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Autore: JustALittleLie    05/02/2011    13 recensioni
Durante il tragitto verso la scuola ebbi modo di ripensare a quello che aveva detto Joe e dovevo ammettere che aveva ragione, cosa sconvolgente. Ronnie non mi conosceva quindi non poteva odiarmi, l'unica cosa che poteva odiare di me era l'unica cosa che conosceva. Cioè che ero una pop star. Anche se non capivo perchè per lei fosse un problema contando che alla maggior parte delle persone che mi conoscevano interessava solo quello. Questo mi fece sorridere. Che avessi trovato un'amicizia sincera? Certo, prima di poterla definire amicizia avrei dovuto lavorare sul fatto che lei al momento mi odiava. "Dettagli Nick", pensai. Quindi avrei dovuto pensare ad un modo per convincerla che ero una persona simpatica ed affidabile. Si, avrei trovato il modo quant'è vero che mi chiamavo Nicholas Jerry Jonas.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'There's a fine line between love and hate'
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IMPORTANTE!

Salve a tutte!

Si, finalmente ce l’ho fatta a scrivere l’epilogo! Vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare un bel po’, ma volevo che almeno l’epilogo fosse decente.

Prima di passare alla storia vi prego di perdere 2 minuti per leggere queste quattro righe.

Lo scorso capitolo avevo detto che in questo avrei detto il nome della seconda parte della storia ed altre informazioni, bene, il problema è che non ho ancora niente da dirvi xD Per questo ho creato una pagina Facebook, dove vi comunicherò le varie novità riguardanti la storia man mano che penso a qualcosa: frasi spoiler, il titolo della seconda FF, foto, forse video, ecc.

Se siete interessati quindi, vi invito ad aggiungere questa page, cliccando QUI.

Inoltre voglio che sappiate che ci tengo tantissimo a questo epilogo e che sarei contentissima se anche chi non ha mai commentato, mi lasciasse una piccola recensione, un “mi piace” o anche un piccolo messaggio in bacheca su FB, fatemi felice vi prego *_*

Non voglio trattenervi oltre, quindi, ci vediamo alla fine per i ringraziamenti.

Buona lettura.

 

 

Epilogo


Tutto era rimasto uguale, come se i domestici non fossero mai entrati lì, come se il tempo si fosse fermato e fosse tornato un anno dietro, quando tutto gli era sembrato così semplice, quando era stato veramente felice, per un po’.

Era tornato.

Dopo un anno di viaggi, concerti, conferenze ed interviste estenuanti, era tornato a casa.

La prima cosa che aveva fatto quando era entrato in casa era stato alzare il viso ed annusare l’aria, quasi sperasse di poter sentire l’odore costante di cibo che c’era in quella casa, quando ancora vivevano lì.

Non poteva credere di essere tornato davvero.

Richiamato da qualcosa salì di corsa le scale e percorse il corridoio altrettanto velocemente, ritrovandosi di fronte all’ultima porta a sinistra, quella che era stata la sua stanza.

Prese un bel respiro, consapevole della valanga di ricordi che l’avrebbero assalito una volta entrato lì, e girò il pomello della porta aprendola lentamente.

Si sorprese quando trovò la stanza identica a come la ricordava, quasi si aspettava di trovare le pareti bruciate, il letto disfatto, i libri per terra.

Credeva di trovarla devastata, com’erano stati il suo cuore e la sua anima quando l’avevano lasciata.

Tutto era rimasto allo stesso posto in cui l’aveva lasciato, una pila di libri giaceva sulla scrivania, accanto al mac, ed accanto al letto la sua chitarra.

Quella chitarra.

La chitarra con cui era cominciato tutto, con cui aveva decantato il suo amore per lei, lei che era diventata l’innominabile.

Si avvicinò al letto attirato da quello strumento come una calamita, e non riuscì a trattenersi dall’allungare un braccio per sfiorare il legno liscio e lucido della chitarra.

Nel momento esatto in cui le sue dita la sfiorarono, nella sua mente, chiara e nitida, apparve la sua immagine.

Era seduta sul suo letto e lo guardava stralunata.

Ricordava ogni minimo particolare di lei, come se l’avesse vista fino al giorno prima, ricordava perfettamente i suoi occhi grandi del colore del mare, ricordava i suoi capelli lucenti e quel suo gesto di tirare una ciocca dietro l’orecchio quando era in imbarazzo, ricordava il suo sorriso, le sue gote che si arrossavano, lo scintillio nei suoi occhi quando si arrabbiava; ma più di tutto ricordava perfettamente le sue labbra lisce e morbide, ricordava le sensazioni che provava quando le sentiva muoversi sulle sue, e ricordava il suo battito accelerato quando sentiva sussurrargli il suo nome tra un bacio e l’altro.

Dì qualcosa” ricordò di averle detto quel giorno, mentre lo guardava con gli occhi spalancati.

Aveva chiamato il suo nome, prima di poggiare per la prima volta le sue labbra su quelle di lei.

Staccò le dita dalla chitarra con violenza e scosse la testa.

Aveva appena infranto la prima della lunga lista di regole che si era imposto quando aveva lasciato quella casa.

Mai pensare a lei.

Era stata dura rispettare quella regola, e lo era ancora, ma era stata essenziale per la sua sopravvivenza.

Non doveva, non poteva, pensare a lei o non avrebbe retto; se ne era accorto quella sera a Parigi.

Era una sera di un luglio caldo ed afoso, le strade erano piene di turisti ed abitanti del luogo che sorridevano felici, e lui passeggiava tranquillamente per le stradine del centro; mentre percorreva una di queste intravide una coppia di ragazzi seduti su una panchina, lui le sussurrò qualcosa e lei sorrise contenta gettando la testa all’indietro, un attimo dopo i due si lanciarono in un tenero bacio mentre si tenevano le mani.

Guardandoli non aveva potuto fare a meno di pensare a quanto fossero felici quei due ragazzi in quel momento, ed a come fosse stato felice anche lui, quando accanto aveva lei.

Neanche lui sapeva bene come, ma si era ritrovato all’aeroporto, nel bel mezzo della notte, stringendo tra le mani un biglietto per Los Angeles.

Per fortuna i suoi fratelli lo avevano trovato prima che riuscisse a fare il check in, e gli avevano evitato di mandare all’aria il concerto e di rovinare tutto.

Aveva preso malissimo l’arrivo dei suoi fratelli che l’avevano trascinato in un taxi quasi di peso, mentre le sue urla risuonavano nell’aeroporto praticamente vuoto.

Quella notte era stato malissimo.

Si sentiva vuoto, demotivato. Non riusciva a capire perché i suoi fratelli fossero stati così egoisti da dare più importanza alla loro carriera che ai suoi sentimenti.

Il giorno dopo erano saliti sul palco senza quasi rivolgersi la parola, ma quando li vide, quando vide le centinaia di fan che sotto al palco urlavano i loro nomi, allora capì.

Non poteva continuare a trattarsi così, basta fughe notturne, basta crisi isteriche, basta lacrime, basta.

Doveva farlo per tutte le persone che gli volevano bene, ma anche per se stesso.

A questo proposito si era imposto delle regole ben precise.

La prima regola, l’aveva infranta parecchie volte, e quando nessuno lo guardava si rintanava dentro se stesso disperdendosi nel fiume di tristezza che lo trascinava via.

Le voci nella sua testa continuavano a tormentarlo, “lei non c’è”, gli ripetevano ed allora lui suonava, suonava forte per cercare di non sentirle,  ma loro continuavano a rincorrerlo;

D’altronde non si può scappare da se stessi, non per sempre.

Ne aveva avuto prova in quella stanza, quando aveva toccato quella maledetta chitarra.

Ma infondo ce l’aveva fatta, no?

Era riuscito a sopravvivere per un intero anno.

Sopravvivere, già, perché vivere non era neanche lontanamente quello che aveva fatto in quell’anno.

Si svegliava tutte le mattine puntuale, faceva allenamento, dava le sue interviste, suonava e faceva tutto quello che le scalette gli imponevano di fare, da buona marionetta.

Aveva svolto tutti i suoi doveri, dal primo all’ultimo, senza fiatare o obiettare minimamente, persino quando i suoi fratelli si lamentavano di essere stanchi lui sembrava non esserlo mai.

D’altronde riempirsi di impegni era l’unico modo che aveva per non pensare e ci era riuscito, più o meno.

Eppure nonostante il suo corpo fosse in continuo movimento lui non si sentiva vivo.

Aveva smesso di ridere.

Ogni tanto, si, sorrideva alle battute dei fratelli ed era felice quando incontrava i suoi fan, ma quel formicolio allo stomaco, quel battito accelerato, quelle emozioni, non le aveva più sentite.

Ed ora, in quella stanza, sentiva qualcosa riaffiorare in lui.

Anche solo il ricordo di quello che era stato lo faceva sentire in un modo che non ricordava potesse esistere.

Doveva uscire da quella stanza, prima che fosse tardi, prima che arrivasse ad un punto di non ritorno, prima che i ricordi lo devastassero, sapeva che doveva farlo.

Ma infondo che male avrebbe fatto fare un piccolo tuffo nel passato?

Scese di corsa le scale ed afferrò al volo le chiavi della macchina prima di uscire.

Vide sott’occhio Joe lanciargli uno sguardo preoccupato e lo ringraziò mentalmente per non averlo fermato o fatto alcun tipo di domanda in quel momento.

Sentiva solo il bisogno di non pensare più a nulla.

Per troppo tempo era stato attento a non pensare a quello e a quell’altro, ora basta.

Voleva solo lasciarsi andare al suo istinto.

Non sapeva dove o a cosa l’avrebbe portato questo suo lasciarsi trasportare dai ricordi, ma si sentiva in grado di poterli affrontare.

In quella città dove la presenza di lei si sentiva così forte e tangibile, si sentiva invincibile, niente avrebbe potuto fargli male.

Persino le voci che lo avevano perseguitato per tutto quel tempo parevano essersi arrese.

Non le sentiva più, e questo bastò per convincerlo che stesse facendo la cosa giusta.

Meno di mezz’ora ci aveva impiegato per attraversare la città.

Non se ne era neanche accorto, ma probabilmente aveva violato di parecchio il limite di velocità.

Guardò fuori dal finestrino mentre spegneva il motore, e pensò che le eventuali violazioni del codice della strada, in quel momento, erano il suo ultimo problema.

Era arrivato.

L’enorme casa bianca gli si ergeva di fronte, imponente.

Il sole era appena calato e qualche luce proveniente dalle finestre del piano terra indicava la presenza di qualcuno al suo interno.

Al solo pensiero gli tremarono le gambe.

Ed ora cosa faceva?

Non poteva di certo presentarsi lì dopo più di un anno, magari sventolando le mani ed urlando “sorpresa!”

L’avrebbe cacciato a calci nel sedere.

Aprì lo sportello della macchina e scese.

Eppure, doveva vederla.

Sentiva il bisogno fisico di rivederla, di sentire la sua voce, di sfiorarla per un istante.

Era inutile prendersi in giro.

Aveva resistito un anno senza di lei solo perché a dividerli c’era un intero oceano, era riuscito ad andare avanti con la convinzione, con la speranza, che l’avrebbe rivista un giorno.

Sapeva che non appena avesse messo piede a Los Angeles non avrebbe più resistito.

Si avviò per il lungo viale con mille pensieri per la testa.

Quello che più lo tormentava, che non lo faceva dormire la notte, era un unico e solo pensiero.

E se lei fosse cambiata?

Lui lo era, e come; aveva sofferto così tanto e così intensamente che era impossibile anche solo somigliare lontanamente alla persona che era stata.

Chi si sarebbe ritrovato di fronte?

Nel momento in cui si fece questa domanda realizzò che in fondo non gliene fregava niente.

Lui l’aveva amata, l’amava ancora anche se cercava di nasconderlo persino a se stesso, e non gli importava nient’altro.

Salì gli scalini che lo dividevano dalla porta con gambe tremanti e si fermò qualche istante prima di bussare, per prendere fiato.

Un lampo di paura gli attraversò il petto quando le sue mani toccarono il campanello e sentì il suo suono diffondersi per tutta la casa.

Ora doveva solo aspettare, e sperare che non gli sbattesse la porta in faccia.

Sentì dei passi dietro la porta ed il suo cuore cominciò a battere frenetico mentre la testa gli girava terribilmente.

Tutto d’un tratto non era più così convinto di quello che stava facendo, ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti.

La porta si spalancò e per qualche istante gli si bloccò il respiro.

Alta nella norma, magra e bionda, con il volto dipinto in una smorfia di superiorità, Joanne Clarisse Knocks puntò i suoi occhi glaciali in quelli del ragazzo, che si gelò all’istante.

-buonasera signora Knocks- salutò lui educato ed un po’ intimorito

Joanne Knocks socchiuse gli occhi mentre studiava per bene il volto di Nick, probabilmente si stava chiedendo dove l’avesse già visto.

-buonasera, tu sei…?- chiese senza un pizzico di gentilezza

- N-Nick, Nick Jonas- esclamò a disagio

La signora lo guardò per qualche istante poi spalancò gli occhi.

-Nick Jonas! Il figlio di Kevin e Denise! Vieni entra- esclamò facendosi da parte

Nick si morse il labbro inferiore.

Entrare lì dentro sarebbe stato ancora peggio che entrare nella sua vecchia stanza, non avrebbe retto questa volta.

-Mi scusi signora Knocks, non vorrei essere maleducato, ma sono un po’ di fretta- cominciò il ragazzo temendo che Joanne si offendesse – sono solo passato a fare un saluto a…-

Deglutì.

Non pensava al suo nome da troppo tempo, figurarsi pronunciarlo!

Aveva troppa, troppa paura che i fantasmi del passato tornassero per terrorizzarlo.

Ma ora doveva rischiare.

-…Ronnie- concluse con un sospiro

Il solo pronunciare il suo nome gli aveva riempito la bocca di un formicolio insolito, che si stava diffondendo per tutto il corpo.

Joanne Knocks lo guardò accigliata, come se le avesse parlato in un’altra lingua.

-Ronnie?!- ripeté Joanne ed un brivido percosse la schiena del ragazzo a sentire il suo nome.

-come, non te l’ha detto?-

Detto cosa? Si chiese Nick.

Cosa avrebbe dovuto dirgli?

Subito una marea di brutte ipotesi si fecero strada nella sua testa e ben presto si fece prendere dall’ansia.

Cos’era successo a Ronnie?

-E’ partita qualche giorno fa, è andata in Europa-

- in Europa?!- sbottò Nick esterrefatto

Più volte Ronnie e le sue amiche gli avevano detto che il loro sogno era di fare un viaggio in Europa e sapeva dell’intenzione di Ronnie di andare lì per studiare e diventare un’interprete, ma l’idea non si era mai concretizzata.

-Si, è andata in Spagna a seguire un corso di non so che- spiegò con aria annoiata

Lui era appena tornato dall’Europa e lei era in Spagna.

Voleva morire.

-Per quanto tempo starà via?- sussurrò fissando il vuoto

-Il corso dura due anni, ma ha detto chiaramente che intende rimanere lì a lavorare. Non credo che tornerà presto, mi spiace-

Un pugno in pieno petto.

Si sentiva mancare; non era possibile, non poteva essere la realtà.

Un sogno, si, non doveva essere altro che un bruttissimo sogno; tra poco si sarebbe svegliato e si sarebbe ritrovato nel suo rassicurante tour bus con la convinzione che Ronnie sarebbe rimasta lì ad aspettarlo.

Quel pensiero lo aveva consolato per mesi, sapeva che poteva non essere così, ma come uno stupido, un illuso, si era sforzato di credere che lei sarebbe rimasta ad aspettarlo, per sempre.

Ed ora la sua più grande certezza era svanita, sfumata nel nulla, e si sentiva sprofondare.

Niente, nulla, riusciva a frenare la sua caduta verso il dolore.

Era come se avesse perso un organo essenziale del suo corpo; il fegato, un polmone, il cuore.

Dopo aver voltato le spalle alla signora Knocks, ed aver corso per il viale, si era accasciato sul sedile della macchina, prendendosi il volto tra le mani.

Ed eccole tornare.

Quelle voci che lo tormentavano di notte e di giorno, quelle che aveva tentato di scacciare con tutte le forze, erano tornate.

Ed ora le sentiva vicine e familiari.

Un nuovo dolore si fece spazio nel suo petto quando si rese conto che avrebbe dovuto imparare a convivere con quelle voci, perché ormai era troppo tardi.

Era troppo tardi per incrociare i suoi occhi, per sfiorarle le guance, le labbra, per sussurrarle all’orecchio, per scostarle i capelli dagli occhi.

“Lei non c’è”

No, non c’era, e non l’avrebbe mai più rivista.

 

 

*      *      *

 

“Ultima chiamata per il volo A812, New York City - Madrid”

Era la terza volta che sentiva quella voce metallica imporle, in ben tre lingue diverse, di salire su quel maledettissimo aereo, ed ogni volta si era sentita sempre più male, sempre più una…codarda.

Si guardò in giro spaesata, sperando di trovare qualche volto familiare, ma sapeva che non l’avrebbe trovato, come non l’avrebbe trovato nel posto in cui era diretta.

Quando quella lettera era arrivata nelle sue mani per poco non era svenuta.

Una borsa di studio per una delle scuole più prestigiose di traduttori ed interpreti, in Europa.

Quella lettera, con sopra inciso il suo nome a caratteri cubitali, era stata la prima ed unica cosa ad averle fatto battere il cuore dopo un intero anno in cui aveva creduto di essere morta.

Il preside della sua vecchia scuola l’aveva già informata dell’eventualità di una borsa di studio per lei già qualche mese prima degli esami.

Da gennaio la sua media, già di per se buona, si era alzata toccando i livelli più alti.

Si era presentata agli esami con il massimo dei voti in tutte le materie.

Tutte ad eccezione di una; La sua B in trigonometria spiccava tra tutte le A, ed quando l’aveva vista scritta in grassetto sotto il suo nome un senso di tristezza e rassegnazione si erano impadroniti di lei.

Solo lei sapeva il significato di quella B.

Lei però era l’unica che le aveva dato un significato così importante, tutti infatti si erano soffermati sulle sue eccellenze, com’era normale che fosse.

Non era stato poi così difficile studiare per prendere quelle A, insomma, cosa le restava da fare?

Tutte le cose che amava fare prima ora le sembravano stupide e senza vita, proprio come lei.

Non era andata più ad un concerto;

Non osava ascoltare musica, di qualsiasi genere si trattasse, la sua libreria piena di romanzi era stata svuotata ed i suoi libri erano stati ammucchiati disordinatamente in scatoloni.

D'altronde come poteva credere alle parole dei cantanti, alle belle frasi di Shakespeare, dopo quello che era successo?

Sarebbe stato troppo ipocrita da parte sua nutrire ancora una qualche forma di speranza che l’amore, quello vero, esistesse.

Scosse la testa con violenza, cercando di scacciare quei pensieri ed afferrò il suo trolley con un sospiro, avviandosi verso il suo gate.

Ad aspettarla c’era un’hostess dall’aria impaziente ad annoiata; quando la vide le rivolse un sorriso gentile allungando la mano esile e perfetta in cui Ronnie posò il suo biglietto, di sola andata.

- buon viaggio – le sorrise e lei mormorò un “grazie” teso ed insicuro, spaventata nel rendersi conto che probabilmente quelle sarebbero state le ultime parole che avrebbe sentito nella sua lingua madre.

Salì sull’aereo e prese posto come in trance, e mentre guardava fuori dal finestrino non poté fare a meno di farsi prendere da uno dei suoi soliti attacchi di panico.

Stava davvero lasciando tutto per andare in Europa?

Sospirò.

Si, e sapeva perfettamente il perché; il suo tutto era diventato un niente.

L’unica cosa che ancora la legava a quel posto erano le sue amiche, il resto era un mucchio di ricordi confusi, che le facevano male; il resto era quello da cui stava scappando.

Le sue amiche.

Per un attimo i volti di Kate, Lexus e Jamie le passarono davanti agli occhi, e sentì l’impulso si scendere di corsa da quell’aereo urlando.

Nell’ultimo anno il loro rapporto era inevitabilmente cambiato e si sentiva davvero un verme per quello che stava facendo.

Se ne era andata senza dire loro niente.

La sera prima aveva mandato un e-mail identica a tutte e tre, sperando che capissero, ma sapeva che non l’avrebbero fatto.

Come potevano capirla quando nemmeno lei comprendeva a fondo il significato dei suoi gesti?

Sprofondò nel sedile.

Si sentiva terribilmente in colpa, ma per sopravvivere, doveva allontanarsi da quel posto e, anche se a malincuore, doveva allontanarsi anche da loro.

Il ricordo di quello che loro erano state, la distruggeva; ricordare di essere stata così felice assieme a loro e non riuscirci più era una cosa che giorno dopo giorno le portava via linfa vitale.

E lo vedeva nei loro occhi, vedeva il loro dispiacere, la loro apprensione, quasi a volte pareva di riuscire a leggerle nel pensiero; “Povera Ronnie” pensavano, e lei era stanca di tutto questo.

Voleva andare in un posto dove nessuno conosceva niente di lei e del suo passato, voleva andare in un posto vuoto, senza ricordi, era questo l’unico modo per andare avanti.

Un aereo a qualche pista di distanza dalla sua atterrò e lei sospirò profondamente.

Lui sarebbe tornato tra qualche giorno.

Lo sapeva perché Kate era rimasta in contatto con Joe, che la informava su ogni dettaglio, e Kate distrattamente informava anche lei; e lei avrebbe voluto urlarle in faccia che non le importava niente, o meglio, che non voleva sapere niente e invece stava zitta ed annuiva fissando il vuoto.

Lui sarebbe tornato, e questo era un altro dei motivi che l’aveva spinta a partire, al più presto.

I suoi nervi erano già stati messi a dura prova per quell’anno, vederlo tornare cambiato e magari con una bella bionda, come se l’era sempre immaginata, al suo fianco sarebbe stato il colpo di grazia; sarebbe impazzita.

Per non parlare del suo cuore poi, se ancora ne possedeva uno.

Non doveva pensarci, assolutamente, doveva lasciarsi tutto alle spalle, fingere di non avere un passato, la sua vita cominciava da quel preciso istante.

Ed in quel preciso istante il futuro le sorrise avvicinandosi.

-mi scusi, è occupato?- chiese un bel ragazzo con un accento spagnolo indicando il posto accanto a lei

Lei fece un cenno negativo incapace di pronunciare una singola parola.

Il ragazzo le sorrise ancora e si sedette accanto a lei, che si concesse un’occhiata verso lui.

Jeans scuri attillati da cui scorse due gambe lunghe e magre, una camicia a quadrettini blu e bianca lasciata fuori ai jeans, i capelli castani, un po’ lunghi, tirati in dietro in modo da scoprire un viso mozza fiato.

Un filo di barba sulle guance, le sopracciglia folte e le labbra carnose gli davano un aria tremendamente sexy.

Sospirò, la Ronnie di una volta non si sarebbe fatta scappare un tipo del genere, ma quella Ronnie non c’era più ormai e lei al momento non era interessata ad alcuna forma di vita esistente in quella galassia.

Guardò il ragazzo, che a sua volta la stava guardando, e sorrise quando nei suoi occhi scuri non trovò alcun segno di pietà o dispiacere.

-io sono Angel- si presentò lui allungando una mano verso di lei; si, doveva essere proprio un angelo

Aprì per un istante la bocca pronta a dire il suo nome, poi si bloccò.

-Veronica- sospirò in fine rivolgendogli un sorriso tirato

- è la prima volta che vai in Spagna?- chiese lui rivolgendole un sorriso luminoso

- si, tu sei di lì invece?- provò ad indovinare sentendo il suo accento spagnolo

- in realtà io sono cresciuto a New York, ma tutti i miei parenti sono a Madrid, ora però penso di trasferirmi lì per un po’-

-per lavoro?- chiese lei, non che le interessasse, ma le serviva qualcosa su cui concentrarsi per non badare alle ruote dell’aereo che sotto di loro si stavano muovendo, stava lasciando la sua vecchia vita.

-si, sono un modello- disse lui passandosi una mano dietro il collo con fare imbarazzato –e tu?-

-per studio, mi piacerebbe diventare interprete- e sentì l’aereo alzarsi dal suolo

-che bello- sorrise lui con finto entusiasmo –beh, siccome è la tua prima volta a Madrid potrei farti da guida, che ne dici?-

Ronnie Veronica, lo guardò per qualche istante e colse uno scintillio malizioso nei suoi occhi.

Gli rivolse un sorriso tirato e senza rispondere si voltò verso il finestrino.

Guardò in basso, mentre la terra sotto di loro si faceva sempre più lontana, ed il terreno faceva spazio al mare.

Un oceano.

Si, un oceano era che voleva tra lei ed i suoi ricordi.

Era la scelta giusta, nel profondo del suo cuore lo sapeva, ma questo non impedì ad una piccola lacrima di correrle lungo la guancia.

Sapeva che niente sarebbe stato più uguale, e questo la spaventava a morte.

Nonostante dietro di se stesse lasciando la sua famiglia e le sue amiche, l’unico volto che le venne in mente prima di cadere nel sonno, fu il suo.

Lui che era stato il suo primo vero amore, lui che se ne era andato, spezzandole il cuore.

E nonostante stesse per cominciare una nuova vita; nonostante il ragazzo accanto a lei fosse di una bellezza disumana, nutrisse un evidente interesse nei suoi confronti, e fosse la prima persona che non la faceva sentire una povera vittima, sapeva che non era lui.

E nessuno mai lo sarebbe stato.

*     *      *

 

O mio Dio, è finita davvero T_T

Vi giuro che mi viene da piangere! Ma ci sarà la seconda parte quindi su con la vita *_*

Beeeeeeene con questo ultimo capitolo mi sento in dovere di ringraziare tutte le persone che hanno seguito la mia storia, dandomi l’ispirazione e la forza di scrivere, anche quando non ne avevo affatto voglia.

Ringrazio quindi per aver messo la mia storia tra le preferite:

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 e quelle che l’hanno messa tra le ricordate:

1 - annaritaa86 [Contatta]
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13 - _____Jo_____ [Contatta]

 

Vedere quei numeri aumentare giorno dopo giorno è stata un immensa soddisfazione per me, grazie di cuore a tutte! Grazie, grazie, grazie.

Per non parlare delle tredici menti folli che mi hanno messa tra le autrici preferite!

1 - Aesial [Contatta]
2 - baby jonas [Contatta]
3 - bika95 [Contatta]
4 - FreNick [Contatta]
5 - Ila96 [Contatta]
6 - ILoveJoeDanger [Contatta]
7 - itsnichy [Contatta]
8 - Ryry_ [Contatta]
9 - SamCrush [Contatta]
10 - Will_Gilmour [Contatta]
11 - xsmile__ [Contatta]
12 - _Devonne_ [Contatta]
13 - _GneGne [Contatta]

Non sapete che onore è stato per me!

Ovviamente un mega-grazie va a chi ha recensito anche solo un capitolo della mia storia, e mi ha strappato un sorriso sincero, siete state voi, con le vostre recensioni a spingermi a scrivere capitolo dopo capitolo.

Un grazie particolare però va a SamCrush, che segue la mia storia dal primo capitolo e che, anche se ne ha saltato qualcuno xD, è stata sempre presente, grazie! (ps. Sto ancora aspettando la statua in oro bianco!)

Ed infine, un grazie va a questa storia, che è stata l’unica cosa che ho portato a termine nella mia vita fino ad ora, e che mi ha dato l’opportunità di conoscere gente magnifica come: Ryry_ senza la quale questo epilogo forse non sarebbe mai esistito, e grazie alle sue recensioni stra-pazze che mi hanno sempre strappato un sorriso e c’è da dire che nonostante i suoi gusti musicali più che discutibili, è una persona fantastica(puzzi, sappilo);  Sophiaa che con le sue recensioni chilometriche ed approfondite mi emoziona sempre *__* e che con la sua disponibilità ha conquistato il mio cuore u.u; Clarii che ha creduto tanto nella mia storia al punto da metterla sulla sua pagina FB e pubblicizzarla, Clarii che puzza, ma che amo immensamente.

Ed ovviamente tutte quelle persone fantastiche che mi hanno aggiunto su FB e che mi hanno sempre sostenuto.

Grazie alla mia Veronique (frey) senza la quale questa storia non sarebbe mai esistita, ti amo amor mio <3

Ed eccoci qui, alla fine.

Sicuramente avrò dimenticato di ringraziare qualcuno o di dire qualcosa, e mi scuso preventivamente con voi.

Grazie a tutte per avermi accompagnato in questo splendido viaggio, con la speranza che continuiate a seguirmi.

Spero inoltre di essere riuscita a farvi innamorare di Ronnie, Nick, Lexus, Jamie, Kate e tutti i personaggi di questa storia, proprio come me ne sono innamorata io.

Vi amo,

a presto.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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