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Autore: Marguerite Tyreen    09/02/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo II: Friendship in a box
 
 
Il viso di Liam si contrasse in una smorfia di dolore, alleviato soltanto dal dolce ricordo di sua madre. Quella donna semplice e saggia se n’era andata troppo presto, un paio d’anni prima della sua fuga dall’Irlanda. Silenziosamente e umilmente, com’era sempre vissuta.
Forse era stato meglio così, almeno non aveva dovuto sopportare l’idea di ciò che era diventato suo figlio e dell’errore, del peccato atroce che aveva commesso.
Come avrebbe potuto confessarglielo?
Aveva sempre avuto troppo senso della giustizia, sua madre, per poter sperare nel suo perdono.
E dava troppo valore alla vita per credere che avrebbe giustificato un uomo che aveva compiuto un atto simile, anche se si fosse trattato di suo figlio.
Povera Gobnait.
Cominciava a temere che non avesse avuto molte soddisfazioni da quel figlio che non sarebbe mai diventato l’illustre letterato che tutti credevano. Forse sarebbe stato un buon irlandese, questo sì, o almeno era l’illusione che l’aveva consolata in punto di morte.
Ella stessa era stata una fervente sostenitrice dell’indipendenza dall’Inghilterra. Aveva fatto appena in tempo a vedere i moti di Pasqua nel ’16, augurandosi che sarebbe stato l’inizio della loro libertà.
Lo sarebbe stato davvero, ma di certo lei, nel suo idealismo, aveva messo in conto soltanto in minima parte il bagno di sangue che tutto ciò avrebbe richiesto.
Erin sarà libera, finalmente. Aveva detto all’orecchio di Liam. E tu e Shannon avrete fatto la vostra parte, allora. Mi dispiacerà non avere il tempo sufficiente per esserci, quando accadrà.
Meglio così, pensava adesso lui con amarezza. Nemmeno Liam aveva avuto modo di veder realizzato quel sogno, a dire il vero non aveva più nemmeno avuto notizia sugli esiti della guerra, essendo fuggito quasi tre anni prima che giungesse al termine.
Rise appena degli scherzi che spesso gioca il destino.
Ricordava a malapena di quando era cominciata la sua battaglia di convinto indipendentista. Forse poco dopo quel curioso ricordo del quaderno durante la loro infanzia. Forse più tardi, mentre erano già adolescenti. Di sicuro anche in quel momento Shannon era con lui, come sempre. O lui era con Shannon, chissà chi era stato il primo a proclamarsi fervente patriota, senza capire esattamente di cosa si trattasse ancora.
L’amore per la patria e la libertà lo conoscevano, certo, con quella spontanea immediatezza con cui provano i sentimenti i ragazzi.
L’impegno e il sacrificio l’avrebbero compreso dopo; l’avrebbero conosciuto con Aisling.
Lentamente gli tornò alla memoria un episodio delle scuole. Forse davvero era cominciato tutto così.
 
Dublino, 1906
 
- William Murray! – il professore di lingua inglese lo richiamò alla cattedra con tono severo – Questo, secondo lei, si può chiamare tema?
E come altro lo voleva chiamare? Era un componimento scritto, sull’argomento che gli era stato chiesto, no? Cos’altro voleva?
- Murray, questo è gaelico! Lo sa che è stato imposto l’insegnamento della lingua inglese nelle nostre classi e, per tanto, lei ha volontariamente trasgredito alla consegna.
- Io sono irlandese – ribatté lui, con un’incoscienza che, forse, solo qualche anno dopo non avrebbe così fieramente ostentato – Questa è la mia lingua. Se mi è richiesto un tema, io scrivo in gaelico.
- Veda di abbassare il tono, Murray!
- Io sono irlandese! – nel ripeterlo, aveva alzato la testa con orgoglio davanti ai compagni.
- Ma questo è dominio britannico.
- Io non ho alcuna intenzione di scrivere nella lingua dell’invasore.
- Murray! Lei rischia l’espulsione. Ritiri immediatamente quello che ha detto e chieda pubblicamente perdono a me e ai suoi compagni per la sua insolenza.
Un sorriso ironico aveva fugacemente increspato le labbra di quel quattordicenne testardo.
La bacchettata del professore gli aveva colpito le mani.
- Questo, Murray, è territorio inglese. Che le piaccia o no, deve sottostare alle sue regole.
- La mia casa è l’Irlanda. E nel mio cuore, Erin è libera.
Un altro colpo di bacchetta lo raggiunse.
- Professore! – una voce l’aveva fermato prima che si accanisse per la terza volta sull’allievo.
- Dica, Donovan.
- È colpa mia: ho convinto io Liam a consegnare il compito in gaelico.
E, per confermare la sua confessione, Shannon aveva presentato sul tavolo il proprio, scritto nella medesima lingua.
- Siamo in due ad essere irlandesi. – aggiunse.
 
- Sai, Shannon, non mi dimenticherò mai di quello che hai fatto. – gli disse Liam quel pomeriggio, mentre riflettevano su come riferire a casa che quella improvvisa alzata di testa era costata loro quattro giorni di sospensione.
- Beh, l’avevamo deciso insieme di farlo. Sarebbe stata una vigliaccata far punire solo te.
- Sì, però avresti fatto in tempo a salvarti, a inventarti che l’avevi lasciato a casa, quel tema. Adesso che dirà tuo padre?
- Che dica quello che vuole. Al massimo mi punisce pure lui, ma questa cosa andava fatta.
Eppoi mio padre non sta mica con gli inglesi. E il tuo?
- Neanche il mio, mia madre gli tirerebbe il collo. – scherzò Liam, guardando lontano. Poi riprese: - Shannon, hai mai pensato che quello che abbiamo fatto potrebbe diventare qualcosa di più grande?
- Che vuoi dire?
- Voglio dire che un giorno, se continueremo a ribellarci, altra gente si unirà a noi e poi altra ancora, fino a far muovere l’intera Irlanda verso la sua strada per la libertà.
Shannon rise: - Parli da poeta, Liam.
- Un giorno lo sarò. – fece lui, spalancando le braccia e ruotando su se stesso – Sarò il nuovo bardo per questa terra.
- Sei tutto matto, Liam.
- Perché, tu cosa vuoi fare?
- Il giornalista. Lavorerò per una grande testata e farò dei soldi. Spero.
- Beh, non parli da buon patriota, amico mio.
- Niente mi impedirà di scrivere qualche buon articolo in proposito. Pensa per te, piuttosto, quando verrai a bussare alla mia porta affamato, senza casa né denaro, per aver girato il mondo con una cetra in spalla.
- Scemo! – gli assestò una pacca affettuosa sulla spalla – Dove vuoi che vada, senza di te, con tutti i sogni che abbiamo da realizzare?
 
Non se ne sarebbe andato da nessuna parte davvero, senza Shannon e sapeva che era lo stesso anche per l’altro. Se la loro amicizia li aveva sempre profondamente legati, dopo quei primi moti di patriottismo, erano diventati inseparabili, uniti come solo coloro che sono consapevoli di aver corso assieme lo stesso rischio.
Ogni volta che si offriva l’occasione, finivano per manifestare anche troppo esplicitamente il loro pensiero, attirandosi occhiatacce di sospetto.
- Sono molto preoccupato per Liam, si caccerà nei guai, prima o poi.
Il vicedirettore di banca James Murray aveva ripiegato il giornale della sera sulle ginocchia e aveva guardato la moglie non senza una certa apprensione.
- Liam sta crescendo, sta cercando la propria strada. Non siamo noi a doverlo fermare. – la voce di Gobnait mischiava la dolcezza ai sospiri.
- Ma a doverlo proteggere sì.
- È alla ricerca di un sogno in cui credere, come me, come te. Come è giusto che sia.
Cosa credi, ho paura anch’io che finisca per esporsi troppo. Adesso ha quindici anni, ma presto sarà un uomo. Non vorrei che anche lui, un giorno, venga ricordato tra i martiri di qualche protesta… - si passò le mani sul viso – Ho paura, se è questo che vuoi sentirmi dire.
- E allora vedi che convieni con me, sul fatto che dovremmo fermarli. Lui e quell’altro scavezzacollo di Shannon. Stasera vedo Donovan al circolo, gliene parlerò. Vedremo insieme di discutere con i ragazzi e di far loro comprendere che amare l’Irlanda è giusto, ma amarla in silenzio è conveniente.
- Lo so, lo so, James… Ma cosa vuoi che ti dica? Non è corretto nemmeno così. Fermarli? Se li fermiamo finiranno per diventare come noi.
- Perché, noi cosa siamo diventati, Gobnait?
- Paralizzati, ecco cosa siamo. Paralizzati dalla mancanza di sogni. Non corriamo rischi, certo, ma non abbiamo nemmeno soddisfazioni. Viviamo in una specie di indistinto crepuscolo in cui non distinguiamo più né grandi dolori né tanto meno grandi gioie.
- Parli bene, tu, con le tue belle parole di poetessa mancata. Lo hai sempre fatto e tuo figlio ha preso da te. – rispose lui, inforcando gli occhiali - Ma la realtà non è tanto facile quanto la immaginiamo nei sogni.
- Lascia che sogni, lui, finché la vita non gli farà aprire gli occhi. Ne avrà di tempo. Commette un reato credendo in qualcosa? Ruba, forse? Sperpera il tuo denaro? No di certo: ha un ideale, nient’altro. E studia, grazie al cielo.
 
Liam non aveva fatto altro che dimostrarsi uno studente appassionato, un lettore vorace, un attento conoscitore di storia.
Un carattere orgoglioso, sicuramente, ma di poche parole, riservato, talvolta quasi cupo.
Per contrasto, Shannon risultava essere il suo luminoso contraltare.
Fin da ragazzi, gli rubava la scena, Shannon, con il carattere gioviale e un’esuberanza ai limiti dell’egocentrismo. Studiava il meno possibile, per essere poi perennemente salvato in extremis dall’intelligenza pronta, la parlantina sciolta degna di un avvocato e la penna altrettanto rapida.
Anche fisicamente erano sempre stati come il giorno e la notte, ma con l’adolescenza il divario si sarebbe fatto ancor più marcato.
Se Liam, da bambino, lo si ricordava come uno di quei marmocchi come tanti, anche verso i diciotto anni era rimasto di fisionomia piuttosto ordinaria. Ne era uscito un intellettuale schivo, infagottato nel cappotto, le spalle tenute curve per abitudine e le mani sprofondate nelle tasche a contendersi d’inverno lo spazio coi libri.
Non che avesse poi un brutto aspetto, in fin dei conti. Il viso era appena un po’troppo lungo per essere definito regolare e il baschetto di tweed, poggiato con noncuranza sui capelli biondo cenere, adombrava misteriosamente uno sguardo di un deciso azzurro torbido.
Piaceva alle ragazze, ma suscitava allo stesso tempo quel misto di attrazione e soggezione che le tratteneva dal farsi avanti.
Lui, del resto, aveva già la testa piena di troppe cose per far posto anche all’amore, o almeno così credeva.
Si era iscritto all’università, per studiare letteratura, ma senza troppa convinzione. A dire il vero, aveva assecondato le aspettative della famiglia in un momento in cui, invece, sentiva più il bisogno di scrivere e di creare egli stesso, piuttosto che analizzare opere di altri.
Tuttavia, qualche buon volume di poesia oppure l’ultimo romanzo di questo o quell’autore, glielo si poteva sempre trovare tra le mani.
E, per il resto, le fanciulle avevano ben poco da preoccuparsi. Dopotutto, quel dongiovanni di Shannon metteva abbastanza impegno nelle sue conquiste da sopperire anche alla pigra indifferenza dell’altro.
Carino lo era sempre stato fin da quando era in fasce, pensava Liam ridendo dei successi dell’amico, e adesso non aveva fatto che migliorare.
Un adorabile giovanotto, da come ne parlavano le donne. Un ciuffo bruno domato a fatica e due occhi neri e ardenti come tizzoni che avevano fatto capitolare parecchie delle loro amiche, senza che però nessuna riuscisse a risultare per lui particolarmente importante.
Il padre giornalista gli aveva lasciate aperte numerose porte per il suo futuro ed aveva finito per accettare, non senza un pizzico di orgoglio, la decisione del figlio di seguire la sua strada.
Brillante era brillante e, con gli anni, si era fatto fin troppo smaliziato.
Seguiva le migliori lezioni e prometteva di diventare un’ottima penna, col suo stile privo di fronzoli.
Gli rubava la scena, appunto, ma mai Liam avrebbe provato meno che soddisfazione davanti ai trionfi dell’altro. Talvolta lo stesso Shannon si meravigliava di tale mancanza di gelosia e di come egli riuscisse a gioire delle sue fortune come fossero state le proprie.
 
- Sai cosa pensavo? – esordì Liam un pomeriggio di primavera del 1910, uno di quelli che preannunciano con il sole l’arrivo imminente della bella stagione.
- Mi preoccupi quando ti passa in testa un’idea, pazzo di un bardo irlandese. – lo canzonò Shannon, non alzando nemmeno gli occhi dal suo esercizio di scrittura.
Liam aveva messo da parte il libro di letteratura e il foglio su cui stava scribacchiando una poesia, come distrazione tra una pagina e l’altra.
- Dovremmo seppellire una scatola, Shan.
- Una che?
- Una scatola di latta, con dentro qualcuno dei nostri ricordi. Che so, una fotografia insieme, una mia poesia, un tuo articolo, cose di questo genere. Io non so cosa metti tu e tu cosa ho messo io e fra venti anni la riapriamo.
Shannon storse il naso: - Sai, a volte mi domando se tu abbia davvero quasi diciannove anni, matto di un bardo.
- E io se tu abbia dei sentimenti, tirchio d’uno scribacchino.
- Sembra una di quelle cose da romanzetti d’avventura, fra pirati e tesori nascosti. Poi finisce sempre male: con uno morto e l’altro che se la riapre da solo sta maledetta scatola.
- Ma dai, sarà divertente riesumarla fra quattro lustri.
- Sempre se saremo ancora vivi…
- Go dté tú an céad, mo chara! 1 – rispose l’altro con ironia.
Gli fece quel suo mezzo sorriso che doveva servire a convincerlo, come sempre.
- Eppoi, cosa ti fa pensare che tra vent’anni avrò ancora voglia di sopportarti? E, soprattutto, che saremo ancora amici? – lo sfidò scherzosamente.
- Go hifreann leat, Shan.2  –  Liam scoppiò a ridere.
Contro la testardaggine di Liam era tempo perso persino tentare di opporsi.
E va bene, seppelliamo questa scatola, fu l’espressione rassegnata di Shannon mentre alzava gli occhi al cielo.
La sotterrarono nel giardino dei Murray, vicino alla pianta di rose bianche, quella preferita di Gobnait.
Il 13 aprile 1930, qualunque cosa capiti, ovunque saremo nel mondo ci troveremo qui a quest’ora per dissotterrarla. Era una promessa.
Non potevano certo sapere che, vent’anni dopo, sarebbero stati costretti dal destino a mancare all’appuntamento.
 

___________
 
 
Note dell’autrice:


1. Gaelico. Trad: “Possa tu vivere cent’anni, amico mio!”
2. Gaelico. Trad: “Ma va all’inferno!”

 
Miei cari, come vanno le cose con questi primi capitoli?
Sono noiosi o si sopportano? Quelli iniziali sono sempre un po’ così, temo, prima di entrare nel vivo della vicenda.
Oltretutto, questi sono anche piuttosto frammentati e “a salti”, ma sono stati una scelta obbligata per farvi conoscere i protagonisti e il rapporto che li lega attraverso alcuni fatti significativi, piuttosto che attraverso la solita descrizione del narratore.
Comunque non appena entrerà in scena Aisling (fra un capitolo, massimo due), la storia procederà fluidamente da lì senza più flashback a interrompere la vicenda.
Ma se state morendo di noia, fatevi vivi, mi raccomando;)
Per qualsiasi consiglio, suggerimento, proposta, critica o anatema, lo sapete che potete sempre esprimervi liberamente, anzi a me farà stra piacere sentire la vostra, se vorrete. :)
E come sempre un grazie di cuore a chi passa a leggere la mia storia per caso e, soprattutto, a DanSperry, Fruttina89 e Martina97 che l’hanno inserita tra le seguite.
Un bacione, vostra
Marguerite.

   
 
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