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Autore: GaaRamaru    04/02/2011    0 recensioni
Credo che aver voglia di scappare da un posto già deserto di per se,
significhi soltanto voler scappare da se stessi..
Esattamente ciò che stai facendo.
Scosse la testa con violenza, gli occhi serrati, i pugni anche. Perché sentirsi dire cose che già sapeva?
Perché ascoltare la propria testa?
A volte è molto più sano lasciarsi perdere.
È molto più sano non ascoltarsi.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci si stanca troppo in fretta della vita.

Pensò con risolutezza la ragazza appoggiata alla ringhiera del terrazzo.

Sotto di lei, niente più che una strada. Qualche palazzo. Qualche macchina. Qualche passante.
Sopra, il vuoto.
Il vuoto, e tanto vento. Tant’era la violenza dell’aria a quell’altezza, che i capelli le frustavano ripetutamente le guance, gli occhi , la fronte; in un’impetuosa danza scoordinata.

Con quale diritto, poi.

Continuò in risposta la voce nella sua testa.

 Infatti. Come se si avesse il diritto di sputare sulla propria vita.

Si disse, e in quel momento una folata di vento improbabilmente più forte delle precedenti, fece strepitare il pezzo di carta rovinato che teneva tra le dita.

Eppure è ciò che si fa, spesso e volentieri.

Si sputa sulla propria vita, e di conseguenza su quella di chi ti sta intorno.

Senza rendersi realmente conto.

Senza capire cosa sia giusto e cosa no,

non per qualche assurda legge della natura;

ma semplicemente per egocentrismo.

Quando si soffre si diventa, paradossalmente, egocentrici.

L’uomo è una creatura innatamente egoista, nel suo piccolo.

Homo mundus minor.

L’uomo è un mondo in miniatura.

E che mondo, seppure in miniatura.

A volte la testa gioca brutti scherzi. Questo era ciò che pensava realmente la ragazza, mentre con quegli occhi scuri che un tempo erano più vivi, più accesi, scorreva svogliatamente le figure sottostanti.
Nel silenzio di quel quartiere si assentò nuovamente nei suoi pensieri, passando piano due dita sulla superficie sottile della carta quasi a volersi accertare che fosse ancora lì. Al sicuro nel suo pugno.
Per quanto fosse stata stropicciata, la carta era ancora ripiegata e al suo posto, in attesa di qualcosa. In attesa di qualcuno. È dura.. E stavolta lo farfugliò quasi, con gli occhi castani improvvisamente velati di lacrime.

È questa la cosa a tratti inquietante dei sentimenti..

È che ti attanagliano, quando meno te l’aspetti, giocano con la tua anima, se la girano e rigirano come vogliono; ti permettono di sentirti euforico, gioviale, allegro, spensierato un secondo prima.. e distrutto il secondo dopo.

Essere preda dei propri sentimenti è come sentirsi su una giostra che non si ferma mai.

Ma io voglio fermarmi.

Voglio soltanto scendere.

Voglio fermarmi.

Scendere. Quella non sarebbe stata una cattiva idea. Scendere e tornare alla propria vita, senza rimpianti.
Senza rimorsi.
Senza dolore.
Lasciare tutto lì, su quella terrazza, tra le ringhiere, e richiudere la porticina nera dietro di se. Lasciarsi tutto dietro.

Credo che aver voglia di scappare da un posto già deserto di per se,

significhi soltanto voler  scappare da se stessi..

Esattamente ciò che stai facendo.

Scosse la testa con violenza, gli occhi serrati, i pugni anche. Perché sentirsi dire cose che già sapeva?
Perché ascoltare la propria testa? A volte è molto più sano lasciarsi perdere.
È molto più sano non ascoltarsi.
Ma la propria coscienza, o vocina interiore, o grillo parlante qual si voglia,  beh, non sono tanto facili da ignorare.
Una volta ci aveva provato. In realtà da piccola ci provava spesso. Si metteva a guardare nel vuoto a mezz’aria, e si impediva volontariamente di formulare un qualsiasi pensiero concreto. Eppure? La sua mente lavorava lo stesso in sottofondo, fregandosene spudoratamente della sua scelta. E lì aveva capito che non esisteva il vuoto.

Non esisteva l’assenza di pensiero. E seppure una volta più grande, le era capitato di sentirsi talmente male da rifiutare di formulare qualsiasi cosa nella sua testa; ebbene ciò le aveva creato inquietudine, e non era servito ugualmente a nulla.
Era impossibile.
Aveva imparato quindi, che la propria testa, volente o nolente… avrebbe sempre lavorato.
Anche una volta perse le parole.

Quante cose che avrei dovuto dirti.

Un pensiero come un altro, le fece sprofondare la testa tra le braccia incrociate.
Non voleva piangere. Non più. Non voleva più.
Strinse i pugni da far male, poi si voltò di scatto, ma solo per lasciarsi scivolare a sedere.
Portò le ginocchia contro il petto e posò il mento su di esse.

Per l’ultima volta..

È l’ultima volta.

Riaprì il foglio che aveva chiuso in quattro, con quella promessa nella testa.
Era un colpo al cuore leggere certe righe, ma doveva farlo. L’avrebbe fatto. Lo stava facendo.
Una calligrafia sottile e un po’ disordinata le scorreva davanti agli occhi, trasmettendole il messaggio della lettera per mezzo di parole che solo una persona avrebbe saputo mettere insieme. Trattenne le lacrime a stento, ma non si fermò.

 

Perdonami. Sono le ultime cose che ti lascerò scritte.

Non ti disturberò più. Tranquilla.
Non siamo fatti l'uno per l'altra.
La vita prosegue..ognuno con la propria..
Mi dispiace tanto però.

Sei stata, sei..l'avventura e la scoperta più meravigliosa della mia vita.

Il tempo è volato, ed è stato tanto..
Ti ricordi? Eravamo due bambini, alla fine..lo siamo ancora, praticamente.
Dio..non mi sembrava vero quel
........... cazzo..ci sto ripensando come non mai, mi ricordo tutto

Sei una persona che vale la pena conoscere, se si ama il rischio.
Però hai qualcosa che io non posso accettare.
E io ho qualcosa che tu non puoi accettare.
Non possiamo proseguire

Mi hai detto tante cattiverie, ti ho detto tante cattiverie. Ma non dire mai più che non ti ho amato
Perchè è stata l'unica cosa concreta che ho fatto in vita mia. L'unico obiettivo che ho mai avuto, amarti è stato.
Ti lascio, per sempre, con un ricordo..è strano..

Era una volta, in primavera scorsa, penso proprio il .................. che ora compie un anno..
eravamo usciti prima perchè mancava
................, ed eravamo al parchetto..non sò perchè ma ho il ricordo di questa bella giornata, sole, con un po' di venticello, e noi due a parlare là, alle altalene

Non è un ricordo concreto, effettivamente..
E' solo una sensazione.

Io con te ho sempre Sentito.

.........
mio dio..un anno.
Scusa il piccolo sfogo.
Mi hai fatto davvero star male oggi..e immagino io a te..ma tu non hai idea.
..........
Non possiamo.
E io sono un tipo che o la và, o la spacca, come hai affermato oggi
......

e ora cazzo, non ce la faccio più, e quindi la spacca. E tu hai detto la stessa cosa.
Quindi, grazie, 

Perdona ancora il disturbo

 

Non si era neanche firmato.
Una lettera così carica di.. sentimenti, e lui non si era neanche firmato.
Lo faceva sempre.
Ma no.. no, non era questa la colpa che lei gli faceva. Magari fosse stata questa.
Quanto avrebbe voluto aver modo di rispondergli, come sempre aveva fatto, a voce o con un’altra lettera...
Quanto avrebbe voluto dirgli che non era solo una sensazione, quella che lui aveva menzionato; che magari lui non se lo ricordava bene, ma era successo davvero, e che lei se n’era ricordata già tempo fa, quando nel bel mezzo di una litigata come le altre si erano divisi davanti all’edificio scolastico.. e lei? Lei era andata in quel parchetto... da sola, e si era seduta su quell’altalena. E quell’altalena l’aveva impressionata, perché.. Perché era rimasta sola anche lei.
Qualche vandalo qualunque, aveva staccato l’altalena dove si era seduto in precedenza Lui…
E lei si era sentita ancora più sola.

Fosse tutto soltanto finzione…

Apri gli occhi, non lo è.

Quella persona che tanto l’aveva amata, quanto criticata, ora non era più con lei.
Non avrebbe più potuto passeggiare con lei fuori scuola, nei loro quartieri, nel loro piccolo mondo personale.
Come si può pretendere di cancellare un’intera esistenza in un giorno? In un attimo? In un addio non detto?
Non si può.
Molto spesso purtroppo, ciò che uno non pensa possibile, prima o poi si avvera.
E quando quel prima, o quel poi, arriva.. è dura. È dura perché non te l’aspetti. È dura perché ti colpisce in faccia.
È dura perché… perché è la vita. E la vita non è un complimento.
La vita è così.

È una giostra che non si ferma mai.

Questo l’hai già detto.

Però era vero. Molto spesso nel corso della sua vita si era sentita su una di quelle strutture in stile luna park… Che girano, e girano, e girano , e girano, e per quanto tu urli non si fermano finchè non lo decide l’omino dei comandi.
Solo che qui, nella vita reale, l’omino dei comandi non c’era.
E molto spesso non riusciva a fermarsi neanche lei.

Sono sempre stata troppo debole.

Le persone deboli non sopravvivono.

Però è così crudele.

Solo perché ci si affida nelle mani di qualcuno..

Non c’è niente di male a mettersi nelle mani di qualcuno.

Il male sta nell’ignorare quel qualcuno, anche quando cerca di aiutarti.

Già. Altra peculiarità tipica dell’essere umano.
L’ingratitudine..
Verso se stessi, e verso gli altri.
La ragazza era semplicemente stufa. Tutta l’energia che aveva provato a tirar fuori nel corso degli anni, ora le veniva a mancare. E stavolta non sapeva veramente da dove riprenderla. Era tutto così folle.
Un tonfo leggero le fece alzare il mento dalle ginocchia, e lo sguardo si puntò dritto davanti a se.
Lassù c’era ancora soltanto il vuoto a farle compagnia; proprio come prima.
Eppure sentiva che qualcosa stava per cambiare. Continuò a fissare ostinatamente le mattonelle a tratti contuse della terrazza, in attesa. Era una terrazza vasta. La porticina nera era distante da lei. Ma quel rumore non se l’era immaginato.
Difatti, dopo neanche qualche minuto, apparve a colmare quel paesaggio vuoto una sagoma tanto familiare per la ragazza, da farle avere un tuffo al cuore. La presa si strinse sulla carta e sulle ginocchia che teneva strette al petto, per un breve lasso di tempo che apparve infinito. Rimase immobile, proprio come la figura ancora indistinta sebbene non troppo lontana da lei.

Come mi ha trovata?

Probabilmente non sta cercando te.

Perché allora dovrebbe essere qui?

Magari non aveva niente di meglio da fare.

Perché rimane lì?

Sicuramente non ti ha vista.

Oppure ti sta ignorando.

Al diavolo!

E scuotendo ancora la testa, nel vano tentativo di scacciare qualsiasi cosa le frullasse per la mente, si alzò barcollando, per poi appoggiare la schiena alla ringhiera; in perpetua attesa.
Stava a Lui compiere il primo passo. Se ne sarebbe andato, o sarebbe avanzato? La ragazza assottigliò lo sguardo, nel tentativo di indovinare i suoi pensieri. Ancora un attimo d’interminabile attesa, ed ecco che la figura in lontananza mosse il primo passo. Verso di lei.
In preda all’incertezza, la ragazza rimase immobile, e quando un altrettanto giovane ragazzo fu abbastanza vicino da poter essere guardato in faccia, lei preferì abbassare lo sguardo, dubbiosa. Cosa avrebbe fatto adesso?
Come avrebbe dovuto comportarsi?
Se le aveva detto addio, perché ora era di nuovo lì? Con lei?
Il dubbio le attanagliava il cuore, tanto da farle chinare il mento sul petto.
Un’altra folata di vento fece svolazzare vestiti e capelli qua e la. Che strano, il ragazzo non se ne era lamentato. Eppure lui odiava il vento. Si lamentava sempre. Incuriosita dal silenzio, la ragazza lo guardò timidamente di soppiatto, constatando che ora il giovane si era appoggiato alla medesima ringhiera dove poco prima si era appoggiata lei.
Ancora non le rivolgeva la parola.
Probabilmente era arrabbiato? E per cosa ormai? La sua lettera era stata più che chiara. Limpida.
E lei non aveva fatto nulla per intaccare ciò che lui le aveva scritto. Non voleva che si arrabbiasse.
Non voleva che stesse ancora male.

-          Perché sei… - provò a dire come primo approccio, ma le parole le vennero a mancare.

Cosa avrebbe potuto chiedergli? Sembrava tutto così vano. E in più lui non le parlava.

Ti sta ignorando.

No.. non è vero.

È solo assorto nei suoi pensieri.

E così sembrava. Anzi, così sicuramente era. Con quegli occhi grandi, a volte così castani e a volte striati invece di verde; con quell’espressione leggermente rigida, tipica del suo volto pensieroso, con quell’atteggiamento, il ragazzo fissava il vuoto dritto davanti a se. Il vento continuava a fargli sventolare capelli e camicia, ma niente pareva smuoverlo da quello stato raccolto.

Chissà che cosa pensa.

-          A che cosa stai pensando?  -

Era una domanda frequente, quella, eppure lei non si sarebbe mai stancata di ripeterla.
Che la risposta fosse stata un “Niente di importante” , un “A cosa fare dopo”, o un “A qualcosa di brutto”.
Questo perché qualsiasi cosa egli stesse pensando, a lei interessava realmente. Era sempre stato fondamentale per la ragazza capire, o almeno provare a capire ciò che gli passasse per la testa.
D’altronde era l’unico modo che aveva per aiutarlo, così pensava.
Tuttavia il giovane non mostrò il minimo cenno di risposta, quasi come se non l’avesse minimamente sentita e anzi; rimase ostinatamente immobile. Immerso in chissà quale considerazione, su chissà quale cosa.. Come suo solito.
Fermare una mente normale era già impossibile di suo, ma fermare la mente di Lui…
Beh, quello neanche il padre eterno in persona avrebbe potuto farlo. Sempre ch’egli fosse esistito realmente.

-          Perché non mi rispondi…?-

Non lo vedi? Ti sta ignorando.

Perché mai dovrebbe farlo?

Non gli ho fatto nulla di male.

-          Ascolta… -, ma le parole le morirono in gola, sia perché interrotte da una ventata più forte che le strappò inaspettatamente via dalle mani quel pezzo di carta, sia per ciò che si accingeva a fare il ragazzo.
Questo si era infatti sollevato sulle proprie braccia, guardando di sotto, e aveva posizionato i piedi sulla parte inferiore della ringhiera, sporgendosi come un bambino inconsapevole del pericolo.
-          Guarda che caschi! – continuò imperterrita la ragazza, cercando di valorizzare le sue parole con i gesti così da farsi finalmente notare anche da lui.
Ed ecco che accadde il fatto strano.
Il fatto improbabile. Il fatto assurdo.
La mano di lei, con tanto di manica del vestito, scivolò tranquillamente attraverso la figura del ragazzo, lasciandola interdetta.

Ma cosa.. diamine..

Temendo di essere in preda alle allucinazioni, e a maggior ragione poiché il ragazzo insisteva a rimanere in quella posizione azzardata, tentò nuovamente il gesto.
E nuovamente in un modo del tutto paradossale, impossibile, oltre qualsiasi comprensione umana, la sua mano scomparve attraverso il corpo di lui, solo per poi riapparire una volta che lei l’ebbe ritirata.

-          Non è possibile.

Non c’è niente di razionale in tutto ciò.

Non è reale. -

La voce nella sua testa taceva.

Tutto intorno a loro taceva.
Perfino il vento, adesso, pareva tacere.
Il ragazzo chiamò inaspettatamente il suo nome, facendola sussultare.
Che si fosse accorto di lei, finalmente?

No.. Non sta parlando con te.

Ma che cosa sta succedendo?

..È un sogno?

L’angoscia di questi pensieri iniziava lentamente ad attanagliarla, proprio da sotto la bocca dello stomaco.
Non poteva essere nulla di reale, di certo non era nulla di razionale; perciò doveva essere un sogno. Eppure...
Provò a chiamarlo a sua volta, ma non ebbe risposta. Né tantomeno cenni da parte di lui.
Improvvisamente, un pensiero la folgorò.

Buio…

Sì, c’era tanto buio…

Hai provato dolore?

No.. Non subito, almeno..

Ma è passato poco dopo.

E dopo?

Cos’è successo dopo?

-          Non.. non mi ricordo – farfugliò sgomenta ritrovandosi a guardare le proprie mani, con un’enorme senso di  smarrimento dentro di sé. – Cos’è successo dopo…? Cosa è…-
Ma un urlo la fece sussultare nuovamente, era un urlo carico della stessa angoscia.

Perché..? Eh?

Perché urli?

Ti prego…

Lo chiamò ancora. E ancora.
E ancora.
E non smetteva, e provava a scuoterlo, ma ogni volta si ripresentava lo stesso improbabile, inverosimile, incredibile, spaventoso evento… Ogni volta, era come se il proprio corpo passasse dentro quello di lui, provocandole una leggera scossa gelida alla base del collo. Ogni volta era tutto invano.

Potrebbe essere..

No. Non voleva, non poteva, non voleva neanche prendere l’ipotesi in considerazione.
E allora perché? Cos’era tutta quella manfrina? Cos’era tutta quell’atmosfera sovrannaturale?

È un sogno.

È soltanto un sogno.

Non penso ci sia un risveglio…

Cosa vorresti dire?

Non penso tu possa risvegliarti.

Non puoi e basta.

Certo che posso svegliarmi.

Semplicemente non è ancora giunta l’ora.

Deve solo farsi giorno.

A volte è difficile svegliarsi dagli incubi.

Non penso sia un incubo.

Sì che era un incubo. Non poter toccare, non poter parlare, non poter… Essere invisibili agli occhi della persona amata, se non era un incubo quello, cosa lo sarebbe stato? Doveva stare calma. Si sarebbe risolto tutto.
-          Si risolve sempre tutto… Giusto? –
Le diceva sempre così. Anche se in quell’ultima lettera il messaggio era stato diverso, in precedenza, il ragazzo le aveva sempre detto così. Ogni volta che voleva consolarla la chiamava per nome, e le diceva “Vedrai che si risolve tutto”.
E tutto si era sempre risolto.

La lettera…

Perché ho perso la lettera?

Un maggiore senso di sconforto di fece strada dentro di lei. Le venne voglia di accasciarsi a terra, ma non lo fece.
Puntò gli occhi su di lui.
Perché era lì? Perché ancora, non le diceva niente? Perché aveva urlato in modo tanto disperato?
Perché stava male..?

Ho sempre pensato che senza di me,

senza i problemi causati dalla nostra relazione,

lui sarebbe stato meglio.

Sarebbe stato felice.

Perché non lo era? C’era qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato, in tutta quella faccenda.
Non importava quante volte aveva letto quel pezzo di carta ormai andato perduto, le lettere, le parole che aveva in testa, stavano lentamente sbiadendo, e la ragazza faceva fatica a riportarle alla mente.

Perdonami…

Ultime cose… lascerò scritte…

Perdona… il disturbo…

Che cosa diceva?

Che cosa diceva in quella lettera?

Era tremendo. Stava scomparendo tutto. Sillaba dopo sillaba, parola dopo parola, sensazione dopo sensazione.
Perché? Perché aveva perduto la lettera? Perché non era degna di ricordare qualcosa scritto da lui?
Eppure c’era di più.
Non  scarseggiavano solo quelle parole. Non mancavano solo quelle parole all’appello.

Perché sono salita qui sopra?

Volevi stare da sola, penso.

Perché… Come ci sono salita, qui sopra?

Come puoi non ricordartelo?

Tutto ciò che aveva sentito, che aveva provato, che si era accumulato, scritto, inciso dentro di lei, stava diventando illeggibile alla sua mente; sfuggente. L’ansia che ciò le stava causando era incredibilmente grande, tanto che pensava di poter morire da un momento all’altro.

Che cos’è la morte?

La morte…

La morte è un viaggio.

Un viaggio? Per dove?

È una destinazione ignota…

Come posso saperlo, io?

Ma come, tu.. non sei morta?

Eh? Perché mai dovrei essere…

Morta?

Rialzò lo sguardo verso il ragazzo, e tutto le fu chiaro come un fulmine a ciel sereno.
Tanti piccoli pezzi di un mosaico solo si ricomposero magicamente, e seppure lei non ne afferrava i ricordi, ne capiva il senso. Capiva soltanto ciò che volevan dire. Ciò che quel puzzle immaginario voleva dire.
Ed ogni tassello era inevitabilmente al suo posto, come se fosse la cosa più normale del mondo. Tutto combaciava. Tempo, spazio, sensazioni, propositi, volontà.
Ed erano legati insieme da un sesto senso, quasi nostalgico.. ma deciso.
Ormai era tutto già scritto, il destino, o il caso, o chi per lui.. Per mezzo di una certa sequenza di gesti, era stata tracciata la sua storia, adesso la ragazza se n’era resa conto.
E probabilmente ora sarebbe stato tracciato anche il seguito. Questo la ragazza non poteva saperlo.
Effettivamente c’era ben poco che poteva dire di sapere rispetto a prima, se non nulla.
Un movimento improvviso al suo fianco le fece riportare lo sguardo sul ragazzo, uno sguardo mesto, seppure speranzoso. Lui era ancora vivo. Lui aveva ancora tanto da fare.
Eppure quel tanto non comprendeva… Ciò che stava facendo ora.
Con un nuovo moto d’agitazione nell’anima, la ragazza spalancò gli occhi.
Il ragazzo che fino a poco prima era lì, appoggiato alla ringhiera, ora era con già buona parte del proprio corpo dalla parte opposta di essa. Tremava un poco e teneva lo sguardo basso, la presa serrata sul ferro.
Ecco, adesso era completamente dall’altra parte della ringhiera.
Ma ancora si teneva forte, non aveva il coraggio di guardarsi indietro.
Il vento aveva ripreso a soffiare, tanto da farlo sussultare appena, dato il suo stato di tensione assoluta.
La ragazza non capiva. Non voleva capire. Ciò ch’egli stava facendo non aveva senso. Perché? Perché sprecarsi?
Dapprima atterrita, si riebbe leggermente, quel tanto da provare ancora, sempre invano, ad afferrare il ragazzo.

-          - Stupido! Cosa pensi di fare? Vuoi farti male, ancora?! –

Come se lui potesse sentirti..

Qualcosa di non detto, dentro di lei, accelerava l’ansia. Quella sensazione di poco prima, quel vuoto interiore, quel vuoto mentale, pareva si stesse espandendo a tutto il suo essere.
Era come se un orologio invisibile risuonasse nelle sua testa, scandendo i minuti dai i secondi, i secondi dagli attimi.
Sarebbe bastato un attimo, poiché il ragazzo aveva trovato il coraggio di voltarsi a fronteggiare il vuoto; pur sempre tenendosi stretto dietro di sé.

Perché fai così...

Perché mai dovresti fare così..

Ti prego!

In un ultimo, disperato tentativo d’appello, la ragazza si gettò contro di lui incurante della ringhiera, con l’intento di abbracciarlo all’altezza del petto.  – Non farlo, ti prego… non farlo. – disse ad alta voce, sebbene lui non potesse udirla.
Ovviamente il gesto di lei ebbe sempre il medesimo effetto, perciò, esasperata, la ragazza allentò la presa, in modo che seppure non poteva toccarlo, poteva almeno mimare la stretta.
-          Ti supplico… - mormorò ancora, con tono stremato – Non farlo! –

E mentre quell’inquietante e al tempo stesso rincuorante sensazione di vuoto, di calma interiore si impadroniva di lei, qualcosa di innaturale avvenne. Fu un tocco leggero, quello che la ragazza percepì,  tanto leggero che per un attimo pensò di non averlo neanche sentito realmente. E invece, mentre qualcosa di più grande di lei la stava dolcemente portando via da quel luogo, pezzo per pezzo, realizzò la sensazione di bagnato sul proprio braccio; che fino a poco prima tentava di stringer lui.

Ancora trascinata via da quella forza invisibile, si sentì costretta a distaccarsi lentamente, seppure ebbe la sensazione che lui stesse piangendo. Provò così a formulare un pensiero, ma le risultò impossibile, come se anche quell’ultima capacità che l’era rimasta stesse svanendo con lei. Avrebbe tanto voluto dirgli di non piangere, ripetergli di non fare sciocchezze, di comportarsi bene; ma tutto ciò che l’era rimasto poco prima, già non lo sentiva più.

Non sentiva più niente, vedeva solo. Spettatrice esterna di quel gioco vitale.

Infine, quando tutto pian piano si stava riempiendo di luce nell’arco della sua visuale, la sagoma del ragazzo si ricacciò inaspettatamente indietro, a fatica; ma si ributtò dall’altra parte del terrazzo. E lì restando, accasciato contro la ringhiera, mormorò qualcosa che le diede l’impressione di essere destinato a lei, sebbene non poté udirlo.

Così, con quell’indecifrabile senso d’umido ch’era tornato dal nulla, al nulla si abbandonò.

  
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