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Autore: Macchia argentata    04/02/2011    25 recensioni
Questa storia prende il via dopo l’incidente di Andrè: il generale Jarjayes, vedendo la figlia sempre più chiusa e scostante dopo la mancata cattura del cavaliere, decide di organizzare una villeggiatura invernale…Ma forse i suoi scopi sono ben altri, visto che si premurerà di invitare nella casa di campagna di Arras due buoni partiti di nostra conoscenza non ammogliatiXD
Fan fiction senza pretesa e dai toni leggeri, scritta naturalmente per le Oscar/Andrè addictedXD
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, André Grandier, Axel von Fersen, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Villeggiatura 4 4- Si dice che ogni battaglia nasca da un malinteso*

“Ma porc…Ah! Maledizione!” Imprecai, assai poco elegantemente, tastandomi la fronte. Il mio riflesso, attraverso lo specchio, mi restituì un’espressione tra l’imbronciato e l’indispettito, e l’immagine di un vistoso bernoccolo rosso proprio sopra il sopracciglio sinistro.
Provai a toccare l’orrendo bozzo con più delicatezza, picchiettandolo delicatamente con il polpastrello là dove Nanny, tra un sospiro di sollievo per il mancato pericolo e una lunga serie di minacce su cosa avrebbe fatto ad Andrè , aveva spalmato un disgustoso impiastro di alloro.
La fiamma della candela al mio fianco tremolò impercettibilmente e decisi di lasciar perdere l’increscioso incidente e dormirci sopra.
Tanto non avrei potuto fare ad Andrè niente di peggio di quanto gli avrebbe fatto sua nonna, perciò potevo considerarmi soddisfatta.
Non l’avrebbe passata liscia. Oh, no di certo…lui e le sue spacconate.
Posai il candelabro sul comodino e mi infilai tra le coperte, adagiando la schiena sui cuscini e incrociando le braccia al petto.
Dio, era stato così…così…imbarazzante.
Chiusi gli occhi e per una frazione di secondo, con mio grande disappunto, percepii distintamente la sensazione delle mani di Andrè strette attorno alle mie, il suo sguardo nel mio…
Poi il mondo si era capovolto all’improvviso, e il risultato era ancora distinguibile tendendo l’orecchio: Fersen che faceva la ronda in camera sua, sproloquiando in inglese.
Sospirai, afferrando un cuscino e mettendomelo in grembo, così da avere qualcosa da torturare tra le mani.
Secondo il medico, che era stato convocato in tutta fretta quel pomeriggio, si trattava di una situazione temporanea, dovuta al brutto colpo ricevuto dal conte, e non c’era di che preoccuparsi.
Con un po’ di riposo si sarebbe rimesso nel giro di qualche giorno.
Ma io non mi sentivo serena, o meglio, provavo una strana sensazione di imbarazzo nei confronti di Fersen, mescolata alla rabbia che sentivo nei confronti di Andrè.
Andrè. Era stata tutta colpa sua.
Senza pensarci agguantai il guanciale e lo scagliai lontano da me, vedendolo cadere sul pavimento con un tonfo.
Incredibilmente, la cosa mi fece sentire meglio.
Afferrai un altro cuscino, di quelli ricamati di pizzo che tanto piacevano a Nanny, e me lo portai davanti al viso.
“Allora, Andrè, cosa hai da dire a tua discolpa?”
Il cuscino, come era prevedibile, non emise un fiato.
“Ah, è così, dunque?” Lo scossi violentemente “Avanti, parla! Pretendo delle scuse per il tuo comportamento oltraggioso!”
Andrè, o meglio, la sua versione di pizzi, si ostinava a rimanere in silenzio.
“Bene. L’hai voluto tu, non avrò pietà!” Presi il cuscino e lo abbattei con violenza sul materasso al mio fianco. Una, due, tre volte. Ma ancora non bastava.
Lo attorcigliai su sé stesso, lo sbattei contro alla testata del letto, ci affondai i denti dentro, lo tirai da entrambi i lati.
Ma Andrè non demordeva.
“Stupido…cocciuto…che se la fa…con…le…camerier…”
Oh.
Non era…questo il punto!
Mi bloccai con il pugno levato, e la visione dei pettorali di Andrè mi balenò per un istante davanti agli occhi.
Piccole goccioline di acqua risplendevano sul suo petto glabro.
Immaginai di leccarne via una con la punta della lingua.
In un istante il mio pugno si abbatté con violenza nel mezzo del cuscino.
Seguito da un altro, e da un altro, e da un altro…
Lo sollevai per un lembo, animata dalla più cieca rabbia, e lo scagliai verso il soffitto del baldacchino. Il chiaro rumore della stoffa che si lacerava mi arrivò indistintamente alle orecchie, mentre una soffice coltre di piume bianche già mi ricopriva.
Avevo appena assassinato Andrè.
Rimasi ansimante, inginocchiata nel mezzo del letto disfatto, ormai sommerso di piume.
Nella mano sinistra reggevo tutto ciò che restava di Andrè.
“Oddio…”
Lentamente mi accasciai tra le piume, portandomi le ginocchia al petto, e continuando a stringere il lembo del cuscino ormai vuoto tra le mani, chiusi gli occhi, tremando.
“Che cosa mi sta succedendo?” sussurrai al silenzio della notte, prima che il lieve torpore del sonno si impadronisse di me.

Sognai. Sognai di essere svegliata da un soffio sulla guancia, proveniente da una sagoma china su di me. Tra le dita teneva una piuma che faceva lentamente scorrere sul mio viso.
Sprofondata tra i cuscini, sentivo il mio respiro farsi sempre più pesante, mentre riconoscevo il familiare profilo di Andrè, parzialmente illuminato dalla tenue luce lunare. La sua mano scese lentamente lungo il mio collo, lasciando scorrere quella lieve carezza fino alla mia spalla lasciata nuda dall’ampio scollo della camicia da notte.
Ogni sensazione di rabbia sembrava essere svanita dentro di me.
C’era solo desiderio.
Allungai una mano verso di lui, e in un attimo la sua bocca trovò la mia, in un bacio profondo. Il peso del suo corpo che aderiva completamente al mio quasi mi lasciò senza fiato. Le sue mani sul mio seno mi davano una sensazione nuova, sconosciuta. Con la punta delle dita mi sfiorò i capezzoli, attraverso la stoffa sottile della camicia da notte, e per un attimo mi sembrò di aver smesso di respirare.
“As…aspetta…”
Il suo fiato era caldo sulle mie labbra. I capelli gli cadevano davanti agli occhi.
Sentivo vibrare ogni attimo intorno a noi, ogni istante.
La mia flebile protesta si spense nel momento esatto in cui la formulai. Le mie mani scivolarono sul suo petto, lungo le braccia muscolose.
Lo desideravo oltre ogni ragionevole limite.
La sua bocca calda fu nuovamente sulla mia, mentre le sue mani scesero, scostandomi l’orlo della camicia da notte, a sfiorare una parte di me a lungo incompresa e rinnegata.
Sentii tutto il suo palmo avvolgermi, nel momento esatto in cui dalle mie labbra fuoriuscì un rantolo che assomigliava ad un singhiozzo.
Mi sentivo soffocare…soffocare…
Iniziai a tossire.

“Oscar? Oscar, bambina?”
Qualcosa pizzicava la mia gola e non valeva saperne di andarsene. Tossivo ed ansimavo, finché un duro colpo sulla schiena, al pari di una legnata, mi costrinse ad aprire gli occhi di colpo e a sputare le due o tre piume che avevo involontariamente ingoiato.
“Oscar, bambina mia, mi hai fatto prendere uno spavento…Si può sapere cosa è successo qua dentro? Sembra che sia scoppiata la guerra!”
Misi a fuoco il volto di Nanny, il quale, a qualche centimetro dal mio, mi fissava preoccupato e sospettoso.
Sbattei più volte le palpebre, realizzando solo in quel momento di essere seduta nel mezzo del mio letto ricoperto di piume, alcune delle quali si erano attaccate alle mie guance sudate e infilate nei miei capelli. Un pallido sole invernale faceva capolino dalle ampie vetrate.
“Ecco…io…Credo di aver fatto un brutto sogno.”
La mia governante mi occhieggiò con apprensione. Probabilmente si stava chiedendo se la botta in testa non si fosse rivelata più grave di quanto il dottore avesse annunciato.
“Povera cara. Ti faccio portare subito un tè caldo.” Annunciò, posandomi una mano fresca sulla fronte, che io sentivo bollente, ancora accaldata com’ero dalle sensazioni che quel dannato sogno aveva risvegliato in me.
Un sogno, non era stato che un altro, stupido, sogno.
“Non hai la febbre. Ma è bene che oggi tu riposi!” Mi ammonì “Niente strane idee come quella del pattinaggio! Ah, quello scellerato di mio nipote, che idee, lasciare che una signorina si avventuri con quegli arnesi sopra al ghiaccio!”
Nel sentir nominare Andrè qualcosa si smosse violentemente dentro di me, facendomi desiderare di avere veramente la febbre, per poter passare tutta la giornata chiusa in camera.
“Ad ogni modo, Oscar, adesso è bene che tu ti vesta. Tu padre mi ha chiesto di riferirti che ha delle questioni urgenti di cui discutere con te! E poi sarà il caso che io faccia venire qualcuno a sistemare questo disastro…” Nanny raccolse da terra la federa del cuscino che la sera prima avevo torturato e malmenato fino al drammatico epilogo. “Che peccato, mi piaceva tanto questo cuscino! Vedrò se è possibile rammendarlo…” mormorò tra sé e sé, lasciandomi sola nella stanza a ripetermi che si era trattato solo di un sogno, uno stupidissimo sogno senza ne capo ne coda.
Anche se la camicia da notte completamente incollata addosso il doloroso pulsare che ancora sentivo tra le gambe sembravano voler smentire qualunque razionale teoria.

Quando uscii dalla mia stanza, lavata e vestita, avevo tutta l’intenzione e la volontà di dimenticare al più presto le emozioni della notte appena trascorsa.
Mi avviai per il corridoio a passo marziale e superai la stanza del conte Fersen, lanciando involontariamente un’occhiata al suo interno quando mi resi conto con un certo stupore che la porta era accostata.
Tornai sui miei passi, e sbattei le palpebre.
Attraverso lo spiraglio della porta riuscivo a scorgere il letto, da cui erano state tolte coperte e lenzuola, le quali facevano mostra di sé tese tra due sedie che erano state leggermente accostate.
Una tenda da campo?
Guardai con più attenzione, e quando vidi gli stivali del conte spuntare sa sotto le sedie dovetti arrendermi all’evidenza.
Era proprio una tenda da campo.
Rimasi sulla soglia, indecisa sul da farsi, poi il senso di colpa prevalse e mi arrischiai a bussare alla sua porta.
Bastò un lieve colpetto per farlo drizzare in tutta fretta.
Evidentemente Fersen era uno di quei soldati che dormono sempre con un occhio chiuso e uno aperto.
Purtroppo per lui, però, la sua riproduzione di una tenda da campo non gli consentiva lo spazio necessario per un’azione tanto repentina.
Rimase impigliato nelle lenzuola e lo vidi dimenarsi per qualche secondo sotto di esse.
“Damn!” farfugliò, cercando di districarsi. Quando infine riuscì a ricomporsi, lo vidi scrutarmi con occhio sospettoso, prima di distendere la fronte e le labbra in un sorriso.
“Oh, you're not an enemy! My good, good friend! But… where I am? where are the other soldiers?”
Bene. Fersen credeva ancora di essere sotto al fuoco nemico in America, ma non si era certo scordato che io ero la sua ‘good, good friend’. Anche se stranamente la cosa non mi turbava più di tanto.
“Conte di Fersen…Hem…Potete parlare francese, per favore?”
“Oh, se preferite…ma ditemi, dove mi trovo? Che posto è questo?”
“Siete…Siete ad Arras, in Francia. Siete mio ospite, non ricordate?”
“Arras? No, vi sbagliate…Non posso essere in Francia! Voi Oscar, piuttosto, cosa ci fate in America?”
“Ecco…”
In quel momento, un distinto rumore di passi nel corridoio arrivò alle orecchie di entrambi.
Il gesto del conte fu repentino, mi afferrò per un braccio, stringendomi a sé, e si lanciò a terra, rotolando verso il letto.
“Non fiatate Oscar, per l’amor di Dio, potrebbe essere un inglese!” mi sussurrò, premendomi una mano sulle labbra.
I passi si avvicinavano, e io non avevo il coraggio di divincolarmi da quella stretta tanto era l’imbarazzo.
A lungo avevo sognato un contatto del genere con Fersen, ma mai mi sarei immaginata di trovarmi tra le braccia di un uomo che aveva perduto la memoria e, in casa mia, era convinto di dovermi trarre in salvo dagli inglesi.
Non era una sensazione che avrei in alcun modo potuto definire piacevole, senza contare che nell’azione di salvataggio avevo picchiato un ginocchio al suolo e la sua mano calcata sulla mia bocca stava cominciando ad innervosirmi.
“My gun, damn it, I can not find my gun! English! They stole my gun, I know!” farfugliò il conte, guardandosi attorno in cerca di un arma.
In quel momento i passi, sempre più vicini, si fermarono sulla soglia della porta, e guardando in su potei scorgere Camille con il vassoio del tè tra le mani e un’espressione più che allibita stampata sul volto.
La mano di Fersen sulla mia bocca si rilassò e io potei tirare un sospiro.
Ma come si poteva giustificare agli occhi di una cameriera una scena del genere?
La ragazza distolse immediatamente lo sguardo, arrossendo fino alla radice dei capelli, e vidi il vassoio tremare vistosamente tra le sue mani, mentre cercava un modo per dileguarsi in modo discreto.
“Madame…Monsieur…” farfugliò, indietreggiando “Ho portato…il tè…”
Ancora stesa a terra con Fersen addosso decisi che il modo migliore per evitare ulteriori figure era quello di ostentare un’assoluta indifferenza.
“Oh, si, grazie Camille, portalo in camera mia, lo berrò lì…” mormorai, sentendomi le guance in fiamme. Camille non se lo fece ripetere, sparendo dal vano della porta alla velocità della luce.
“Conte, vi dispiacerebbe?” Aggiunsi quindi, rivolgendomi a Fersen in modo tutt’altro che amichevole.
“Oh…Oh, certo Oscar, scusatemi…Ero proprio convinto si trattasse di un inglese…”
Una volta in piedi mi diedi una spolverata, fulminando Fersen con lo sguardo.
“Si, l’ho notato. Ma permettetemi di dirvi, conte, che qui non ci sono inglesi di cui avere timore. Siamo in Francia, e voi siete tornato da un pezzo dall’America. Avete preso un brutto colpo,  siete un po’ confuso e in cuor mio mi auguro che guariate il prima possibile…Ma per il momento cercate di controllarvi, siete tra persone rispettabili di cui avete la totale amicizia, non avete nulla da temere.”
“Dunque…non mi trovo in America?” gli occhi azzurri di Fersen mi fissavano smarriti.
“Per l’ennesima volta, no.”
“Oh…In questo caso, perdonatemi Oscar, non volevo offendervi in alcun modo…Siete la mia più cara amica, spero che questo voi lo sappiate…”
“Conte di Fersen, non vi preoccupate, questo non posso proprio scordarlo. Addio.” E così dicendo uscì dalla sua stanza, lasciandolo solo e demoralizzato ad osservare i resti della sua improvvisata tenda da campo.

Quando, dopo aver bussato, varcai la soglia dello studio di mio padre, un acre odore di fumo raggiunse le mie narici, mentre scorgevo due figure in controluce sulle poltrone dinnanzi alle grandi finestre.
Girodelle si levò immediatamente in piedi al mio ingresso.
“Madamigella, sono lieto di vedere che vi siete rimessa da…hem…il brutto incidente di ieri.”
“Vi ringrazio Girodelle.” Brontolai, leggermente indispettita dal fatto che il mio secondo mi avesse visto in quella situazione. Da quando gli avevo soffiato il posto di comandante delle guardie reali mi sentivo sempre in dovere di dimostrargli quanto valessi in ogni occasione. E la mia performance del giorno prima non era qualcosa di cui andare particolarmente fieri.
“Oscar, io e il conte Girodelle stavamo discutendo di alcune importanti questioni, che ti riguardano. Prendi posto con noi.”
In quel preciso istante, mi sembrò di scorgere un sottile filo di paura negli occhi di Girodelle, ancora in piedi al mio cospetto.
“Generale, con permesso, preferirei siate voi a discutere la questione con vostra figlia…Io…ecco, io devo ritirarmi ai piani superiori per far visita a mia sorella e ad assicurarmi si sia rimessa dall’infortunio di ieri…”
“Come preferite, conte.” Mio padre inalò una lunga boccata di fumo dalla sua pipa, espirandola con lentezza.
“Madamigella” Girodelle mi salutò con un inchino, al quale replicai con un vago cenno del capo, troppo distratta dalle questioni che mio padre aveva da sbrigare con me.
“Siedi, Oscar.” Esclamò a quel punto mio padre, mentre prendevo posto nella nuvola di fumo che occupava la poltrona dinnanzi alla sua.
Restammo in silenzio alcuni secondi, in cui percepii chiaramente il suo sguardo soffermarsi su di me con insistenza.
“Dimmi, Oscar, sei soddisfatta della vita che conduci?”
“Naturalmente, padre.”
“Mmmmmh…” mio padre levò il braccio sinistro dal bracciolo della poltrona, poggiando il suo peso su quello destro, e prese ad osservarmi da un’altra angolazione.
“E non senti mai l’esigenza di…condurre un diverso tipo di vita?”
“Perché dovrei sentirne l’esigenza? Sono pienamente soddisfatta di ciò che possiedo, delle cariche che ricopro…”
Improvvisamente, mi venne un dubbio.
E se Girodelle, dopo tutti quegli anni, avesse deciso di reclamare per sé il ruolo di capitano della guardia reale? Dopotutto tra noi non c’era stato nessun ‘leale duello’, almeno all’apparenza.
Non vedevo altro motivo per cui avrebbe dovuto discutere con mio padre riguardo me…
E il suo strano e deferente comportamento nei miei confronti, ultimamente, poteva benissimo celare un improvviso colpo basso. Si, Girodelle, recentemente, era stato più strano del solito…
“Oscar…”
“Padre, scusatemi se mi permetto di interrompervi. Ma credo di aver capito cosa volete comunicarmi.”
“Ah…si?” Le spesse sopracciglia di mio padre si corrugarono sotto al suo parrucchino incipriato.
“Si, avevo avvertito qualcosa di diverso nel comportamento del conte Girodelle, e questo nostro dialogo me ne da un’ulteriore conferma.”
“Bene, dunque avevi già avvertito aria di cambiamento da parte del conte di Girodelle. E cosa ne pensi?”
Rimasi silenziosa alcuni minuti. Come avrei dovuto ribattere? Lasciar intendere a mio padre che mi sarei volentieri fatta da parte per lasciare a Girodelle un posto che in fondo avevo sempre voluto fosse suo, o accusarlo di cospirare nei miei confronti?
“In tutta onestà, padre, sono sorpresa per questa novità. Ma penso di…doverglielo, in qualche modo.”
Gli occhi scuri di mio padre rimasero qualche istante puntati nei miei, mentre lo vedevo annuire pensieroso. Un alito di fumo volteggiò verso di me, lasciando che ne inalassi il miasma.
“Dunque, accetteresti la proposta che il conte mi ha formalmente richiesto poc’anzi?”
“Io…Si, naturalmente, se la cosa vi aggrada.”
In fin dei conti era già da qualche tempo che pensavo di lasciare la guardia reale, anche se mi domandavo perché Girodelle se ne saltasse fuori solo adesso con quella richiesta di prendere il mio posto.
“Io, oh, Oscar…” per un attimo, mi parve di scorgere un tremolio nella mano con cui mio padre reggeva la sua pipa, e un breve luccichio nei suoi occhi.
In quel momento, un lieve bussare alla porta ci fece trasalire entrambi. Mio padre si ricompose in fretta.
“Avanti!”
Mentre me ne stavo a braccia incrociate a respirare tebacco, vidi la familiare sagoma di Andrè fare capolino dalla porta, reggendo un vassoio con del tè tra le mani.
Quella mattina i vassoi di tè mi perseguitavano.
“Generale, conte di…” salutò, prima di rendersi conto che non era il conte Girodelle a star seduto dinnanzi a mio padre.
“Oh, Oscar…”
“N’drè…” farfugliai, presa alla sprovvista dalla leggera capriola che il mio stomaco fece in quell’istante, e ancora indispettita con lui dal giorno precedente.
Andrè ci raggiunse e posò il vassoio sul tavolino alle mie spalle, iniziando ad armeggiare con tazze e cucchiaini.
Mio padre riprese il discorso.
“Dunque, Oscar, sono lieto di sapere che accetterai la proposta del conte. Si, ti sembrerà strano ma…Per me è come togliermi un peso dallo stomaco, davvero. Non sai quante volte, nel corso degli anni, mi sono chiesto se stavo facendo la cosa giusta con te, se era quella la vita che meritavi…”
“Padre, non angustiatevi. Io l’ho fatto per voi, ma l’ho fatto con piacere. E sono stata molto bene nella guardia reale, ma se è un cambiamento che mi si richiede, sarò ben lieta di ottemperare alla vostra richiesta, e a quella del conte Girodelle.”
“Vedrai che il cambiamento ti farà bene Oscar, avrei dovuto capirlo anni fa che era una follia farti seguire questa strada…”
Perplessa, mi domandai se si ricordasse ancora, vividamente come lo ricordavo io, lo schiaffo che mi aveva tirato quando gli avevo detto di non voler subentrare come capitano della guardia reale. Ai tempi era stata quasi una questione d’onore, per lui, che ricevessi quell’incarico. Adesso non voleva l’ora che lo lasciassi. E io, come sempre, mi sentivo un burattino nelle sue mani.
Mio padre si levò lentamente in piedi.
“Molto bene, Oscar, adesso che abbiamo risolto la questione, e non credevo davvero che sarebbe stato tanto semplice, mi permetti di consegnarti un regalo da parte del conte Girodelle? Lui vorrebbe che lo indossassi quando sarà lui stesso a parlarti del nostro ‘accordo…’”
Sempre più perplessa, allungai le mani verso la lunga scatola di stoffa verdina che mio padre mi porgeva.
Ma Girodelle era forse impazzito? Eppure mi era sembrato che nello scontro del giorno precedente fosse stato l’unico a non capitolare a terra…
Quando spalancai il coperchio, davanti allo sguardo commosso di mio padre, un lieve sbuffo di carta velina fuoriuscì dalla scatola, insieme ad uno strano aroma dolciastro, qualcosa che in una vita precedente doveva aver avuto a che fare con dei fiori veri.
Era un vestito.
Lo riconobbi con orrore.
Un altro, stupido, enorme, ridicolo vestito da donna.
In quel preciso istante alle mie orecchie arrivò il sordo rumore di qualcosa che andava in frantumi e un biscotto di pasta frolla rotolò a fianco della mia scarpa, fermandosi a pochi centimetri da essa.
Evidentemente nemmeno Andrè aveva retto allo shock.
Mio padre trasalì.
“Andrè! Ma che modi sono questi?”
“Hem…Scusatemi, generale, mi è scappato di mano il piattino con i dolci…”
La voce di Andrè mi arrivava ovattata alle orecchie, così come quella di mio padre.
Una sorda rabbia si stava impossessando lentamente di me.
E così, Girodelle non solo voleva spodestarmi dal ruolo di capitano, ma voleva anche prendersi gioco di me con quell’orribile vestito, per ricordarmi che donna ero e donna rimanevo?
Questo non potevo proprio sopportarlo.
Richiusi il coperchio, e mi sollevai infilandomi la scatola sotto al braccio.
“Vi ringrazio per questo colloquio illuminante, padre. Non mancherò di rispettare il vostro volere, e…quello del conte Girodelle, naturalmente.” Replicai con freddezza, dopodiché mi avviai alla porta, senza degnare di uno sguardo Andrè che si affaccendava a recuperare biscotti in giro per lo studio di mio padre.
Com’era possibile che, pur spacciandomi da anni per un membro del cosiddetto ‘sesso forte’, detestassi a tal punto il genere maschile?
Quando arrivai in cima alla rampa di scale che portava alla mia stanza mi imbattei nuovamente in Fersen.
“Oscar…” mormorò, guardandomi con i suoi sinceri occhi azzurri “Sapete dove posso imbucare una lettera per la Francia?”
Lo osservai alcuni istanti, e guardai la lettera che stringeva tra le dita sporche d’inchiostro. Era indirizzata a Versailles.
Dopodiché lo superai senza degnarlo d’attenzione, richiudendomi la porta della mia stanza alle spalle.

“E così, conte, mi volete spodestata e umiliata? Avete covato rancore per tutti questi anni, e aspettavate solo il momento giusto per farvi gioco di me?” Esclamai, facendomi rigirare il calice di vino tra le dita.
Davanti a me, composto sul manichino che Nanny aveva tirato fuori per l’occasione, colma di gioia (due abiti femminili in poco più di un mese!) stava il vestito che Girodelle aveva scelto per la mia pubblica mortificazione.
Era pieno di sbuffi, incredibilmente ingombrante, ricoperto di fiocchi e fiocchetti, pizzi e merletti.
Un obbrobrio.
Posai il calice sul tavolo, e mi feci scrocchiare le dita.
“Eppure, Girodelle, credevo di avervi lasciato intendere qualcosa di me, in questi anni…potevate avere più buon gusto.” Mormorai.
Mi sollevai, e girai intorno al manichino, sfiorando qua e là pezzi di tessuto e passamaneria.
Lasciai scorrere le dita su uno dei fiocchi in raso che adornavano il corpetto. Era morbido, color glicine.
Lo staccai con un colpo netto.
“Oh, ma guarda, che scriteriata…” Esclamai, gettando il fiocco a terra.
Ripercorsi i miei passi fino al tavolino, dove mi versai in gola un'altra abbondante sorsata di vino. Poi afferrai il fodero della spada che tenevo appeso alla sedia, e tornai verso il malcapitato.
“Lasciate che vi dica, Girodelle…” sfoderai la spada “Che in tutta sincerità pensavo ci fosse più amicizia tra di noi. Ma una persona può anche sbagliarsi sul conto di un'altra…”
Con un colpo netto, tranciai via una manica dal vestito, poi un’altra.
Tagliuzzai la gonna, fino a farne tante striscioline sottili che calpestavo mentre giravo attorno a quell’offensivo mucchio di stoffa.
“Credete tutti che una donna non possa avere forza ed indipendenza, che debba starsene a soffocare dentro questi stupidi aggeggi, sventolarsi come un’idiota con quei ridicoli ventagli per non soffocare dentro questi abiti, portarsi i sali appresso, stingere tutti quei nodi…per cosa, poi? Per essere bella e desiderabile? ”
Un altro colpo di spada, e aprii in due il corsetto.
Rimasi ansimante, davanti a quello scempio.
Poi, lentamente, mi spostai davanti alla specchiera, e sollevai tra le dita una grossa e pesante ciocca dei miei capelli dorati.
“Non mi travestirò da donna una seconda volta per esaudire i desideri di qualcuno.”
Mormorai, sollevando la spada verso la ciocca che tenevo tesa.
Non avevo sentito bussare, ma in quel preciso istante, qualcuno aprì la porta e, dopo un attimo di esitazione, si lanciò con forza verso di me, bloccandomi il polso.
Fece in tempo a cadere solo un piccolo ricciolo dorato, che si afflosciò ai miei piedi.
“Oscar! Che diavolo ti prende, si può sapere cosa stavi facendo?”
La voce di Andrè quasi mi perforò i timpani tanto era squillante.
“Lasciami immediatamente Andrè, la cosa non ti riguarda.” Esclamai, indignata dalla sua intromissione.
“No, no che non ti lascio! Ma sei impazzita?!” Andrè si guardò attorno “E poi, che diavolo…hai appena assassinato l’abito del conte Girodelle!” Esclamò.
Esatto, ecco chi ero.
Oscar François de Jarjayes, feroce omicida di cuscini e vestiti. Tenete ben chiusi i vostri armadi, o incauti…
“Andrè, ti ordino di lasciarmi! Da adesso vivrò come un uomo, quindi tu e le tue assillanti apprensioni potete prendere la porta e sparire!” Esclamai, cercando di divincolarmi dalla sua stretta.
La sua mano sul mio polso, tuttavia, si strinse al punto che mi trovai costretta a lasciar cadere la spada.
“Vivrai come un uomo? E cosa hai fatto fino ad adesso, dunque? Illuminami.”
“Io…Ho…Ho solo subito le decisioni altrui, ma le cose cambieranno. E adesso lasciami, mi stai facendo male!”
“Quindi mi stai dicendo che fino ad adesso hai solo finto di essere un uomo per compiacere tuo padre, ma da adesso vuoi diventarlo a tutti gli effetti? Per questo ti stavi tagliando i capelli?”
Il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio, e vidi la sua unica iride fremere di rabbia.
“Non capisco perché tu stia facendo tutte queste storie, Andrè! Non sono affari che ti riguardano, dopotutto!”
“Non son…Non sono affari che mi riguardano! Esatto!”
“Si, esatto!”
“No, non è esatto per niente!”
“Ma tu hai appena det…”
“Non rigirare la frittata, Oscar!”
Restammo a fissarci in un silenzio carico di tensione. Poi Andrè, lentamente, mi lasciò il polso, che presi subito a massaggiare, proprio là dove si era formata una striatura rossa.
Lo guardai carica di risentimento.
“Vattene. I tuoi servigi non sono più richiesti, tanto più che effettivamente…tu non mi servi a niente, non sei stato nemmeno capace di tenermi in piedi sul ghiaccio, dopo che ti eri spacciato per un esperto pattinatore.”
“Ma certo! Tanto adesso avrai chi ti insegna, non è così, Oscar? O forse dovrei chiamarti…Madame Girodelle…”
“Di che accidenti stai parlando?”
Andrè pestò con forza un piede al suolo.
“Sto parlando di questo, maledizione, non fare finta di niente Oscar!” Esclamò, indicando i pezzi di stoffa lacera sparsi sul pavimento.
Giuro che non capivo. Forse la botta del giorno prima…
“Andrè, stai farneticando. Vattene.”
“Non sto farneticando, Oscar! E tu sei talmente ingenua da non capire che l’unico motivo per cui Girodelle ti ha regalato quell’abito…” Il suo volto tendeva al paonazzo; prese fiato “Era quello di levartelo di dosso il prima possibile, per infilarsi tra le tue gamb…”
Lo schiaffo che gli tirai gli fece voltare violentemente il viso verso destra.
Resa cieca dalla rabbia, non mi ero nemmeno resa conto di averlo colpito sull’occhio ferito.
Andrè fece qualche passo indietro, portandosi una mano alla guancia.
Io ansimavo.
“Tu-sei-solo-un…” Gli gridai, i pugni stretti davanti a me, senza tuttavia trovare un termine adatto.
La notte precedente mi ero sfogata su di un cuscino. Ma la mia rabbia nei confronti di Andrè, adesso alimentata da quella nei confronti di Fersen, mio padre e Girodelle mi stava letteralmente facendo esplodere. E il vero Andrè era adesso a mia disposizione.
Ma prima che potessi sputargli addosso tutta la mia frustrazione, Andrè mi riafferrò i polsi, stringendoli con violenza, e mi spinse verso il letto.
“Avanti Oscar, finisci la frase! Cosa sarei, io? Un idiota? Uno stupido? Te ne do atto, è quello che sono! Ma tu, tu vuoi sapere cosa sei?”
Mi strattonò con violenza, facendomi cadere sopra al letto. In un attimo fu sopra di me, le sue mani strette attorno alle mie braccia, senza darmi possibilità di fuga.
“Tu sei una vigliacca.” Mormorò, le labbra talmente vicine alle mie che potevo sentire il calore del suo respiro.
Immediatamente le sensazioni provate quella notte riaffiorarono in me, imperlandomi il viso di sudore.
Alcuni secondi di silenzio passarono tra di noi, come ore.
La pressione delle dita di Andrè si fece più lenta su di me. Il suo sguardo perse ogni traccia di collera.
“Non sforzarti, Oscar. Non sarai mai un uomo. Non con questo corpo. Non con questo volto.”
Levò una mano dal mio braccio, per prendermi una ciocca di capelli tra le dita. C’era una sfumatura di tristezza nella sua voce, ora.
“E tagliare i tuoi meraviglioso capelli, non servirà a niente. Ricresceranno, e saranno più belli di prima…”
Li lasciò ricadere tra le lenzuola, poi si sollevò, sistemandosi il colletto della giacca, e, dopo essersi chinato a raccogliere qualcosa da terra, lasciò la mia stanza senza degnarmi di uno sguardo.
Deglutii. Ero confusa e totalmente sopraffatta da sentimenti contrastanti. Dopo alcuni secondi mi levai a mia volta.
Madame Girodelle?
Afferrai la spada e mi diressi alla porta.
Andrè non l'avrebbe passata liscia. Non questa volta. 

* frase di 
Thomas Carlyle, che trovavo particolarmente adatta alla situazione^^

Nota dell'autore
Grazie, grazie, grazie di cuore per tutte le splendide recensioni del capitolo scorso!  Spero che la storia continui a piacervi, sebbene questo capitolo sia meno comico del precedente, in parte perchè Oscar si presta meno di Andrè all'autoironia, in parte perchè volevo che la storia prendesse una piega più 'tesa'...Spero di essere riuscita in questo intento.  Grazie di cuore nuovamente a chi legge e commenta, pareri negativi/positivi sono sempre ben accetti! Un bacio
  
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