"Non è per nulla facile!" Cercava di scoraggiarla la buona donna. “Ci vuole molto autocontrollo per non combinare dei disastri! Sono due mana molto diversi!”
Eppure Alma ci provava lo stesso, a volte con risultati decenti, altre combinando poco o nulla.
“Sei troppo instabile.” Le diceva Jung, sorridendo. “Vuoi tutto e subito, non ti concentri abbastanza sulla tecnica, ma solo sulla realizzazione immediata.”
“Ci vuole disciplina per controllare il potere.” Aggiungeva sempre Fresia. “O un giorno sarà il potere a controllare te, come accade a tutti i maghi neri.”
Ma per quanto Alma si sforzasse, il controllo del mana era un nodo irrisolto, anche se il potere in lei era grande.
E ora che era venuta a conoscenza di far parte di una delle famiglie di piromanti più potenti del multi verso la sua vita era stata completamente rivoluzionata.
Aveva sempre chiamato Fresia “madre”; non sapeva se avrebbe continuato a farlo.
Dopo la sua confessione, le era sembrato che il cielo e la terra si fossero capovolti. Tutto ciò che aveva imparato a conoscere era opera di un artificio creato ad arte per lei.
Certo, capiva il punto di vista dei suoi genitori biologici, ma dovevano veramente abbandonarla così? Aveva una sorella il cui nome riecheggiava sulle bocche di tutti gli abitanti del multiverso: Chandra Nalaar, la planeswalker, detta così perché poteva spostarsi da un universo all’altro. E a lei sarebbe accaduta la stessa cosa? Sapeva che solo certi individui eletti nascevano con la “scintilla” del planeswalker. E se lei fosse nata senza? D’altra parte era un dono concesso a pochi.
“Di certo non accadrà a me, che ho un potere così instabile.” Pensò amaramente Alma. “Sarò degna di essere una Nalaar, essendo così imperfetta?”
Si mise a correre sui tornanti delle montagne su cui abitava. Solo quando correva stava bene, sentire il vento sul viso, il suono dei suoi passi, le dava concretezza.
Sentì qualcuno chiamare il suo nome. Era Jung, immobile davanti a lei.
La parola “padre” le si bloccò in gola. Lui non era suo padre, non più.
“Perdonaci, se puoi.” Disse l’uomo, con tono autoritario. “Fra le figlie dei Nalaar sei stata quella più protetta; sta a te considerarla come una fortuna o una sfortuna. Fatto sta che ai miei occhi, e a quelli di Fresia, resterai sempre nostra figlia.”
A quelle parole i pensieri nella testa di Alma si fecero ancora più caotici, la vista si annebbiò e sentì le gambe cedere. “Vorrei essere altrove.” Pensò, in preda al delirio. “Non voglio stare qua.”
Strinse gli occhi e i rumori attorno a lei si fecero acuti come dei ronzii, dopodiché tutto tacque.
Quando aprì gli occhi si trovava nel bel mezzo di un campo fiorito, circondata da un gregge di pecore. Si girò, spaventata, per cercare di orientarsi, ma non riconosceva quel luogo.
Si mise a correre in mezzo al gregge, disorientata, quando vide quello che doveva essere il mandriano venirle incontro. Era un ometto minuscolo, alto forse un metro, dagli occhi enormi e buoni. Tuttavia, considerando il bastone che brandiva goffamente fra le minuscole mani, non sembrava contento dell’intrusione. Prima che potesse proferir parola, Alma parlò, capendo l’aria che tirava.
“Mi scusi, signore” esordì timidamente “mi sono persa. Saprebbe dirmi dove mi trovo?”
“Sei messa male, ragazza mia” le derise l’ometto “se vaghi in mezzo a un gregge di pecore senza sapere perché e in che luogo! Questo è Lorwyn.”
A quel nome Alma si sentì mancare. Lorwyn era il nome di uno dei piani del multiverso. E lei aveva appena appreso di essere una planeswalker.