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Autore: _Bittersweettaste    14/02/2011    2 recensioni
Ci sono cose che nessuno di noi sarà mai in grado di prevedere.
Ci sono eventi che sfuggiranno al nostro controllo, come se il fato avesse già disegnato il cammino delle nostre vite. Basta un solo gesto, per sconvolgere irrimediabilmente il corso del destino, in un attimo ogni cosa può cambiare. In un solo attimo le nostre vite potrebbero sconvolgersi completamente, lasciandoci persi in balia di noi stessi.
Che cosa faresti, se improvvisamente il destino decidesse di cambiare?
Che cosa sarebbe successo, se anche solo un evento del passato non fosse stato lo stesso?
Cosa sarebbe successo, se nel mondo di Goku e dei suoi compagni avesse fatto la sua comparsa un ulteriore Sayan?
Come sarebbero andate le cose, se improvvisamente le carte in tavola avessero contato un nuovo elemento?
WARNING: sebbene ci sia un nuovo personaggio, non è assolutamente una Mary Sue, in quanto ha caratteristiche, abilità e difetti che contribuiscono a renderlo completamente umano
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Nuovo personaggio, Piccolo
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Solamente qualche ora prima

Non c’è nulla di peggiore, per un ragazzo di appena vent’anni, che essere ricco ed annoiato. Ecco, Julius Asimov era uno di quelli, probabilmente uno dei più ricchi, se non dei più annoiati…Proprio il tipo di ragazzo con cui passare il week end.
Il padre di Julius era letteralmente cresciuto all’interno del laboratorio di bio-tecnologia, dove suo padre aveva lavorato per anni come tecnico. La sua fu una vera e propria passione, alimentata da un’infanzia vissuta tra esperimenti volti a modificare il DNA umano e, una volta raggiunta la maggiore età, scelse di seguire studi di bio-genetica. Oltre un brillante studente, Ivan Asimov era un uomo capace che sapeva cosa voleva dalla propria vita, e fu capace di inserirsi con successo all’interno del laboratorio dove il padre aveva lavorato. Scalò una dopo l’altra le tappe che lo portarono a prendere in mano le redini del laboratorio, col tempo diventato una vera e propria area di ricerca. Assieme al denaro cominciò ad arrivare anche il rispetto, guadagnato dirigendo il laboratorio con pugno di ferro, spingendo i ricercatori a dare sempre il meglio di sé stessi. In questo, lo si doveva ammettere, Ivan Asimov era un vero e proprio maestro.

Questo Julius lo sapeva molto bene.

Come sapeva che tutte le persone vicine alla sua famiglia, senza contare i principali collaboratori della Asimov Technologies, si aspettavano molto da lui. Forse anche troppo.
In fondo, chi era lui per pretendere di poter eguagliare, un giorno, suo padre? Certe notti, coricato sul suo letto ed immerso nel buio soffocante della sua camera, Julius non riusciva a prendere sonno. La voce di suo padre non faceva che risuonargli nelle orecchie, ripetendo quelle odiosissime parole cariche di orgoglio paterno: dentro di te scorre il sangue di una famiglia vincente, devi portare avanti il nostro buon nome.
-Ma quale buon nome?!- sbraitò balzando in piedi, per poi coprirsi la bocca con le mani. Sua sorella dormiva nella stanza accanto, ed il salotto non era così ampio da poter disperdere le sue urla rabbiose.
-Vaffanculo.- disse in un soffio, maledicendosi per non aver portato con se il cubo di Rubrick, l’unica cosa al mondo in grado di calmarlo. Adorava quel piccolo cubo multicolore, tanto affascinante quanto arduo da risolvere..almeno i primi tempi. Se suo padre era un abile dirigente, Julius era un promettente scienziato, ed il suo cervello non aveva impiegato troppo tempo a risolvere l’enigma.
L’unico problema alla sua scalata verso un prevedibile successo era la sua assoluta mancanza d’interesse per tutto quello che riguardava la bio-tecnologia e qualsiasi altra cosa che avesse in sé una minima parte di scienza. Certo, il suo cervello era indubbiamente predisposto al ragionamento scientifico, e sin da piccolo era stato in grado a risolvere quesiti di chimica come se fossero indovinelli...ma tutto quello non faceva che annoiarlo. E non poteva farci nulla.
Più suo padre tentava di invogliarlo ad assistere agli esperimenti in corso in uno dei suoi laboratori, il figlio annuiva con disinteresse, senza dare alcun segno d’entusiasmo.
Tutto quello che desiderava era essere lasciato in pace, che la gente smettesse di introdursi a spintoni nel suo futuro, da sempre oggetto di appassionate discussioni tra adulti.
Julius si risedette sul morbido divano in pelle, lasciando cadere all’indietro il capo con un sospiro rassegnato. Dove diavolo aveva nascosto quella diavoleria di plastica?, si domandò per l’ennesima volta prima di lasciar perdere e chiudere gli occhi.

Doveva assolutamente andare al lago.

In quell’esatto momento. Riaprì gli occhi azzurro ghiaccio e diede una rapida occhiata alla stanza deserta: suo padre era al laboratorio, senza alcun dubbio, e sua madre sarebbe tornata dalle compere entro pochi minuti. Aveva tutto il tempo che voleva. Quello, almeno, nessuno avrebbe potuto sottrarglielo.
Scrisse un rapido appunto sul retro del segnalibro poggiato sopra il romanzo di sua madre, ancora da iniziare, e s’infilò il giubbotto con un fluido movimento. Ragionava rapidamente, dando appena il tempo ai pensieri di imprimersi nella memoria prima di sostituirli con nuove informazioni. La moto doveva essere ancora lì, appoggiata al cancello proprio accanto alla jacuzzi di sua madre, e doveva assolutamente toglierla prima che lei se ne accorgesse. O sarebbero stati guai seri. Sua sorella avrebbe gradito una piccola sorpresa al suo ritorno, da brava adolescente di buona famiglia adorava i regalini costosi, e mancavano pochi giorni ai suoi sedici anni. Avrebbe fatto bene a fermarsi in un negozio di vestiti eleganti prima di rientrare.
Cos’amava sua sorella, in particolare? Si bloccò sull’uscio della villa, le chiavi della moto strette nella mano diafana.
I cardigan, accidenti alla sua testa dura, i cardigan.
Saltò sulla moto con un sorriso sereno e, dando più volte gas, sfrecciò fuori dall’immenso giardino di casa sua, ben attento a non uscire mai dal sottile sentiero in ghiaia. Il cardigan per Sophie non era certo più importante della sua salute.
Erano appena le quattro di un sabato pomeriggio, e la gente incominciava ad uscire dalle proprie case per dedicarsi anima e corpo a quella bella giornata di sole. Non avevano tutti i torti, ammise il ragazzo, imboccando la strada principale, ricca di boutique all’ultima moda e ristoranti raffinati pieni di uomini d’affari accompagnati da donne molto belle e poco vestite. A volte gli capitava d’immaginarsi nei loro panni, reduce da un ricco pranzo in compagnia di un’ereditiera più interessata alla sua carta di credito che ai suoi occhi. Si lasciava cullare da quella fantasia per pochi secondi, prima di scuotere il capo e ricordarsi che no, quella non era vita per lui.
Un gruppetto di ragazze si voltò al suo passaggio, e le ragazzine sorrisero con sorrisi freschi ed innocenti alla vista di quel bel ragazzo così serio e concentrato, per giunta in sella ad una moto da urlo.
Una di esse, appena più carina e determinata delle altre, fissò l’immagine del suo viso nella memoria, contando di poterlo rincontrare, in un giorno non molto lontano.
Era abbastanza alto, ammise a se stessa con una punta d’invidia, anche se un po’ troppo magro per i suoi gusti. I tratti del viso erano ben armonizzati tra di loro, e non poté fare a meno di ripensare sognante a quegli occhi chiari come il ghiaccio, che, ben nascosti dal vero del casco integrale, avevano a malapena degnato di attenzione il loro gruppo. Se la bellezza poteva essere letale, quel ragazzo era un vero e proprio angelo della morte.
-Se solo non avesse quei capelli…
Un’amica si voltò verso di lei, sospendendo lo scambio di pettegolezzi, diventato troppo noioso e ripetitivo.
-Ti riferisci al ragazzo passato in moto?
-Si..Hai visto che capelli ridicoli aveva? Lunghi fin sotto le spalle, come una ragazza!
-Chissà, magari è gay, e stava cercando qualcuno da abbordare..
Scoppiarono in una risata maligna, convinte di aver svelato il mistero di quella bellezza così fredda e distante, così fastidiosamente attraente.

Julius frenò energicamente, fermandosi a pochi passi da un gattino spaventato il quale, grato per essere stato risparmiato da una fine poco piacevole, si avvicinò all’inaspettato benefattore miagolando amichevolmente. Il ragazzo serrò le labbra in una smorfia di fastidio, e scese dalla moto con un fluido movimento.
-Non mi piacciono i gatti, amico- sussurrò più a se stesso che al felino, e si avviò verso le acque cristalline del lago. Qualche anatra nuotava rapida, formando piccoli gruppi che venivano rapidamente sciolti, non appena una di esse aveva la fortuna di avvistare un pezzo di pane lanciato da qualche passante. Nona avendo cibo con sé, Julius si limitò a sedersi su di una sponda erbosa, osservando in silenzio gli uccelli acquatici contendersi a suon di beccate un pezzo di pane abbastanza grande da attirare la loro attenzione.
In quel momento l’idea di divenire un uccello non gli parve tanto spiacevole… Vivere senza troppe preoccupazioni, se non quella di trovare abbastanza cibo per sopravvivere e, magari, dispiegare le ali e volare via da tutta quella giostra infinita che gli girava attorno, in un girotondo senza uscita pieno di maschere e falsi sorrisi.
Si concesse un lieve sorriso, stendendosi sul’erba fresca di rugiada mattutina: il fresco contatto con le minuscole gocce d’acqua lenì per un attimo la sua inquietudine, donandogli un dolce senso di unione con la natura, considerata dal giovane il nido dove consumare i suoi problemi, le sue paure. Per poi uscirne libero, pronto a guardare scorrere un’altra giornata.
Un’ombra scura passò sul suo viso rilassato, e Julius riaprì gli occhi abbagliato dall’intensa luce del sole.
Un cigno, bianco come la prima neve, volò sopra di lui, diretto verso il centro del lago. Le sue ali si muovevano lentamente, come seguendo il ritmo di una melodia, fino  quando il cigno non sfiorò il pelo dell’acqua: ripiegò le grandi ali sul corpo, elegantemente, e bagnò il becco nelle fresche acque, cercando refrigerio in quella calda mattinata.
Julius si sedette, cercando di non far rumore, e frugò nelle tasche della giacca alla ricerca della macchina fotografica, regalatagli dalla sorella in occasione del suo compleanno. Da quel giorno non se n’era mai separato, portandola con sé ovunque andasse. Diede una rapida occhiata alla vegetazione che circondava lo specchio d’acqua, cercando un punto dove la luce sarebbe stata abbastanza intensa da permettergli di non usare il flash. Se il cigno si fosse spaventato, non sarebbe più riuscito a fotografarlo.
Celato da un cespuglio di rose, Julius regolò l’obiettivo, senza mai perdere d’occhio il magnifico volatile: ignaro di essere l’oggetto dell’attenzione del ragazzo, il cigno nuotava in tranquillità, osservando placido le anatre battibeccare per l’ennesimo pezzo di pane.
Julius premette appena il piccolo tasto nero, e scattò velocemente una fotografia. Il cigno aveva spalancato le ali, pronto a godersi in tutta tranquillità il calore del sole, quando una coppia di bambine sbucò da dietro un gruppo di alberi correndo allegre con in mano dei palloncini colorati. Le due piccole si accorsero della sua presenza, e lo salutarono con la mano. Il cigno aveva intanto volto gli occhi neri verso i palloncini azzurri, e ne osservava incantato il loro ondeggiare al vento. Una delle bimbe, la più piccola, si accorse di quel timido interesse, e allentò la presa sulla coda sottile: il palloncino salì lentamente verso il cielo terso, accompagnato dai gridolini festosi della sua proprietaria e dell’obiettivo della fotocamera.
Julius indirizzò rapidamente la sua attenzione al cigno, e regolò lo zoom, distogliendo gli occhi dal lago. Il cigno, come a voler approfittare della sua distrazione, dispiegò le ali candide e le agitò con ampi movimenti ritmici. L’acqua fresca ormai non lo interessava più, e l’azzurro del palloncino appena visibile nella distesa del cielo rappresentava in quel momento un gioco assai più interessante.
-Non posso crederci..- sussurrò il ragazzo, alzandosi in piedi senza distogliere gli occhi chiari dalla figura del cigno, oramai sempre più lontana -Mi ha abbandonato per un misero palloncino.
-Che buffo!- esclamò una bambina, additando la macchia bianca in mezzo al cielo che era diventato il cigno, senza accorgersi che qualcosa stava cadendo verso di loro.
Una piuma lasciò le altre compagne, strappata via dalle mani invisibili del vento, cadeva leggera nel vuoto, fino a quando le dita umane di Julius non fermarono il suo lento volo.
-Tu però rimani con me- disse questi, sistemandola in mezzo alle pagine di un’agenda trovata nello zaino-

Almeno fino a quando non tornerò a casa.

Ad essere sincero con sé stesso, non moriva certo dalla voglia di tornarci. Tornare a casa sarebbe equivalso ad affrontare l’ansiosa preoccupazione della madre, i capricci della sorella..e l’assenza di un padre che continuava a farsi sempre più distante. Entro pochi giorni avrebbe compiuto cinquant’anni: un’età importante anche per un uomo come lui, non abituato a confrontarsi troppo spesso con i problemi della vita quotidiana. Quelle erano cose, secondo il facoltoso scienziato, che era meglio lasciare a sua moglie, rampolla non troppo bella di un’antica famiglia di politici.
Vista dall’esterno, la sua poteva essere vista come la famiglia modello in versione americana, il sogno di tanti bambini con genitori che litigavano e ragazze romantiche in odore di matrimonio: un padre lavoratore e con una solida azienda sulle spalle, una madre sempre elegante e preoccupata per il futuro dei suoi figli, una sorella bella e bionda che aveva come unica responsabilità quella di trovare un buon partito da sposare.
Ed infine lui, la pecora nera della famiglia. Aveva sempre detestato quella definizione, gli faceva pensare a qualcosa di strano ed inutile che doveva solo essere eliminato…ma da qualche tempo, invece, aveva imparato ad ignorare i commenti maligni che le amiche di sua madre si scambiavano furtive in sua assenza.
Sfaticato, mantenuto, effemminato…parole che scivolavano su di lui come gocce di pioggia, fredde come il ghiaccio ma incapaci di penetrare nel suo corpo e nel suo cuore. Con un sospiro si sistemò il casco sui capelli biondi, e si diresse verso la moto, sistemata sul sentiero di ghiaia che portava sino all’entrata del parco.
Se non voleva andare a casa, ragionò salendo sulla sella in pelle, non gli restava che raggiungere la sede principale della Asimov Technologies, e fingere un po’ di sano interesse per il lavoro di suo padre.
Accese la moto e, con una buona dose di acceleratore, si diresse verso la strada principale schivando ciclisti ancora inesperti della strada che avevano abbastanza coraggio per attraversare la strada senza guardare. Gli sarebbe bastato soltanto un quarto d’ora per raggiungere la sua meta, e nella sua mente si sovrapponevano pezzi del discorso che avrebbe dovuto assemblare per giustificare la sua improvvisa visita. Scosse la testa, e concentrò i suoi pensieri su altri problemi: a malapena suo padre avrebbe elargito un sorriso per festeggiare la sua presenza, e non avrebbe certo sprecato il suo tempo con chi non s’interessava del futuro che lui aveva deciso di imporgli.

Julius fermò rapido la moto davanti all’imponente ingresso della Asimov Tech. e fece un profondo respiro: c’era una seppur minima probabilità che suo padre non si trovasse alo suo interno, ed in quel caso non gli sarebbe rimasto alcunché da fare se non salutare educatamente l’addetto alla sicurezza, e tornarsene da dove era venuto. Semplice, e molto allettante. Purtroppo per lui, il lunedì suo padre non mancava mai di recarsi di buon ora alla sua azienda, e quel giorno non era certamente diverso da tutti gli altri. Si assicurò lo zaino sulle spalle esili ed entrò a passi veloci nell’edificio, rivolgendo un cenno di saluto alle donne sedute dietro il banco dell’Accoglienza Visitatori.
-Mio padre si trova qui?- domandò, ed una di esse annuì con un sorriso.
-Certamente. Se sale al secondo piano, lo troverà nel laboratorio principale di bio-tecnologia. In questo momento starà sicuramente lavorando su un nuovo progetto, ma penso che sarà contento di vederla.
Julius sorrise distrattamente, dirigendosi verso l’ascensore in vetro.
-Non ne dubito.
Le porte trasparenti si chiusero con un lieve sibilo, e l’ascensore iniziò la sua salita non appena il ragazzo ebbe premuto il pulsante azzurro. Una voce femminile, probabilmente registrata non molto tempo prima, risuonò all’interno dell’abitacolo.
-Secondo piano, laboratorio sezione bio-tecnologie. Vi auguriamo una buona giornata.
Quando le porte in vetro si riaprirono al breve suono di un carillon, Julius aveva indossato il suo più smagliante sorriso, freddo e lucente come un pezzo di cristallo, ed in bocca aveva pronto un breve commento per il padre e le sue inevitabili perplessità. Non c’era nulla che non aveva mancato di prevedere.
Nel peggiore dei casi, avrebbe avuto un’inaspettata occasione per esplorare in tutta tranquillità l’ambiente e, magari, di comprendere perché suo padre avesse deciso di dedicare la sua vita alla bio-tecnologia. Un mistero incomprensibile, per quanto lo riguardava.
Improvvisamente lo vide, attorniato da una decina di scienziati e tecnici in divisa, i quali pendevano letteralmente dalle sue labbra.
-Ridicoli.- sibilò il ragazzo, ed accantonò definitivamente la possibilità di avvicinare suo padre. Per quanto ricordava, non amava essere disturbato nel bel mezzo di una accesa discussione. E con suo padre, ogni discussione finiva per assumere toni non esattamente pacati. Decise allora di girovagare senza una meta ben precisa, osservando di tanto in tanto i vari scienziati trafficare su qualche enorme stazione elettronica, o esaminare del liquido di coltura. Dopo qualche minuto Julius si fermò, e sul suo viso apparve l’ombra di un sorriso esultante: davanti a lui, scritta in un cartello plastificato, spiccava una breve e interessantissima frase.
Esperimento riservato, è vietato l’accesso ai non autorizzati.
Chiunque conoscesse il ragazzo da abbastanza tempo sapeva che il peggior modo per fargli rispettare una regola era imporgliela apertamente. La sua imprevedibile curiosità lo aveva messo più volte in guai più grandi della sua portata, e mai una volta il ragazzo aveva deciso di imparare la lezione. Perciò, soffocando una risatina soddisfatta, Julius aprì rapidamente la maniglia ed entrò richiudendo la porta dietro di sé.
Ci volle circa un minuto perché i suoi occhi potessero abituarsi alla semi oscurità che regnava nella stanza e, quando il ragazzo riuscì a distinguere ciò che vedeva, il sorriso appena accennato si allargò ancora.
Era un laboratorio di medie dimensioni, adibito senza dubbio ad esperimenti di lunga durata che dovevano, probabilmente, rimanere quasi un segreto. Oltre agli apparecchi normalmente presenti in un qualsiasi laboratorio di bio-tecnologia, questo era dotato di una moderna vasca di rianimazione ancora inutilizzata e, sistemato sopra un tavolo per esperimenti, vi era un contenitore di vetro colmo di un una sostanza liquida, celeste come l’acqua di un lago.  Julius lo prese tra le mani con estrema delicatezza, osservandone estasiato i riflessi cristallini. Non possedeva alcuna nozione, né esperienza nel campo, ma qualcosa dentro di lui urlava senza sosta, spingendolo ad osservare con i suoi stessi occhi ciò che quel liquido era in grado di fare.
Abbassò lentamente la maniglia della porta e scivolò fuori dalla stanza, il contenitore nascosto all’interno del suo zaino. Nessuno si era accorto della sua intrusione, ed il ragazzo riuscì ad avvicinarsi ai grandi container in metallo senza che nessuno lo vedesse, o gli prestasse attenzione. In fondo, che danni avrebbe potuto causare un ragazzo così giovane?
Una scritta rossa attirò l’attenzione di Julius, il quale la lesse in silenzio, una mano già stretta sulla scaletta di ferro rinforzato.
Pericolo mutazioni genetiche. Non avvicinarsi.
Come da copione, Julius era già salito fino alla cima del container, e stava svitando il contenitore ben attento a non perdere l’equilibrio: se fosse caduto, avrebbe rischiato molto più di una semplice storta…
La noia è davvero un brutto nemico da combattere, pensò il giovane, mentre il liquido denso cadeva dentro il container, mescolandosi con liquido di cottura vibrante di radiazioni. Quando tutto il contenuto fu versato, Julius prese in mano l’agenda, deciso ad annotare tutto ciò che da quel momento in poi sarebbe successo. Mentre sfogliava le pagine fitte di parole, la piuma che aveva raccolto dal volo del cigno sfuggì alla sua prigione di carta, e cadde silenziosa nell’oscurità del container illuminata dalle luci a neon del soffitto.
Cadde leggera, lenta, quasi come un film visto al rallentatore, per sfiorare infine la superficie della sostanza, divenuta oramai innaturalmente cerulea.
Non appena la punta della piuma e il liquido ribollente si toccarono, le molecole della sostanza versata da Julius reagirono alla comparsa dell’elemento estraneo, creando una reazione a catena che, infondendo energia molecola dopo molecola, fino a creare delle vere e proprie esplosioni in miniatura, le quali emanavano violenti getti d’aria bollente e liquido di coltura modificato. Un’esplosione più violenta delle altre mancò il torace di Julius per pochi centimetri, ed il ragazzo ondeggiò pericolosamente, privo di alcun appoggio.
In bilico sul bordo del container, Julius non sapeva quale fosse il male minore tra una caduta libera nel vuoto, ed un tuffo cieco nel liquido di coltura ribollente come lava.
“Non c’è che dire, una morte non proprio piacevole ed una cottura rapida in mezzo ad un mare di radiazioni…Roba da far invidia alla fantasia più perversa.” pensò con una smorfia di paura, cercando un qualunque appiglio al quale potersi aggrappare. Attorno al ragazzo non vi erano che container lisci e distanti, nessun cavo scollegato, niente di niente. Ogni cosa era nell’ordine più assoluto, un ordine traspirante la fredda spietatezza del destino.
Un rumore di passi affrettati giunse alle sue orecchie, ed il ragazzo dovette costringersi a guardare un punto fisso, a non voltarsi: in quel momento l’equilibrio era l’unica cosa importante, e lui non era mai stato bravo in quel genere di cose.
-Ehi, tu! Cosa diamine stai facendo lassù?
Julius serrò le labbra. La voce apparteneva ad uno dei più fedeli collaboratori di suo padre, un leccapiedi professionista che il ragazzo non aveva mai potuto sopportare..Proprio la persona giusta al momento giusto.
-Julius!
Silenzio.
Il ragazzo sentì il cuore smettere improvvisamente di battere, ed intensificò la sua concentrazione già vacillante come il suo baricentro.
-Julius, scendi immediatamente!
Sentire la voce di suo padre svuotò la sua mente come un getto d’acqua gelida, ed il ragazzo si voltò con uno scatto.
-Padre…
Non fece in tempo a terminare la frase, spezzata dall’ultima esplosione di gas e liquido reattivo: questa volta fu investito completamente dal getto, e le sue gambe non avevano abbastanza forza da restare salde sul bordo del container. Il ragazzo cadde con un urlo soffocato e fu immerso dalla sostanza azzurra con un ribollio terrificante, mentre le molecole del suo corpo venivano attaccate dalle radiazioni del liquido di coltura. Solo in seguito si seppe cosa conteneva la boccetta che il ragazzo aveva trafugato, e perché il suo corpo aveva subito cambiamenti tanto drastici.
Già da mesi un’associazione militare di stampo criminale aveva commissionato alla Asimov Technologies un virus in grado di modificare il DNA umano, un agente geneticamente modificato che avrebbe avuto la facoltà di aumentare le prestazioni umane, combinandole con poteri fuori dal comune. Il virus era entrato in contatto nel liquido di coltura come previsto dagli studi, ma anche un altro elemento si era insinuato nella catena di mutamento: una piuma di un cigno.
In quel modo il DNA del cigno si era mescolato al liquido modificato, ed i suoi geni erano penetrati nel corpo di Julius, mutandone radicalmente il codice genetico.
Il ragazzo spalancò la bocca in un urlo silenzioso, reso folle dal dolore che provava. Per quanto provasse a nuotare verso la superficie, il suo corpo non rispondeva più ai comandi, come se un burattinaio invisibile lo avesse legato con fili indistruttibili. Il liquido di coltura aumentò vertiginosamente il suo volume, fino a superare i bordi del container, ormai prossimo ad esplodere. All’interno della Asimov Tech. venne fatto suonare l’allarme, e molti scienziati evacuarono l’edificio. Solamente Ivan Asimov ed il team riunitosi con lui rimasero al suo interno, nel disperato tentativo di porre fine alla catena di mutazioni genetiche.
-Signore!- gridò uno di essi, battendo con violenza il pugno su una tastiera ormai inutile -Non abbiamo tempo da perdere! So bene cosa può succedere in casi come questo, e non ci rimane molto tempo prima che il liquido di coltura esploda uccidendoci tutti!  
-Io rimango qui! Se voi siete così codardi da fuggire senza aver salvato mio figlio, accomodatevi pure. Ma non provate a trascinarmi con voi, o ne pagherete le conseguenze!
Non appena terminò di parlare, la maggior parte degli scienziati si lanciò verso l’ascensore di vetro, lasciandolo solo con un paio di tecnici, ed un figlio tra la vita e la morte.
-Che l’ascensore si blocchi, maledetti!- sbraitò Asimov, dirigendosi verso la sala comandi. La maggior parte dei computer era andata in corto circuito, e non aveva che pochi minuti. Le sue dita volarono sui tasti neri, digitando codici e password in una disperata corsa contro il tempo. Dall’interno del container scaturì una luce intensa come quella del Sole, ed il vecchio scienziato ebbe appena il tempo di gettarsi a terra prima che questo esplodesse. Pezzi di metallo volarono attraverso il laboratorio, distruggendo finestre e conficcandosi in altri container, i quali riversarono a terra il loro contenuto letale, e la sostanza cerulea ricopriva ormai gran parte dell’ambiente, scivolando inarrestabile verso i piani inferiori. Gremiti di gente ancora ignara.
La seconda esplosione fu l’ultima. Con una potenza pari a quella di dieci bombe, il liquido di coltura esplose inondando il laboratorio di una luce bianca, accecante, e tutta l’area di bio-tecnologia svanì, spazzata via dalla potenza distruttrice di una forza che ormai era impossibile arrestare.
Quando la polvere si posò, il silenzio dominava il piano, privo di ogni traccia di vita. Tutti i dipendenti della Asimov Technologies erano fuggiti in cerca di riparo o erano morti nell’esplosione, e nessuno aveva il coraggio di raggiungere il secondo piano.
Una figura apparve fra i resti del container, avvolta da un tenue bagliore candido. Si guardò attorno senza proferire una sola parola, ed accarezzò con innaturale delicatezza il liquido che le lambiva i piedi. Con un sorriso maligno si diresse nel punto dove il pavimento terminava, cedendo il posto all’aria aperta, ai rumori della città in movimento. Lasciò che l’aria fredda s’insinuasse nei suoi polmoni, e dispiegò le ali bianche come la prima neve.
-Il vero divertimento comincia adesso.

Approfittando della pausa concessa dalla scuola, ho finalmente completato questo interminabile capitolo! Siete sopravvissuti? Se si, ne sono contenta perché, come ha detto il personaggio misterioso, il vero divertimento comincia adesso!
Era necessario un capitolo come questo, perché Julius è un personaggio fondamentale nella continuazione della storia, e non poteva comparire all’improvviso senza alcuna introduzione…E poi mi piace tanto presentare nuovi personaggi, specie se particolari come questo idiota. Si, lo considero un emerito idiota, se vi interessa il mio modesto parere.
Che dire, ci vediamo al prossimo capitolo, e non disperate: cercherò di essere abbastanza puntuale e di non annoiarvi troppo!
Ringraziamenti speciali vanno a tutti quelli che hanno il coraggio di seguirmi (grazie davvero, siete fantastici!!), e in particolare a:

Lirin Lawliet: si, proprio a te, tesora! Ricorda che sto aspettando con ansia il tuo “Ortica”, non farmi stare troppo in pena…Non vedo l’ora di leggere una storia che riguarda il mio amato Piccolo!!

Aloysia Piton: ciao! Come potevo non salutare la prima donna che commenta sempre per prima miei nuovi capitoli?? No che non potevo u.u Spero che questo capitolo ti piaccia!

Yori: ehi tu, che fine hai fatto?  Mi raccomando, stammi bene!

Lituania: e veniamo a te, essere che non vuole mai pubblicare le sue poesie. Aspetto di leggere una tua poesia il prima possibile, ricordalo!

Elly Candy: ultima, ma non ultima! Colei che ancora non è sbarcata come autrice nel mondo delle fanfictions. Spero che questo capitolo ti piaccia…e che Julius ti stia almeno un po’ simpatico!


Au revoir
   
 
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