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Autore: Marselyn    06/02/2011    4 recensioni
C'è una fase, tra l'essere grande e l'essere bambino, in cui si crede di essere grandi, e paradossalmente avviene esattamente quando si comincia a prendere coscienza dell'essere piccoli: questa fase, io credo, è essenziale.
E proprio quella parte di bambino che offuschiamo fingendoci adulti, alla fine, la si porta poi sempre in grembo, fino alla vecchiaia, la si porta sempre con noi.
Ed è essenziale. E' tutto.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Coriandoli Neri.'
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Eccezioni



La mia vita, in fin dei conti, non è stata poi così deludente.
Mi piace pensare che a dirlo non ne sono capace solo perché non ho mai conosciuto di meglio: in qualche modo, cerco sempre di convincermi del fatto che se lo dico, è perché è quello che penso davvero.
Non ho mai avuto bisogno di nessuno, perché mai nessuno ha avuto bisogno di me. Può sembrare patetico, ma come può esserlo per qualcuno che non ha mai conosciuto alternativa? E' così, io sto bene al pensiero che nessuno fa di me una necessità, sto bene al pensiero di non essere, io, una priorità per nessuno.
Nel mio secondo piano, nel mio angolo da retroscena, io, in fin dei conti, sto bene.
E' difficile concepire l'idea di essere importante per qualcuno e non vorrei mai esserlo: non vorrei mai esserlo.
Sarebbe un tale peso sapere che qualcuno tiene a me, realizzare che qualcuno, in fondo, s'interessa di me.
Dico sul serio, non vorrei mai saperlo.

Anche se - io cerco di scordarlo o comunque non prendo mai in considerazione quella breve eccezione, sia chiaro - una volta, una volta sola, credo di poter dire, senza pretesa alcuna, di essere stato anche io importante per qualcuno.
Ed è buffo pensare che, come lui lo è per me, per quella persona io ora non sono che una breve, ambigua eccezione.
Anche se sono suo fratello.
Anche se è mio fratello.

D'altronde quella parentesi è durata poco, soltanto sei anni, perché poi lui ha scelto la sua via e io ho proseguito, di reazione, per la mia.
Lui, per un bambino di sei anni, non poteva essere altro che un punto di riferimento, e credo che per lui io sia stato lo stesso, per breve tempo, sì, ma penso io lo sia stato.
D'altronde come potevamo non esserlo?
Eravamo noi due, chi altri c'era? I nostri genitori, troppo occupati a vedere in noi, fin dal nostro primo giorno sulla Terra, la proiezione distorta di noi, adulti dai sentieri già tracciati, dai pensieri già programmati?
No, quale importanza potevamo avere noi per loro?
Nessuna, nessuna davvero.
Ma dopotutto andava bene fingere di rientrare in quei limiti, fin tanto che noi eravamo insieme.
Andava bene, andava bene per me.
Ma, adesso sono arrivato a credere, penso non andasse altrettanto per lui.

C'è una fase, tra l'essere grande e l'essere bambino, in cui si crede di essere grandi, e paradossalmente avviene esattamente quando si comincia a prendere coscienza dell'essere piccoli: questa fase, io credo, è essenziale.
E proprio quella parte di bambino che offuschiamo fingendoci adulti, alla fine, la si porta poi sempre in grembo, fino alla vecchiaia, la si porta sempre con noi.
Ed è essenziale. E' tutto.
Cerca sempre di prendere il sopravvento: è quella che ci rende egoisti, quella che ci fa sentire amati, è ciò che ci spinge ad amare e ciò che ci porta a sentire intimamente la necessità che gli altri abbiano bisogno di noi: ed è la stessa parte di noi che ci fa soffrire se si scopre che nessuno ne ha.

Lui l'ha passata quella fase, aveva sette anni, e ha creduto di essere diverso dagli altri: ha, ingenuamente, pensato di essere diverso dai nostri genitori e, come se io non fossi altro che una loro esile appendice, ha creduto di essere diverso anche da me: ha voluto essere grande, nel timore di essere piccolo. Ed ha, questa sua convinzione, come accade sempre, modellato il suo carattere, il suo futuro, la sua essenza.
E la mia.
Se lui ha creduto di essere grande, io, allora, lo sono diventato.

Perché per me è stato diverso, io non ho passato quella fase in cui ci si crede adulti, io non ho mai realizzato di essere bambino: ho cominciato ad essere grande quando lui ha creduto di esserlo, quando lui ha compreso la tenera età della sua anima e ha cercato di nasconderla, anche se poi la si porta ugualmente dentro.
Lui ha cancellato, prima ancora che giungesse, il momento in cui avrei realizzato di essere anch’io bambino.

E sono rimasto solo, quando lui ha deciso che sarebbe stato diverso, grande, quando lui mi ha assegnato il falso ruolo di trascurabile accessorio dei nostri genitori, e se solo mi avesse concesso di essere egoista, di voler essere adulto, di voler essere diverso anche io, adesso, forse, mi sarei sentito importante, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi amasse: avrei sofferto per la mia scelta[1].

Ma lui mi ha reso adulto, senza finzione, senza possibilità di scelta, perché ho dovuto farlo, perché quando si resta soli a quell'età si diventa adulti per forza: lui mi ha privato dell'altra fase senza che me ne rendessi conto, e di me ora non resta che un adulto senza sogni, senza bisogni, con il nulla in una mano e il metallo[2] nell'altra.
Forse, però, dovrei dirgli grazie.
Perché non sento ora la sofferenza dell’amore, la voglia di essere piccolo: è solo un diffuso vuoto che mi sento dentro, la mancanza di qualcosa.
Anche se non so che cosa.
Ma è sempre meglio del dolore, credo.

In ogni caso, gli auguro solo, mentre io metto a tacere questo adulto stolto e freddo che resta di me, di non perdere mai la sua parte di bambino, quella che si nasconde sotto il mantello quando ci si rende conto di esserlo, perché se mai non la trovasse più, non sarebbe ancora amato, non amerebbe mai.
Non sarebbe più capace di essere egoista.

Forse non dovrei augurarglielo, forse non lo merita: in effetti, suppongo di no.
Ma ho come la strana sensazione che, forse, in quella sua parte di bambino, in fondo in fondo, ci sia anche un pezzo della mia.
E, se esiste, non voglio che vada persa.
Voglio che provi gioia, che sia egoista, che viva, anche se solo dentro di lui.

E anche se vorrei non averla mai persa.
E anche se vorrei, almeno una volta, sentirne il calore.

Anche solo una volta.






[1]La scelta del sacrificio.
[2]Il medaglione.
   
 
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