PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E
TIMO
Capitolo 5
Susa, Persia.
Bahram gli sarebbe stato sempre fedele, lo intuiva
facilmente dai suoi grandi occhi innocenti e dalla devozione con cui apriva le gambe
per lui ogni notte. Non era petulante come Alessandro, che rimpiangeva solo per
l’intraprendenza – forse troppa - che sfoggiava sotto le lenzuola;
Bahram era assolutamente devoto, taceva se non interrogato ed era abile nel
sottomettersi e nell’eseguire qualsiasi tipo di ordine.
Non provava alcun rimorso per aver fatto
uccidere Alessandro, e non gli sembrava vero che la minaccia fosse ormai del tutto estinta. Sarebbe rimasto tutto così per
sempre… lui, l’uomo più potente del mondo, con
l’esercito più valoroso ai suoi ordini e tutto quello sfarzo
riversato ai suoi piedi; nessuno avrebbe mai osato rovinare la sua pace,
nessuno avrebbe mai osato sfidarlo, nessuno.
Si staccò dal corpo caldo di Bahram per affacciarsi alla
finestra. Le cime dei monti di Susa erano ricoperte di
neve, il cielo era terso e il sole splendeva più che mai. Ora avrebbe
potuto godersi tutte quelle meraviglie sgombro
dell’ansia che lo aveva attanagliato gli ultimi giorni a Persepoli;
persino i cortigiani si erano accorti che il loro re era diventato
improvvisamente più attraente, il suo viso era rilassato e i suoi modi
non più scattosi e irritanti, la sua voce era diventata pacata, quasi
dolce, e soprattutto aveva smesso di ordinare balordaggini.
«Buongiorno mio re.» Bahram trattenne un disonorevole
sbadiglio.
Dario si voltò a guardarlo con un
sorriso. «Buongiorno, mio leggiadro.»
«Il mio signore è rimasto
soddisfatto ieri notte? Ha dormito bene?»
«Certo, dolce.» si
sedette sul letto accanto a lui, scoprì lentamente il suo corpo e
passò una mano sulle sue natiche «La
tua pelle morbida è più appetitosa di una pesca.»
Bahram sorrise compiaciuto e si
allungò sul letto come un gatto. Da quando erano arrivati a Susa il suo re era cambiato radicalmente. Nessuno
l’aveva mai paragonato ad una pesca, e invece Dario l’aveva
considerato addirittura migliore!
Nella
sua mente riaffiorò una zazzera bionda contro il rosso di un tramonto.
Digrignò i denti. Ora era lui il favorito del re, e non avrebbe ceduto il posto a nessun altro. Se
mai avesse trovato Alessandro da qualche parte, non avrebbe indugiato ad
ucciderlo. E a gettarlo in un fiume.
«Dimmi, mia deliziosa
creatura.» riprese Dario avvicinandosi a lui,
incurante dell’espressione pensierosa del giovane schiavo «Mi
resterai per sempre fedele? Obbedirai a tutto quello che ti
ordinerò?»
«Ma certo,
Iskander, che ti resterò
sempre fedele. In quanto all’obbedirti, mi riserverò di
valutare prima i tuoi ordini…» ridacchiò Bagoas.
«Bene.»
Alessandro non si curò del tono del suo amichetto – che chiamare
schiavo gli sembrava ormai del tutto fuori luogo, si lavò il viso
nell’acqua di un laghetto vicino alla tenda con cui si erano appena
accampati e osservò a lungo la sua immagine riflessa. Era ansioso di
incontrare il soldato con l’orecchino. «Dici
che siamo vicini al palazzo?»
Bagoas sorrise soddisfatto. «Certo, Iskander.
Vieni con me.» afferrò il suo compagno
per una mano e lo condusse con passo deciso attraverso la foresta fin su
un’altura da cui si poteva godere di uno spettacolare panorama. Il
giovane schiavo indicò con un dito un punto non molto lontano, da cui
svettava orgogliosa la struttura di un’imponente reggia, la reggia di Susa.
«Meraviglioso»
commentò Alessandro rapito.
Bagoas sorrise. Era sempre fiero
di mostrare agli stranieri le bellezze del suo luogo di nascita, l’antica
capitale dell’Elam, e le sue splendide montagne. «Sentivo la
nostalgia di questi monti.» sussurrò
quasi tra sé e sé.
«Mi
fa piacere di essere così vicino al palazzo. Volevo
infatti chiederti di andare a vedere come se la passa Efestione.»
Bagoas
annuì, rassegnato.
«E
quando torni» riprese Alessandro schioccandogli
un bacio sulle labbra «sappimi riferire qualche informazione
interessante.»
Bagoas
annuì nuovamente, sorridendogli, e discese dall’altura per riprendere
il suo cavallo. Alessandro lo osservò allontanarsi per dirigere poi il
suo sguardo verso la reggia. Inspirò l’aria fresca della montagna
e poco dopo davanti a lui apparve la sagoma sottile e indistinta di Bagoas che
si dirigeva verso le porte del palazzo.
«Guardate
quell’Efestione!»
«Caspita,
un uomo più bello non aveva mai messo piede alla corte del re!»
«Ho
sentito dire che è arrivato dalla Macedonia per
dare servizio presso il Gran Re.»
«Oh,
dev’essere un ottimo guerriero!»
«Beata
quella che lo sposerà!»
Efestione camminava a testa alta e
a tre piedi dal pavimento nei corridoi del palazzo, attirandosi gli sguardi
delle cortigiane che sembravano apprezzare oltremodo la sua presenza e
soprattutto la disponibilità che dimostrava nei loro confronti. Abituato
ad essere ammirato e vezzeggiato, rispondeva con calore ai sorrisi più o meno allusivi che gli venivano lanciati dalle
donne più affascinanti della corte – meravigliandosi di quanto
quelle femmine ritenute così pudiche in Grecia si rivelassero poi
così audaci, intrattenendosi più che volentieri con qualunque di
loro gli lasciasse intuire qualche allettante intenzione, e durante i banchetti
seduceva anche più di due donne alla volta, conquistandosi così
la fama di inguaribile libertino.
Bagoas lo osservava da lontano
mimetizzandosi tra i servi che lucidavano i pavimenti. Il regno di Persia godeva di un’incredibile armonia dettata dalla propria
potenza: nessuno osava sfidare il Gran Re, e il giovane eunuco non aveva mai
visto un Immortale aggirarsi tranquillamente tra i corridoi del palazzo
distribuendo largamente sguardi maliziosi qua e là. Doveva
ammetterlo, sì, quell’Efestione era veramente notevole, con
quel fisico prestante e quella camminata altera.
«Ah, Bagoas.»
Una
voce profonda dietro di lui lo riscosse dai suoi
pensieri. «Mio signore.»
Dario
comparve dal nulla, accompagnato dal fedele Bahram. «Mi fa piacere
vederti al lavoro. E’ da qualche tempo che, come dire… ti avevo perso di vista.»
«Sono
solo un puntino in mezzo allo sfarzo di questa corte, mio signore.» si inchinò
esageratamente per nascondere un sorriso sotto i baffi.
«Certo.»
fece Dario con una smorfia «Spero
che senza Alessandro tu non ti senta troppo solo. Mi dispiace molto per
lui.»
Bahram
impallidì.
«Anche a me, mio signore.»
«Bene,
continua pure il tuo lavoro.» e gli diede una
pacca sulla spalla.
«Grazie,
mio re. Buona giornata.»
Dario
si allontanò, seguito a ruota dal suo fedele schiavetto.
Bagoas era a palazzo! E Alessandro dove avrebbe potuto essere? Perché
erano tornati? O forse Bagoas era tornato da solo
poiché Alessandro era morto per davvero? Bahram deglutì.
Aveva come l’impressione che i suoi sonni da quel momento sarebbero
diventati molto irrequieti.
Bagoas osservò il re
allontanarsi e rivolse di nuovo la sua attenzione su Efestione, il quale si era
fermato a scambiare due parole in greco con un commilitone. Senza neanche
accorgersene, Bagoas smise di lucidare il pavimento e nell’inutile
intento di carpire qualcosa dal loro discorso prese a fissare intensamente
l’ignaro macedone. Quando sentì una mano sottile posarsi decisa
sulla sua spalla sobbalzò.
Dietro di lui, una bellissima
donna gli stava sorridendo. La riconosceva: era una delle cortigiane che aveva
sorriso ad Efestione poco tempo prima. «E’
bello, vero?»
«Efestione?
Ah, sì.»
La
donna tirò ulteriormente le labbra, trasformando il sorriso in una
smorfia maliziosa. «Se ti interessa, prima di
sera va spesso a bagnarsi non molto lontano dal palazzo. Spesso ci siamo
incontrati là.» i suoi occhi rotearono
sognanti come per rievocare immagini di ardente beatitudine «E’ un
laghetto poco profondo all’ingresso della foresta.»
Bagoas
sorrise. «Oh, non so come ringraziarti.»
«Non
ti preoccupare. Ma ti avverto» la sua voce assunse un tono altezzoso
«a lui piacciono le donne.»
Bagoas
sospirò.
«Allora? Hai scoperto
qualcosa?» Alessandro saltellò impaziente verso il suo servo non
appena lo vide arrivare.
Bagoas
scese da cavallo con un’espressione indecifrabile. «Ne parlano tutti, a palazzo. Ha la fama del libertino. Le donne
lo adorano.»
«Ah
sì, eh? Le donne lo adorano? E lui adora le
donne?» Alessandro non amava essere paragonato ad una donna, specialmente
negli affetti di un uomo. Era fiero di sé, ed era convinto che il suo
fascino fosse irresistibile per entrambi i sessi.
«Così
sembra.»
«Staremo a vedere. E’ affascinante?»
«Sono sicuro che ti piacerà. E ho una
buona notizia per te: una donna a palazzo mi ha rivelato che viene spesso da
queste parti a bagnarsi.»
Gli occhi di Alessandro si
illuminarono. «Non dirmi… al laghetto qui vicino?»
«Esattamente.»
Alessandro già si sentì smanioso.
«Ti ha detto anche in quale momento della giornata si reca
lì?»
«Prima di sera.»
«Bene.» sorrise
deciso «Sarò lieto di aspettarlo.»
«Io starò qui. Non vorrei trovare
qualche sorpresa nel caso in cui ci allontanassimo entrambi.»
Efestione amava rilassarsi nell’aria quieta e pura delle montagne
di Susa.
Il caldo afoso di Persepoli lo sgualciva, era
terribilmente fastidioso; il tenero vento di Susa era rilassante, i suoi boschi
tranquilli gli regalavano una particolare serenità, una pace che non
aveva mai provato prima, un senso di totale fusione con la natura circostante. Quanto gli piaceva bagnarsi nell’acqua fredda di quel laghetto,
rabbrividire e lasciarsi in ammollo, pensando all’incredibile svolta che
aveva preso la sua vita. Viveva alla ricchissima corte del Gran Re di
Persia con la carica di Immortale, attorniato da donne
bellissime e vogliose, e nessuna guerra a turbare quel sogno meraviglioso, di
cui non riusciva ancora a capacitarsi.
Scese da cavallo e cominciò a spogliarsi lentamente, facendo
scivolare i suoi abiti sull’erba umida. Lasciò che il venticello
carezzasse il suo corpo nudo e si scosse leggermente in un brivido,
dopodichè si immerse lentamente
nell’acqua.
Era solo, immerso nel profondo verde di una foresta
che pareva incantata, sgombro da ogni pensiero, da ogni
preoccupazione, da ogni armatura.
Inspirò profondamente.
Si spogliò
silenziosamente e saggiò l’acqua con la punta del piede,
rabbrividendo per tutto il corpo.
L’istinto guerriero di
Efestione percepì una presenza incombente alle sue spalle e di
scatto il soldato uscì dall’acqua, raggiunse i suoi abiti e prese
un pugnale che portava sempre con sé, per non permettere a nessuno di
coglierlo alla sprovvista, nemmeno durante il bagno. Quando
si girò per puntarlo addosso al suo presunto aggressore, però, si
fermò improvvisamente. Davanti a lui si stava immergendo un giovane che
pareva avere all’incirca la sua età, non molto alto, snello, che
lo fissava coi suoi grandi occhi grigi in modo
decisamente imbarazzante. Brandì il pugnale contro di lui con non molta
convinzione, indeciso sul da farsi. L’uomo era nudo, senz’armi, e
non sembrava avere intenzione di combattere. «Chi sei?
Chi ti manda?» disse in persiano stentato.
Alessandro si allungò con qualche agile bracciata e fece scorrere
l’acqua su tutto il suo corpo, osservando l’uomo davanti a lui,
cercando di nascondere il suo indecoroso eccitamento, come gli era stato
insegnato prima di entrare alla corte del Gran Re. Efestione era sfacciatamente
bello, nudo, solido, con un’espressione di insolenza
stampata sul viso glabro, e quell’adorabile smorfia del labbro inferiore,
un misto tra tensione battagliera e ingenua sorpresa.
«Non hai sentito?» riprese Efestione, avvicinandosi
minacciosamente.
Alessandro sorrise, ergendosi davanti a lui,
quasi sfidandolo. Efestione si meravigliò: quel giovane disarmato, e a
giudicare dalla pelle completamente liscia nemmeno avvezzo
ai combattimenti, non sembrava aver alcun timore del suo pugnale.
«Non mi manda nessuno» rispose
Alessandro in greco «Sono di un villaggio vicino, vengo spesso qui a
bagnarmi.»
Efestione lo osservò più attentamente: c’era
qualcosa di strano nel suo aspetto quasi etereo, in quella cascata di capelli
biondi, in quegli occhi luminosi che non si
abbassavano mai, in quella pelle chiara e levigata. Se l’occhio non lo
ingannava, poteva avere all’incirca venticinque anni,
non era castrato, e non aveva segni di alcun tipo sul corpo, pareva quasi
finto. E i lineamenti rilassati, l’energia che
sprigionava il suo corpo e uno spruzzo roseo sulle sue guance facevano
chiaramente capire che quel giovane non era avvezzo nemmeno alla miseria.
Si chiese che posto potesse avere nella società. «Tu… sei
greco?»
«I miei genitori erano greci… ma sono morti quando io ero molto piccolo. Vivo
qui praticamente da sempre. Mi chiamo Erodione.»
Efestione gettò il pugnale a terra.
«Io sono macedone. Mi chiamo Efestione.»
«Piacere di conoscerti,
Efestione.» i suoi occhi scorrevano sul corpo
del soldato macedone più rapidi e fluenti dell’acqua. «Sei
un soldato?» e si immerse nuovamente,
lentamente, lentamente, esibendo la flessuosità del suo corpo ad ogni
singolo movimento.
Efestione non si era mai sentito così imbarazzato, immobilizzato
dagli occhi e dalle movenze di quello strano ragazzo che sembrava saper fare le
fusa meglio di un gatto. «Faccio parte degli Immortali.»
«Oh.» fece
Alessandro, affondandosi completamente nell’acqua e riemergendo poi
subito dopo, gettando i capelli all’indietro «Quindi…
sei al servizio del Gran Re. Devi essere un ottimo guerriero…»
Efestione spalancò gli occhi,
incredulo. Dall’orecchio di quel ragazzo, prima nascosto dai
capelli… pendeva il suo stesso orecchino!
Alessandro si mise a giocherellare malizioso con il gioiello
d’oro, tenendo lo sguardo fisso su Efestione. «Ti piace? Oh, che
coincidenza… a quanto pare tu ne possiedi uno
uguale…»
Efestione non credeva ai propri occhi. La sua anima gemella, la persona
che da tempo desiderava conoscere, la bellissima donna dei suoi
immaginari… era in realtà un uomo. Un maschio come lui. Per un
attimo avvertì un senso d’asfissia, ma non riuscì a
staccare gli occhi da Erodione. Deglutì.
«Anche a te è stata detta la stessa cosa?»
continuò Alessandro mentre si sedeva accanto a
lui.
«Cosa?»
rispose confuso il soldato. Non voleva assolutamente sentire dalle labbra di
quello strano individuo quello che purtroppo
già sapeva!
«A me è stato detto
che non sarei riuscito a sfilarmi questo orecchino fino a che non mi fossi
unito con la mia anima gemella, l’unica persona al mondo che possiede
l’altro orecchino del paio.»
Unito. Sì,
dannazione, anche a lui era stata detta la stessa cosa! Unito. Erodione era dunque la sua anima gemella? Avrebbe dovuto
unirsi con lui? Con un uomo? Un uomo come lui?
Alessandro si sentì offeso. Efestione sembrava riluttante nei
suoi confronti, privo del tutto dell’entusiasmo che si era aspettato di
vedere. Sapeva di essere bello, e si sentiva
irrimediabilmente ferito ogni volta che veniva rifiutato.
«Ma guarda un
po’ com’è meschino il Fato!» Efestione
sdrammatizzò la situazione con una leggera risata. «La mia anima
gemella, la persona a cui penso tutte le notti prima
di addormentarmi, sei tu!»
Alessandro si strinse tra le proprie braccia.
«Cosa c’è di male?»
Efestione sembrava cominciare a divertirsi.
«Ti sei visto? Sei un uomo!»
«E
allora?»
Efestione gli si avvicinò e protese una
mano fino a toccare il suo petto «Hai un bel corpo.» e la fece poi scivolare lungo l’addome scolpito.
«Ma sei duro.»
Alessandro si sentì avvampare al tocco
della sua mano, fece per afferrarla ma Efestione fu
più rapido di lui a ritirarla.
«Non mi piacciono gli uomini come
te… come me. E per giunta non sei neanche castrato! Se
proprio dovessi finire a letto con un uomo, sceglierei un morbido
eunuco!»
Alessandro non credeva alle proprie orecchie. Quel soldato, la sua anima
gemella, l’unica persona al mondo a possedere l’altro orecchino del
paio, l’aveva apertamente rifiutato, deriso! E lui che aveva seguito la
corte del Gran Re, vivendo nelle foreste come una fiera, lui, che mai aveva
conosciuto la miseria e che mai in vita sua si era trovato a
inseguire un animale per assicurarsi il pasto; e l’unico motivo per cui
aveva fatto tutto questo si era rivelato tristemente vano.
«A me piacciono le donne! Soffici, sensuali, calde…»
Alessandro si ritrovò incapace di
ribattere. Guardò Efestione che si chinava a
raccogliere i suoi abiti e si rivestiva velocemente, per poi girarsi verso di
lui con un sorriso strano a fior di labbra. «Addio, Erodione!
Vivrò una vita senza l’amore, forse, ma ne ho sempre saputo fare a
meno, e preferisco che sia così.» e montò sul suo cavallo per avviarsi lesto verso il
palazzo.