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Autore: emychan    11/02/2011    13 recensioni
Classificata 3 a pari merito nel contest Citazioni di Alessandro Baricco indetto da Ale2!
Ambientata nel futuro:la reazione di Arthur alla scoperta del segreto di Merlin ha portato conseguenze che adesso il re non sa come cancellare.
La solitudine è un duro peso quando sei re Arthur e il tuo mago è scomparso.
Elementi della leggenda,ma molto vaghi e rimodellati a mio piacere!:P
Principalmente Merthur, ma con riferimenti ad Arwen e Lancelot/Gwen.
Farà parte dell'universo di 'Ripetizioni d'amore' come prequel.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione, Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Emrys'
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Questa storia è stata scritta per il contest indetto da ALE2:'Yaoi Contest, citazioni di Alessandro Baricco'.
E' il primo contest a cui partecipo, perciò mi ci sono già affezionata in modo particolare!:PP

Timeline: Direi che si può considerare una future, dato che prende le mosse dalla terza serie, ma gli spoilers saranno davvero pochi!xD

Detto questo vi avviso che sarà triste e che mi odierete alla fine, quindi preparatevi!:P

In secondo luogo, ci sarà un sequel, l'ho sto già scrivendo( per un altro contest che scadrà a marzo, quindi potrò pubblicarlo solo dopo) ed è quasi finito.

Quando sarà finita, tutta la storia sarà da leggere come prequel a 'Ripetizioni d'amore.'

Non chiedetemi come mi sia uscita... è stato puramente casuale!:PP


Disclaimers: i personaggi appartengono alla BBC e aventi diritto. Io ci metto la trama e una buona dose di tristezza!:PP


Sono usciti i risultati del contest!
Regrets è arrivata sul podio con un magnifico terzo posto!!
Grazie alla giudice e complimenti a tutte le partecipanti!!
La lotta è stata dura e molto divertente!!xDD



Regrets


«Il re è morto! Lunga vita al re!»

Non era stato improvviso. Non poteva certo dire di non esserselo aspettato.
Uther Pendragon, in fondo, era malato. Un lento declino cominciato con la perdita di Morgana e continuato senza sosta finchè anche il suo corpo non aveva ceduto.
Non c'erano state guerre o incantesimi. Solo una malattia che l'aveva lentamente consumato nel corpo e nella mente.
La cosa orribile era la gioia. Le feste e gli infiniti banchetti. Le risate e le continue congratulazioni.
Non c'era un solo volto addolorato. Nessuno che piangesse. Nessuno che ricordasse.
Suo padre era appena morto e a nessuno sembrava importare.
Nessuno che lo lasciasse in pace. Nessuno che lo confortasse. Nessuno che capisse cosa stava provando o almeno ci provasse.
Nessuno che restasse semplicemente al suo fianco. In silenzio.
In quel momento più che in ogni altro, Arthur si rese conto del vuoto che aveva dentro.
In quell'esatto istante più di ogni altro, Arthur rimpianse di aver creato quel vuoto che adesso lo stava uccidendo lentamente.

Lui avrebbe capito senza bisogno di parole.
Lui non avrebbe trovato motivo di festa nella morte di qualcuno.
Lui non avrebbe mai condiviso quella gioia.
Si sarebbe limitato a seguirlo nelle sue stanze, restando in silenzio al suo fianco, portandogli quella consolazione che non poteva chiedere ad alta voce.
Ma lui ormai non c'era più .

Due inverni. Due lunghissimi inverni.
E solo adesso era in grado di essere sincero, almeno con se stesso. Adesso che ormai, era troppo tardi.
Il peso della corona sul capo non era mai stato tanto grande.
Il peso del regno sulle spalle non era mai sembrato tanto insostenibile.
Tutto perché lui non era più lì a condividerlo.
Tutto perché il sogno senza Merlin non aveva più senso.
Ma al popolo non importava. Loro non capivano. Loro non vedevano.
Troppo intenti ad acclamare il suo nome per scorgere oltre la maschera.
Troppo convinti che la sua venuta avrebbe portato prosperità e giustizia quando, invece, la sua anima era già macchiata dal peggiore dei crimini.
Tradimento. Menzogna.

Di fronte al fiume di persone e colori che invadevano ogni angolo del mercato, re Arthur salutò la folla con un finto sorriso stampato sul viso e lo sguardo perso alla ricerca del solo volto che avrebbe voluto vedere. Del solo volto che non c'era. Che per suo stesso ordine non poteva essere lì.
Chissà se era nascosto da qualche parte nella foresta.
Chissà se sapeva della sua incoronazione.
Aveva sorriso quando lo aveva saputo? Aveva immaginato Arthur sul trono e il futuro che avrebbe portato? Era stato felice ricordando il suo principe? O il pensiero gli aveva portato solo rabbia e rancore... aveva pianto ripensando alle cose ormai perdute?
Il dolore gli stringeva ancora il petto in una morsa senza respiro quando ricordava quella notte? La notte in cui l'aveva cacciato dal suo regno... dalla sua vita.

«Arthur, mi dispiace, se avessi potuto dirtelo prima...»
«Sparisci dalla mia vista, stregone.»

Due inverni senza Merlin e il trono era diventato un incubo freddo e senza senso.
Il sogno irrimediabilmente distrutto.
E tutto per colpa sua. Del suo miserabile orgoglio.
Della sua stupida rabbia che aveva cancellato ogni cosa impedendogli di ragionare. Di capire. Di perdonare.
Completamente furioso, aveva visto solo l'inganno, le infinite bugie. Tutte le storie inventate, mascherate da un sorriso idiota. Tutte le cose strane senza spiegazione. Tutte le sparizioni e le scuse assurde. Tutte le orribili menzogne avevano infangato ogni cosa rendendola sporca e falsa.
Ogni gesto, ogni parola. Ogni bacio dato di nascosto.Ogni lento sospiro nel buio.
Ogni gemito strappato alla luce delle candele. Ogni ti amo bisbigliato al suo orecchio.
Non c'era stato nulla di vero. Nulla di sincero.
Nulla.
E il pensiero di essersi fatto ingannare in quel modo, di essere stato tanto stupido da crederci, l'aveva lasciato senza respiro. Senza sostegno. Senza vita.

«Dovrei ucciderti.»
«Perfavore Arthur.»
«Non osare pronunciare il mio nome, non hai più quel diritto. Non l'avrai mai più.»

Era stato facile in quel momento.
Quando ogni cosa aveva perduto senso.
Quando aveva davvero creduto nella malizia dell'inganno.
Quando l'unica cosa che aveva voluto era distruggere e dilaniare con la stessa ferocia di una bestia ferita.
In fondo era giusto così. Era l'unica scelta, l'unica strada.
Non avrebbe potuto uccidere Merlin. Nonostante tutto, non avrebbe sopportato di vederlo morire.
Ma non poteva neppure continuare a vivere in quella bugia. Nell'illusione.
E ci sarebbe cascato di nuovo, lo sapeva. Avrebbe finito col giustificare, col perdonare. Con l'amarlo di nuovo.
Perché bastavano solo le lacrime di Merlin per farlo vacillare, per farlo dubitare.
Perché ormai non poteva più permettersi di amarlo, ma neppure di non farlo.
In quel momento non si era reso conto di quanto sarebbe stato più dolce vivere nella fantasia piuttosto che in una realtà fatta di dolore e rimpianto. Di un desiderio insoddisfatto. Di una lenta e terribile agonia.
La realtà gli era costata tutto.
Era davvero così importante sapere se le carezze erano sincere? Se le parole erano vere?
In fondo cosa c'era stato di vero nella sua reazione? Nelle parole che gli aveva gettato addosso con tutto quel veleno, solo per vederlo sanguinare. Per vederlo vacillare e cadere. Per ammirare il risultato della sua vittoria.

«Ma io ti amo, questo non cambia niente. »
«Non posso amare ciò che sei Merlin, non posso e non voglio. Adesso vattene o chiamerò le
guardie. »

Ed era stato facile convincersi che il suo viso contorto dal dolore fosse fonte di soddisfazione.
Che le sue lacrime silenziose fossero un balsamo per la sua anima, una cura per il suo cuore.
Peccato che l'illusione non fosse durata a lungo. Quanto ci era voluto? Un mese, due?
Troppo poco per dimenticare, troppo per tornare indietro.
Alla fine anche la sua rabbia, l'odio che per mesi aveva incendiato ogni suo sentimento, ogni suo pensiero, accecante e logorante, come un fuoco capace di divorare ogni cosa, l'avevano abbandonato.
Il suo nome era diventato proibito, chiunque chiedesse di lui finiva dritto in cella.
Ogni cosa che portava il suo ricordo era finita distrutta e bruciata.
E, anche quando la collera aveva cominciato a svanire e le ceneri del fuoco ormai spento avevano lasciato solo amaro rimpianto, Arthur aveva continuato ad ignorare la sua anima traditrice.
Il suo cuore stupido e patetico.
Relegando la sua immagine nello spazio più remoto della sua mente.
Facendo di tutto per dimostrare a se stesso, al mondo - a lui - di aver fatto la cosa giusta.
Di non rimpiangerla affatto. Di non amarlo affatto.
Lui era un principe, poteva avere chiunque, poteva amare chiunque.
E lui non era che un misero servo.
Nient'altro che uno stregone bugiardo e incantatore che probabilmente l'aveva legato a sé con un sortilegio.
Era ovvio. Lo avrebbe dovuto capire subito.
Non si può provare qualcosa di così assoluto per qualcuno senza il lavoro della magia.
Merlin aveva mentito. Dall'inizio. Fin dal primo giorno. E ovviamente non l'aveva mai amato.
Altrimenti perché non era mai tornato? Perché non si era mai fatto vedere, neppure quando Arthur  era andato a cercarlo calpestando il suo orgoglio e tutto ciò in cui credeva?
Semplicemente perché Merlin poteva vivere senza di lui. Poteva dimenticarlo e non vederlo più. Poteva andare avanti senza sentire la stessa dannata spina che si rifiutava di uscire dal cuore di Arthur ed era giusto che lui facesse lo stesso.

«Se questo è ciò che desiderate, sire, vi do la mia parola che il vostro sguardo non si poserà
mai più sul mio volto.»

E Arthur lo odiava per aver mantenuto la sua stupida promessa.
E odiava se stesso per averlo costretto a mormorarla.
All'inizio, durante tutti quei mesi in cui la sua sola via di fuga era stata il risentimento, si era ripetuto più volte che, in realtà, il suo servo non tornava perché era stato scoperto. Perché sapeva che il suo piano, qualunque esso fosse, era fallito.
Merlin era stato un servitore orrendo. Pigro, goffo e incapace di seguire anche il più semplice dei comandi. Lo aveva licenziato e cacciato più volte di quante potesse ricordare, eppure era sempre tornato. Anche rischiando la vita.
Quella volta non l'aveva fatto.
Perché, quella volta, non aveva motivo di farlo.
Non c'era mai stata alcuna fedeltà. Alcuna amicizia.
E per dimostrarselo aveva cominciato a distruggere lentamente ogni cosa per cui Merlin aveva lavorato. Ogni cosa a cui aveva tenuto.
E forse... forse da qualche parte, in fondo a se stesso, sperava che così il suo servo sarebbe tornato da lui. Per rimproverarlo, per chiedergli cosa stesse facendo.
Per dargli dell'asino reale, del microcefalo e ricordargli che, nonostante tutto, un giorno sarebbe stato un buon re.
Lentamente era diventato avventato nei tornei, guadagnandosi più ferite di quelle che potesse contare.
più spietato in battaglia, più severo e diffidente verso la magia.
Perfino più arrogante verso i servi.
E quando il re si era ammalato e i regni vicini avevano minacciato i territori di Camelot sfruttandone le debolezze, Arthur si era gettato in guerra senza neppure pensarci.
Sempre in prima fila. Sempre il primo nella mischia. Sempre pronto a impugnare la spada.
Nel giro di un solo inverno era diventato una leggenda.
Un simbolo di coraggio e forza.
Un nome da temere in ogni angolo di Albion.
Ma non bastava. Non era ancora sufficiente.
Perché, ovunque fosse nascosto, Merlin avrebbe sentito solo la versione romantica della storia.
Avrebbe sentito cantare del coraggio e della cavalleria. Dell'onore e dell'ardore della battaglia.
Di una pace difesa a suon di spada.
Non avrebbe sentito degli infiniti fiumi di sangue, delle vite spezzate senza alcuna ragione che non fosse la sua rabbia o il suo orgoglio ferito. Il suo puerile bisogno di attirare l'attenzione.
E ne sarebbe stato contento. Perché quelle erano il genere di cose di cui parlava sempre ad Arthur. Per cui elogiava Arthur e gli ripeteva che sarebbe stato un grande re.
Il solo pensiero lo rendeva furioso.
Gli serviva di più.
Gli serviva qualcosa che arrivasse a ferirlo. Ovunque fosse. Qualcosa che potesse ancora distruggerlo. Colpirlo. Farlo tornare indietro.
La risposta, alla fine, era arrivata da sé. Nel dolce sorriso di Ginevra.
Nei suoi lunghi sguardi, nei suoi riccioli neri.
Negli ovvi sentimenti che iniziava a coltivare per il suo principe.
Dopo la scomparsa improvvisa del suo servo, Arthur non aveva voluto alcun rimpiazzo.
La ferita era ancora troppo recente, faceva ancora troppo male.
Non voleva un estraneo nelle sue stanze. Non voleva che un estraneo toccasse le sue cose.
La sua armatura.
E, dopo il tradimento di Morgana, Gwen non aveva molti compiti a corte. Perciò era stato ovvio, quasi naturale, che finisse per sostituire Merlin nei suoi compiti, anche se in maniera del tutto non ufficiale. E più tempo passavano insieme, più la ragazza lo guardava in quel modo.
Piccoli sguardi, piccoli tocchi troppo lunghi per essere del tutto innocenti.
E Arthur non l'aveva mai scoraggiata.
Perché si sentiva solo. Perché, in fondo, condividevano la stessa solitudine ed entrambi amavano chi non potevano avere. Chi li aveva abbandonati.
Perché lei era l'arma perfetta.
La lama più affilata e mortale che avrebbe mai potuto trovare. La sua migliore amica.
E, se il pensiero che fosse sbagliato o ingiusto lo tormentava ogni volta che la baciava o le portava dei fiori, quando la sentiva ripetere di amarlo o lo guardava con fiducia, Arthur si ripeteva che non importava.
Anche Gwen stava mentendo in fondo. Come tutti del resto.
E anche se avesse finito con l'amarlo davvero, Arthur non l'avrebbe ferita.
Lei non avrebbe mai saputo la verità.
L'avrebbe curata e rispettata come una vera lady. L'avrebbe resa regina e ne avrebbe cantato le lodi fino alla morte.
Le avrebbe dato ogni cosa.
Un regno, una corona, una famiglia.
Sarebbe stato un marito devoto e un amico fedele.
L'unica cosa che le avrebbe negato sarebbe stata il suo cuore.
L'unica parte di sé che non poteva donarle... per il semplice fatto che era perduto per sempre.
Come aveva progettato, nel giro di pochi mesi tutti decantavano il favoloso amore tra Ginevra e Arthur. Tra la serva e il principe. E, poichè era un segreto, tutti ne erano a conoscenza.
I servitori bisbigliavano da corridoio a corridoio.
I cavalieri fingevano di non vedere, senza intromettersi, perché la strana tristezza che avvolgeva da tempo il loro principe, forse adesso sarebbe svanita.
Il popolo era innamorato della favola, dell' amore clandestino e proibito.
E suo padre era comunque troppo malato per potersi davvero opporre.
Per poterlo davvero rimproverare.
Arthur era a tutti gli effetti il reggente ormai e Ginevra sarebbe stata la sua regina.
Anche perché ormai la rete era diventata talmente stretta da non potersi più tirare indietro neppure volendo.
E, in fondo, perché mai avrebbe dovuto farlo? Ginevra era bella, dolce, intelligente.
Avrebbe dovuto essere sufficiente.
Avrebbe dovuto renderlo felice.
A volte lo sperava. A volte si convinceva che fosse davvero così.
Nelle notti, quando studiava il suo viso angelico fino ad addormentarsi e la stringeva a sé immaginando come sarebbe stato amarla davvero.
Come sarebbe stato essere davvero felice, anche per un solo istante.
Ma ogni volta che la baciava, ogni volta che la trascinava nel suo letto  e la sentiva gridare il suo nome, era il viso di Merlin ciò che vedeva. Ciò che voleva.
E se a volte si diceva che era solo nostalgia, che era solo stupidità, altre volte... altre volte era costretto ad ammettere quanto questo fosse falso.
La verità, la verità era che Ginevra non era Merlin e non lo sarebbe mai stata.
E nonostante tutti i suoi sforzi, tutte le sue illusioni, sembrava che solo Merlin potesse renderlo di nuovo felice. Completo.
Era strano. Era stupido e infantile, ma solo cercando conforto tra le braccia di un'altra, Arthur si rese davvero conto del suo terribile errore.

Quando ormai era già troppo tardi.

Così, l'orribile segreto che tentava di seppellire e soffocare da mesi,  da anni, aveva finito col non essere più tanto segreto.
E adesso era re di Camelot.
Tra poco marito di Ginevra, per quanto il solo dirlo lo facesse sentire sporco e bugiardo.
Alla fine il vero traditore era proprio lui.

Presto due inverni divennero tre e poi quattro.
Uno dopo l'altro si susseguivano nell'apatia.
Arthur aveva smesso di giocare alla vendetta. Il principe babbeo era diventato un re giusto e onorevole.
Il re di cui Merlin era solito parlargli quando restavano soli, con gli occhi lucidi e il sorriso dipinto sulle labbra.
Arthur sperava che, ovunque si trovasse, potesse perdonarlo e forse, un pochino, amarlo ancora.
Al di fuori si comportava come se tutto fosse perfetto.
Come se avesse ogni motivo di essere felice e soddisfatto.
Ma se questo ingannava i suoi cavalieri o il suo popolo, non ingannava le persone a lui più vicine .
Non ingannava la sua regina.
Negli anni dopo il matrimonio, quando al posto della rabbia erano rimasti solo il rimpianto e il dolore a fargli da compagnia, Gwen si era fatta più distante.
Il suo viso più pallido, il suo sorriso più spento. Ormai non si parlavano quasi più.

«Ti manca Merlin vero? Non ne parli mai, ma io lo so. Lo sapevo anche quando ti ho sposato. Speravo di curare la tua ferita, ma adesso so che non posso colmare quel vuoto. Solo lui potrebbe farlo.»
«Non so di cosa parli.»
«Arthur, non te ne accorgi? Tu... c'è qualcosa di rotto in te, qualcosa di frantumato che nessuno tranne Merlin può sperare di aggiustare e... questo distrugge me.»

Aveva riso, allora, di quelle parole, dicendole che erano sciocchezze. Drammi da donne. Parole assurde e infondate. Merlin era andato via di sua volontà, era solo un servo e i servi si sostituivano con estrema facilità. Ed era fuggito per nascondere il suo volto, per nascondere quanto il solo pensiero di lui riuscisse ancora a gettarlo nello sconforto più completo.
Il tempo non guarisce tutte le ferite.
E lei sapeva. Era ovvio.
Il suo sguardo lo cacciava dappertutto. Il suo dolore. Il suo evitarlo costantemente.
Non poteva biasimarla in fondo. Avrebbe voluto solo che lo lasciasse in pace. Avrebbe voluto solo che la smettesse di gettare sale sulla ferita più dolorosa di tutte.
Alla fine Lancelot era stato la sua salvezza. Certo il tradimento, il sotterfugio, il trattarlo come fosse un cieco idiota. Quello l'aveva ferito.
Così come l'improvviso abbandono da parte della regina.
Non che la biasimasse. Nessuno voleva stare con un uomo incapace di amare o sorridere davvero.
E fin dall'inizio sapeva che per quanto fingesse di amare il suo re, il cuore di Ginevra era sempre stato del cavaliere. Se c'era una cosa che Arthur aveva imparato nella sua lunga lista di errori, era che l'amore non si può ingannare. Né rifuggire.
E la loro fuga gli dava un pretesto per mostrare al mondo il suo dolore, anche se la sua ferita era molto più antica di quanto il popolo non credesse.
Ovviamente le storie iniziarono a decantare al mondo il suo dolore.
Il re tradito dal suo migliore cavaliere.
Abbandonato dal suo grande e unico amore.
Era ironico come riuscissero ad avere al contempo totalmente ragione e torto.
.....E Merlin continuò a non tornare. Neppure una volta. Neppure per un attimo...


Il re sospirò chinando il capo.
Il vento gelido della notte soffiava con violenza tra i bastioni di palazzo.
Gli stendardi con dipinto il dragone d'oro di Camelot sembravano sul punto di strapparsi dalle aste che li sorreggevano.
Era di nuovo inverno ormai.
L'ennesimo senza il suo servo. Senza il suo amante. Senza il suo unico amico.
Sei inverni.
Senza una notizia, senza una parola. Senza neppure sapere se fosse ancora vivo o meno.
E lui continuava ad attendere e a sperare. Vuoto dentro. Solo come mai era stato.
Con solo i suoi ricordi a fargli compagnia. Con solo la sua voce nella testa a spronarlo ogni giorno.

«E' vostro destino diventare il più grande re che Camelot abbia mai visto.»

Non era vero. Lo sapeva. Tutti lo sapevano. Non ne sapevano il motivo, forse, ma sapevano che c'era qualcosa in lui che non andava.
Non poteva esserlo, perché non era completo.
Non poteva esserlo, perché era rotto dentro e non aveva modo di ritrovare ciò che aveva strappato con tanta noncuranza.
La sua stupidità gli era costata tutto.
Non gli rimaneva niente.
Solo infinite guerre, alla conquista di terre che neppure desiderava. Di ricchezze che nemmeno gli servivano. Di una vana gloria fondata sulla menzogna.

Terre conquistate per lui. Per trovarlo. Per scovarlo. Per costringerlo allo scoperto.

Fiumi di sangue e morti su morti che non potevano essere cancellati. Che, prima o poi, avrebbe dovuto ripagare. Che rimpiangeva, come rimpiangeva tante altre cose nella sua breve esistenza.

Che lui avrebbe rimpianto, che lui non avrebbe mai permesso.

Il signore della guerra. Il conquistatore di Albion.
Grandi titoli per un egoista assassino.
Un bugiardo traditore, che sfogava il suo dolore sugli altri per fuggire da se stesso, per non guardarsi dentro spaventato da ciò che avrebbe visto. Dall'orrendo caos che aveva creato, in cui scivolava attimo dopo attimo, senza controllo.
E, quando tutto era troppo, si ritrovava su quei bastioni a fissare nel vuoto.
A cercare. A sperare. A desiderare.
A volte perfino a pregare, sebbene sapesse che nessuno avrebbe mai accolto le preghiere di uno come lui.
E, quando neppure quella solitudine bastava, quando neppure la speranza era sufficiente a tenerlo in piedi, si rifugiava nella foresta, vagando senza meta in sella al suo cavallo. Ora dopo ora fino al tramonto, nell'oscurità.
Gridando ancora e ancora il suo nome.
Implorandolo di tornare. Pregandolo di perdonare.
Come avrebbe dovuto fare tanti anni prima.
Come avrebbe dovuto fare quella notte in cui aveva calpestato ogni cosa.
Sperando di portare indietro il tempo. Di poter rifare tutto da capo.

«Non mi fido di te. Non credo a nulla che esca dalla tua bocca e certamente non ti reputo un amico. Non dopo questo.»

Ma il tempo non si ferma. Non si riavvolge. Gli sbagli si pagano.
E Arthur, come ogni altro uomo, pagava il prezzo del suo. E lo pagava col proprio sangue.
Battaglia su battaglia, nemico dopo nemico. Sempre più pericolosi, sempre più azzardati.
Perché se a Merlin, ovunque fosse, importava ancora qualcosa di lui, allora, prima o poi, sarebbe tornato.
«Siete un asino, di quelli reali però».
E allora...
Allora l'avrebbe colpito e gli avrebbe gridato contro. L'avrebbe messo alla gogna per giorni e gli avrebbe tirato lui stesso la frutta marcia.
E poi...
Poi l'avrebbe abbracciato e trascinato nelle sue stanze, nel suo letto.
L'avrebbe carezzato, adorando e venerando ogni centimetro della sua pelle.
Avrebbe baciato ognuna delle sue cicatrici.
L'avrebbe amato. Amato come se gli anni non fossero passati, come se tutto fosse rimasto come allora, immutabile.
E Merlin gli avrebbe rivelato il torbido segreto che a volte lo rendeva triste e malinconico mentre facevano l'amore.
Che, a volte, gli faceva distogliere lo sguardo quando Arthur gli confessava di amarlo in tono incerto.
E Arthur gli avrebbe sorriso. Avrebbe ingoiato il suo orgoglio ferito, la fiducia infranta.
 «Non importa» gli avrebbe sussurrato, stringendolo più forte «Sono contento che tu me l'abbia detto» avrebbe aggiunto «Ci penserò io a difenderti. Tu resta con me. Non andare».
E l'avrebbe baciato ancora e ancora come se l'eternità non fosse altro che un attimo...

Fino ad allora avrebbe semplicemente finto essere il re che tutti volevano.
Un re giusto e misericordioso per il suo popolo.
Un re onorevole e coraggioso per i suoi cavalieri.
Un re clemente e generoso per i suoi servitori.
E se questi ultimi avessero notato qualcosa di strano nel loro re... se qualcuno di loro, nell'osservarlo, avesse scorto la ferita, il dolore, il vuoto... allora, forse, qualcuno sarebbe stato così bravo da raccontare loro del giovane servitore sparito una notte d'inverno e mai ritornato.
Del suo sorriso e del modo in cui mancava di rispetto a un principe arrogante.
Del modo in cui salvava la vita dell'erede al trono andando oltre ogni suo dovere.
Della sua fedeltà e della sua gentilezza.
Di tutte quelle cose che lo rendevano Merlin.
Ma anche così non avrebbero davvero capito. Saputo. Creduto.
Però, sarebbero stati gli unici ad aver mai visto un frammento del vero Re di Camelot.
E raccontando di lui avrebbero detto : ha qualcosa addosso, come una specie di infelicità.
Semplicemente. Senza spiegazione.

End.


Piaciuta?
Lo so...non odiatemi please!:PP

   
 
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