Ci
si stanca troppo in fretta della vita.
Pensò
con risolutezza la ragazza
appoggiata alla ringhiera del terrazzo.
Sopra, il vuoto.
Il vuoto, e tanto vento. Tant’era la violenza dell’aria a quell’altezza, che i capelli le frustavano ripetutamente le guance, gli occhi , la fronte; in un’impetuosa danza scoordinata.
Con
quale
diritto, poi.
Continuò
in risposta la voce nella sua testa.
Infatti.
Come se si avesse il diritto di sputare sulla propria vita.
Si
disse, e in quel momento una
folata di vento improbabilmente più forte delle precedenti,
fece strepitare il
pezzo di carta rovinato che teneva tra le dita.
Eppure
è ciò che si fa, spesso e volentieri.
Si
sputa sulla propria vita, e di conseguenza su quella di chi ti sta
intorno.
Senza
rendersi
realmente conto.
Senza
capire
cosa sia giusto e cosa no,
non
per qualche
assurda legge della natura;
ma
semplicemente
per egocentrismo.
Quando
si soffre si diventa, paradossalmente, egocentrici.
L’uomo
è una creatura innatamente egoista, nel suo piccolo.
Homo
mundus minor.
L’uomo
è un mondo in miniatura.
E
che mondo,
seppure in miniatura.
Nel silenzio di quel quartiere si assentò nuovamente nei suoi pensieri, passando piano due dita sulla superficie sottile della carta quasi a volersi accertare che fosse ancora lì. Al sicuro nel suo pugno.
Per quanto fosse stata stropicciata, la carta era ancora ripiegata e al suo posto, in attesa di qualcosa. In attesa di qualcuno. È dura.. E stavolta lo farfugliò quasi, con gli occhi castani improvvisamente velati di lacrime.
È questa la cosa a tratti inquietante dei sentimenti..
È
che ti attanagliano, quando meno
te l’aspetti, giocano con la tua anima, se la girano e
rigirano come vogliono;
ti permettono di sentirti euforico, gioviale, allegro, spensierato un
secondo
prima.. e distrutto il secondo dopo.
Essere
preda dei
propri sentimenti è come sentirsi su una giostra che non si
ferma mai.
Ma
io voglio fermarmi.
Voglio
soltanto scendere.
Voglio
fermarmi.
Senza rimorsi.
Senza dolore.
Lasciare tutto lì, su quella terrazza, tra le ringhiere, e richiudere la porticina nera dietro di se. Lasciarsi tutto dietro.
Credo
che aver voglia di scappare da un posto già deserto di per
se,
significhi
soltanto voler scappare
da se stessi..
Esattamente
ciò
che stai facendo.
Perché ascoltare la propria testa? A volte è molto più sano lasciarsi perdere.
È molto più sano non ascoltarsi.
Ma la propria coscienza, o vocina interiore, o grillo parlante qual si voglia, beh, non sono tanto facili da ignorare.
Una volta ci aveva provato. In realtà da piccola ci provava spesso. Si metteva a guardare nel vuoto a mezz’aria, e si impediva volontariamente di formulare un qualsiasi pensiero concreto. Eppure? La sua mente lavorava lo stesso in sottofondo, fregandosene spudoratamente della sua scelta. E lì aveva capito che non esisteva il vuoto. Non esisteva l’assenza di pensiero. E seppure una volta più grande, le era capitato di sentirsi talmente male da rifiutare di formulare qualsiasi cosa nella sua testa; ebbene ciò le aveva creato inquietudine, e non era servito ugualmente a nulla.
Era impossibile.
Aveva imparato quindi, che la propria testa, volente o nolente… avrebbe sempre lavorato.
Anche una volta perse le parole.
Quante
cose che avrei dovuto dirti.
Non voleva piangere. Non più. Non voleva più.
Strinse i pugni da far male, poi si voltò di scatto, ma solo per lasciarsi scivolare a sedere.
Portò le ginocchia contro il petto e posò il mento su di esse.
Per
l’ultima volta..
È
l’ultima volta.
Era un colpo al cuore leggere certe righe, ma doveva farlo. L’avrebbe fatto. Lo stava facendo.
Una calligrafia sottile e un po’ disordinata le scorreva davanti agli occhi, trasmettendole il messaggio della lettera per mezzo di parole che solo una persona avrebbe saputo mettere insieme. Trattenne le lacrime a stento, ma non si fermò.
Perdonami.
Sono le ultime cose che ti lascerò scritte. |
Non
ti disturberò più. Tranquilla. |
Sei
stata, sei..l'avventura e la scoperta più meravigliosa della
mia vita. |
Il
tempo è volato, ed è stato tanto.. |
Sei
una persona che vale la pena conoscere, se si ama il rischio. |
Mi
hai detto tante cattiverie, ti ho detto tante cattiverie. Ma non dire
mai più che non ti ho amato |
Era
una volta, in primavera scorsa, penso proprio il .................. che
ora compie un anno.. |
Non
è un ricordo concreto, effettivamente.. |
Io
con te ho sempre Sentito. |
......... |
e
ora cazzo, non ce la faccio più, e quindi la spacca. E tu
hai detto la stessa cosa. |
Una lettera così carica di.. sentimenti, e lui non si era neanche firmato.
Lo faceva sempre.
Ma no.. no, non era questa la colpa che lei gli faceva. Magari fosse stata questa.
Quanto avrebbe voluto aver modo di rispondergli, come sempre aveva fatto, a voce o con un’altra lettera...
Quanto avrebbe voluto dirgli che non era solo una sensazione, quella che lui aveva menzionato; che magari lui non se lo ricordava bene, ma era successo davvero, e che lei se n’era ricordata già tempo fa, quando nel bel mezzo di una litigata come le altre si erano divisi davanti all’edificio scolastico.. e lei? Lei era andata in quel parchetto... da sola, e si era seduta su quell’altalena. E quell’altalena l’aveva impressionata, perché.. Perché era rimasta sola anche lei.
Qualche vandalo qualunque, aveva staccato l’altalena dove si era seduto in precedenza Lui…
E lei si era sentita ancora più sola.
Fosse
tutto soltanto finzione…
Apri
gli occhi,
non lo è.
Non avrebbe più potuto passeggiare con lei fuori scuola, nei loro quartieri, nel loro piccolo mondo personale.
Come si può pretendere di cancellare un’intera esistenza in un giorno? In un attimo? In un addio non detto?
Non si può.
Molto spesso purtroppo, ciò che uno non pensa possibile, prima o poi si avvera.
E quando quel prima, o quel poi, arriva.. è dura. È dura perché non te l’aspetti. È dura perché ti colpisce in faccia.
È dura perché… perché è la vita. E la vita non è un complimento.
La vita è così.
È
una giostra
che non si ferma mai.
Questo
l’hai già detto.
Solo che qui, nella vita reale, l’omino dei comandi non c’era.
E molto spesso non riusciva a fermarsi neanche lei.
Sono
sempre stata troppo debole.
Le
persone
deboli non sopravvivono.
Però
è così crudele.
Solo
perché ci si affida nelle mani di qualcuno..
Non
c’è niente
di male a mettersi nelle mani di qualcuno.
Il
male sta
nell’ignorare quel qualcuno, anche quando cerca di aiutarti.
L’ingratitudine..
Verso se stessi, e verso gli altri.
La ragazza era semplicemente stufa. Tutta l’energia che aveva provato a tirar fuori nel corso degli anni, ora le veniva a mancare. E stavolta non sapeva veramente da dove riprenderla. Era tutto così folle.
Un tonfo leggero le fece alzare il mento dalle ginocchia, e lo sguardo si puntò dritto davanti a se.
Lassù c’era ancora soltanto il vuoto a farle compagnia; proprio come prima.
Eppure sentiva che qualcosa stava per cambiare. Continuò a fissare ostinatamente le mattonelle a tratti contuse della terrazza, in attesa. Era una terrazza vasta. La porticina nera era distante da lei. Ma quel rumore non se l’era immaginato.
Difatti, dopo neanche qualche minuto, apparve a colmare quel paesaggio vuoto una sagoma tanto familiare per la ragazza, da farle avere un tuffo al cuore. La presa si strinse sulla carta e sulle ginocchia che teneva strette al petto, per un breve lasso di tempo che apparve infinito. Rimase immobile, proprio come la figura ancora indistinta sebbene non troppo lontana da lei.
Come
mi ha trovata?
Probabilmente
non sta cercando te.
Perché
allora dovrebbe essere qui?
Magari
non aveva
niente di meglio da fare.
Perché
rimane lì?
Sicuramente
non
ti ha vista.
Oppure
ti sta
ignorando.
Al
diavolo!
Stava a Lui compiere il primo passo. Se ne sarebbe andato, o sarebbe avanzato? La ragazza assottigliò lo sguardo, nel tentativo di indovinare i suoi pensieri. Ancora un attimo d’interminabile attesa, ed ecco che la figura in lontananza mosse il primo passo. Verso di lei.
In preda all’incertezza, la ragazza rimase immobile, e quando un altrettanto giovane ragazzo fu abbastanza vicino da poter essere guardato in faccia, lei preferì abbassare lo sguardo, dubbiosa. Cosa avrebbe fatto adesso?
Come avrebbe dovuto comportarsi?
Se le aveva detto addio, perché ora era di nuovo lì? Con lei?
Il dubbio le attanagliava il cuore, tanto da farle chinare il mento sul petto.
Un’altra folata di vento fece svolazzare vestiti e capelli qua e la. Che strano, il ragazzo non se ne era lamentato. Eppure lui odiava il vento. Si lamentava sempre. Incuriosita dal silenzio, la ragazza lo guardò timidamente di soppiatto, constatando che ora il giovane si era appoggiato alla medesima ringhiera dove poco prima si era appoggiata lei.
Ancora non le rivolgeva la parola.
Probabilmente era arrabbiato? E per cosa ormai? La sua lettera era stata più che chiara. Limpida.
E lei non aveva fatto nulla per intaccare ciò che lui le aveva scritto. Non voleva che si arrabbiasse.
Non voleva che stesse ancora male.
-
Perché
sei… -
provò a dire come primo approccio, ma le parole le vennero a
mancare.
Cosa
avrebbe potuto chiedergli?
Sembrava tutto così vano. E in più lui non le
parlava.
Ti
sta ignorando.
No..
non è vero.
È
solo assorto nei suoi pensieri.
E
così sembrava. Anzi, così sicuramente
era. Con quegli occhi grandi, a volte così castani e a volte
striati invece di
verde; con quell’espressione leggermente rigida, tipica del
suo volto
pensieroso, con quell’atteggiamento, il ragazzo fissava il
vuoto dritto davanti
a se. Il vento continuava a fargli sventolare capelli e camicia, ma
niente
pareva smuoverlo da quello stato raccolto.
Chissà
che cosa pensa.
-
A
che cosa stai
pensando? -
Che la risposta fosse stata un “Niente di importante” , un “A cosa fare dopo”, o un “A qualcosa di brutto”.
Questo perché qualsiasi cosa egli stesse pensando, a lei interessava realmente. Era sempre stato fondamentale per la ragazza capire, o almeno provare a capire ciò che gli passasse per la testa.
D’altronde era l’unico modo che aveva per aiutarlo, così pensava.
Tuttavia il giovane non mostrò il minimo cenno di risposta, quasi come se non l’avesse minimamente sentita e anzi; rimase ostinatamente immobile. Immerso in chissà quale considerazione, su chissà quale cosa.. Come suo solito.
Fermare una mente normale era già impossibile di suo, ma fermare la mente di Lui…
Beh, quello neanche il padre eterno in persona avrebbe potuto farlo. Sempre ch’egli fosse esistito realmente.
-
Perché
non mi
rispondi…?-
Non
lo vedi? Ti
sta ignorando.
Perché
mai dovrebbe farlo?
Non
gli ho fatto nulla di male.
Questo si era infatti sollevato sulle proprie braccia, guardando di sotto, e aveva posizionato i piedi sulla parte inferiore della ringhiera, sporgendosi come un bambino inconsapevole del pericolo.
- Guarda che caschi! – continuò imperterrita la ragazza, cercando di valorizzare le sue parole con i gesti così da
Ed ecco che accadde il fatto strano.
Il fatto improbabile. Il fatto assurdo.
La mano di lei, con tanto di manica del vestito, scivolò tranquillamente attraverso la figura del ragazzo, lasciandola interdetta.
Ma
cosa.. diamine..
E nuovamente in un modo del tutto paradossale, impossibile, oltre qualsiasi comprensione umana, la sua mano scomparve attraverso il corpo di lui, solo per poi riapparire una volta che lei l’ebbe ritirata.
-
Non
è possibile.
Non
c’è niente
di razionale in tutto ciò.
Non
è reale. -
La
voce nella sua testa taceva.
Perfino il vento, adesso, pareva tacere.
Il ragazzo chiamò inaspettatamente il suo nome, facendola sussultare.
Che si fosse accorto di lei, finalmente?
No..
Non sta
parlando con te.
Ma
che cosa sta succedendo?
..È
un sogno?
Non poteva essere nulla di reale, di certo non era nulla di razionale; perciò doveva essere un sogno. Eppure...
Provò a chiamarlo a sua volta, ma non ebbe risposta. Né tantomeno cenni da parte di lui.
Improvvisamente, un pensiero la folgorò.
Buio…
Sì,
c’era tanto
buio…
Hai
provato
dolore?
No..
Non subito, almeno..
Ma
è passato poco dopo.
E
dopo?
Cos’è
successo
dopo?
Ma un urlo la fece sussultare nuovamente, era un urlo carico della stessa angoscia.
Perché..?
Eh?
Perché
urli?
Ti
prego…
E ancora.
E non smetteva, e provava a scuoterlo, ma ogni volta si ripresentava lo stesso improbabile, inverosimile, incredibile, spaventoso evento… Ogni volta, era come se il proprio corpo passasse dentro quello di lui, provocandole una leggera scossa gelida alla base del collo. Ogni volta era tutto invano.
Potrebbe
essere..
E allora perché? Cos’era tutta quella manfrina? Cos’era tutta quell’atmosfera sovrannaturale?
È
un sogno.
È
soltanto un sogno.
Non
penso ci sia
un risveglio…
Cosa
vorresti dire?
Non
penso tu possa
risvegliarti.
Non
puoi e
basta.
Certo
che posso svegliarmi.
Semplicemente
non è ancora giunta l’ora.
Deve
solo farsi giorno.
A
volte è difficile svegliarsi dagli incubi.
Non
penso sia un
incubo.
- Si risolve sempre tutto… Giusto? –
Le diceva sempre così. Anche se in quell’ultima lettera il messaggio era stato diverso, in precedenza, il ragazzo le aveva sempre detto così. Ogni volta che voleva consolarla la chiamava per nome, e le diceva “Vedrai che si risolve tutto”.
E tutto si era sempre risolto.
La
lettera…
Perché
ho perso la lettera?
Puntò gli occhi su di lui.
Perché era lì? Perché ancora, non le diceva niente? Perché aveva urlato in modo tanto disperato?
Perché stava male..?
Ho
sempre pensato che senza di me,
senza
i problemi causati dalla nostra relazione,
lui
sarebbe stato meglio.
Sarebbe
stato felice.
Non importava quante volte aveva letto quel pezzo di carta ormai andato perduto, le lettere, le parole che aveva in testa, stavano lentamente sbiadendo, e la ragazza faceva fatica a riportarle alla mente.
Perdonami…
Ultime
cose… lascerò scritte…
Perdona…
il disturbo…
Che
cosa diceva?
Che
cosa diceva in quella lettera?
Perché? Perché aveva perduto la lettera? Perché non era degna di ricordare qualcosa scritto da lui?
Eppure c’era di più.
Non scarseggiavano solo quelle parole. Non mancavano solo quelle parole all’appello.
Perché
sono salita qui sopra?
Volevi
stare da
sola, penso.
Perché…
Come ci sono salita, qui sopra?
Come
puoi non
ricordartelo?
Tutto
ciò che aveva sentito, che
aveva provato, che si era accumulato, scritto, inciso dentro di lei,
stava
diventando illeggibile alla sua mente; sfuggente. L’ansia che
ciò le stava
causando era incredibilmente grande, tanto che pensava di poter morire
da un
momento all’altro.
Che
cos’è la
morte?
La
morte…
La
morte è un viaggio.
Un
viaggio? Per
dove?
È
una destinazione ignota…
Come
posso saperlo, io?
Ma
come, tu..
non sei morta?
Eh?
Perché mai dovrei essere…
Morta?
Tanti piccoli pezzi di un mosaico solo si ricomposero magicamente, e seppure lei non ne afferrava i ricordi, ne capiva il senso. Capiva soltanto ciò che volevan dire. Ciò che quel puzzle immaginario voleva dire.
Ed ogni tassello era inevitabilmente al suo posto, come se fosse la cosa più normale del mondo. Tutto combaciava. Tempo, spazio, sensazioni, propositi, volontà.
Ed erano legati insieme da un sesto senso, quasi nostalgico.. ma deciso.
Ormai era tutto già scritto, il destino, o il caso, o chi per lui.. Per mezzo di una certa sequenza di gesti, era stata tracciata la sua storia, adesso la ragazza se n’era resa conto.
E probabilmente ora sarebbe stato tracciato anche il seguito. Questo la ragazza non poteva saperlo.
Effettivamente c’era ben poco che poteva dire di sapere rispetto a prima, se non nulla.
Un movimento improvviso al suo fianco le fece riportare lo sguardo sul ragazzo, uno sguardo mesto, seppure speranzoso. Lui era ancora vivo. Lui aveva ancora tanto da fare.
Eppure quel tanto non comprendeva… Ciò che stava facendo ora.
Con un nuovo moto d’agitazione nell’anima, la ragazza spalancò gli occhi.
Il ragazzo che fino a poco prima era lì, appoggiato alla ringhiera, ora era con già buona parte del proprio corpo dalla parte opposta di essa. Tremava un poco e teneva lo sguardo basso, la presa serrata sul ferro.
Ecco, adesso era completamente dall’altra parte della ringhiera.
Ma ancora si teneva forte, non aveva il coraggio di guardarsi indietro.
Il vento aveva ripreso a soffiare, tanto da farlo sussultare appena, dato il suo stato di tensione assoluta.
La ragazza non capiva. Non voleva capire. Ciò ch’egli stava facendo non aveva senso. Perché? Perché sprecarsi?
Dapprima atterrita, si riebbe leggermente, quel tanto da provare ancora, sempre invano, ad afferrare il ragazzo.
-
- Stupido!
Cosa
pensi di fare? Vuoi farti male, ancora?! –
Come
se lui potesse sentirti..
Era come se un orologio invisibile risuonasse nelle sua testa, scandendo i minuti dai i secondi, i secondi dagli attimi.
Sarebbe bastato un attimo, poiché il ragazzo aveva trovato il coraggio di voltarsi a fronteggiare il vuoto; pur sempre tenendosi stretto dietro di sé.
Perché
fai così...
Perché
mai dovresti fare così..
Ti
prego!
Ovviamente il gesto di lei ebbe sempre il medesimo effetto, perciò, esasperata, la ragazza allentò la presa, in modo che seppure non poteva toccarlo, poteva almeno mimare la stretta.
- Ti supplico… - mormorò ancora, con tono stremato – Non farlo! –
E
mentre quell’inquietante e al tempo stesso
rincuorante sensazione di vuoto, di calma interiore si impadroniva di
lei,
qualcosa di innaturale avvenne. Fu un tocco leggero, quello che la
ragazza
percepì, tanto
leggero che per un attimo
pensò di non averlo neanche sentito realmente. E invece,
mentre qualcosa di più
grande di lei la stava dolcemente portando via da quel luogo, pezzo per
pezzo,
realizzò la sensazione di bagnato sul proprio braccio; che
fino a poco prima
tentava di stringer lui.
Ancora
trascinata via da quella forza invisibile, si
sentì costretta a distaccarsi lentamente, seppure ebbe la
sensazione che lui
stesse piangendo. Provò così a formulare un
pensiero, ma le risultò
impossibile, come se anche quell’ultima capacità
che l’era rimasta stesse
svanendo con lei. Avrebbe tanto voluto dirgli di non piangere,
ripetergli di
non fare sciocchezze, di comportarsi bene; ma tutto ciò che
l’era rimasto poco
prima, già non lo sentiva più.
Non
sentiva più niente, vedeva solo. Spettatrice
esterna di quel gioco vitale.
Infine,
quando tutto pian piano si stava riempiendo
di luce nell’arco della sua visuale, la sagoma del ragazzo si
ricacciò
inaspettatamente indietro, a fatica; ma si ributtò
dall’altra parte del
terrazzo. E lì restando, accasciato contro la ringhiera,
mormorò qualcosa che
le diede l’impressione di essere destinato a lei, sebbene non
poté udirlo.
Così,
con quell’indecifrabile senso d’umido
ch’era
tornato dal nulla, al nulla si abbandonò.