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Autore: MaryLouise    12/02/2011    7 recensioni
Spencer Marshall ritorna a Colorado Springs, sua città natale, dopo ben quindici anni d'assenza.
Una misteriosa residenza attirerà la sua attenzione, facendole scoprire l'oscuro lato della cittadina in cui vive.
Le confonderà le idee, le farà nascere dubbi, non riuscirà più a fidarsi di nessuno.
Una domanda le sorgerà spontanea: Chi è veramente?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.A Way Through the Hell.

I. Colorado Springs

 

Appiccicoso e viscido. Era evidente che il marciapiede fosse stato catramato da poco.
Spencer sospirò, scostandosi la frangetta dalla fronte. C'era molto umido.
Fissò per terra. Nonostante il catrame fosse stato appena messo, si vedevano chiaramente delle minuscole spaccature, simili a pori della pelle troppo dilatati.
Scaricò il borsone dal baule, appoggiandolo a terra con un tonfo sordo. Aspettò qualche secondo e poi se lo caricò in spalla, per sbatterlo successivamente sul letto con forza.
La casa non era un granché, ma del resto non erano mai state delle gran signore, lei e sua madre.
La sua stanza era pressoché minuscola, rispetto a quella di Milano.
Si era trasferita a Colorado Springs, nello stato del Colorado, dopo un'infanzia passata in Italia. Anche se, dire che si era trasferita era inesatto. Era ritornata a Colorado Springs. Dopo quindici anni di lontananza. I suoi erano divorziati da quando lei era ancora un fagottino. Lui l'aveva tradita e così sua madre aveva fatto le valigie ed era partita per l'Italia, dai suoi genitori.
Spencer aveva vissuto quindici anni a Milano nello stesso condominio dei nonni, appena fuori dalla città.
Non poteva sperare di risultare anonima in città. Oh, no. Mamma l'aveva messa in guardia; "In quella città tutti sanno tutto. Non sperare di avere una tua privacy!", diceva sempre.
Sarebbe stata la novità, la ragazza che "aveva attraversato l'Atlantico alla tenera età di pochi mesi a causa del divorzio dei suoi genitori".
Nessuno a Colorado Springs era mai salito su un aereo. E quando, quindici anni prima, lei e sua madre lo avevano fatto, in città non si era parlato d'altro.
Scostò le tendine ingrigite dalla polvere. La sua finestra dava su Memorial Park, l'unico parco del paese. Il suo condominio stava all'incrocio tra Cucharras Street e Hancock Avenue. Era uno degli edifici più in della cittadina; più grande della norma, con un piccolo giardino verde, vicino alla scuola e all'ospedale.
Spencer non trovava grandi vantaggi in quella casa. Era arredata in uno stile che lei aveva sempre definito rustico, da montanaro. Parquet in ebano, cucina in legno, caminetto di pietra con tappeti di lana, cassettoni di mogano e letti con coperte di pile. Assomigliava alle casette del Maine. Forse alla casa della signora Fletcher. Rise al pensiero della serie preferita di sua nonna. Durante l'infanzia aveva rivisto gli episodi circa cinque volte. Tutte le serie. Ormai era un'esperta in materia.  
Fece scorrere lentamente la cerniera metallica del borsone. Aprì i cassettoni e vi soffiò dentro per togliere la polvere. Soffocando gli starnuti, iniziò a riempirli con i suoi vestiti. Aveva uno strano modo di riporre i capi di vestiario. Nel primo cassetto le magliette, ordinate dalle sue preferite a quelle meno usate. Nel secondo cassetto i pantaloni, jeans a destra e quelli della tuta a sinistra. Nel terzo le felpe, a destra quelle colorate e a sinistra le bianche e nere. Infine nell'ultimo stava l'intimo; mutande, reggiseni, canottiere, calzini e pigiami alla rinfusa.
Appiattì il borsone con i piedi e lo spedì sotto il letto con un calcio. Batté contro lo zoccolino, producendo un rumore metallico soffuso.
«Spence! Mi verresti ad aiutare?».
La ragazza si sistemò la frangetta con una passata di mano e raggiunse la madre in cucina.
Joanne era in bilico su una scaletta in metallo, mezza arrugginita, con un grande scatolone pieno di conserve della nonna.
«Abbiamo una scorta fino a quando mi farai dei nipoti», sorrise.
L'altra alzò gli occhi al cielo, «Contaci».
«Nemmeno uno?», si girò verso di lei facendole gli occhioni dolci e sbattendo ripetutamente le palpebre con grazia.
Chissà se così aveva abbindolato anche suo padre. Ridacchiò. «Forse mezzo, si vedrà», scherzò.
La giornata passò così, tra il sistemare le valige e  il mangiare la marmellata della nonna.
Alla sera era stravolta. Le faceva male dappertutto, aveva fame ma era troppo stanca per mangiare, sarebbe riuscita a tirare fino al mattino seguente grazie alla conserva di mele ingurgitata durante il pomeriggio. Sua madre si preparò un panino; quella donna era un pozzo senza fondo. Sorrise.
Si trascinò faticosamente in camera strascicando i piedi e cercò a tentoni il pigiama nel cassettone. Sbuffò non trovandolo e si gettò sul letto.
S'infilò nelle coperte ghiacciate, tirandosi il lenzuolo quasi fino al naso. Cercò il suo iPod vicino al comodino e lo accese, mettendosi le cuffiette.
La riproduzione era ferma a My Heart dei Paramore.
Troppo stanca per ascoltarli, scelse qualcosa di più leggero.
 
Seems the only one who doesn't see your beauty
Is the face in the mirror looking back at you
You walk around here thinking you're not pretty

But that's not true, cause I know you...
 
Il fastidioso suono della sveglia le fracassò ripetutamente i timpani. Si alzò svogliatamente, per scoprire che si era addormentata sul letto coi vestiti della sera precedente. Strascicò i piedi verso il cassettone, in cerca di qualcosa di pulito. La scelta ricadde su una T-Shirt bianca dei Paramore e degli shorts color jeans. Ci mise circa cinque minuti per districare i nodi nei suoi capelli rossi, infine afferrò una brioche dal cestino in cucina ed uscì senza salutare la madre.
La Colorado School si trovava a pochi isolati da casa sua, si poteva raggiungere tranquillamente a piedi. Il quartiere era già vuoto alle otto del mattino. Arido ma allo stesso tempo umido era il clima, bollente come una padella antiaderente sul fuoco il marciapiede. Per fortuna aveva delle scarpe a suola alta.
Varcò il cancello scolastico con una certa sicurezza, esaminando l'ambiente. L'edificio era alto appena due piani, in mattoni rossi sporgenti, la cui calce era mezza scrostata. Il cortile intorno era coperto d'erba con molti salici intorno alla recinzione. Nell'angolo si notavano due altalene solitarie. Come lei.
All'improvviso i suoi occhi misero a fuoco gli esseri viventi. Una cinquantina di ragazzi attendeva in cortile il suono della campanella; abbracciati con il proprio partner o sdraiati sull'erba a parlare con gli amici. Così affiatati, riusciva quasi a distinguerne i legami invisibili.
Non c'era spazio per lei. Cinquanta persone già occupate, senza tempo per conoscerne altre.
Non aveva mai avuto degli amici e nemmeno a Colorado Springs ne avrebbe avuti.
Sentendo come una morsa allo stomaco, s'appoggiò a un lampione sentendosi mancare l'aria. Si tirò su il cappuccio, abbassando lentamente la testa con tristezza. Fece scendere il corpo seguendo il palo della luce e ci si rannicchiò contro, stringendo le ginocchia a sé. Un velo di lacrime le offuscò la vista.
Sarebbe rimasta sola, come sempre.
La tanto odiata campanella suonò; a malavoglia, i fidanzati si separarono e gli amici si salutarono.
Spence estrasse la cartina della scuola che sua madre le aveva messo in cartella la sera precedente e cercò la sua classe.
Pur essendo piccolo, l'edificio era un complicato intrico di aule e laboratori, almeno per chi lo percorreva per la prima volta; quando la ragazza trovò la classe giusta la lezione era già iniziata.
Il professore la fulminò con lo sguardo ma non fermò la spiegazione per presentarla alla classe, cosa che la fece sentire sollevata.
Prese qualche appunto, anche se aveva già studiato tutto sull'argomento a Milano.
La lezione successiva era Inglese. Con suo grande disappunto, la professoressa decise di presentarla alla classe. Spencer rimase seduta al suo posto a fissare il banco, nonostante sentisse venticinque sguardi pungenti e curiosi trafiggerle la schiena.
Quando la lezione iniziò, l'argomento non le era nuovo neppure quello; la Bisbetica Domata di Shakespeare.
L'aveva studiata a memoria a Milano.
Milano, Milano, Milano.
Le mancavano i nonni, la sua camera affacciata sul quel grande prato, i cornetti freschi al mattino...
«Cosa ne dice signorina Marshall, ci da una mano a completare la frase? Il signor Walker ha qualche difficoltà».
La frase... La frase... Oddio.
Il silenzio invase la stanza. Il viso di Spencer emanava terrore.
Qualcuno le suggerì, «I motivi per cui la musica fu scritta. Forse non fu creata per rinfrescare...».
Una punta d'esitazione. Nemmeno la voce si ricordava il resto.
I motivi per cui la musica fu scritta. Forse non fu creata per rinfrescare... Ma certo!
«I motivi per cui la musica fu scritta. Forse che non fu creata per rinfrescare la mente degli uomini dopo lo studio e le consuete sue fatiche?», concluse, guardando la professoressa compiaciuta.
«Molto bene Marshall, molto bene», disse a denti stretti quest'ultima.
Venticinque sguardi sorpresi si rivolsero a lei.
Ignorandoli, Spence rivolse lo sguardo sul libro.
Qualcosa o meglio qualcuno le sfiorò il braccio. «Non ti preoccupare per quelli lì, sono solo invidiosi».
Si ritrovò faccia a faccia con una ragazza alta e smilza. Il viso era magro ma possedeva ancora delle fossette nelle guance quando sorrideva, come una bimba. I capelli, ricci e biondi, le ricadevano sciolti sulle spalle, un paio di occhi di un azzurro intenso la fissava. Il sole lasciava intravedere il segno delle lenti a contatto.
Accorgendosi che l'altra indugiava, la ragazza parlò nuovamente, «Sono così strana?».
Spence sussultò. «No, beh, cioè, insomma!».
"Ma che bel discorso", pensò.
La bionda s'aprì in un sorriso. «Ehi, ehi. Calma. Rilassati. Fai un bel respiro».
Provò a seguire il suo consiglio. Inspirò a fondo e tossì involontariamente.
La sua compagna aggrottò le sopracciglia. Per riparare, tese istintivamente la mano. «Sono Spencer Marshall».
La sua interlocutrice ridacchiò, «Tutta la città sa chi sei. Adesso sei la novità, come un giocattolo nuovo regalato a dei bambini. Passerà», sospirò.
Nascose una smorfia. «Ma certo, la bambina prodigio che attraversa l'Atlantico. Patetico».
Si coprì la bocca con le mani cinque secondi dopo, rendendosi conto di aver esagerato.
«Non ti preoccupare noi giovani non siamo così... Arretrati come i nostri genitori», sembrava non trovare la parola adatta anche dopo aver concluso la frase.
«Arretrati?».
«Sì, di cervello».
«Della serie "Classico Paesino di Campagna"?».
«Esattamente».
«Quindi nessuno qui si fa i fatti suoi. Mamma aveva ragione».
«Giusto, sei nata qui».
«Direi purtroppo. Non so nemmeno perché siamo tornate, ma mia madre insisteva. Mi è dispiaciuto lasciare l'Italia».
«Dovrebbe essere bella», affermò la bionda con un tono quasi interrogativo.
«Di sicuro meglio che qui».
«Non volevi venire dunque. Eppure tutti i teenager che si rispettino amano l'America».
«Mi hai vista bene? Sono più tendente alla nerd che alla teenager di tendenza!».
La fissò da capo a piedi, soffermandosi sulla maglia. «I nerd ascoltano i Paramore?».
«In teoria no, sono una nerd fuori dal comune».
Entrambe scoppiarono a ridere.
«Non ti ci vedrei con gli occhialoni spessi, le scarpe ortopediche e con minimo una cinquantina di libri in mano».
«Dici? Eppure in Italia il ruolo mi si addiceva».
«In Italia? Impossibile. Cioè, guardati. Sei fantastica, ragazza».
«Non ho mai visto, non vedo e non vedrò mai nulla di così speciale in me. Sono una ragazza ordinaria, nata per essere trattata come tale».
Gli occhi azzurri della bionda si fecero seri. «Spencer, non sto scherzando». La sua voce si era indurita. «Non permettere mai a nessuno di metterti i piedi in testa, capito? Non sei una ragazza ordinaria, sei un essere umano e come tale devi essere trattata. Non da scarto della società».
Spencer cercò di abbozzare un sorriso, inquietata da tanta serietà. Ma si rendeva conto che aveva tremendamente ragione.

 

Buonasera.
Come state? Io molto acciaccata, sono bianca come un cadavere e ho l'influenza.
Ringrazio molto coloro che hanno commentato: Iria, Ellens, Little Shinedown, Lady mE, Ossequi_Monet, Amy_Black, ellesse, nali, abby_morns e Julia Bi, non pensavo foste così gentili da rispondere alle richieste che vi avevo scritto per messaggio, quindi grazie mille.
Ringrazio di nuovo Amy_Black, Iria, Little Shinedown e Lady mE che hanno inserito la storia tra le seguite.
Confidando in qualche commentino, vi saluto
Jo

Si ringrazia abby_morns per la copertina.

   
 
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