, prima se ne andava e prima vedeva Sesel. 
L'americano passò freneticamente tra i banchi, mollando fogli volanti a destra ed a manca.
"Americani", pensò il francese indispettito da tanta confusione.

Ogni volta che presenziava a quelle lezioni non poteva fare a meno di pensare come avesse fatto un'Università come Oxford ad accettare che un professore tanto confusionario avesse la cattedra di lingua inglese. Gli inglesi erano dei grandi patrioti ed era risaputo il loro odio per quei chiassosi fratelli d'oltre Atlantico. Gli Yankee, come li chiamavano in inglese. Tuttavia, Oxford non era come il resto dell'isola Bretone. No. Oxford dalla sua nascita non faceva che vantarsi della sua diversità di nazionalità e di vedute, rispetto alle altre.
Francis sospirò ed afferrò al volo il foglio con le domande buttato dal professore, che nel frattempo era corso indietro verso la sua cattedra.
- Ok, guys! -, fece l'americano con un sorriso caldo, - Ora girate i fogli e cominciate!-
Il francese girò il foglio, lesse tute le domande e tirò un sospiro. Le domande erano venti, delle quali solo a due non sapeva bene cosa rispondere, ma si sarebbe inventato qualcosa, un giro di parole oppure una risposta parziale.
Francis scrisse ininterrottamente per circa quindici minuti, tutto ciò che si ricordava riguardo i diversi argomenti trattati.
L'esame durava in tutto un'ora.
Una volta finito Francis lo ricontrollò diverse volte, controllò lo stile, la grammatica e la pertinenza delle proprie risposte.
Tutto sembrava andare alla perfezione. Mancavano dieci minuti alla fine, lui non aveva alcuna voglia di consegnare prima, semplicemente posò la penna sul tavolo ed attese.
Dieci minuti solo con i suoi pensieri.
Cosa avrebbe fatto quella sera?
Semplice: Gilbert l'avrebbe trascinato al River, come era suo solito fare. Non che gli dispiacesse il locale, solamente che sarebbe stato bello cambiare aria ogni tanto.
Si tolse la sciarpa, iniziava a far caldo in quell'aula. Che fossero i neuroni fusi dei poveri studenti che li spremevano come potevano per fare un buon esame?
D'un tratto scorse una ragazza con le codine bionde, più avanti di lui di tre file.
Gli venne in mente Sesel. Era davvero curioso di conoscerla più da vicino, di approfondire quell'amicizia superficiale che si era creata tra di loro. Avrebbe utilizzato tutto il suo famoso Charme per farla cadere ai suoi piedi.
Non sapeva molto di lei, non era una tipa appariscente, che amava stare al centro della scena. Già, Sesel era il contrario di quella strana modella bielorussa che aveva conosciuto all'inizio dell'anno. Si chiamava Natalia Qualcosa, quella si che era una tipa tosta, mai visto una ragazza tanto schizofrenica e lunatica. Passava da tremenda ad in personificazione del Diavolo salito in Terra dall'Inferno. Aveva un carattere discutibile ma un corpo da sballo. Era la tipica femmina da scopata e via.
Natalia l'avrebbe vista bene con il russo che girava con Sesel, si sarebbero completati sicuramente, ed oltretutto parlavano la stessa lingua da quel che gli risultava, avrebbe provato a fare da Cupido per loro, se riusciva.
« Avete altri cinque minuti», disse l'americano sorridendo, « dopodiché spiccherò la mia corsa per raccogliere i compiti e non darvi il tempo di terminare le frasi che starete sicuramente cercando di scrivere», le parole del suo professore fecero sorridere Francis, era un tipo particolare, ma alla fine era anche piacevole seguirlo.
Il francese si strinse di nuovo la sciarpa al collo, in cinque minuti si sarebbe ritrovato per le vie fredde di Oxford.
Chissà che aveva da fare Antonio quel fine settimana, quando gli aveva proposto di fare un viaggetto in Francia era rimasto sul vago ed aveva risposto con " Non posso, scusa". A volte si comportava davvero in modo strano.
« Ok ragazzi, per favore ora consegnate!», disse l'americano, velocemente percorse tutte le gradinate e raccolse tutti i compiti.

Francis una volta consegnato il suo si alzò, si sistemò la sciarpa al collo e prese a scendere le scalinate diretto verso l’uscita. Diversi ragazzi e soprattutto ragazze si fermarono a parlare insieme a lui, chiedendogli consigli su locali, su acconciature e su vestiti. I diversi scambi di opinioni ritardarono di un quarto d’ora la sua uscita dall’aula.

Appena uscito un brivido percosse la sua schiena, vide passare davanti a lui un gemello Vargas. Non sapeva bene chi fosse, non si era mai impegnato a capire le differenze tra i due, per lui erano semplicemente due carogne, due pezzi di letame, non gli importava se ad uno piaceva il blu e l’altro aveva paura del buio. Tutto ciò che il francese doveva sapere sui due, era che i due gemelli italiani erano pericolosi ed andavano evitati per quanto possibile.

L’italiano non era solo, oltretutto, era accompagnato dallo svizzero-dal-grilletto-facile.

Stavano parlando animatamente di un film che avevano visto, o almeno così dedusse Francis giacché l’argomento toccava una sparatoria a New York. Si allontanarono insieme, non l’avevano visto, ma comunque, Francis cambiò strada, guardò l’orologio e si accorse di essere in ritardo per l’appuntamento con Gilbert, prese a correre a velocità moderata, non poteva permettersi di rovinare la piega che si era fatto fare dalla sua parrucchiera quella mattina.

 

 

 

***

 

« Non sono ancora riuscito a capire come hai fatto a convincermi a venire con te a fare compere», sbottò Gilbert ficcando le mani nelle tasche della giacca e finalmente decidendo di sedersi.

« Ti ho promesso di perdonarti», spiegò Francis sorridendo, guardò il commesso e fece un gesto con la mano, come per scacciare un insetto, « questa non va bene, me ne porti un’altra, sul verde smeraldo».

« Si, signore», rispose il ragazzo e si ritirò. Gilbert sbuffò, era la quarta cravatta che il francese rifiutava, non che gli mancassero, ma Francis aveva la strana abitudine di comprare una cravatta nuova ogni settimana. Era un drogato dello shopping. Non solo, portava sempre con sé qualcuno nella ricerca dei suoi nuovi capi, aveva bisogno di pareri, sempre e comunque.

Quel pomeriggio anche Gilbert aveva deciso di vestirsi elegantemente alla sua maniera. Non era lo stile di Francis, Gilbert aveva un fresco stile universitario, jeans neri, giacca grigia e camicia sbottonata.

« Vuoi diventare un Serpeverde?» chiese Gilbert, mentre Francis sceglieva da le cravatte che gli avevano offerto.

« La tua allusione ad Harry Potter è fuori luogo», rispose il francese, toccò delicatamente ogni cravatta, « sai benissimo che non mi piace quel romanzo e che il verde scuro è comunque il mio colore preferito».

« Con chi devi uscire?», chiese Gilbert.

« Con Sesel, e confido che il russo non sia con lei».

« Hai problemi con Ivan?», Gilbert lo guardò sorpreso, « è un ragazzo adorabile!».

Un brivido percosse la schiena del francese.

Aveva detto adorabile?

Seriamente Gilbert aveva detto quella parola per descrivere l’omone che era sempre al seguito della sua Sesel a mo' di guardia del corpo?

« Gilbert, hai davvero una strana concezione di adorabile » sussurrò Francis.

 

****

 

La domenica prestabilita arrivò prima che Antonio riuscisse a capacitarsene. Era piuttosto in ritardo, avrebbe dovuto farsi accompagnare dal suo autista all’aeroporto di Heathrow, l’aeroporto principale di Londra, dove aveva acquistato un aerodromo per il proprio aeroplano. Da Oxford era circa un’ora di strada a velocità moderata.

Erano le nove e mezza ed avrebbe dovuto incontrare il mafioso italiano alle dieci, era nervoso, al primo appuntamento certamente era scortese arrivare in ritardo.

Granada, la Spagna, il suo adorato paese, erano almeno cinque anni che non tornava in quella città, chissà se era cambiata, chissà se in quel periodo era invasa dai turisti. Era autunno, probabilmente sì, la Spagna era da evitare in estate per le temperature impossibili che si raggiungevano, quasi quaranta gradi al sole e circa trentacinque all’ombra.

Guardò fuori dalla finestra, stava piovigginando ma Antonio sapeva che sopra le nuvole c’era sempre il sole, quel viaggio, nonostante la compagnia discutibile lo fece sorridere. Tornava dal sole, al sud dell’Europa, lasciava, finalmente per almeno un giorno  quel paese freddo e grigio. Potevano dire quel che volevano a proposito la Gran Bretagna, a proposito Londra, potevano essere cosmopoliti quanto volevano, ma il sud Europa, la sua Spagna era cento volte meglio, secondo lui.

Il suo cellulare vibrò, Antonio distolse l’attenzione dal finestrino e lo prese. Era un messaggio di Gilbert che gli chiedeva dove era sparito, alle prime luci dell’alba.

Antonio alzò un sopracciglio, era partito appena un quarto d’ora prima. Gilbert aveva sempre la testa tra le nuvole.

« Signore, arriveremo tra mezz’ora», disse il suo autista in spagnolo. Antonio gli sorrise, mezz’ora ed avrebbe ripreso in mano il suo aereo.

Il tempo passò in fretta, arrivarono in prossimità dell’aeroporto.

Arrivarono ai cancelli delle piste, Antonio, essendo proprietario di uno degli aerodromi, aveva diretto di entrare nella zona protetta dell’aeroporto. L’auto parcheggiò davanti l’entrata della proprietà dello spagnolo. Timidi raggi di sole si intravedevano tra le nuvole scure. L’autista uscì dalla macchina ed aprì la porta ad Antonio.

Lo spagnolo chiuse gli occhi e sospirò. Uscì dalla macchina, guardò in direzione del suo aerodromo.

Era in orario.

« Grazie Alejandro», disse Antonio, entrò nell’aerodromo, a quanto sembrava l’italiano non era ancora arrivato. Meglio, avrebbe avuto qualche minuto con il suo aereo, ogni volta prima di un nuovo volo, lo controllava personalmente, le ali, il motore, il carburante.

Un addetto alla manutenzione lo accolse con un sorriso:

« Lord Carriero!», esclamò avvicinandosi, era un uomo sulla quarantina, aveva già qualche filo grigio tra i capelli castani, « è un piacere averla qui, Signore».

« Salve Sebastian», rispose Antonio, « come sta il mio gioiello?».

« Sempre benissimo, Signore, l’ho controllato proprio ieri, è pronto per volare, il suo team arriverà a momenti», s’interruppe si voltò da una parte, attirato da un pensiero, « dimenticavo di dirle, il suo ospite è già qui».

Un brivido di gelo percosse la schiena dello spagnolo, pensava che gli italiani fossero dei ritardatari, ma a quanto pare era inutile usare gli stereotipi su Lovino Vargas.

In quel momento l’ospite uscì allo scoperto, aveva ispezionato attentamente tutto il velivolo. Notò che il proprietario era arrivato, storse il viso. Indossava un cappotto nero, il solito, una sciarpa con il disegno tradizionale di burberry.

« Sei in ritardo di cinque minuti, spagnolo», disse semplicemente, Antonio gli andò incontro, si stampò un sorriso sulle labbra, era buon viso a cattivo gioco.

« Ti prego di scusarmi, Vargas», Antonio incatenò il suo sguardo a quello dell’italiano, che  lo sosteneva. Avevano una differenza di altezza di circa dieci centimetri, Lovino era il più basso, ma il suo sguardo era degno dell’orgoglio di un re. L’italiano non aveva mai avuto nessun complesso con la sua altezza, era un metro e settantatré, tanto gli bastava.

« Confido che non accada più», gli lanciò un sguardo gelido ed assottigliò gli occhi, « nonostante le maldicenze sul ritardo degli italiani, io sono sempre in orario e non amo aspettare», gli voltò le spalle e si sistemò i guanti in pelle neri.

Antonio abbassò lo sguardo, quel ragazzo era davvero odioso. Ma chissà, forse si sarebbe divertito comunque, l’importante era tornare anche se per poco nella sua Spagna.

« Appena avrò finito di controllare l’aereo partiremo», disse gentilmente, « ti prego di pazientare ancora un po’».

Lovino si voltò di nuovo verso lo spagnolo, non gli rivolse altro che un’espressione scocciata ed un soffio tediato.

« I miei sottoposti ti faranno accomodare nell’ufficio, potrai prende un caffè nell’attesa, non ci metterò molto», gli assicurò Antonio sorridendo.

« Io..», iniziò Lovino ma venne interrotto da una voce femminile che lo chiamava, una ragazza uscì dall’interno dell’aereo entusiasta.

« Lovino, questo aereo è la fine del mondo!», la bionda corse verso l’italiano e lo afferrò per il braccio. Indossava una pelliccia di visone grigia, le arrivava sopra il ginocchio.

Antonio resto interdetto, non sapeva cosa fare o cosa dire. Era convinto che l’italiano sarebbe venuto da solo, invece si era trascinato dietro quella ragazza.

« Dimenticavo di dirtelo», fece Lovino, « ho portato la mia Fréd», sorrise dolcemente alla ragazza e la prese per mano, « spero non sia problema, Carriedo», guardò il volto pietrificato dello spagnolo con un sorriso perfido, alle sue orecchie erano giunte voci su una possibile cotta da parte di Carriedo verso la sua Fréderique. A quanto pare il ragazzo aveva davvero un debole per la sua belga.

« Non ricordo di essermi mai presentata», parlò Fréderique, porse la mano allo spagnolo e attese che lui gliela stringesse, « io sono Fréd, piacere di conoscerti, Antonio, sono sempre stata curiosa di conoscere qualcuno del famoso F3!», ammise solare.

Antonio si costrinse all’autocontrollo. Aveva già mostrato troppo all’italiano dei suoi sentimenti.

« Incantato, Miss Fréd», le rispose galante, « non è affatto un problema accogliere un’altra ospite per me, anzi sarà un piacere godere della tua compagnia, se fossimo andati solamente con Lovino, sicuramente ci saremmo annoiati», mormorò Antonio, strinse la mano della ragazza.

Il suo team di volo era arrivato, Antonio fece accomodare i suoi ospiti in ufficio e sparì per decidere sul da farsi con il capitano dell’aereo ed i suoi aiutanti.

Fréderique e Lovino si sedettero su un divano di pelle chiara e  rimasero soli ad aspettare che lo spagnolo tornasse.

« Sembra un tipo simpatico», fece Fréderique, sorseggiando il caffè che le era stato offerto.

« Ed interessante», aggiunse Lovino con un sorriso malizioso.

« Quindi si va a Granada?», chiese Fréderique, si strinse a Lovino e quello le passò il braccio attorno le spalle.

« Sì, Tesoro», non vedeva l’ora di visitare quella città, dai racconti era una delle più belle della Spagna, il viaggio di nozze i suoi genitori l’avevano passato là. E forse, solo forse, sarebbe riuscito a scoprire qualcosa sul motivo del loro omicidio. Sapeva benissimo che suo padre, essendo stato un politico era malvoluto, ma nessuno si era mai permesso di attaccare una carica pubblica prima di quel fatidico giorno. Aveva visto Feliciano piangere per la prima volta, e davanti alle lacrime di suo fratello, aveva giurato di trovare i mafiosi responsabili del loro dolore.

Lovino accarezzò la mano delicata di Fréderique, che sorrise. Si guardarono negli occhi, Lovino lesse lo sguardo innamorato che gli rivolgeva la ragazza e quello gli scaldò il cuore. Aveva deciso di portarla dietro non solo per dispetto ad Antonio, ma anche perché sentiva per lei sentimenti forti, passione, dolcezza, possesso e forse anche amore.

Prese il viso di lei tra le dita e le sue labbra incontrarono quelle della ragazza.

La baciò a lungo, assaporò le sue labbra scarlatte, avevano il gusto di fragola, gliele leccò e poi si insinuò nella sua bocca per cercare le carezze che lei gli avrebbe regalato con la lingua. Si spostò, per essere più comodo, e la strinse tra le braccia, le passò una mano sulla schiena e l’altra gliela infilò tra i capelli, morbidi al tocco. Lovino adorava i capelli delle ragazze, a suo dire erano la cosa più bella che il genere femminile aveva, dopo gli organi sessuali.

Il bacio si fece più intenso, Lovino prese di peso Fréderique e se la posò sulle cosce, lei gemette.

« Ragazzi!», Lovino grugnì contrariato quando la belga si girò paonazza in volto verso il terzo in comodo. Era quel deficiente dello spagnolo che con un sorriso a trentadue denti era entrato nell’ufficio, disturbandoli.

« Antonio!», esclamò Fréderique, cercando di rimettersi a sedere sul suo posto. Non ci riuscì, l’italiano la teneva saldamente tra le sue braccia, non disposto a lasciarla andare.

« Che vuoi, Bastardo

« L’aereo è pronto, visto che avete finito i vostri caffè», indicò il tavolino davanti a loro con le tazze vuote, « Perché non mi seguite?», si spostò a lato della porta e li attese sorridendo.

Lovino prese in braccio Fréderique, che si dimenò contrariata, chiedendogli di metterla giù.

« Tesoro mio, che ti stanchi di camminare adesso», fece malizioso, ammiccando alle scarpe con i tacchi alti, che la belga aveva avuto la bella idea di indossare quel giorno, « come faremo a girare tutto il giorno per Granada?».

Fréderique lo guardò di traverso ma non rispose, se voleva portarla in braccio, lei non aveva niente da ridire, quanto più stava vicino a Lovino, tanto più era felice. Circondò il collo del giovane con le mani. Antonio guardò la scena sorridendo, ma i suoi occhi dicevano tutt’altro. Un lampo scuro li attraversò diverse volte, ma non era davvero il caso di aprir bocca.

I ragazzi uscirono dall’Ufficio ed insieme andarono nell’aereo.

« Ho deciso che per l’andata non piloterò l’aereo, preferisco tenervi compagnia», disse Antonio, precedendoli di qualche passo.

Fantastico, pensò Lovino, la mezza idea che aveva di una scopata veloce sul velivolo dello spagnolo era appena stata sfumata dalle parole del Bastardo.

« Bello!», disse invece Fréderique, ignara dei pensieri sconci del fidanzato, « così ci racconterai un po’ della città!»

« Farò di tutto per intrattenervi, Signorina», disse di rimando Antonio, facendole l’occhiolino.

Lovino iniziava già a divertirsi, gli avrebbe reso quella giornata un Inferno.

 

  
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