Ce
l’ho faaaaaattaaaaaaaaaaa!!!! Ragazzi mi dispiace tantissimo per questo mega
colossale ritardo, ma tra una cosa e l’altra non riuscivo mai a scrivere questo
benedetto capitolo. Vi chiedo perdono per avervi lasciato sulle spine così
tanto.
Avevo
pensato che per farmi perdonare vi avrei fatto un capitolo lunghissimo, ma alla
fine ho preferito spezzarlo in due,
creando un po’ di suspance =)
Come
al solito comunque ringrazio tutti coloro che continuano a recensire, non
sapete quanto mi fate contenta!! E ringrazio anche chi mi ha aggiunta tra
seguite/preferite. Grazie di cuore!! E ancora scusatemi per il ritardo.
CAPITOLO
7
Io
avevo la stessa arroganza e presunzione di quelle persone. Pensavo di conoscere
ogni pensiero nascosto in quegli occhi d’onice, avevo la più completa certezza
di cosa si celava in quel cuore freddo. Il che era veramente assurdo perché
anche se ormai le sue reazioni le conoscevo così bene da poterle prevedere ad
occhi chiusi mai mi ero trovata di fronte ad un mutismo assoluto. Infatti in
quell’istante le mie convinzioni vacillarono pericolosamente, furono minacciate
alla vista di un Damon furente ma anche rattristato. Lo fissavo e non sapevo
cosa pensare. Rivangavo la nostra uscita e non mi veniva in mente niente. Ero
confusa. Totalmente, imprevedibilmente, intollerabilmente confusa.
Quando
tornammo a casa scesi dalla macchina senza voltarmi e solo quando raggiunsi la
porta d’ingresso mi accorsi di un rombo potente che si allontanava a una
velocità non consentita dai limiti.
Le
ore passavano e il suo pensiero mi tormentava. Nella vana e disperata ricerca
di capire il perché di una reazione simile non mi resi neanche conto che la mia
frustrazione per il non capire, che la mia confusione si stava lentamente
trasformando in qualcos’altro…rabbia forse? Alla fine della giornata, dopo che
avevo sfogliato decine di libri senza vedere realmente le preziose parole che
contenevano, dopo che avevo salutato distrattamente Elena e Stefan e avevo
risposto alle loro domande automaticamente, senza davvero rifletterci, arrivai
ad odiare quella sua non-reazione.
Davvero,
mi sarei aspettata di tutto da lui, e tutto avrei preferito, anche che mi sbattesse
contro un muro minacciandomi (perché era pur sempre una reazione accidenti!),
pur di non vedere il suo silenzio. Era snervante, e pure umiliante. Insomma io
mi ero esposta, avevo detto apertamente quei pensieri che per tanto tempo il
mio cuore aveva ordinato alla mente di nascondere, e proprio quando mi ero
liberata di una grossa parte del peso che portavo sulle mie spalle, lui che
faceva? Restava zitto. Avrei preferito che mi deridesse o che mi picchiasse,
perché erano le due solite reazioni di Damon, o una o l’altra, era fatto così.
Ma il silenzio era peggio. Significava che non gliene importava niente, che le
mie parole non meritavano neanche la sua attenzione. Sì, si era arrabbiato, ma
dopo avergli sputato addosso quelle accuse non bastava tenere il muso e sparire
per tutto il giorno. Damon era vendicativo, spietato quando voleva. E allora
perché non lo era stato anche quella volta? Perché si era limitato a stringere
i pugni e voltarsi?
Forse
ero cieca, anzi lo ero sicuramente. Infatti in quell’istante l’unica risposta
che mi venne in mente era che lui non mi riteneva degna neanche di una sua
qualche attenzione, fosse anche di odio puro. Sciocca e rassegnata mi
addormentai sul divano cullata dal calore di un fuoco scoppiettante che
inesorabilmente si consumava, mentre una piccola lacrima mi rigava silenziosa
la guancia, racchiudendo la delusione e la rabbia che per l’ennesima volta si
erano scatenate a causa sua. Ma forse questa volta prive di fondamenta solide.
Il
rumore di una serratura che scattava mi ridestò improvvisamente, facendomi
sobbalzare mentre aprivo di scatto gli occhi.
Alzai
la testa ancora intontita e assonnata e mi voltai in direzione della fonte di
quel suono, scoprendone la causa.
Damon
era in piedi, mi dava le spalle e stava richiudendo la porta a chiave mentre
dai suoi capelli bagnati e ancor più neri e lucenti scendevano goccioline di
pioggia che inzuppavano ancor di più la camicia aderente e completamente
bagnata, la quale gli si attaccava alla pelle con fare provocante.
Arrossii
a quei pensieri e distolsi subito lo sguardo, lasciandomi cadere di nuovo sul
cuscino. A quanto pare mi ero addormentata sul divano e a giudicare dalla brace
che riscaldava a malapena l’abitacolo del camino ne era passato di tempo.
Gettai uno sguardo all’orologio a pendola poco distante da me. Le 5.24.
Pregai
con tutto il cuore che il bel vampiro non mi avesse notata, ma sapevo fin
troppo bene che non si era fatto sfuggire il cambiamento del ritmo del mio
respiro, ne il rumore, impercettibile a orecchio umano, che avevo fatto.
-Streghetta
non dirmi che hai aspettato il mio ritorno?- disse ironico.
Per
un attimo rimasi in silenzio, contemplando con astio la familiarità di quel suo
modo di fare strafottente che miracolosamente era tornato parte di lui.
-Credimi,
è l’ultima cosa che farei- dissi acida.
-Oh
bene, perché vedi avrei potuto tornare molto più tardi, ma mi sono accontentato
questa notte- sorrise malizioso mentre la mia rabbia cresceva di fronte a tutti
i sottointesi facilmente capibili che trasudavano da quello sguardo –Non avrei
voluto avere sulla coscienza le tue occhiaie questa mattina- aggiunse con
ironia affilata.
-Tranquillo,
niente di me ti può riguardare, neanche le mie occhiaie- mi alzai per dirigermi
verso le scale con tutta l’intenzione di porre fine a quel fastidioso incontro.
Possibile che ogni volta che lo vedevo finivo sempre per arrabbiarmi?!
Purtroppo
però inciampai sul bordo del tavolino di vetro (tipico della sottoscritta) e
persi l’equilibro. Mentre contemplavo l’imminente, rovinosa caduta a terra
contavo i secondi che mi separavano da quelle dure e scure assi di legno. Non
pronunciai nella mia mente neanche la parola uno che due braccia forti e
muscolose mi agguantarono all’istante. Le sentii stringersi attorno alle mie
spalle, delicate ma sicure, mentre il tessuto bagnato della camicia mi
inumidiva il maglione verde. Rimasi senza fiato quando il suo profumo,
accentuato dalla pioggia, si insinuò tra di noi. Sapeva di notte, non so come
definirlo sennò. Era lo stesso profumo che sentivo quando spalancavo le
finestre in una serata invernale e il vento pungente portava con se quel
profumo seducente e fresco che solo le notti invernali hanno. Io lo definisco
profumo di notte.
Damon
mi rimise in piedi e mi lasciò subito, mentre io con gli occhi sgranati
diventavo della stessa tonalità dei miei capelli. Accidenti a lui, possibile
che il muro accuratamente creato per bloccare le mie emozioni venisse
sistematicamente fatto a pezzi ad ogni suo tocco?!
-G-grazie-
sussurrai distogliendo imbarazzata lo sguardo dai suoi occhi d’onice. Ecco come
tutti i miei buoni propositi di tenergli testa andavano a farsi benedire.
-Streghetta,
giuro che non ho mai visto una ragazza più imbranata di te- ed ecco come farsi
odiare da una donna. Il suo sguardo era ironico e il suo tono arrogante.
Lo
guardai furente e ancor più rossa, se questo era possibile.
-Ritiro
quel che ho detto, va’ al diavolo!- sbottai arrabbiata, guardandolo male da
tutta la mia bassezza mentre piegavo un po’ la testa all’indietro per poter
incrociare il suo sguardo altezzoso e non i suoi pettorali (che comunque non mi
dispiacevano affatto, pensai prima di auto scagliarmi tutte le maledizioni di
questo mondo).
Senza
aspettare la sua risposta lo superai e salii gli scalini con passo pesante,
mentre l’eco della sua frase mi raggiungeva alle spalle.
-Alla
fine mi stancherò di avvertirti che non devi giocare col fuoco streghetta-
Arrivai
in camera sbattendomi la porta alle spalle, noncurante di svegliare qualcuno.
Oh
se era odioso! Arrogante e presuntuoso! Che caratteraccio, proprio non lo
sopportavo! E se gli piaceva tanto vedere tutte le gaffe che facevo perché
diavolo non mi ha fatta cadere?! Così si faceva quattro risate!
Presi
un lembo della coperta e con un solo strattone lo tirai giù. Mi infilai sotto
le lenzuola e tirai su il piumone fin sotto il collo, girandomi nervosamente su
un fianco e facendo tremare tutto il materasso. Mi addormentai inventando nuovi
aggettivi per niente carini adatti proprio a quel vampiro che inutilmente cercavo
di odiare col cuore e non solo con la mente.
Il
profumo del caffè mi svegliò dolcemente, entrando tra le fessure della porta e
aleggiando indisturbato per la camera. Un richiamo a cui non potevo rifiutare.
Mi
alzai stiracchiandomi e presi la vestaglia che era appesa in bagno. Spazzolai i
miei ricci color fragola e mi sciacquai la faccia con l’acqua gelida così che
gli ultimi residui della notte scivolassero via con essa.
Quando
arrivai in cucina trovai Elena seduta al bancone che sorseggiava una tazza di
caffèlatte fumante e nel contempo sfogliava distrattamente il giornale.
-Buongiorno-
le sorrisi e mi versai del caffè, scaldandomi le mani gelate.
-Ehi,
‘giorno. Passata bene la nottata? Ho sentito dei rumori…-
-Oh
si benissimo- sorrisi falsamente, non avevo voglia di raccontarle l’ennesimo
incontro-scontro con il più grande dei Salvatore.
Mi
sedetti accanto a lei e presi l’altro giornale.
-Stefan?-
chiesi mentre leggevo la prima pagina e sorseggiavo il caldo liquido scuro dal
retrogusto amaro.
-E’
uscito con Damon. Credo che siano andati a cercare notizie su quel vampiro che
ti ha attaccata. Sai Stefan continua a fare domande in giro a delle sue
“conoscenze”, come le definisce lui- mimò le virgolette e mi sorrise.
-Già,
vi sto causando un bel po’ di disturbo con questa faccenda…- sussurrai
sconsolata.
-Non
dirlo neanche per scherzo Bonnie- si fece improvvisamente seria.
-Grazie-
il mio tono era carico di gratitudine mentre la abbracciavo con affetto. Ero
davvero fortunata ad avere degli amici così, pronti a rischiare la vita per me
se ce ne fosse stato bisogno.
-Su,
adesso devo uscire anche io. Mi zia deve andare a comprare dei mobili che non
ho ben capito a cosa le servano e mi ha chiesto di accompagnarla. Tu non ti
muovere da qui, mi raccomando- mi ammonì con fare materno.
-Ai
suoi ordini!- risi mentre lei usciva dalla stanza alzando gli occhi al cielo.
Quando,
dopo aver riposto la tazza nel lavandino, richiusi il giornale notai con la
coda dell’occhio la data del giorno. Ero così presa da tutti gli avvenimenti
che erano capitati da dimenticarmi che giorno fosse: l’anniversario della morte
di mia nonna. Una tristezza incolmabile mi assalì mentre piccole lacrime mi
pizzicavano agli angoli degli occhi tentando l’ardua impresa di straboccare.
Inspirai ricacciandole dentro e tornai di sopra pensando a come potevo andare
al cimitero senza la mia affascinante guardia del corpo.
Già
vedevo Elena, infuriata e spalleggiata da Stefan, che me le diceva di tutti i
colori, facendomi una paternale degna di un Oscar, mentre Damon indifferente
osservava la scena con una spalla appoggiata allo stipite della porta. Quella
scenetta era così reale nella mia mente da poter essere scambiata per la
realtà.
Mentre
tiravo fuori dall’armadio un maglione a collo alto bianco e un paio di jeans un
lieve senso di colpa mi si affaccio alla mente ripensando alla preoccupazione
che avrei fatto passare ai miei amici se avessero scoperto le mie intenzioni,
ma d’altronde dovevo andare al
cimitero, almeno in quel giorno dovevo salutare mia nonna. Così continuai ad
architettare il mio piano.
Elena
era uscita e combinando lei, sua zia, e il centro commerciale si poteva
facilmente arrivare alla conclusione che avrei avuto tutta la mattina libera,
mentre Stefan e Damon erano usciti per andare non so dove e quindi non avevo la
più pallida idea di quanto potessi essere graziata, ma a fare due conti di
solito lui stava fuori come minimo un paio d’ore quando andava a caccia di
notizie, almeno così avevo potuto osservare dagli ultimi giorni. Quindi avrei
avuto tempo fino alle undici per uscire e tornare senza che nessuno scoprisse
niente.
Certo
la mia imprudenza superava tutti i limiti, ma sinceramente in quel momento me
ne fregai altamente. La prigionia mi aveva dato così alla testa che tutto il
mio buon senso aveva deciso di prendersi una vacanza alle Fiji, non c’era altra
spiegazione al fatto che stavo tranquillamente scendendo le scale diretta alla
mensola delle chiavi col giubbotto in una mano, la borsa nell’altra e un
sorrisetto compiaciuto verso l’astuzia con cui avevo progettato il mio
incredibile piano di fuga.
Si
può dire che il mio sorrisetto si congelò quando spalancando la porta mi trovai
di fronte una figura alta e slanciata.
-Matt?!
Che ci fai qua?- chiesi con un’espressione angelica e qualche acuto di troppo.
-Sono
venuto a trovarti. Non ti ricordi? Te l’avevo detto ieri al telefono- disse
altrettanto sorpreso di vedermi uscire. Anche lui era a conoscenza dei miei
ordini restrittivi.
-Ah
già…scusa me ne sono completamente dimenticata- sorrisi sforzandomi di apparire
calma mentre dentro di me mi stavo mandando al diavolo per essermi fatta
sfuggire un simile dettaglio. Il mio
piano stava per essere compromesso…
-Ma
stai uscendo? Da sola?- Ecco appunto…
-Ehm…sai
sono tutti fuori e io…oggi è l’anniversario della morte di mia nonna e insomma
volevo andare al cimitero…ma non c’è nessuno così ho pensato…si insomma…-
accidenti so proprio esprimermi non c’è che dire…
-Ti
accompagno? Non penso sia molto sicuro che tu ci vada da sola- sorrise e placò
il mio fiume insensato di frasi sconnesse tra loro.
-Davvero?
Grazie , mi farebbe molto piacere-
Fìu,
salva! Tirai un sospiro di sollievo vedendo che non mi obbligava a rientrare
dentro tenendomi sotto controllo fino all’arrivo dei Salvatore, facendo poi un
resoconto dettagliato del mio piano di fuga e procurandomi la ramanzina del
secolo.
Il
sole splendeva alto nel cielo e l’erba curata e ancora bagnata per il temporale
di quella notte veniva mossa appena dal venticello fresco. Camminavo in
silenzio, fiancheggiata da Matt, per non disturbare la pace che solo un
cimitero poteva accogliere. Le lapidi bianche riflettevano la luce, abbaglianti
come specchi al sole, e le cime degli alberi ondulavano con un movimento quasi
ipnotico, mentre l’odore di erba tagliata, fresco e pungente, si diffondeva
lentamente nell’aria mattutina.
Da
lontano riuscii a scorgere la foto di mia nonna, sorridente, che sembrava mi
stesse aspettando. Affrettai un po’ il passo, fino a trovarmi di fronte a quel
blocco di marmo bianco con venature rosate. Matt rimase indietro, rispettoso, e
mentalmente lo ringrazia di quel gesto premuroso.
Gettai
via i fiori secchi e riempii il vaso con quelli che avevo appena comprato,
freschi, colorati, vivaci, proprio come piacevano a lei. Sorrisi e carezzai il
vetro freddo della sua foto. Le raccontai di cosa mi era accaduto, di come
stavano andando le cose, dei miei amici, delle mie paure, delle mie gioie e sì,
anche di lui, perché io le avevo
sempre parlato di tutto. Passò un quarto d’ora, o forse di più, quando alla
fine mi alzai e mi voltai verso quell’amico che paziente aveva aspettato tutto
il tempo in piedi, lontano, per non disturbare i miei racconti, per non
origliare.
Mi
avvicinai sorridente ma prima che potessi aprir bocca lo vidi sbiancare e
sgranare gli occhi. Non ebbi neanche il tempo di voltarmi che qualcuno mi
spinse con una forza tale da farmi cadere un paio di metri da dove mi trovavo.
-Ma
cosa diavolo…-
-Scappa
Bonnie!- sentii il mio amico urlare prima di avventarsi contro una figura alta…
Assottigliai lo sguardo, ancora stordita, per capire di chi si trattasse a
quando misi a fuoco il sangue nelle vene mi si ghiacciò. Era lui!
Non
riuscii ad avvertire Matt che era troppo forte per lui, non riuscii a dirgli di
allontanarsi, perché era già stato scaraventato contro un albero, così forte da
fargli perdere i sensi.
-Matt!-
urlai il suo nome con quanto fiato avevo in gola, correndogli incontro. Ma fu
inutile. Il vampiro mi si parò di fronte, gli occhi cremisi puntati su di me,
la bocca piegata in ghigno orrendo.
-Ci
si rivede, bambolina. Devo dire che il giochetto del paletto l’altra volta non
mi è piaciuto granché, vedi di stare più calma questa volta, o sarò costretto
ad usare le maniere forti- mi si avvicinò con lentezza, minaccioso. Cominciai a
correre come una disperata, ben sapendo che era folle pensare di seminarlo. E
infatti voltandomi indietro non lo vidi più, perché mi aspettava a un paio di
metri di fronte a me. Mi fermai di botto, fissandolo con paura e con rabbia
allo stesso tempo.
-Chi
sei? E che cosa vuoi da me?-
-Se
curiosa…vabbè ormai non vedo che ragione c’è di tenertelo nascosto. Il mio nome
è Pierre- si strinse nelle spalle continuando a sorridere, mi aveva in pugno e
lo sapeva
–Vedi
tu sei una strega, discendente non solo da una stirpe molto potente ma anche da
uno stregone che qualche secolo fa ha fatto un incantesimo piuttosto seccante,
che può essere tolto solo da coloro che portano il suo stesso sangue. Quindi ci
servi- concluse senza troppi giri di parole.
-Ci?
Quanti siete?- dissi seria, la paura si stava trasformando in una pazza
sfrontatezza.
-Complimenti,
sei acuta. Siamo…abbastanza. Ma tu ci farai aumentare…- aggiunse con un ghigno
complice.
-Cosa
vuoi dire?- una parte di me tentava di prendere quante più informazioni
possibile, un’altra cercava disperatamente di escogitare un piano per
sfuggirgli.
-Sai,
le tue domande mi stanno facendo perdere tempo. Basta giochetti- diventò improvvisamente seriò e si scagliò
contro di me. Non ebbi il tempo di muovermi che mi ritrovai al suolo, con lui
che tentava di tenermi ferma. Scalciai in tutti i modi possibili e alla fine,
non so bene neanche io come, riuscii a divincolarmi dalla sua presa. Mi alzai
di scatto pronta a scappare, mi voltai e feci i primi tre passi ma lui mi spinse
con tanta violenza da farmi finire in aria.
Avete
presente quelle scene a rallentatore che si vedono nei film? Ecco, tutto mi
sembrò a quel modo. Sentii l’aria sferzarmi i capelli, sentii il mio corpo
staccarsi da terra, percepii il dolore nel punto in cui mi aveva colpito e vidi
il suolo dall’alto. Ciò che mi fece ingoiare a vuoto, che mi fece sudare freddo
e capire che ero spacciata fu il punto su cui stavo per atterrare. Sotto di me
c’erano dei tubi e delle aste di ferro, residui che accentuavano il cartello
poco distante che diceva “lavori in corso”. Di certo mi sarei fatta male, ma
niente più di qualche livido. Niente in contrario se non avessi visto un’asta
in particolare, la cui punta affilata lunga una decina di centimetri spuntava
minacciosa e letale dal fogliame secco, pericolosamente rivolta verso l’alto.
Non
ebbi il tempo di gridare, di muovermi, di fare qualsiasi cosa. Fissavo con
terrore puro quell’arnese mortale, che inesorabilmente si avvicinava troppo
velocemente. Quando sentii il metallo freddo perforare la stoffa della giacca e
del maglione, quando sentii quella lama appuntita penetrate nella pelle del mio
fianco, capii che non avevo speranze. Da quel momento non sentii più niente se
non un dolore lancinante che aumentava sempre di più. Forse piansi, forse no,
sinceramente non lo so.
Vidi
Pierre scurirsi in volto e imprecare con rabbia, vidi Matt ancora privo di
sensi, vidi sul mio maglione bianco lo sbocciare di una rosa rossa, scarlatta.
E l’ultima cosa che vidi, prima che l’oblio mi accogliesse, fu un corvo nero,
dal piumaggio lucente, sfrecciare in picchiata verso di noi. E chissà, forse il
dolore mi provocava le allucinazioni, ma dai suoi occhi, puntati su di me,
avrei giurato fossero uscite lacrime.
-
- - angolino dell’autrice - - -
Ecco
qui, che ne dite?? Vi piace?? Spero tanto di non avervi deluso perché l’ho
scritto un po’ in fretta. Mi raccomando recensite e fatemi sapere che ne
pensate, aspetto con ansia i vostri commenti!=)
E
questa volta giuro solennemente di non farvi aspettare troppo per il prossimo
capitolo =)
A
presto, tanti baci!!