CAPITOLO IV
Per un istante d'estasi
Noi paghiamo in angoscia
Una misura esatta e trepidante,
Proporzionata all'estasi.
Per un'ora diletta
Compensi amari d'anni,
Centesimi strappati con dolore,
Scrigni pieni di lacrime.
(E. Dickinson)
Orlando si guardò attorno un tantino confuso e ricontrollò l’indirizzo che
aveva scritto velocemente pezzetto di carta. Non c’erano dubbi, 127 Keeley Street era proprio quello,
e lui aveva parcheggiato il fuoristrada proprio davanti alla porta di un
oratorio!
Si chiese per
l’ennesima volta se Sandra non avesse voluto prenderlo
in giro ma l’amica di Dom gli era sembrata piuttosto
seria, al telefono, quando lui le aveva chiesto notizie di Ashton
e un indirizzo presso cui rintracciarla
- Perché la vuoi rivedere? – gli aveva chiesto a bruciapelo,
sentita la sua richiesta.
Lui era rimasto un
tantino interdetto. Che razza di domanda era? Quale è il motivo per cui di solito un uomo vuole incontrare
una puttana?
Si era schiarito la
voce, cercando un risposta che non la offendesse – Per
la verità… avrei bisogno di parlarle –
Se Sandra si era
accorta della sua esitazione il suo tono di voce era
rimasto immutato e professionale
– Va bene, la
troverai a questo indirizzo domani pomeriggio verso le
quattro. –
Aveva dettato
rapidamente e con sicurezza, indicandogli anche la via più breve da percorrere
con l’auto, mentre Orlando accoglieva ogni numero con maligna soddisfazione, ma
alla fine Sandra aveva esitato un istante
- Orlando, non è
tutto come sembra. Ashton è… beh,
te lo spiegherà lei. -
L’aveva ringraziata
per l’aiuto e si erano salutati, dandosi appuntamento per una delle pazzesche
feste di Dominic. Si era dovuto trattenere dal
correre all’indirizzo indicatogli ma il giorno dopo si presentò
puntuale in Keeley Street pronto a consumare la sua
vendetta.
Adesso era lì, di
fronte ad un cancello dalla targa piuttosto vecchia ed annerita sulla quale
erano ancora visibili i caratteri sbiaditi che recitavano “Oratorio
e Casa del Sacro Cuore”.
Sotto l’insegna un campanello portava il nome di Padre William Dowell.
Controllò
l’indirizzo ancora una volta ma non c’erano dubbi e Sandra era
stata parecchio precisa. Spinse il cancello ed entrò nel cortile dove un
nutrito gruppo di ragazzini piuttosto malmessi, di età
variabile tra i sette e gli undici anni stava tirando calci a un pallone su un
campetto di terra battuta che si allargava alla sinistra dell’ingresso, mentre
un gruppo di bambine, più o meno coetanee si rincorreva giocando a mosca cieca
proprio davanti all’ingresso dell’oratorio.
Dalla porta della
canonica né uscì una suora con un vassoio di metallo pieno di fette di pane
ricoperte di uno spesso strato di una crema scura che a prima vista sembrava marmellata e immediatamente tutti i bambini interruppero i
loro giochi e le si affollarono intorno, allontanandosi poi, una volta ricevuta
la propria preziosa merenda. Quando la donna ebbe
finito di distribuire anche l’ultima fetta di pane si accorse di lui
- Buonasera – lo
salutò con tono garbato - Desidera qualcosa? –
Orlando rimase per una attimo interdetto – Io, per la verità… -
Con una veloce
valutazione la suorina prese nota degli abiti
firmati, gli occhiali scuri, la costosa giacca di pelle che lui indossava e
lanciò un’occhiata al fuoristrada parcheggiato davanti all’entrata
- Immagino proprio
che lei voglia vedere Padre Dowell – concluse senza
aspettare una risposta, pienamente certa di avere di fronte un possibile
benefattore – Si accomodi, sarà molto felice di
riceverla –
Prima che potesse sottrarsi alla loro presa energica, le mani della
suora lo spinsero verso la canonica, introducendolo in un piccolo e disordinato
studiolo dove un uomo di mezz’età, dai capelli brizzolati, scriveva
frettolosamente delle cifre, seduto dietro una scrivania di legno dozzinale.
- Padre, questo
signore era fuori in cortile. Immagino voglia parlare con lei. -
Il prete alzò lo
sguardo verso di lui e smise immediatamente di scrivere
- Oh ma certo –
esclamò alzandosi e andandogli incontro – Buonasera e benvenuto. Io sono padre Dowell. -
Orlando dette una
rapida occhiata in giro e, non sapendo neppure lui che cosa rispondere, cercò
di prendere tempo
- Buonasera, padre.
Mi dispiace di averla disturbata. Vedo che era impegnato a fare i conti. – disse indicando la lunga
fila di numeri che affollava i fogli sparpagliati
disordinatamente sulla scrivania.
Il sacerdote alzò
le spalle quasi con aria contenta – Non si preoccupi.
– disse fregandosi le mani, sotto lo sguardo severo della suorina - C’è sempre tempo per aggiornare i conti. –
Entrambi udirono lo sbuffo seccato provenire da quest’ultima e il
sorriso di padre Dowell si fece più ampio – Anche se
suor Mary insiste sempre perché io mi dedichi con più precisione alla tenuta
della contabilità. – precisò con una pia aria seria che lo fece apparire ancora
più buffo. Gli strinse la mano con energia - Lei è? -
- Orlando Bloom. -
- E’ un piacere
conoscerla, Mr. Bloom. Cosa
posso fare per lei? -
Ad Orlando quel
parroco dai modi spicci, che assomigliava terribilmente ad un semplice curato
di campagna, piacque immediatamente.
- Per la verità
stavo solo dando un’occhiata. – ammise un pochino
imbarazzato
Padre Dowell gli fece cenno di accomodarsi – Non si preoccupi, suor Mary deve averla presa per un possibile
benefattore e si è affrettata a condurla da me – rise di gusto il parroco,
ignorando il nuovo sonoro sbuffo della suorina. Anche Orlando sorrise e si sedette sulla sedia indicatagli
mentre suor Mary usciva dalla stanza borbottando che avrebbe preparato il tè.
Quando al porta si fu chiusa alle sue spalle padre Dowell intrecciò le mani sul ventre
- Mi deve perdonare
ma non ci capita tutti i giorni di avere ospiti. – confessò con un sorriso – La
nostra è una semplice struttura assistenziale dove
forniamo vitto e alloggio a minori con situazioni familiari a rischio. I
ragazzi che ha visto la fuori sono orfani oppure
provengono da famiglie dove i genitori, drogati, alcolizzati o in carcere, non
sono assolutamente in grado di occuparsi di loro. Noi cerchiamo di fornire un
alloggio e di mandarli a scuola in modo che poi possano trovarsi un lavoro e
abbandonare l’istituto. – Padre Dowell si interruppe – Ma forse a lei queste cose non interessano…
- disse, osservando perplesso la costosa giacca di pelle, gli anelli che
ornavano le mani eleganti e nervose, la bandana blu avvolta attorno al suo
polso destro che spuntava da sotto il posino slacciato della camicia - Posso
chiederle che mestiere fa? -
Orlando si dimenò
sulla sedia un tantino a disagio sotto lo sguardo scrutatore del sacerdote
- Sono un attore. -
- Capisco. – Padre Dowell si raddrizzò sulla sedia puntandogli addosso i suoi occhi penetranti – Perdoni la domanda
impertinente: è famoso? -
A Orlando venne
quasi da ridere. Gli sembrava di essere sottoposto ad un interrogatorio in
piena regola
- Quanto basta. –
replicò divertito.
Anche Padre Dowell sorrise
- Allora mi dice
perché Orlando Bloom, l’attore famoso, è venuto nel
mio oratorio? -
- Per la verità sto
cercando una persona – ammise cauto – una mia … amica
mi ha detto che avrei potuto trovarla qui. -
Il
sacerdote sorrise comprensivo
- Forse posso
aiutarla, allora. -
- Si chiama Ashton. –
Sul viso di Padre Dowell si allargò un sorriso compiaciuto
- La piccola Ashton! Si certo che è qui. Oggi
dovrebbe essere di la a dare una mano in cucina. Quando torna suor Mary gliela faccio chiamare. -
Orlando fece del
suo meglio per non strabuzzare gli occhi.
Piccola? Quanto piccola?
Ripercorse
brevemente i ricordi sfuocati di quella sera a casa di Elijah e il suo cervello iniziò a rotolare come un masso
giù da una collina. Ashton era stata terribilmente seducente nel suo abito semi-trasparente, più bella e più
misteriosa di tutte le altre donne presenti alla festa, e quando avevano
ballato gli era apparsa genuinamente felice di essere lì con lui. Ma poi…
Nella
sue orecchie si accavallarono le considerazioni di Dom
su come Ashton fosse apparsa un tantino spaesata
quella sera e contemporaneamente gli vennero in mente i tentativi di lei di
sfuggirgli, una volta saliti in camera da letto. Al momento non vi aveva fatto
troppo caso, pensando che fosse solo una ritrosia ben recitata ma era rimasto
sorpreso quando Ashton non si era completamente
abbandonata al suo bacio. La pressione di quel corpo flessuoso contro il suo e
il candore eburneo del suo seno nudo, quando lo aveva scoperto slacciandole la
spallina dell’abito, gli avevano fatto perdere completamente la testa. Poteva
ancora ricordare la liscia compattezza della pelle di lei
sotto le sue dita e il suo incredibile profumo.
L’aveva sentita
ansimare di sorpresa quando le aveva posato il palmo
della mano sul seno…
Una ragazzina era
l’ultima cosa che gli ci voleva.
Riusciva già a
vedere i titoloni stampati sui giornali di gossip: “Festino a luci rosse a casa di Elijah Wood: l’attore Orlando Bloom in compagnia una ragazzina”, “Orlando Bloom
denunciato per aver cercato di sedurre una ragazza”, oppure “Stella nascente di Hollywood abborda
prostituta minorenne alla festa della casa di produzione per il lancio del suo
ultimo film”. Di male in peggio.
Robin Baum, la sua agente, lo avrebbe impalato vivo e, se avesse
potuto, Orlando l’avrebbe aiutata con le sue stesse mani.
Santo Cielo, cosa aveva combinato?
Improvvisamente si
sentì soffocare.
Il sacerdote si era
nuovamente rilassato sulla sua poltrona e gli stava chiedendo qualcosa. Orlando
scosse leggermente la testa, cercando di concentrarsi ma, prima che potesse mettere insieme un commento sensato, la porta alla
sue spalle si aprì e un vassoio con tazze, zuccheriera e teiera fumante fece il
suo ingresso, abilmente sostenuto da piccole mani capaci.
Orlando si voltò,
grato per quel piccolo diversivo, e Padre Dowell
sorrise compiaciuto.
- Eccoti qui, Ashton cara, c’è una persona che ti sta cercando. -
Il vassoio venne posato bruscamente sul tavolo e Orlando si trovò a
fissare un paio di sbalorditi occhi color zaffiro che lo fissavano sconvolti.
Ashton era lì, di fronte
a lui ma, al posto del luccicante abito di seta bianca, indossava un paio di
jeans e un maglione blu, al quale aveva rimboccato provvisoriamente le maniche.
Aveva i capelli raccolti in una grossa treccia che le penzolava
sulla schiena e alcune ciocche sfuggivano ribelli, arricciandosi ai lati del
viso minuto.
Sembrava
terribilmente giovane e anche parecchio imbarazzata.
- Tu… - la udì
mormorare.
Il suono di quella
voce dolce ed esitante lo riscosse, facendogli riguadagnare immediatamente la
padronanza di sé. Evidentemente quell’imbrogliona non pensava ricontrarlo così
presto!
- Sì, io. – disse
con una punta di maligna soddisfazione vedendola impallidire.
Padre Dowell si fregò le mani contento –
Uhm, bene, vedo che vi conoscete. E’ uno dei tuoi clienti Ashton?
-
- Ehh? – Orlando si voltò di scatto verso il sacerdote a metà
strada tra l’incredulo e lo sbigottito. Come poteva quell’uomo di chiesa essere
a conoscenza del “mestiere” della ragazza senza biasimarla?
Ashton fissò il sacerdote
e rispose senza battere ciglio – No, padre Dowell. E’
solo… un conoscente. – disse dopo un attimo di esitazione.
- Capisco. – l’uomo
di Chiesa fissò prima l’uno e poi l’altra con il suo sguardo penetrante – Immagino che se Mr. Bloom è venuto
qui a cercarti abbiate qualcosa di cui parlare perciò… - fece per alzarsi dalla
sua poltrona ma Ashton lo fermò terrorizzata all’idea
di rimanere sola in una stanza con quell’uomo.
- No! – disse precipitosamente – No, la prego, padre. Noi… noi
faremo un giretto nel chiostro. -
Padre Dowell alzò le mani in segno di resa, lanciando un’occhiata
dispiaciuta alla pila di conti – Come volete. – disse,
mentre Ashton si precipitava verso la porta. Dopo un
breve cenno di saluto Orlando la seguì ma si rese immediatamente conto che la
ragazza sembrava aver messo le ali ai piedi.
- Perché sei venuto
qui? – lo apostrofò bruscamente, attraversando il
campetto da calcio senza minimamente rallentare il passo – Chi ha dato il mio indirizzo e soprattutto che cosa vuoi? -
Il tono di voce e
l’atteggiamento sbrigativo di lei gli fecero montare immediatamente il nervoso.
- Finire quello che
abbiamo cominciato la sera della festa, direi. – le
rispose brutalmente.
Ashton boccheggiò
sconvolta e si fermò di botto. Quelle parole erano state dette con una calma
incredibile ma dato il loro significato le parve che
fossero state urlate ai quattro venti. Erano arrivati al limitare meridionale
del chiostro attorno al quale si estendeva la canonica, nel punto più solitario
dell’intero oratorio ma Ashton si guardò attorno con
circospezione quasi temesse che qualcuno potesse avere
udito.
- Tu sei pazzo! –
esclamò, ma Orlando incrociò le braccia sul petto e un sorriso sarcastico prese
ad aleggiare sulle belle labbra
- Forse a volte
faccio cose un po’ strane ma pazzo direi proprio di no. – replicò serafico. Il sorriso scomparve repentinamente
dal suo volto facendo posto ad un espressione dura – E
ti assicuro che in questo momento sono terribilmente serio. - Si chinò
leggermente su di lei e Ashton si sentì mancare la
terra sotto i piedi mentre le sussurrava all’orecchio – Ho appena assaggiato le
briciole, Ashton, e le ho
trovate deliziose. Adesso voglio gustare tutto il resto. -
Lei si allontanò di scatto spaventata dalle sue parole e dal luccichio
pericoloso dei suoi occhi scuri. Fece un profondo respiro cercando le parole
adatte per placarlo e ricondurlo alla ragione ma dalle sue labbra uscì solo un
confuso balbettio
- Ti prego, hai davvero frainteso. Io… io non faccio quello che
fa Sandra. Mi trovavo lì per caso e
dispiace per l’altra sera,
non volevo colpirti. – disse notando il leggero segno che era ancora visibile
sul suo naso.
Orlando la guardò
con un espressione incredula dipinta sul bel viso che
pareva dire: raccontalo a tua nonna!, ma
Ashton continuò imperterrita cercando di spiegargli
il suo comportamento
- Avevo bisogno di
soldi – confessò, distogliendo gli occhi dallo sguardo di lui
che pareva incenerirla – e Sandra mi aveva promesso trecento sterline se fossi
andata con lei a quella festa. So che Sandra e le altre
ragazza a volte hanno dei comportamenti più… liberi ma lei mi aveva
promesso che non ci sarebbero stati problemi. – Fece una pausa in preda alla
vergogna – Mi dispiace se ti ho… rovinato la serata,
non era mia intenzione. -
Orlando la fissò,
irritato da tanta sfacciata ipocrisia.
Quell’accenno al
bisogno di soldi aveva spazzato via ogni altra giustificazione e con una rapida
occhiata valutò brevemente gli abiti della ragazza. Se
prima aveva potuto nutrire qualche dubbio adesso la verità
gli balzava agli occhi come un’insegna illuminata da luci al neon.
- Trecento sterline! Certo che la tua amica si è tenuta un bel
gruzzolo dal momento che ha spillato a Dom mille
sterline a ragazza per la festa – esclamò sarcastico –
E ti assicuro che era molto chiaro il motivo per cui vi trovavate lì – Si batté
l’indice sul mento con fare derisorio - Chissà perché mi sembra piuttosto
improbabile che una ragazza venga ad una festa come quella, agghindata con un
vestito come il tuo, se non desidera trovarsi una compagnia per la notte. –
replicò duramente.
Ashton scosse la testa
costernata - Io non sono
un’accompagnatrice e il vestito mi è stato prestato da Sandra – replicò con
voce soffocata.
Orlando tirò
indietro la testo di scatto: improvvisamente Ashton gli parve molto giovane e incredibilmente fragile.
Un pensiero lo
colpì alla mente come una stilettata.
L’afferrò per un
braccio facendole alzare lo sguardo verso di lui - Quanti anni hai? – le chiese all’improvviso
Lei sussultò come
se fosse stata scottata
- Lasciami! Non
vedo cosa… - esclamò, cercando di divincolarsi ma egli le strattonò il braccio
imperterrito scrutando i lineamenti di lei quasi
potessero fornirgli una risposta.
Non quattordici. Ti prego non può
avere quattordici anni.
Con una brusca
tirata Ashton riuscì a liberarsi dalla sua presa
- Diciassette –
ringhiò massaggiandosi il braccio, certa di aver lasciato nelle dita di lui qualche brandello di pelle – Vado per i diciotto,
fra un paio di mesi. -
Lui la fissò un
tantino più sollevato. Certo sembrava molto più giovane ma, perlomeno, a
diciassette anni non gli dava l’impressione di aver cercato di sedurre una
bambina.
- Sembri più
giovane. – mormorò stupidamente.
Gli occhi di Ashton lo fulminarono – Fortunatamente non lo sono, per bontà tua –
rispose tagliente - Altrimenti avresti dovuto giustificare le tue malsane
tendenze nei confronti di una ragazzina. -
Orlando si irrigidì
- Rimane il fatto che tu dovresti spigare a quel sacerdote che
sembra averti così tanto in simpatia le tue tendenze da sgualdrina – ribatté
crudele – Anzi forse è il caso di andare a chiarire questa cosetta una volta
per tutte. -
Ashton arrossì di colpo,
infuriandosi – Sei… sei un bastardo – balbettò, in
preda ad una collera crescente – Non sai quello che dici! -
Lui la squadrò
beffardo da capo a piedi – Credo, invece di saperlo molto bene.- disse con un
tono di sufficienza – Ma scommetto che quel brav’uomo
di padre Dowell non sa niente delle tue feste a luci
rosse in compagnia di Sandra. – Si chinò leggermente fino a guardarla negli
occhi – Di giorno tutta pia all’oratorio e di sera a fare l’accompagnatrice a
pagamento alle feste. Credi che sarà orgoglioso di te? -
Il colore defluì
dal volto di Ashton che
divenne terreo
- Non avrai
intenzione di raccontargli di quella sera, vero? – gli chiese agitata.
Orlando assunse
volutamente un’aria pensosa
- Uhm… per la
verità… non saprei… - mormorò come se stesse valutando la cosa.
Ashton gli afferrò il braccio con entrambe le mani – Non puoi farlo!
Per favore! -
Lui le afferrò
entrambe le mani allentando la stretta sul braccio, fissando l’espressione
sconvolta sul volto di lei
- Be… dipende. -
Ashton ammutolì. La testa
iniziò a girarle vorticosamente. Era esausta. Dalla morte di nonna Martha non
era più riuscita a dormire bene e iniziava ad avvertire un
certa spossatezza fisica. Adesso quell’uomo che si faceva avanti con le
sue allucinanti pretese, era davvero troppo!
- Senti – disse, cercando di riacquistare un po’ di calma – Non so
cosa ti sia messo in testa ma ti assicuro che sei completamente fuori strada.
Conosco Sandra perché vado a fare le pulizie nel suo appartamento ma è stato un
puro caso che io sia andata a quella festa. -
- Un puro caso, eh?
-
- Sì. Io non faccio
quelle cose. Frequento l’ultimo anno della scuola superiore e al pomeriggio faccio le pulizie per mantenermi gli studi. -
- Le pulizie, eh? -
Di fronte alla sua
ennesima retorica domanda Ashton perse le staffe
- Si, le pulizie! –
esclamò esasperata – E non me ne frega un accidente se
non mi credi. Mi dispiace per l’altra sera ma adesso voglio solo che tu te ne
vada e che la pianti di angosciarmi! -
Un rumore di passi
alle loro spalle li fece voltare e Ashton si girò
come una furia e si trovò a guardare negli occhi stupiti di Peter
O’Toole che
aveva assistito alla scena
- Ashton… - Peter li squadrò
entrambi, soprattutto Orlando. Sembrava quasi imbarazzato dall’aver assistito
all’esplosione di lei – C’è qualche problema? -
Il viso di Orlando da stupito assunse un’espressione di ironico
divertimento
- Ecco un valoroso
paladino in tua difesa. Dimmi Ashton, quanti altri ne
sbucheranno fuori? -
Lei si volse verso Peter, fulminando Orlando con un’occhiataccia.
- Non c’è nessun
problema Peter, davvero – rispose
ma il giovane medico stava guardando Orlando con un’espressione di profondo
stupore dipinta sul viso
- Ma lui è… - balbettò
- Lo so chi sono –
Orlando liquidò bruscamente il giovanotto e inforcò gli occhiali scuri –
Salvata in extremis a quanto pare. – disse chinandosi leggermente su di lei – ma
non pensare che questo chiuda la questione. Hai detto
che ti occupi di fare le pulizie, vero? Direi che in questo momento ho giusto
bisogno di una cameriera. -
Ashton sgranò gli occhi sorpresa dalle sue parole ma Orlando non vi fece
caso. Aveva agito così, d’impulso e,
dopotutto, perché no? Due piccioni con una fava!
Forse con lei era
solo una questione di tempo. Dovevano imparare a conoscersi un po’ meglio,
giocare ancora per un po’ i loro ruoli e poi gli si sarebbe
concessa come tutte le altre. Mentalmente si fregò le
mani compiaciuto di se stesso: aveva trovato il modo di riagganciare Ashton e con la casa in ordine Samantha avrebbe smesso di
dargli il tormento.
- Stai scherzando?
-
Lui le gettò un’occhiata
di sfuggita – No, affatto. - Con fare noncurante estrasse una penna e un
sottile cartoncino bianco dalla tasca interna della
giacca e vi scribacchiò velocemente su qualcosa – Questo è l’indirizzo di casa
mia, ti aspetto domani pomeriggio. – Fece una piccola pausa studiata ad arte
che le fece correre un brivido lungo la schiena – Credo che tu possa immaginare
le conseguenze se non verrai… e ah, dimenticavo: porta
stracci e spazzolone. – concluse con una punta
di sarcasmo, ficcandole il biglietto in mano.
Ashton lo prese
meccanicamente e prima che lei o Peter potessero ribattere Orlando si allontanò senza neppure
voltarsi indietro.
*****
- Che succede darling? – Melissa rotolò
sul materasso e con la mano sinistra gli sfiorò la coscia muscolosa – Sei
stato incredibilmente silenzioso per tutta la sera. -
La camera da letto
della ragazza, arredata negli eleganti toni del panna
e del ciliegia, era illuminata dalla morbida luce proveniente da una lampada
velata da un drappo di seta leggera, quasi a conferire all’ambiente l’intima
atmosfera di un harem orientale. L’alta figura, indubbiamente maschile,
dell’uomo disteso sul letto sfatto sembrava quasi un’intrusione con la sua
ruvida e nuda bellezza in quel delicato gineceo.
Al delicato tocco
di lei sulla gamba Orlando si sedette sul bordo del letto e si
infilò i boxer – Non è nulla, Lissa. Sono solo un po’ stanco. – disse, raccogliendo da terra i jeans. Non era vero ma quella stanza, quell’ambiente e
soprattutto la presenza di lei gli risultavano per la
prima volta fastidiosi.
- Tu lavori troppo.
– commentò Melissa - Perché non vieni a stenderti qui?
– lo invitò gentilmente, accarezzandogli il braccio – Ti faccio
un bel massaggio rilassante e vedrai che dopo una buona notte di sonno ti
sentirai come nuovo. -
Orlando si sottrasse alla sua stretta con dolcezza, non aveva voglia di
rimanere. Non riusciva quasi ad ammetterlo neppure con se stesso ma, mentre si
trovava a letto con lei nel culmine della passione, dietro le palpebre chiuse
dei suoi occhi, i capelli biondi della ragazza erano diventati
color mogano e le sue iridi azzurro cielo si erano scurite fino a
raggiungere un’incredibile sfumatura blu, il colore degli zaffiri.
Ashton. Di nuovo lei. Si incupì un tantino per quell’intrusione indesiderata.
- Grazie Lissa, ma è tardi ed è meglio che vada. – disse, evitando
di guardarla in volto.
Melissa gli passò l’unghia curata sulle costole magre
– Potresti dormire qui da me. – disse, facendogli inarcare un
sopracciglio.
Orlando si sottrasse al suo tocco e lei lo fissò allontanarsi un po’
dispiaciuta ma non insistette.
Si riadagiò tra i cuscini e lo osservò alzarsi
con l’agile eleganza di un felino e attraversare la stanza per recuperare i
propri indumenti, ammirandone in silenzio le larghe spalle e il dorso abbronzato,
che andava assottigliandosi fino alla vita stretta e alle natiche solide. Lui
le diede la schiena, allacciandosi la cintura dei
jeans, e la ragazza poté vedere la perfetta simmetria di quel corpo statuario
sfregiata dalla lunga cicatrice che correva parallela alla sua colonna
vertebrale, in ricordo di quel terribile incidente di qualche anno prima, su
cui tutti i giornali avevano speso mari di inchiostro, raccontandolo in mille
differenti versioni. Era proprio quella vistosa
imperfezione che rendeva l’altrimenti irraggiungibile Orlando Bloom più umano e meno invincibile ma Lissa
sapeva quanta sfrontata tenacia e l’inflessibile ostinazione che si
nascondevano dietro quel sorriso cortese e quelle maniere da perfetto
gentiluomo inglese.
Lei, una tipica bellezza californiana tutta bionda con gli occhi
azzurri, era rimasta affascinata da quell’uomo enigmatico, fin dal loro primo
incontro, durante le riprese di “Haven”, un film che
avevano girato ai Carabi l’estate precedente e di cui lui era stato anche
produttore.
Da un attore che già veleggiava nell’olimpo delle star Melissa si sarebbe aspettata molto più distacco ma Orlando
era apparso immediatamente come una persona molto affabile, che disdegnava gli
atteggiamenti da primadonna che avevano certi suoi colleghi e che si piazzava
sempre in prima fila quando c’era da combinare qualche casino. Il suo forte
senso di cameratismo, condito da un’esuberante entusiasmo
e dal suo fascino devastante, l’avevano letteralmente conquistata ma all’epoca
Orlando era ancora fidanzato con Kate Bosworth e lei era solo una giovane attrice
esordiente.
La loro relazione era iniziata esattamente tre settimane dopo che Orlando si era piantato con l’attrice americana e Melissa trovava estremamente divertente che, dopo essere stata la causa ingiustificata della rottura del loro rapporto, Orlando fosse finito proprio nel suo letto.
L’attrazione tra loro era stata molto forte e Melissa l’aveva voluto con tutta se stessa; grazie anche alla continua frequentazione di lavoro, si erano visti spesso. Non c’era nessun accordo fra loro, nessuna promessa, nessun vincolo. Si vedevano quando capitava, per trascorrere un paio di piacevoli ore entro i confini intimi di una stanza da letto, senza ipocrisia e paranoie varie. Andava bene così.
Lissa adorava stare con Orlando. Era un amante appassionato ed esigente e le piaceva assaporare con lui quella strana sensazione di complicità che porta l’avere condiviso i gemiti e le lenzuola, ma sapeva benissimo che fra loro non avrebbe mai potuto esserci nulla di serio.
Orlando l’aveva
messo in chiaro fin dal principio: si erano incontrati in un momento
particolare della loro vita e trovavano piacevole la reciproca compagnia finché
i rispettivi impegni lavorativi non li avessero allontanati. Punto.
Non avevano nessun legame e, nonostante ci fosse tra loro una certa complicità, lui non le aveva mai permesso di addentrarsi a scoprire le sue emozioni più vere e profonde. Era come se al di là dell’intimità artificiale che condividevano ci fosse una barriera oltre la quale solo poche e selezionatissime persone erano autorizzate ad andare. E lei non era una di quelle. Se a volte capitava che si azzardasse a sconfinare, cercando di portare alla luce qualcosa di Orlando, l’uomo, una maschera di bonario distacco calava immediatamente sul bel viso dell’attore, con la conseguenza di farla rientrare immediatamente nei ranghi. Non le era mai importato molto eppure, a volte, in momenti come quello, Melissa avrebbe pagato qualsiasi cosa per riuscire a comprendere cosa passasse per la mente di Orlando, quali pensieri nascondessero i suoi impenetrabili occhi scuri.
Fece un altro tentativo.
Si alzò da letto nuda e gli si avvicinò, catalizzando l’attenzione di lui sul suo corpo dalle forme generose
- Davvero non posso
proprio fare niente per convincerti a rimanere? – gli chiese, passandogli le
braccia attorno al collo e accarezzando i corti riccioli sulla nuca. Lui la
fissò con uno sguardo impudente e un mezzo sorriso gli sfiorò le belle labbra
- No, Lissa, grazie. – le rispose gentilmente, sfiorandole la
guancia con un dito e voltandosi a prendere la giacca.
Lei incrociò le
braccia sul petto, incurante della propria nudità.
- Chi è? – chiese
con formidabile intuito
Orlando si voltò
confuso – Eh? -
- Su, Orlando – Lissa si mise a ridere – non prendermi in giro. Sei distratto, immusonito: tutti sintomi piuttosto evidenti.
Ti piace qualcuna e vorrei sapere chi è e dove l’hai
incontrata. -
Lui si infilò la giacca di pelle – Non so di cosa stai parlando.
-
Lissa gli si strinse contro,
sfiorandogli le labbra con un bacio – Vorrei sbagliarmi, – mormorò scrutando
con attenzione lo sguardo ombroso di lui – perché questo significa
che i nostri incontri sono destinati a finire presto. -
Orlando non rispose
e lei, indossata una leggera vestaglia di seta lo accompagnò fino alla porta.
Si salutarono e Lissa rimase a guardarlo, fino a che
il capo bruno di lui non sparì dietro la tromba delle scale.
Si chiuse il
pannello della porta alle spalle.
Sinceramente non
avrebbe saputo dire se in futuro si sarebbero rivisti ma una cosa era certa: Orlando aveva per la testa un’altra donna e lei
avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscere il nome di colei che popolava i suoi
pensieri.